Creato da Signoraquasiperbene il 29/10/2011

Titillalapupilla

circospetta (sempre)

 

 

Rewind

Post n°24 pubblicato il 23 Maggio 2013 da Signoraquasiperbene

Ogni volta che transito per questo spazio, non posso che ricordarmi di te.

Una ciglia nell'occhio.

Una lisca in gola.

Una caccola nel naso.

Sporco sotto le unghie.

A.

P.s. Fanculo a te.

 

 

 
 
 

Oggi

Post n°22 pubblicato il 27 Settembre 2012 da Signoraquasiperbene

...sorrido ( alla vita ).

A.

 
 
 

Accidenti a Ballarņ, che mi ricorda dove vivo

Post n°20 pubblicato il 05 Giugno 2012 da Signoraquasiperbene

Ascoltare i politici di oggi è come udire lo scroscio di un cesso: assordante e pregno di merda e piscio.

Coaguli di idealismi frammisti a opportunismi, più o meno espliciti, offendono passato presente e futuro.

Indignarsi non basta.........

 
 
 

la prima-vera e gli anta: un binomio esplosivo

Post n°19 pubblicato il 02 Aprile 2012 da Signoraquasiperbene

La prima-vera dovrebbe risvegliare i sensi, invece a me sta provocando un terremoto ormonale, con sbalzi d'umore paragonabili all'arrivo di una incipiente menopausa. quella di cui si sente parlare spesso e che non ti augureresti mai di avere..

Il fatto è che:

- manderei alle ortiche i due terzi delle persone con cui mi devo relazionare, per lavoro e non 

- sprofonderei sotto una coltre di silenzio, se solo potessi

- sparirei, giusto il tempo di un mesetto intero intero

(per poi tornare dove e come ero, s'intende: nessun cambio di rotta pre "anta", solo una impercettibile, piccolissima pausa). 

E se la prima-vera rappresentasse, invece, l'occasione per essere, dire e fare ciò che siamo vera-mente?

E se la prima-vera, proprio grazie a quegli strambi tumulti ormonali/emozionali di cui sopra ci chiedesse di scendere da quella solita e folle corsa che è la nostra quotidianità?

E se la prima-vera, con quei suoi colori, odori, sapori ci volesse ricordare che il tutto, quel tutto, esiste anche senza di noi, fottuti esseri presuntuosuosissimamente gretti nell'animo?

E se la prima-vera potesse essere l'inizio di una seconda-vera, di una terza-vera, di una quarta..vera-vita?

 

 

 
 
 

Per non dimenticare

Post n°18 pubblicato il 26 Marzo 2012 da Signoraquasiperbene

"Nessun uomo è così alto come quando si china per un bambino" A. Lincoln

 
 
 

Italia vs Svizzera

Post n°17 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da Signoraquasiperbene

 

Disciplina, regole, controllo!

Queste sono solo alcune delle rivendicazioni con cui mi sono dovuta confrontare mercoledì sera, all’incontro tanto acclamato dai “genitori” dei bambini della scuola dei miei figli.

Uno spregio allo stilnovo? E’ sì, pace all’anima del S.S. Petrarca, che non aveva tenuto conto, aimè, dell’abuso che il popolino avrebbe fatto del mezzo cotanto omaggiato!

Così una sfilata di luoghi comuni, intrisi di frasi preconfezionate, hanno fatto da cornice a nasi rifatti e labbra gonfiate che reclamavano maggior rigore, proprio a coloro che di una simil etichetta se ne vantano da secoli (essendo, lor signori, svizzeri dalla a alla zeta).

Che vergogna!!!

Piccoli borghesi lombardi e arricchiti, forse da una o più generazioni, che con accento più o meno edulcorato, esprimevano il loro diniego in virtù di una disciplina che soffriva di poca intransigenza (alla faccia di una loro latitanza sia come persone che come genitori).

Mamme incipriate e dalla fica generosa unite a padri in carriera e dal merlo cinguettante alleati contro l’istituzione: un virtuoso esempio del nostro spessore culturale, agire civile e civico.

AMEN.

 

 
 
 

LA RIABILITAZIONE DEI PORCI

Post n°16 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da Signoraquasiperbene

Qualche anima pia si è accorta dell'incalzante mitizzazione in corso da parte dei media della feccia italiana?

