Creato da fran.cippo il 01/01/2011
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Parlare di calcio è permesso?

Post n°175 pubblicato il 04 Settembre 2012 da fran.cippo

Con qualche giorno di ritardo, e rinunciando ad ogni velleità letteraria, mi accingo a scrivere di ciò che, volente o nolente, ha assorbito l’estate di ogni tifoso fiorentino: il calciomercato.
La rivoluzione avvenuta nell’organico della Fiorentina in seguito all’ascesa al potere del duo Pradè-Macia è arrivata totalmente inaspettata a sconvolgere un’estate di preannunciate e reiterate delusioni calcistiche sulla scia degli ultimi sfittici anni della gestione Corvino. Le premesse per l'ennesima deludente campagna acquisti c'erano tutte: il rifiuto di Oriali (mica Ferguson) all'incarico di direttore sportivo per mancanza di prospettive, la permanenza in rosa di un buon ottanta percento di giocatori dalla ormai conclamata nullafacenza e la progressiva risacca dell'onda Della Valle, che si credeva ormai lanciata verso un progressivo disimpegno dopo le diatribe col Comune e dopo i mugugni, diventati poi grida, dei tifosi delusi che avevano irritato non poco il permaloso Diego (definito malignamente “scarparo”), facendogli apparire la città come un covo di ingrati. Lo stesso Pradè, ritenuto non una prima scelta, veniva da un anno d'inattività frutto di un non brillantissimo periodo finale alla Roma.
Tutto, quindi, lasciava presagire smobilitazione. E invece no.

