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.........................................

 

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... quando si schiude l’uovo del cuculo, il piccolo intruso sbatte fuori dal nido i suoi “fratellastri” caricandosene sul dorso le uova e gettandole fuori, o spingendo giù gli altri uccellini del nido se sono già nati...

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TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE (1° parte)

Post n°878 pubblicato il 20 Maggio 2012 da lecasame

TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE

(1° parte)

Quello dell’immigrazione è un problema gigantesco che viene spesso trattato in maniera superficiale o faziosa. Raramente viene affrontato serenamente e in tutti i suoi aspetti, sia quelli di ordine sociale, sia di segno economico. Il dibattito è spesso liquidato a livello di tifoseria calcistica: si è pro o contro. Punto e basta. È “politicamente corretto” essere a favore, e chi è contro è magari bollato di razzismo, di chiusura, di insensibilità. Senza esaminare i fatti nella loro complessità, chi è a favore lo è quasi sempre per questioni di principio (solidarietà, buonismo, globalismo) e chi è contro cade troppo spesso nella trappola degli avversari e finisce per limitare la sua visione solo a una parte del problema, spesso neppure la più importante (crocifissi, kebab, moschee, burqa), magari nascondendosi dietro l’incipit «non sono razzista, ma..».

Non sono i fatti e i numeri a essere al centro del confronto, che si basa così quasi sempre su prese di posizioni di ordine prevalentemente emotivo o ideologico. Per giustificare l’immigrazione vengono solitamente tirati fuori argomenti e temi che possono essere riassunti in una serie di affermazioni che hanno nel tempo assunto la ossessiva ripetitività di altrettanti mantra: 1 ) «l’immigrazione pone rimedio alla nostra denatalità», 2 ) «gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare», 3 ) «abbiamo il dovere della solidarietà, anche perché la nostra è stata in passato una comunità di emigranti», 4 ) «la società multirazziale è l’ineluttabile futuro di tutti», 5 ) «gli immigrati sono una ricchezza sociale», 6 ) «il tasso di criminalità degli immigrati è uguale a quello degli italiani», 7 ) «i nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni», 8 ) «gli immigrati sono una risorsa economica». Vediamo di esaminare ogni singolo punto, non senza avere prima fatto una indispensabile premessa.

L’incertezza dei numeri
Il tema è cruciale ma le informazioni per conoscerlo e governarlo sono molto approssimative. Non si hanno numeri accertati perché il fenomeno è in continuo movimento e cambia ogni giorno e perché la clandestinità (con la strutturale evanescenza dei suoi numeri) è un fatto predominante. I soli dati ufficiali di cui si dispone sono quelli che riguardano i regolarizzati, definitivamente incasellati nella macchina burocratica, o relativi a chi è incappato nelle strutture giudiziarie. Restano vaghi i numeri di quelli appena arrivati o che vivono nel limbo dell’iter della regolarizzazione o nel mondo dell’illegalità. Ci si deve perciò affidare principalmente alle notizie di centri di informazione settoriali o di organismi come la Caritas-Migrantes che, pur ricevendo anche aiuti pubblici, è una struttura privata che svolge i compiti che toccherebbero allo Stato e al potere pubblico, ma è anche e soprattutto una organizzazione di parte e questo non la aiuta a fornire le garanzie di imparzialità che la struttura pubblica, pur nelle sue lentezze e inefficienze, dovrebbe invece garantire. La Caritas è infatti condizionata dalle sue scelte ideologiche, dal suo evidente schieramento a favore dell’immigrazione e dell’accoglienza a qualsiasi costo e condizione, oltre che dal non trascurabile dettaglio che proprio anche dall’ambaradan dell’immigrazione trae finanziamenti.

Nel saluto introduttivo alla presentazione del Dossier Statistico Immigrazione. 21° Rapporto 2011 (di seguito, più semplicemente, Dossier 2011) il direttore della Caritas Italiana, Vittorio Nozza, proprio a proposito della “invasione di campo” dell’organismo che presiede in una materia che dovrebbe essere gestita dalla collettività, ha detto: «Siamo stati e resteremo disponibili ad aiutare la Pubblica Amministrazione in tutte le iniziative utili che promuoverà, ma riteniamo che alle voci istituzionali si debbano affiancare le voci dei centri di studio indipendenti, che all’occorrenza esercitino anche una funzione critica, sempre in difesa dei meno tutelati». Si tratta di una precisazione piuttosto significativa. La mancanza di dati certi e organici favorisce l’approccio emotivo o ideologico al problema, che è all’origine dei mantra citati, della superficialità con cui si affronta l’argomento e anche delle facili accuse di essere portatore di ogni nequizia rivolte a chi cerchi di sostenere tesi diverse o semplicemente chieda più completezza e trasparenza di informazione.

