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C’era una volta la parrocchia di San Pietro a Cegliolo….

Post n°216 pubblicato il 03 Marzo 2018 da greppjo
 
Foto di greppjo

 

Il novantacinquenne Don Ferruccio Lucarini mi ha consegnato alcune sue riflessioni  di parroco dell’antica chiesa cortonese, che volentieri riporto sul mio Libertàsindacale e su L’Etruria.

 

“E’ tutto un abbandono. E’ tanto triste vedere la mia chiesa chiusa. La vedo condannata a morte. A novantacinque anni , malmesso in salute,invalido e bisognoso di accompagnamento non mi do pace per come sia stata chiusa al culto e per come stia crescendo il deserto religioso attorno a questa canonica, in cui ho vissuto il ministero sacerdotale per ben quarantadue anni.In questi giorni di gran freddo, assistito soltanto dalla mia perpetua e dal caro Cobra, mi sono convinto che la mia parrocchia stia scomparendo e che sia destinata ad essere chiusa. Non so quanta vita il Signore vorrà concedermi, ma in questo 2018, che rappresenta il mio settantesimo anno di consacrazione sacerdotale, non so a chi affidare la confessione della mia anima triste e addolorata e ti ho chiamato perché vorrei darti queste mie  riflessioni per  L’Etruria, chiedendo a te e al dottor Lucente di volerle pubblicare”.

Così mi saluta Don Ferruccio Lucarini, dandomi una grossa manciata di fogli fittamente manoscritti quando il due marzo sono stato a trovarlo con l’amico Patrizio Sorchi. Sono stato a trovare Don Ferruccio dopo che l’ultimo prete contadino , come l’ho chiamato in un recente libriccino, mi aveva telefonato a casa, pregandomi di passare da lui il prima possibile.

Avevo già visitato Don Ferruccio prima di Natale per gliauguri e ancora ai primi di gennaio, trovandolo in forma,anche se provato dagli anni e dai suoi problemi di salute aggravatisi nell’estate 2017.

La sua telefonata, avvenuta nei giorni della tempesta di neve e gelo che ha assalito anche il nostro territorio, mi aveva fatto temere qualche problema di vita quotidiana dell’amico sacerdote, che ormai conosco e frequento dal lontano 1994. Invece fisicamente e a livello di vita domestica nella sua francescana canonica di ex-parroco le cose scorrono nella loro consueta routine di vita di una volta e lui stesso ne dà conferma più volte a Patrizio e  a me nel corso della lunga e piacevole ospitalità che ci ha offerto.

Il disagio forte che don Ferruccio mi espone nel darmi i suoi fogli è quello di non poter più essere il parroco, il pastore che è stato per ben quarantadue anni nella sua San Pietro a Cegliolo e in quello che chiama ancora il “mio santuario di Mezzavia”. Guardo i dodici fogli del manoscritto che mi ha dato e prometto di leggerlo la sera a casa. Notando però subito la sua conclusione ( “Leggo sempre i tuoi articoli sull’Etruria. Mi farebbe piacere che tu scrivessi qualcosa su queste riflessioni che ti affido. Grazie Ivo. Io prego sempre il Signore per tee non dimenticherò mai quello che hai fatto per me e per San Pietro a Cegliolo.”), non me la sento di tirami indietro e, nel salutarlo alla fine del lungo incontro, gli prometto di raccontare ai lettori dell’Etruria, seppur brevemente, quanto ha voluto scrivere ( scrivermi) in questo suo piccolo memoriale di parroco contadino all’antica.

Essendo impossibile pubblicare in maniere integrale il lungo manoscritto di Don Ferruccio, lo riassumo nei suoi passaggi essenziali.

Don Ferruccio all’inizio ricorda di esser divenuto sacerdote ed aver iniziato la sua opera di parroco in una piccola diocesi, “ vero e grazioso giardino di Dio”, sperimentando il lavoro pratico della vita contadina nella periferica parrocchia di Fasciano, cioè nel cosiddetto “chjuscio chianino”. Poi racconta del suo arrivo a San Pietro a Cegliolo e delle tante opere spirituali e civili realizzate con i suoi parrocchiani cegliolesi e di Mezzavia ,che diventano “una sola, grande famigliain occasione dell’annuale festa dell’Immacolata Concezione, quando uomini,donne, giovani ed anziani si riuniscono per un’ intera giornata sul piazzale della chiesa e davanti alla mia canonica attorno alla padella più grande del mondo per festeggiare la fine della raccolta delle olive e cucinare con l’olio nuovo il pranzo dei poveri delle campagne cortonesi: la ciaccia fritta”.Racconta poi della festa patronale annuale a fine giugno, della festa degli ammalati,delle tante messe celebrate innovando il cerimoniale religioso, del catechismo all’antica, svolto annualmente ai bambini e alle bambine di San Pietro e dintorni “per  passare alla cresima e alla prima comunione”, delle “meravigliose gite spirituali con i parrocchiani”,dell’assistenza agli ammalati, agli anziani, della “lunga e faticosa benedizione pasquale fatta visitando ogni anno a piedi tutte le famiglie e dove mai nessuno mi ha chiuso la porta in faccia, nemmeno i comunisti più arrabbiati ed atei”.

 Racconta poi tante altre cose che invitano a riflettere sull’essere cristiani nel nostro quotidiano e dei suoi timori su una vicina fine della “ mia amata chiesa cortonese che sposai settant’anni fa”.

Su questa ricorrenza del suo settantesimo di consacrazione sacerdotale esprime poi il desiderio di fare in estate, in agosto, una bella festa, ma “ che forse non farò, perché non ho più i mezzi e le forze per farla”.

Le ultime pagine del manoscritto sono le più toccanti e significative per la grande crisi di vita religiosa che egli denuncia come“opera del demonio e di una società materialistica, come forse nemmeno la dittatura comunista dell’Unione sovietica sapeva fare”.

Non preoccuparti don Ferruccio. Vivi tranquillo e sereno i giorni che il Signore vorrà darti. La Festa, se il Signore vorrà, te la organizzeremo noi amici coni tuoi amati cegliolesi che, a quanto mi dicono, ancora ti vogliono un mondo di bene.

Noi tuoi amici, ma anche tutti i cegliolesi e gli abitanti della Val di Loreto, sappiamo , per dirla con San Paolo, che tu sei uno " che ha combattuto la buona battaglia ed hai mantenuto la fede".

Da cristiano indegno e peccatore permettimi però di salutarti pubblicamente con lo stesso saluto privato che ti ho fatto al termine della visita effettuata assieme a Patrizio Sorchi: tempora mutantur et nos mutamur in illis. I tempi cambiano per tutti e noi in loro. Quest'insegnamento ciceroniano vale anche per i sacerdoti , per i preti contadini all'antica, come sei tu e per i cristiani contadini all'antica, come lo è stato fino ad un anno fa il mio babbo Gigi, tuo amico e coetaneo.

Ivo Camerini

 
 
 
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