Meglio partire dall'inizio, però: dalla nomina del nuovo duo dirigenziale e dalla lunga e ponderata scelta del nuovo allenatore, Montella, per liberare il quale si è dovuto trattare non poco col Catania, sacrificando il giovane Salifu, che, a dir la verità, avrebbe fatto proprio comodo tenere.
Poi era arrivata la raffica di addii dovuti a mancati rinnovi e cessioni, alcuni attesi e/o auspicati, vedi Montolivo, Natali, Kroldrup, De Silvestri, Marchionni, Boruc, Amauri e Kharja, ed altri dolorosi e/o sorprendenti, come Gamberini e soprattutto Beherami. Tanto da far partire per il ritiro cortinese una squadra ridotta all'osso e con ancora in organico i quasi sicuri partenti Vargas, Cerci, Felipe e Olivera.
Al contrario, il mercato in entrata languiva, fermandosi ai soli arrivi del giovane Hegazy (già definito da Corvino in gennaio) e da quello un po' più tardivo di El Hamdaoui, preso veramente per due spiccioli dopo la figuraccia fatta dall'Ajax nella finestra di mercato invernale.
A Firenze già si temeva, ben memori che il “prima si cede e poi si acquista” era diventato negli ultimi anni “prima si cede e poi basta”. Invece Pradè ha mantenuto la parola e, dopo aver fatto calare la propria scure su un monte stipendi inutilmente alto, cacciando giocatori che con la loro svogliatezza finivano per traviare i nuovi e per sfinire i tifosi, ha cominciato a tessere la propria tela. Prima qualche acquisizione sottotraccia: ricordo che all'arrivo di Mati Fernadez persino io, che di calcio mi nutro, dovetti wikipediare per informarmi sul suo conto. Poi un infittirsi di volti nuovi, presi gestendo alla grande un tesoretto importante, ma comunque limitato, tanti parametri zero ed acquisti a saldo: Roncaglia, Cuadrado, Aquilani, Pizzarro, Viviano, Della Rocca, Gonzalo Rodriguez e Borja Valero. L'arrivo di quest'ultimo, in particolare (reso possibile unicamente dalla retrocessione del Villareal), frutto dell'importante esborso di più di sette milioni di euro, ha fatto capire che quest'anno la musica era davvero cambiata e che c'era voglia d'investire, di rischiare e di provare a tornare tra i primi della classe come ai tempi del Mago di Orz.  
Il ritrovato entusiasmo ha convinto il cuorecaldo Andrea Della Valle a rintuzzare gli attacchi delle varie pretendenti di Stevan Jovetic, concedendo a Firenze di deliziarsi un anno ancora (gennaio permettendo) con le giocate di quel giocatore meraviglioso che il ragazzo di Podgorica è diventato.
Sono poi arrivate le cessioni delle teste calde Cerci e Vargas (gente che a Firenze non sopportava più nessuno) e del mite Felipe, che, se non fosse stato per uno stipendio divenuto ormai fuori mercato per un panchinaro, sarebbe, a mio parere, anche potuto restare.
Il mercato si è poi avviato verso le fasi finali, che hanno visto la faraonica offerta degli sceicchi di Manchester per il “giovane vecchio” Nastasic, la classica offerta che non puoi rifiutare, tanti, troppi milioni per un difensore fortissimo di soli diciannove anni, ma che resta comunque un difensore, quindi non un ruolo troppo decisivo. Se poi si conta che, oltre alla “paccata” di milioni (per dirla à là Fornero), l'offerta prevedeva l'arrivo in viola di un sostituto naturale ed estremamente promettente come Savic, crollano anche gli ultimi dubbi in merito alla bontà della dolorosa operazione.
Più o meno nello stesso periodo si verificava l’incredibile vicenda Berbatov, mercenario di razza che cantando “Mi vendo” sfogliava la margherita dei suoi spasimanti, lusingando un po' l'uno e un po' l'altro in attesa di capire quale fosse quello col portafoglio più gonfio. Degna di nota anche l’intromissione nell’operazione del vispo Marotta (evidentemente non ancora stanco di minusvalenze) che, in barba al fair play ha provato a soffiare il centravanti alla Fiorentina mentre questi si trovava già in volo per la Toscana. Peccato che l’attaccante abbia poi voltato gabbana nuovamente, preferendo il modesto Fulham alla Juventus e regalandoci quest’ennesima perla dello sbandierato stile Juve, stile che ogni anno promette ai suoi tifosi un top-player (per la gioia di Tuttosport) come Aguero, Dzeko o Giuseppe Rossi l’anno scorso o come Van Persie o Jovetic quest’anno, salvo poi dover ripiegare su Vucinic l’anno scorso (che poi hanno comunque provato a far passare per giocatore della stesso lignaggio dei già citati) o su Bendtner quest’anno, dopo che Marotta, Paratici e compagnia cantante sono stati pisciati persino dal bulgaro trentunenne. Di questo passo, il prossimo anno prenderanno Palladino. Ma lungi da me (s)parlare di Juve. Stavo dicendo che a questo punto tutte le energie sembravano rivolte alla ricerca della sospiratissima prima punta dal gol facile, invece il mercato ha portato in dono altri volti nuovi: Tomovic e Migliaccio. Il difensore serbo è certamente un bel giocatore, ma avrei comunque evitato di prenderlo: è vero che è duttile e può sia dare il cambio a capitan Pasqual nel centrocampo a cinque, sia essere schierato in difesa (a tre o a quattro che sia), però prendendolo si è andati a levare un considerevole numero di minuti a giovani come Hegazy e soprattutto Camporese che andrebbero valorizzati (soprassedendo sul fatto che siano stati spesi due milioni e mezzo per la comproprietà, mica bruscolini). Migliaccio, invece, non mi piace (come del resto non mi esalta Della Rocca), avrei di gran lunga preferito far rimanere Salifu oppure far arrivare qualcuno un po’ meglio (penso a Palombo che è fuori rosa alla Samp e che di pretese ne avrebbe avute poche). È poi partito Lazzari, uno che dispiace un po’ veder andar via, avendolo visto giocare solo in quell’annus horribilis che è stata la scorsa stagione.
Le ultimissime ore di calcio mercato hanno poi regalato altri due arrivi totalmente inaspettati: Llama e Toni. L’argentino è abbastanza valido, anche se ha i muscoli di cristallo (e non è l’unico in squadra, vedi Aquilani e Mati Fernandez), ad ogni modo non l’avrei preso. È vero che è un’interessante variante offensiva a Pasqual sulla mancina, ma non si era detto che era Tomovic il suo sostituto? Perché ormai pare chiaro che Tomovic scalerà in difesa, giocandosi i tre posti disponibili con Roncaglia, Gonzalo Rodriguez e Savic, con buona pace di Camporese ed Hegazy, relegati a quinta e sesta scelta in un reparto a tre: una miseria. Il ritorno di Luca Toni ha lasciato perplessi non pochi, me per primo. In campo sia ragioni sentimentali che più concrete. Sentimentalmente, non avrei mai ripreso uno che, dopo aver ricevuto tanto dalla città ed esserne divenuto un nuovo idolo, ha preferito spingere per andarsene a gelare in Baviera, scaldato dagli euro pesanti offertigli dal Bayern Monaco. Senza contare che, qualche annetto dopo, non si è affatto schifato di andare a giocare nella Juve, nonostante il legame speciale col pubblico viola. È vero che questo non è più il calcio delle bandiere, ma, che diamine, almeno un po’ di decenza. Le ragioni concrete appaiono ancora più convincenti. Toni ha trentacinque anni suonati, da un anno gioca in un campionato(?) arabo di dubbia qualità e già quand’era al suo apice non era questo scricciolo di agilità, non vedo quindi come potrebbe esser utile ad una squadra che di qualità ne ha abbastanza. Luca era un fenomeno a far gol in ogni modo, ma segnare è dura se non hai più la condizione per arrivare sul pallone. Io avrei volentieri risparmiato sull’ingaggio e puntato sul giovane Seferovic, che è bravo e, al contrario di Toni, ha fame.