FELICE MANIERO, LA BANDA DELLA MAGLIANA, RENATO VALLANZASCA...

E' il mio pregiudizio a leggere questi fenomeni come il sintomo di un malessere sempre più radicato, tanto da permetterci di assistere a una loro reinterpretazione pseudo holliwoodiana complice di una loro riabilitazione? 

Efferati assassini, spregevoli azzeccagarbugli senza dignità, insomma porci, imbellettati e incipriati come vergini al ballo delle debuttanti.

E noi paghiamo..investiamo in produzioni cinematografiche che anzichè promuovere cultura, esaltano le "virtù" di coloro che hanno contribuito pesantemente a macchiare la moralià del nostro paese, umiliandoci.

Paghiamo fior fior di quattrini per veder quattro coglioni, interpretati da qualche attorucolo del momento vestito di tutto punto, stile dolce e gabbana (un abbigliamento che trovo volgarmente evocativo di un passato-presente di cui non vado molto fiera).

Paghiamo, applaudendo.

Beh, io non ci sto. Fanculo. 

 
 
 

PrEmIaTa SiGnOrAqUaSiPeRbEnE

Post n°15 pubblicato il 11 Febbraio 2012 da Signoraquasiperbene

 

Mi tocca: quel brubrù del mio amico ODI mi ha nominata, sapendo di andare a titillare quel lato che mi definisce "quasi perbene"... Le regole da seguire sono le seguenti, cercherò di attenermici.

1. Nominare, ringraziare e linkare chi ti ha "consegnato" il premio

2. Dire 7 cose, fatti e notizie su se stessi

3. Girare a nostra volta l'award a 15 blog che si ritengono interessanti e che si seguono e fargli sapere che hanno vinto

1.

Dunque, anzitutto, grazie. Grazie per non avermi mai abbandonata, nonostante le svariate aperture/chiusure/censure dei miei blogghe. Ci sei stato sempre, con costanza quasi certosina, riuscendo a farmi sentire a mio agio, mai sola e soprattutto ben accolta. Io, che non amo fermarmi. Un punto fermo in mezzo al tutto.

2.

Come se fosse facile coagulare i miei quasi anta in 7 scaffali virtuali. Ci provo:

- Non ho mai amato il mio nome, un’iperbole dell’idealismo sessantottino che tanto ha caratterizzato la mia infanzia e adolescenza.

- Fino all’età di 28 anni ho pensato di non arrivare ai trenta. Una convinzione talmente radicata dall’avermi spinta a definire, nei minimi particolari, ogni pratica legata al mio periodo pre e post mortem. Non è un caso che, successivamente, io mi sia dedicata proprio ai contesti che hanno a che fare con i malati terminali. Il mio dottorato di ricerca, prima e le miei ricerche scientifiche poi, ben rappresentano quanto scritto.

- Il primo dì di un lontano febbraio, mia madre risorse da anni di buio pesto, regalandomi la luce.

- Il 24 settembre del 2000, la mia vita ha cambiato rotta, puntando verso un nuovo inizio: Alessandro.

- I miei tre meravigliosi figli.

- Un padre ritrovato, dopo lustri di conflitti alternati a interminabili silenzi.

- Il mio lavoro. Una sintesi di tutti i sei punti di cui sopra: complesso, ma a tutto tondo.

3.

15: un numero che difficilmente corrisponderà ai blogghe menzionabili, perché non ne conosco così tanti e tanto.

-Sylvia.P: vera e profonda. Mai approssimativa e con una dote che la rende davvero speciale: l’ironia.

-BobSaintClair: psicadelico romantico.

-La Donna Camel: frizzante essere, curiosa della vita. Una rara eclettica, ancora appassionata.

-Boh… ci devo pensare.

 
 
 

s-corro

Post n°13 pubblicato il 10 Febbraio 2012 da Signoraquasiperbene
 

eccomi, attirata dal tuo richiamo.

latitante sì, ma temporaneamente, non ti preoccupare.

che sensazione orribile fermarsi e sentire il battito del mio cuore in affanno. 

chiudo gli occhi premendomi le dita sulle orecchie nel tentativo di riconoscerlo.