In generale l’incertezza dei numeri può essere attribuita alla difficoltà di reperirli, soprattutto in una situazione di diffusa fluidità del fenomeno e anche di illegalità, ma anche al problema di mettere assieme informazioni attinte da fonti diverse e relative a fenomeni disparati e anche difficilmente collegabili fra di loro. Ma c’è – e in alcuni ambienti è prevalente – una indubbia intenzionalità nel fornire dati incerti o addirittura nel cercare di occultarli. Chi ha interessi economici e ideologici nell’immigrazione preferisce non fare conoscere le esatte proporzioni del fenomeno per poter continuare a cavalcarlo in tutta tranquillità e opacità. Spesso anche i governi preferiscono non fare conoscere la realtà per evitare allarmismi e reazioni, e – in particolare – per non fornire argomenti a movimenti e partiti contrari all’immigrazione. Quello della carenza o dell’occultamento dei dati non è solo un problema italiano: in Francia il malvezzo è stato denunciato dalla demografa Michèle Tribalat e, a livello più ampio, dal giornalista americano Christopher Caldwell. L’argomento della “nebulosità” dei dati è trattato da Massimo Introvigne in una recensione allegata in appendice.

I numeri
Partiamo da alcuni dei numeri accertati. Secondo il Dossier 2010 della Caritas-Migrantes, ci sarebbero in Italia, all’inizio del 2010, 4.235.000 stranieri residenti (dato Istat), o 4.919.000 considerando quelli non ancora iscritti all’anagrafe (dato Caritas). La recentissima edizione del Dossier 2011 dice che gli stranieri al 31 dicembre 2010 sono diventati 4.570.317 e quelli non ancora iscritti all’anagrafe circa 400.000 per un totale stimato di 4.968.000 persone. L’aumento di 335.258 regolari si è avuto – secondo il Dossier – nonostante le oltre 100.000 cancellazioni dall’anagrafe, di cui 33.000 per trasferimento all’estero e 74.000 per irreperibilità.

I clandestini sono stimati nel 2010 fra i 500 e i 700 mila, ma non è certo scorretto pensare che siano almeno il doppio: a questi vanno aggiunti i nuovi arrivi ma anche i 74.000 ex regolari che la Caritas mette quest’anno fra gli “irreperibili”, sfuggiti all’anagrafe. Si arriva perciò a una cifra di più di 6 milioni di persone, cui vanno aggiunti più di 500 mila “naturalizzati” che negli ultimi anni hanno acquisito la cittadinanza italiana. Nel 2010, 40.223 stranieri sono diventati cittadini italiani: 18.593 per matrimonio e 21.630 per residenza. Gli immigrati di seconda generazione sono quasi 650 mila, nati in Italia e privi della cittadinanza e per i quali è cominciato il coro di richieste di applicazione dello Jus soli, cioè del diritto di acquisizione della cittadinanza per il semplice fatto di essere nati su suolo italiano, sia pur da genitore stranieri. É piuttosto evidente che una simile pretesa riesce a fare saltare ogni statistica, oltre che ogni principio di diritto. Metà circa degli immigrati (il 51,8%) sono donne. La Caritas, rapportando i 4.570.317 stranieri regolarizzati ai 60.626.442 residenti complessivi della Repubblica (dato Istat), fornisce una percentuale del 7,5% di stranieri, dimenticando nel conteggio quelli in attesa di regolarizzazione e i clandestini vecchi, nuovi e “di ritorno”. In realtà, comprendendo tutti gli stranieri effettivamente presenti, si arriva all’11% della popolazione residente, più di uno straniero ogni 9 italiani.

Dal 1991 il numero di stranieri è aumentato di 12 volte. Nel 2007, erano 3.690.000, il 5,6% della popolazione; sono aumentati di quasi un milione nell’ultimo biennio. La distribuzione dei regolari sul territorio è la seguente: il 61,3% è in Padania, il 25,2% al Centro e il 13,5% al Sud e nelle isole. Secondo un dato Istat che risale al 1° gennaio 2011, perciò già inaccurato nei numeri assoluti ma sufficientemente indicativo per la distribuzione territoriale, si avrebbero le percentuali di stranieri in ogni regione che sono riportate nella Tabella 1. La prima colonna indica la percentuale di stranieri sul totale dei residenti e la seconda quella degli nati stranieri sul totale dei nati nella regione: un dato quest’ultimo che è però riferito al 1 gennaio 2009. Indubbiamente oggi tali dati sono più alti e, computando i clandestini, sono da ritenersi superiori di almeno il 40%.