Nel complesso, direi comunque che non c’è di che lamentarsi, o meglio, diciamo che da lamentarsi c’è sempre perché i fiorentini sono fatti così, però è bene non perdere di vista quanto di buono è stato fatto e con quale sforzo.

 

 
 
 

Coccodrillo

Post n°174 pubblicato il 03 Agosto 2012 da fran.cippo

La scorsa notte, verso l’una o giù di lì, mentre la aiutavo a preparare la crostata di mele e noci con la quale il giorno seguente avrebbe suggellato il suo commiato, ripensavo a quel giorno, non so quanti secoli fa (erano i primissimi di maggio), in cui me la trovavo di fronte per la prima volta, nel pub di un’ostello, con due boccali (per non dire secchi) di birra a separarci. Parlando con la sua cadenza sarda mi spiegava come le infinite vie del CRUI l’avessero condotta all’Ambasciata italiana di Bratislava pur non avendo fatto lei domanda per Bratislava (io almeno l’avevo inserita come ultima scelta). Le birre bevute insieme crebbero velocemente di numero e di frequenza e con loro crebbe anche il nucleo di persone con le quali berle. Di birra in birra, mi ritrovai, due settimane più tardi, a dividere con lei la mia ampia camera da letto, dandole asilo fino a quando ne avesse trovata una sua. Di quel periodo ricordo le discussioni appassionate, che divenivano ben presto dei muro contro muro e che finivano quasi sempre con un “Te la fai un’altra birra?”, a mo’ di calumé della pace. Ricordo l’adattarsi ad i reciproci tempi: biblici i suoi, scattosi i miei, ed alle reciproche abitudini. L’accettare il suo iPhone come estensione naturale del suo braccio sinistro e parte inscindibile di lei. Il suo spulciare lo spulciabile su internet dopo la buonanotte, prendendo sonno cullata dai tweet altrui. Ricordo quella volta che, proprio poco prima di andare a dormire, entrò in camera una nottola grossa come un cavallo e lei terrorizzata mi scongiurava “Fra, fai qualcosa, ti prego!”, salvo poi sgridarmi e tenermi il muso dopo che avevo freddato la falena con una ciabattata. Ricordo quel sabato pomeriggio in cui decidemmo di fare un’escursione nel quartiere/dormitorio di Petržalka, rimanendo impietriti in mezzo all’uniforme distesa di palazzoni in squisito stile sovietico. Ricordo il suo frequente scrivermi “fra” su Skype mentre ero in ufficio, ed il mio subitaneo pensare “che ha combinato oggi?”. Ricordo il faticoso trasloco nel suo nuovo e moderno appartamento, rivedendomi arrancare per tre piani di scale trascinando la sua valigia piena, probabilmente, di mattoni. Ricordo il suo sistema totalmente non razionale di scegliere le priorità da attribuire alle azioni da compiere ed il suo essere la negazione vivente del presunto multitasking femminile. Ricordo tutto il tempo trascorso ad aspettarla, il suo infervorarsi nelle discussioni politiche, il suo commuoversi leggendo biografie di leader comunisti deceduti, il nostro vicendevole darci del radical chic e, soprattutto, ricordo l’affetto e la stima che non mi ha mai fatto mancare, elargendo il tutto in dosi massicce e conquistando senza far fatica la mia piena fiducia.    

A tutto questo ripensavo l’altra notte, cercando di distribuire uniformemente le mele sulla crostata. Facevo ancora fatica a realizzare che Fede, ormai la mia Fede, stesse per lasciare questa città. Non concretizzavo ancora “il vuoto grande” che avrebbe lasciato, “un vuoto che non è come un buco nell’acqua che si ricopre subito”, tanto per citare le parole che avrebbe usato l’ambasciatore durante il pranzo di farewell il giorno successivo. Un vuoto che per me, ora lo sto capendo, è un vero e proprio cratere fumante (lungi da me l’alludere al suo aumentato, o supposto tale, girovita), un Ground Zero nell’habitat che mi ero creato. Mi accorgo ora di aver perso una persona buona, intelligente, simpatica ed autoironica, il mio appiglio più sicuro. E mi accorgo specialmente di non averle detto niente di tutto ciò, fuggendo da Palisady subito dopo averla abbracciata per tentare di nascondere, vigliaccamente, gli imminenti lucciconi.