è lui.

il mio fottuto c   u    o    r    e.

lo sentiranno i miei bimbi? mio marito..

sono sempre in corsa.

la mia caccia ai tasselli giusti continua, ora inizio a sceglierne addirittura forme e colori.

ma è dura.

il peso delle responsabilità è grande, talmente grande dal tenermi sveglia le notti.

in ballo ci sono famiglie intere, stipendi, mutui, scuole da pagare, e sogni (loro, ma anche i miei).

la morsa dell'incertezza certi giorni mi stringe come fosse la mascella di un cane rognoso: sì, perchè ogni giorno, come neon sputtanati, le scelte da prendere incalzano a intermittenza e senza tregua.

brillano! cazzo se brillano, ma con lo stesso squallore di una vecchia insegna sgangherata.

per ora, la mia è una quotidianità intrisa di ossimori. 

s-corro, e guai a chi mi ferma.

 
 
 

Buon 2012

Post n°12 pubblicato il 02 Gennaio 2012 da Signoraquasiperbene

Ben ritrovati, argonauti nel "pacifico" Libero

 

Di passaggio se pur breve, auguro a voi tutti un 2012 straripante di rabbia, per un mondo che sta andando inesorabilmente aputain! Uno schiaffo all'immobilismo che ha caratterizzato questi ultimi 4 lustri, lasciando che gente insulsa come il nostra ex primero regalasse il nostro Paese a corruzione e mafia e cambializzasse l'avvenire della stragrande maggioranza delle famiglie italiane, sporcandone la memoria. Un monito, il mio! A che si ritrovi la voglia di riscoprire quei valori che un tempo avevano reso il nostro Paese una Repubblica fondata sulla democrazia, un esempio di civiltà e rispetto per il prossimo raggiunto attraverso grandi sacrifici e una Resistenza che deve essere mantenuta viva. Fanculo, quindi, fanculo ai falsi miti, ai nani e alle ballerine, fanculo alle hogan prodotte in Cina, alle Mini in Romania, ai Monclaire made in Taiwan, che oltre ad aver lasciato migliaia di famiglie sul lastrico hanno contribuito da un lato a riempire di merda migliaia di giovani cervellli, dall'altro a inaridire e umiliare persone di altri Paesi costretti ad assoggettarsi perché senza alternative.

Cin cin.

 
 
 

Quattro anni e sentirli.

Post n°10 pubblicato il 13 Dicembre 2011 da Signoraquasiperbene

Le mutande di mio figlio. Una geografia d'intenti, concretizzatisi.

 
 
 

Errimo, e' l'amore per loro.

Post n°9 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da Signoraquasiperbene

Amo svegliarmi nell'odore buono dei miei bimbi. Amo sentirli arrivare nel cuore della notte, mentre si ficcano sotto le coperte cercando il modo pił veloce per sentirsi riscaldati. Amo le loro chiacchere, spesso senza senso. Torrenti in piena che non lasciano via di scampo a parole altre, le mie. Amo chiamarli ed essere chiamata. Amo il loro amore incondizionato, infinito, che non chiede altro che essere ricambiato. Amo (l'uomo che me li ha regalati).

 
 
 

Chiavi(che)

Post n°8 pubblicato il 26 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

Oggi vorrei terribilmente:Avere almeno due lustri di menoNon avere quelle due cazzutissime rughe proprio liPoter indossare nuovamente la taglia 27 di quel paio di jeans che mi ostino a tenere nell'armadio, a mo' di monito...Subire, senza pietas, un massaggio corredato di unguenti e profumi variAvere le unghie delle mani e dei piedi perfettamente pittate Tornare ad avere i capelli lunghi fino al culoCamminare, camminare, camminare senza una metaAscoltare i Clash a palla, senza interruzioniAccendermi una siga senza sentirmi in colpaInzomma, poter svaccare un tantino.Ecco, con leggerezza, spensieratezza e una sana dose di cazzutaggine.Posso?

 
 
 

Buongustoforsale

Post n°7 pubblicato il 21 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

Ci risiamo: come da consuetudine, signoraquasiperbene e' ricaduta nel solito trabocchetto filo borghese di sempre, riuscendo ad addobbare ben 45 gg prima di Natale l'intera casa in stile merry christmasss and happy new year:Albero made in Taiwan super pacchiano h. 1.80 cm, Palline in plastica simil vetro Puntale stile torre Eifel, Base in plasticona very green nascosta da un cumulo di carta increspata, ovviamente red, Pseudo boa dorati a far da cornice a mobili, vasi, libri e chi pił ne ha pił ne metta, Stelline e babbi natali appiccicati persino sull'asse della tazza del vater dei tre nani,Centrini natalizi,E...Botta di vita:Giga corona natalizia inchiodata alla porta d'entrata!E poi che qualcuno mi venga a dire che sono prevedibile.....