Tabella 1

Regione % di stranieri sulla popolazione 2009% di nati stranieri sul totale dei nati 2009% di stranieri sulla popolazione2011Variazione percentuale 2009-2011
Piemonte

7,9

17,3

8,9

+12,7

Valle d’Aosta

5,9

11,3

6,8

+15,3

Lombardia

9,3

19,4

10,7

+15,1

Trentino Sud Tirolo

7,7

13,9

8,7

+13,0

Veneto

9,3

20,7

10,2

+9,7

Friuli

7,7

16,6

8,5

+10,4

Liguria

6,5

13,7

7,7

+16,9

Emilia Romagna

9,7

20,7

11,3

+16,5

Toscana

8,4

16,3

9,7

+15,5

Umbria

9,6

17,6

11,0

+14,6

Marche

8,3

17,4

9,3

+12,0

Lazio

8,0

11,6

9,5

+18,8

Abruzzo

5,2

8,5

7,5

+44,2

Molise

2,3

3,6

2,8

+21,7

Campania

2,3

2,5

2,8

+21,7

Puglia

1,8

2,5

2,3

+27,8

Basilicata

2.0

2,8

2,6

+30,0

Calabria

2,9

4,2

3,7

+27,6

Sicilia

2,3

3,6

2,8

+21,7

Sardegna

1,8

2,6

2,3

+27,8

Italia

6,5

12,6

7,5

+15,4

 

La differenza fra i dati della prima e della seconda colonna è dovuta sia al tasso di natalità superiore delle donne straniere che al fatto che i clandestini sfuggono meno, per evidenti ragioni, alla statistica della natalità. I dati sulla presenza di stranieri sul territorio sono evidenziati da tre carte: la Carta 1 riporta la presenza puntuale (dati 2009), la Carta 2 riporta la diffusione per Province (dati 2009) e la Carta 3 la diffusione regionale (dati 2011). Per quanto riguarda il paese di provenienza, dieci comunità superano i 100.000 individui nel 2011, sempre naturalmente considerando solo i regolari: il loro numero è riportato sulla

Tabella 2

Romania968.576
Albania482.627
Marocco452.424
Cina209.934
Ucraina200.730
Filippine134.154
Moldovia130.948
India121.036
Polonia109.018
Tunisia106.291

La provenienza geografica degli stranieri è evidenziata sulla Carta 4 (dati 2010). Per appartenenza religiosa, i dati sulle principali confessioni offerti dalla Caritas Migrantes per il 2010 (Dossier 2011) sono indicati sulla Tabella 3. Non è scorretto stimare una percentuale superiore di islamici fra gli irregolari.

Tabella 3

Musulmani1.505.000 (32,9%)
Ortodossi1.405.000 (30,7%)
Cattolici876.000 (19,2%)
Protestanti204.000 (4,5%)
Induisti2,6%
Buddisti1,9%

Fino a qualche anno fa si sentiva salmodiare un altro mantra oltre a quelli citati a proposito dell’immigrazione: “la percentuale di immigrati in Italia è molto inferiore a quella degli altri paesi industrializzati”, e perciò – si diceva – il fenomeno potrà essere considerato un problema solo quando la percentuale italiana sarà simile alle altre. Ora i dati sono molto cambiati e una simile posizione non può più essere sostenuta.

Oggi infatti fra i grandi paesi europei, solo la Spagna ha una percentuale di immigrati superiore all’Italia (il 12,3% della popolazione residente), mentre paesi economicamente più solidi ne hanno meno: Germania 8,8%, Gran Bretagna 6,8%, Francia 5,8%. Naturalmente va osservato che in questi paesi è più basso il numero dei clandestini ma molto più alto quello dei naturalizzati e degli stranieri di seconda e terza generazione. La media degli stranieri nell’Unione Europea nel suo complesso a fine 2009 è del 6,5% e sale al 9,4% se si considerano anche i cittadini naturalizzati e le successive generazioni. In base a queste ultime considerazioni, la percentuale di stranieri in Italia potrebbe addirittura avvicinarsi al 12%. Nel 1990 la quota di immigrati in Italia era il 4,9% del totale di quelli presenti nella Unione Europea, oggi essi sono il 15%. Un dato piuttosto inquietante è fornito dal fenomeno dei rientri che è praticamente inesistente in Italia, a fronte di situazioni assai diverse negli altri paesi europei: cioè gli stranieri che arrivano da noi tendono a stanziarsi e a non tornare al loro paese. Anche i tanti cui non è stato rinnovato il permesso entrano in clandestinità piuttosto che andarsene. Il fenomeno è evidenziato dal Grafico 1, che visualizza gli andamenti registrati fra il 2001 e il 2007 in quattro grandi Stati europei.

 
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