 
 
 

Un altro giro, grazie

Post n°173 pubblicato il 05 Luglio 2012 da fran.cippo

Mi ritaglio pochi minuti di tempo per scrivere, prima di prendere l'aereo che per qualche giorno mi riporterà in Italia. Mi domando che effetto mi farà ritrovare quell'aeroporto che ormai due mesi fa mi vide arrivare colmo di timori e con uno stato d'animo accartocciato dai troppi colpi incassati. E figurarsi che ancora ne dovevo incassare.

Eppure ora è tutto così lontanto, annebbiato, sorpassato. Questa terra che mi ha preso in prestito mi restituisce a quella natia completamente rimesso a nuovo e rinfiocchettato. In questi settanta giorni una città sconosciuta e lontana mi ha mostrato prima il suo volto duro ed indifferente, per poi aprirsi in un abbraccio infinito e quasi soffocante, un qualcosa che dà dipendenza. Mi ha restituito il mio conseuto umore solare, mi ha obbligato ad imparare a risolvere qualsiasi genere di problema, sia mio che degli altri (o almeno a provarci fino in fondo). Mi ha regalato soddisfazioni personali e professionali, facendomi sentire apprezzato e, talvolta, quasi coccolato. Mi ha regalato incontri a raffica, un calderone di persone divertenti, noiose, giovani, meno giovani, attraenti, antisesso, interessanti, felici di stare al mondo oppure taciturne. Amici che condividono la lingua madre ed altri no, ma che ti fanno sentire come se fosse così. E, soprattutto, mi ha fatto trovare ciò che più di ogni altra cosa andavo cercando. La serenità. Una serenità di fondo che mi permette di affrontare senza timori qualsiasi situazione avversa. Una fiducia in me stesso ai massimi storici.

C'è un però, però.
Un però rappresentato dal timore che questo stato d'animo sia solamente dettato da cause esogene e quindi destinato, prima o poi, a svanire. Mi domando se tutto ciò mi derivi soltato dalle splendide persone di cui sono riuscito a contornarmi o se ormai sia diventato stabilmente parte di me. Ero partito con l'idea di una catarsi semisolitaria e mi ritrovo continuamente in compagnia, faticando a trovare momenti per romitismo.

Una risposta a questi timori ancora non esiste, so soltanto che questa giostra ancora non mi ha stancato e che tra qualche giorno sarò ben contento di tornare qua per cominciare un altro giro.

 
 
 

Dispiacersi di buon'ora

Post n°172 pubblicato il 21 Giugno 2012 da fran.cippo

Una mattina in cui ti sei alzato un po' prima del solito e rischi di arrivare (sia mai) in anticipo al lavoro, decidi di investire quel tempo in esubero nello smaltimento dei rifiuti ormai traboccanti dal secchio della spazzatura e da sacchetti vari. Inforchi un paio di scarpe e, scesi con passo turistico i tre piani che conducono al seminterrato, guadagni l'esterno tramite la porta posteriore del palazzo, venendo accolto da un aria tutt'altro che pungente e già carica, a dispetto dell'ora, di umidità.
Ti disfi con gaudio dei due sacconi di rifiuti misti e quando vai ad aprire il cassonetto blu della carta vi scorgi dentro, in bella evidenza, un bel bottiglione di plastica.

Tutto il mondo è paese.

 
 
 

Considerazione

Post n°171 pubblicato il 15 Giugno 2012 da fran.cippo

Il problema dell'avere un blog o diario o agenda che sia è che se hai una vita vuota e tempo a iosa per scriverci non hai niente da raccontare, se invece hai una vita piena come non mai e di cose da scrivere ne avresti a volontà non hai il tempo per farlo perché, come già detto, hai una vita troppo densa.

Morale: in un modo o nell'altro, il blog viene trascurato. 