 
 
 

bye bye, mr president

Post n°6 pubblicato il 13 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

Oggi il solito giornalaio di sempre, quello intento a bisbigliare i faziosi quotidiani di sinistra e a urlare quelli seri di destra (e affini), stranamente taceva, nel suo pulcioso maglioncino avvizzito.

oggi il solito barista di sempre, quello inesorabilmente attento a non superare mai la tacca, stranamente eccedeva in generosità. versava, versava, versava...imbronciato.

oggi il solito vicino di sempre, quello strafottente, che pretende sempre la precedenza, quello che solo a guardalo, ti viene il vomito, portava le clark's (dimenticandosi a casa le solite church's?)

oggi il mio amico becchino, quello abituato a contar soldi come se sfogliasse foglie di lattuga, se ne stava zitto, dovendo elaborare un lutto diverso dai soliti...

oggi..

e domani?

 
 
 

Clic di una sera qualunque

Post n°5 pubblicato il 06 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

Stasera il menù della casa propone:

orata al forno con aglio, olio, olive, pomodorini e rosmarino.

birrazza pro tutto.

dopo cena digestivo...

Nel mentre:

il più piccolo sta facendo del suo meglio per rendere la sua cameretta un troiaio;

la mezzana pianta righe a destra e a sinistra sul parquette appena lamato;

la prima si gongola al calduccio della stufa, avvolta nella sua "nina" di sempre; 

il pater familias, per non deludere la miglior tradizione italiota, si gode lo sport spaparazzato sul divano;

la muerta, il cane più puzzolente che mai, ulula alla luna in attesa di ricevere qualche avanzo;

Orri (bol) il gatto, detto anche labbra di fuoco per quella sua malformazione somatica, tiene corsi di manicure agli amici del vicinato usando come campione il tessuto che ricopre la poltrona di Nonna Anita.

i pesci ex rossi, boccheggiano cazzate (credo).

Ora, cosa diavolo potrei desiderare di più?

 
 
 

(Per Odi)

Post n°4 pubblicato il 05 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

 
 
 

Capitolo terzo: IL RADUNO DEI BECCHINI

Post n°3 pubblicato il 03 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

A) IL RADUNO DEI BECCHINI

(alcune note di campo estrapolate dal mio diario)

 

Sant’Antonio, 28 marzo 2010

Ore 8.30

Il viaggio ha inizio nel parcheggio antistante una casa di riposo. La temperatura è mite, il cielo è terso e l’aria è fresca. Ad attendermi, lui, il becchino. Destinazione TANEXPO, un’esposizione internazionale di articoli funerari e cimiteriali destinata ai soli “addetti ai lavori”: gli impresari di pompe funebri, i costruttori di bare, gli “artisti degli epitaffi” (i marmisti), i fioristi, i concessionari di carri funebri e, per finire, i venditori degli impianti di cremazione: a oggi una delle figure professionali più tranquille sul piano economico, poiché con un futuro abbiente statisticamente certo.

L’emozione, così come la curiosità, è tanta. Immaginatevi un venerdì mattina di fine marzo con una anomala “studiosa” vestita di tutto punto pronta a partire a bordo di un Porche Cajenne, guidato da un becchino occasionalmente in congedo. A rendere ulteriormente strampalata la situazione, il mio “autista” era un uomo sulla cinquantina, di bel aspetto, con occhi azzurri, chioma canuta e quel “non so che” d’inquietante legato proprio al suo lavoro. In effetti, quelle stesse mani che ora tenevano il volante, il giorno prima sistemavano un caro (e non) estinto o la soffice imbottitura di una cassa da morto.

Il becchino, appunto, una figura mitologica dai caratteri eleganti e discreti, dalla grande mano calda e liscia che mi accoglie, dallo sguardo di ghiaccio e dalla voce schietta e squillante.

Luigi è un uomo forte, sicuro e determinato; incarna l’esempio dell’uomo che ti conquista con un semplice commento circa la bellezza e l’imprevedibilità della vita. Ama godere del mondo in cui vive e ciò ti fa sentire davvero bene: ti fa pensare che, nonostante (oppure, grazie?) il suo lavoro, la vita debba essere vissuta.

Una figura mitologica, mezzo becchino e mezz’uomo con uno sguardo che non dipende dall’azzurro dei suoi occhi. È uno sguardo attento, il suo, che va in profondità, oltre la superficie delle cose, la polvere e l’usura che si deposita sopra le persone e i corpi di queste. È uno sguardo che osserva, studia, pondera: che prende le misure del mondo e delle persone, vive o morte che siano. È uno sguardo al di sotto della normale linea visiva che non si percepisce se non lo si osserva bene.

Reminiscenze lombrosiane mi fanno pensare che gli impresari funebri potrebbero avere tutti la stessa forma del cranio, la stessa fisionomia (cupa e poco raccomandabile), e il medesimo DNA.

A questo proposito: becchini si nasce o si diventa?

Durante il viaggio, il susseguirsi di telefonate è impressionante: il becchino è “perpetuamente” al telefono che coordina le azioni dei suoi collaboratori. Abiti da preparare, defunti da vestire e da truccare, contratti da stipulare, cofani da scegliere, parenti da rassicurare, corone floreali da ordinare, annunci funebri da stampare, pratiche burocratiche da sbrigare, loculi da occupare, parroci da allertare, cremazioni da prenotare e via dicendo… Il tutto, velocemente e con una capacità organizzativa e di coordinazione straordinariamente rapide, “prima che il cadavere si raffreddi” e si irrigidisca, rendendo difficile la sua vestizione.

Via via che ascolto le telefonate, si fa sempre più nitida un’immagine: soldi. Ogni squillo corrisponde a centinaia di euro: motivo per cui, all’altezza di Fiorenzuola, ho iniziato a figurarmi un nuovo ruolo: la becchina.

Pressappoco all’altezza di Brescia, inizio a chiedermi con quale veste avrei dovuto presentarmi a quello strano raduno (funebre). Chi ero? La segretaria del becchino? Una impresaria in erba? Una pseudo ricercatrice senza mandato alcuno? Così, giunta a pochi chilometri dalla meta, opto per essere genericamente, ma molto genericamente, una studiosa (di che cosa, poco importava).

Alle 11.15,  la nostra auto approda in fiera a Bologna. Il parco macchine disposto all’ingresso è subito indice di ciò che mi avrebbe aspettato: Bmw, Bentley, Mercedes, Jaguar e Porche come utilitarie impilate lungo i sotterranei di un centro commerciale di Dubai. Prima di addentrarmi nella descrizione della fiera, è importante che vi dica che il mio Caronte era, ed è, uno degli impresari più facoltosi del settore: cosa che mi avrebbe assicurato (una volta sul campo) una certa legittimazione da parte della comunità dei becchini. Al pari di illustri notai, commercialisti o medici, anche gli impresari funebri costituiscono una vera e propria casta, ma il loro ruolo professionale rappresenta uno stigma e non una nota di prestigio come per gli altri.

Ore 11.30

La sottoscritta fa il suo ingresso all’esposizione, che si annuncia essere come la fiera più grande per superficie occupata, per numero di aziende presenti, per flusso di operatori italiani ed esteri che la visiteranno. Sul fronte convegnistico, sono oggetto del disquisire temi quali la cremazione e le direttive anticipate, inclusi gli aspetti formali e cerimoniali relativi ai funerali, per arrivare a quelli etici.

Una volta entrata, il primo padiglione che incontro è il numero 1, che ha come tema i cofani funebri (volgarmente chiamati, le casse da morto).

Il numero degli stand è sconcertante così come la quantità di visitatori. Ci sono centinaia di bare di ogni tipo e colore. Una, in particolare, rapisce il mio sguardo: è interamente ricoperta di moquette viola e rossa. Nel guardarla, mi domando chi possa sceglierla.. Che sia, anche quello, un tentativo per sdrammatizzarla?  

Al loro  interno spiccano morbidi tessuti per imbottirle e piccoli cuscini simili proprio a quelli che vengono utilizzati per portare agli sposi le fedi nuziali, provocando in me speculazioni sull’esistenza o meno di una continuità ontologica dell’essere nel mondo.