 
 
 

Normalità

Post n°170 pubblicato il 11 Giugno 2012 da fran.cippo

Sono passati quarantasei giorni da quando misi piede per la prima volta in questo paese, capendo presto che non c'era poi una grossa differenza di clima mentre, intabarrato in un cappotto, facevo la sauna nel tragitto dall'aeroporto all'ostello. Ricordo come tutto mi sembrasse diverso, nuovo, non potevo fare un passo senza che qualcosa attirasse la mia attenzione. Tutto mi affascinava, ma, allo stesso tempo, mi faceva percepire un timore di fondo dato dalla diversità. Sentivo un gran numero di barriere a separarmi da tutto il resto della gente, percepivo chiara la differenza di un paese post-comunista, anche se ormai globalizzato, una barriera invisibile che, nella mia testa, si frapponeva tra me e la gente, facendomi credere un'isola a sé stante in un mare di differenza e di indifferenza. La vera barriera, quella che più mi spaventava, però era quella linguistica. Mi faceva effetto pensare che se mi fossi perso per strada in un paese dell'America Latina o dell'Oceania avrei avuto modo comunque di farmi capire dalle persone del luogo, mentre qua, a molto meno di mille chilometri da casa, non mi sarebbe riuscito neanche dire ciao se non mi fossi imbattuto in un qualche locutore inglese. Ascoltavo con attenzione ogni sonorità della loro lingua così dannatamente ostica e così dannatamente slava, senza riuscir a discernere per assonanza nemmeno una parola.
E così erano passati i primi giorni, fatti di compagnie improvvisate, escursioni improvvisate, pub crawl pianificati e conseguenti cerchi alla testa. Poi l'inizio del lavoro, le prime amicizie scelte non dal fato delle prenotazioni in ostello e la confidenza con qualche strada, qualche piazza e qualche rudimento di lingua. Il trasferimento in un appartamento con coinquiline autoctone e sempre pronte al sorriso e all'aiuto, mentre prendeva piede la costruzione progressiva di una routine.

E senza rendermene conto, tutto ciò che ho descritto all'inizio, è passato, non esiste in più. La città è semplicemente una città, e non mi fa paura nemmeno un po', anche se per motivi insondabili mi trovo a camminare da solo in tarda serata, rincasando dalle colline che la circondano. Gli sconosciuti così distanti sono semplicemente persone, persone che parlano una lingua diversa, della quale sempre più spesso mi scopro capace di cogliere frammenti. Per non parlare dei menù che ora riesco bene o male a decifrare.

E, camminando per la strada, mi sembra tutto così normale che fatico a capire come potesse non esserlo anche prima. 

 
 
 

Battaglie quotidiane

Post n°169 pubblicato il 05 Giugno 2012 da fran.cippo

Vivere ti porta spesso a scelte difficili. Quasi metafisiche.
Come ieri sera, quando ho dovuto scegliere se provare ad aprire un'arcigna scatoletta di tonno, pur avendo scoperto di non possedere più un apriscatole, oppure rinunciare a mangiarlo.

Il fatto è che avevo già visualizzato in testa un piatto di pasta con tonno, origano, un filo d'olio d'oliva e dei cubetti di mozzarella messi ad impreziosire la pietanza soltanto una volta che si fosse, almeno parzialmente, raffreddata.
Quindi, in pratica, non ho avuto scelta.

Un coltellaccio dentato trovato inaspettatamente nel cassetto della chincaglieria ha svolto con efficacia il suo dovere, permettendomi, dopo ripetuti e pazienti (ma talvolta bruti) attacchi, di cavar fuori le saporite membra del pesce.
Il tutto senza spargimenti né di olio (suo), né di sangue (mio).

 
 
 

Tardivi resoconti

Post n°168 pubblicato il 29 Maggio 2012 da fran.cippo

È passata ormai una settimana da quel giorno in cui, con due colleghi italiani ed un amico slovacco, decidemmo di provare un nuovo ristorante per rifocillarci in pausa pranzo.
Una calorosa proprietaria ci accolse parlando in slovacco, passando poi all'inglese una volta accortasi che eravamo stranieri. Il suo entusiasmo aumentò a dismisura quando scoprì che tre di noi erano italiani: "Sono veneta, di Fossò, tra Padova e Venezia", divenendo un fiume in piena e raccontandoci in totale gaiezza che la sua attività consiste nel comprare ristoranti in crisi in giro per il mondo (oltre allo slovacco e all'inglese parla anche il russo e il polacco), rivendendoli poi una volta rimessi in sesto.
"Ho ancora un ristorante a Padova, sapete? Ma ormai è in vendita. Non volevo, ma alla fine ho ceduto, troppe tasse, in Italia non si guadagna".
Il pranzo aveva preso una bella piega e l'ostessa aveva trascorso insieme a noi buona parte del tempo ridendo e scherzando, quando, accidentalmente siamo caduti nell'argomento camerieri.
"È difficile trovare bravi camerieri. In Italia, ad esempio, ho provato diversi rumeni, ma è andata sempre male. Infatti con quella razza mi sono proprio rotta, rumeni e moldavi sono proprio tutti cattivi dentro. Infatti io sono stata la prima a Padova a vietare l'ingresso nel mio locale a rumeni e moldavi".
Ora, immaginatevi le nostre facce, già apparecchiate in un sorriso per recepire l'ennesima storiella divertente, poi immaginatevi quel sorriso incresparsi e congelarsi, divenendo suddenly un sorriso di circostanza. 

Non che certi discorsi non li abbia mai sentiti, anzi. Però un conto è sentirli da uno zotico in un bar della periferia di Padova o di Firenze, un conto è sentirli da una che ha girato il mondo e vive in Slovacchia.

 

Ad ogni modo, quel ristorante è uscito dalla nostra cartina geografica. 

 
 
 

Stranezze ed elezioni

Post n°167 pubblicato il 25 Maggio 2012 da fran.cippo

Lavorare come un matto per organizzare le elezioni, senza esser pagato.
Fare straordinari il sabato e la domenica, ovviamente non pagati.
Anticipare di tasca propria i soldi per l'acquisto del materiale elettorale.

Ed essere inspiegabilmente soddisfatto. 

 
 
 

Resoconti mitteleuropei

Post n°166 pubblicato il 13 Maggio 2012 da fran.cippo

Le avventure non si pianificano, come, del resto, le altre emozioni forti della vita. Venerdì mattina, mentre mi recavo tranquillamente al lavoro, mai avrei potuto immaginare che durante la pausa pranzo ci avrebbero raggiunti un amico slovacco ed un suo amico norvegese, quest'ultimo motivatissimo ad offrire Champagne a tutta la combriccola, incurante dei garbati rifiuti. Non potevo immaginare neanche che al ritorno dalla protratta pausa avrei dovuto fronteggiare non solo la pesantezza di palpebra donata dalle costose bollicine, ma anche un motivatissimo capo ufficio appollaiato sulla spalliera della mia sedia che mi chiede di trovare una degna chiusa per la relazione alla quale stiamo lavorando assieme da giorni. Soprattutto non potevo immaginare che appena finita la giornata lavorativa mi sarei fiondato a casa per fare una doccia al fulmicotone, mettere insieme uno zaino barbaro ed uscire nuovamente a bordo di una macchina a noleggio direzione Praga.
Quel famoso venerdì mattina non avrei men che meno potuto immaginarmi la mole di persone che avrei conosciuto in un solo week-end tra Praga e Brno, non avrei potuto immaginare di mangiare piatti tipici che in Italia non toccherei neanche con un bastone, non avrei potuto immaginare di essere morso da un cane nel cuore della notte praghese o di essere fermato da uno sbirro poco amichevole nella scura notte morava mentre guidavo verso il confine slovacco.

Ancor meno, avrei potuto immaginare di tornare a casa e trovare che dei piccioni mi hanno nidificato nel balcone.

 
 
 

La rana e lo scorpione

Post n°165 pubblicato il 05 Maggio 2012 da fran.cippo

Torno a scrivere su questo blog dopo un po' che non lo facevo. Nelle intenzioni, avrei voluto trasformarlo in un blog di viaggio, narrando esperienze ed avventure che avrei vissuto qui a Bratislava. Tuttavia il tempo è sempre troppo poco e la vita gira ad un ritmo piuttosto frenetico, tanto che ancora fatico a realizzare di essere arrivato qui da una settimana soltanto. Negli scorsi giorni si sono susseguite esperienze di ogni tipo (molte anche raccontabili), ma sono arrivate con una cadenza talmente fitta che non riuscivo a star loro dietro, così, quando incontravo lo sfondo bianco di questa pagina, desistevo dall'improba impresa di narrare il tutto.

Ora, durante un sabato mattina che non riesco a soffocare nel sonno a causa delle tende troppo chiare della mia camera che fanno filtrare tanta luce, mi prendo qualche minuto per buttar fuori un peso. Contrariamente alle intenzioni, questo post non ha ad oggetto avventure slovacche, ma solo strascichi di antefatti avvenuti nel Belpaese.
Un paio di giorni fa sono venuto a sapere qualcosa che mi ha aperto una voragine dentro e fatto assalire da un senso di nausea che, al pensiero, ancora riaffiora. Vorrei poter scrivere che ho scoperto la vera natura di una persona, ma purtroppo, mi rendo conto ora, la conoscevo già benissimo. La conoscevo eppure fingevo di no, ignorando tutti quei campanelli (per non dire trombe), che ogni tanto mi squillavano in testa. Vedevo quello che era e non mi piaceva, ma mi volevo convincere che non importa tanto quello che sei, ma quello che dai. E, per dare, dava. Per questo m'illudevo che il menefreghismo e talvolta la cattiveria gratuita mostrati verso altri fossero soltanto un aspetto marginale di una sua natura comunque altruista. Troppo tardi mi sono reso conto che spesso non si dà per altruismo, ma soltanto perché si ha bisogno di dare e, non appena il dare ad una determinata persona diventa non più una priorità, si chiudono i rubinetti. Io ero la priorità a cui quella persona, per se stessa, aveva bisogno di dare. Quando però non lo sono stato più ho dovuto misurare sulla mia pelle il trattamento egoistico e menefreghistico che tante volte le avevo visto usare verso terzi, portandola ad una solitudine che, questa persona, non sapeva spiegare, ma, in realtà, era spiegabilissima.

In tutto ciò, però, la delusione più grossa non è certo data da questa persona, ma da me stesso. Mi viene in mente la favola della rana e dello scorpione. Lo scorpione fa semplicemente ciò che è nella sua natura, e mi chiedo perché io, volgare rana, abbia comunque accettato di dargli uno strappo al di là del fiume pur conoscendo la sua natura marcia. Né il mio intuito, né quello di alcuni amici stretti (fin da tempi non sospetti) sono riusciti a farmi aprire gli occhi in tempo. Ho voluto credere, come ad un dogma, alle mie illusioni, pensando comunque fino alla fine di aver ricevuto, se non altro, rispetto e sincerità totali. 
Mi riconosco ora tremendamente colpevole di errori di valutazione, tanto da non fidarmi più molto delle mie capacità. Non ho paura per il passato, perché tanto qui a Bratislava la vita scorre veloce come il Danubio, sciacquando e curando le ferite.
La paura che ho è per il futuro: quanti errori del genere dovrò ancora commettere? 

 
 
 

Piccole gioie

Post n°164 pubblicato il 18 Aprile 2012 da fran.cippo

Piccole gioie sono quei piccoli gesti inaspettati, spontanei e disinteressati.

Ad esempio, quello del mio ormai ex collega Danilo che lunedì sera, salutandomi dopo l'ultima giornata lavorativa passata assieme, mi ha presentato un sacchettino di Mel BookStore con dentro un graditissimo libro che mi porgeva a mo' di dono di commiato, lasciandomi totalmente basito ed instupidito.

Poi, sarà anche brutta da dire, ma il primo pensiero, ancor prima della gratitudine, è stato: "ma perché sono stato così coglione da non pensarci io?".

Ad ogni modo, sentitamente, grazie.

 
 
 

Morte a Pescara

Post n°163 pubblicato il 14 Aprile 2012 da fran.cippo

Premetto che non sono uno di quelli che si spertica in postume lodi verso ogni personaggio famoso che trapassa, anzi, sono piuttosto insofferente verso tutti questi cordogli di massa, finti come plastica ed assunti come posa più che come sentimento.
Premetto anche che sono contrario alla decisione di fermare tutti i campionati di calcio per la morte di un giocatore, in quanto la stragrande maggioranza dei giocatori e, soprattutto, degli spettatori (me compreso) non aveva idea di chi fosse questo Morosini fino a stamattina, e quindi dubito possa passare la giornata in dolorosa meditazione dell'accaduto. E sia chiaro che parlo come principio generale, senza assolutamente entrare nel merito del fatto se fosse una brava persona o meno, tanto più che, stando a quel che si dice (pur facendo un'opportuna tara), sembrava esserlo veramente.

Però vedere le immagini di questo ragazzo con la maglia amaranto che, durante Pescara-Livorno, cade in terra come se gli fosse piombata addosso una fucilata dagli spalti, prova a rialzarsi, scattando in direzione del pallone e cadendo di nuovo scompostamente, prova ancora a rialzarsi, per cascare poi rovinosamente e definitivamente con la fiaccia che si va a piantare nel terreno dal quale non si rialzerà mai più, senza che le mani riescano nemmeno ad attutire la caduta, ecco, vedere tutto questo, gli occhi te li fa inumidire.

 

 
 
 

Senza vergogna

Post n°162 pubblicato il 11 Aprile 2012 da fran.cippo

Con dispiacere di alcuni e mal celata soddisfazione di molti altri è scoppiato uno scandalo anche in casa Lega Nord, un partito (a loro dire) di duri e puri che faceva della propria integrità morale un vanto ed un punto cardine. Senza starsi troppo a soffermare sui numerosi anni di connivenza governativa con l'immoralità fatta persona (prima) e partito (poi).

Chi si aspettava però una subitanea eliminazione dai ranghi di tutti i rei, confessi e non, capo incluso, rimarrà deluso. Il tanto sbandierato repulisti ha assunto col passare delle ore contorni sempre più grotteschi. Il capo, l'Umberto, ad una linea remissiva e dimissionaria della prima ora, ha fatto seguire un indegno scarica barile, propinando ai suoi elettori, più duri (di comprendonio) che puri, l'ennesima tesi del complotto à la Berlusconi. Sicuramente ci sarà lo zampino di Roma ladrona. 

Però la denuncia del complotto non bastava, da sola, contro una colpevolezza così manifesta. Si è proceduto quindi all'individuazione di qualche capro espiatorio da dare in pasto allo sdegno popolare. Ovviamente si è scelto di buttare a mare le persone maggiormente compromesse. In primo luogo il pingue tesoriere Belsito, seguito a ruota dalla pasionaria bossiana Rosy Mauro, un fenomeno da baraccone col quoziente intelletivo di una scatola da scarpe che, per sua stessa ammissione, era anche "asina a scuola". Terrona, oltretutto. 
Tra gli epurati è finito anche l'impagabile Renzo-detto-trota, mitologica figura con la faccia di culo e la testa di cazzo. Probabilmente, essendo figlio del capo, avrebbero provato fino all'ultimo a salvarlo (come stanno facendo e faranno col padre), ma l'emergere di un compromettente video, comprensibile anche con i limitati mezzi del pubblico leghista, ha fatto sì che finisse tra i reietti.  

Il fatto più sconcertante, però, è avvenuto ieri sera durante la manifestazione leghista tenutasi a Bergamo. Infatti Umberto Bossi ha perso l'ennesima ottima occasione per tacere, dichiarando (oltre alle già citate fregnacce sul complotto) di aver sbagliato a far entrare suo figlio nel partito, scaricando di fatto su di lui tutte le colpe, ben lungi dal farsi un esame di coscienza sul perché suo figlio si comporti come un perfetto deficiente, oltre che dar prova con la sua sfolgorante carriera scolastica di esserlo. Perché che il trota sia un perfetto coglione non è mai stato un segreto per nessuno ed a maggior ragione non avrebbe dovuto esserlo per coloro che gli vivevano attorno, ma che hanno comunque scelto di ricompensare i suoi fallimenti con un posto prestigioso e ben retribuito, e tanti saluti alla meritocrazia. Riesce proprio difficile pensare ad un povero buon padre di famiglia che, vedendo il figlio tornare a casa ogni volta con macchinoni più costosi, non si sia domandato da dove spuntassero.
Dopotutto, però, da una famiglia tirata su a pane e leghismo, che altro ci si potrebbe aspettare.

 
 
 

Irrevocabilmente

Post n°161 pubblicato il 10 Aprile 2012 da fran.cippo

"È giunta l'ora delle decisioni irrevocabili", potrei dire, scimmiottando uno sciagurato individuo che soleva affacciarsi dal balcone di piazza Venezia. Però io non ho consegnato la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna, mi sono limitato a presentare poche scarne righe, con le quali comunicavo ad un tutor piuttosto sorpreso che tra pochi giorni avrei posto fine al rapporto lavorativo che ancora mi lega all'azienda. Dopo aver firmato, davanti ai suoi occhi, la lettera di dimissioni mi sono sentito chiedere le motivazioni di questa mia scelta e mi sono quindi intrattenuto alcuni minuti a parlare. Prima ho raccontato della grossa opportunità che mi si è presentata, poi, con ('stavolta) mia sorpresa, mi è stato chiesto se e dove l'azienda avesse sbagliato, non essendo riuscita a trattenermi. Risposto, in qualche modo, a quelle inaspettate domande sono uscito dal suo ufficio, rendendomi conto solo dopo aver varcato l'uscio che ormai non si torna indietro.

Oggi mi sono costretto a tuffarmi in avanti senza più voltarmi, a concentrarmi unicamente su questo futuro, dai contorni ancora non ben delineati, che mi si fa incontro a grandi passi.

Speriamo bene. 

 
 
 
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