Le imbottiture, diverse tra loro nei dettagli, sono “inconfondibili”: possono essere in seta, in “raso Jacquard” o persino damascate. Riprendendo una frase pubblicata su un catalogo, esse  “nel loro gusto estetico così raffinato e unico” portano nomi come, “Venere, Luxor, Soraya, Musa, Fior di Loto, Virginia, Costanza” e via dicendo.

Girando per il padiglione, scopro l’esistenza di vere e proprie linee di produzione per questi prodotti, che possono essere di matrice sartoriale (high couture) o tradizionale, così come i colori, che possono variare dal grigio perla, al beige, al nocciola, al salmone o al pesca. Che ci crediate o meno, sappiate che osservando quelle imbottiture, tanta era la loro fastosità, sono stata tentata di comprarne qualche scampolo per farci le tende di casa. E non scherzo!

Passeggiando, poi, mi imbatto in un curioso lenzuolo dall’aspetto ambiguo, ma “ecologicamente utile”: si tratta, come mi illustra il becchino, di un sacco da riporre tra il legno e l’imbottitura della cassa per “trattenere la fuoriuscita di umori dalla salma”, la quale, oltre la vita, naturalmente inizia la sua decomposizione.

 

In un altro padiglione, mi imbatto in un’esposizione di urne presentate su alti piedistalli cilindrici neri. Sembra di essere a un’esposizione di arte contemporanea, con giochi di luce ed effetti scenici a voler mettere in evidenza intarsi, colorazioni e prestigiosi materiali. Non vi nascondo il mio stupore nello scoprire l’esistenza di oggetti così esclusivi per contenere ceneri: una, in particolare, mi colpì, avendo incastonato sul coperchio un cactus.

Sempre in questa zona, trovo piastre frigorifere da apporre sopra le bare durante i periodi di non esposizione del defunto al pubblico, carrelli porta-bare, barelle porta-salme “costruite in puro acciaio Inox 18/10 con piano sagomato e bordi lati rialzati”, barelle “con foro e piletta scarico con bacinella estraibile per raccolta liquidi”, tavoli di osservazione (cosa ci sarà mai da osservare) e vestizione salme.

Accessori come set “compresivi di 1 tavolino per sezione, 2 coppie reggisalme, 1 supporto reggitesta, 1 tritarifiuti e 1 dinamometro”; “apparecchiature di depurazione”, che apprendo essere utilizzate nelle sepolture per tumulazione (meglio conosciuta come sepoltura) in cappelle o colombari al fine di evitare “spiacevoli fuoriuscite di gas” che, esercitando una pressione elevata all’interno della bara, rischierebbero di far scoppiare la medesima con conseguenze per me inimmaginabili (non so per voi…); veli simili a quelli usati dalle spose, destinati a ricoprire le salme durante le ore d’esposizione, specie nella stagione calda, per “evitare la diffusione di cattivi odori”; sudari “in cotone biodegradabile al 100% imbibiti di sostanze disinfettanti, registrate al Ministero della Sanità, da utilizzare durante il periodo di osservazione della salma, la quale viene così a trovarsi racchiusa in un involucro dall’aspetto esteticamente decoroso e in condizioni tali da poterne rilevare la più piccola manifestazione di vita grazie al tulle che li ricopre” (che scritta così è piuttosto inquietante, come se la temuta possibilità di risveglio post mortem fosse concreta); siringhe “con speciale stantuffo a vite utile a vincere la resistenza che oppone la salma all’introduzione del liquido” (e mentre scrivo insistente è la domanda sul tipo di resistenza che potrà mai opporre una salma?!);

soluzioni enzimatiche in grado di favorire la scheletrizzazione dei resti da esumazione o estumulazione; coulotte igieniche e assorbenti in grado di evitare inconvenienti, specialmente durante la vestizione e l’esposizione del defunto; mentoniere “in cristallo policarbonato adattabili alla salma”; guanti “leggerissimi, resistentissimi e sottilissimi” (a voi il richiamo…) capaci di lasciare “il pieno movimento della mano, scioltezza e tatto alle dita”; kit per la “toilette funebre”, compresivi di ombretti, rossetti, fondotinta, ciprie, matite, colle per chiudere le palpebre, tappi di ogni forma e dimensione per chiudere gli orifizi, ecc…; forbici, martelletti, cacciaviti, spuntoni, tenaglie, seghette, fili, in acciaio e in tessuto, per ricucire (lo scucito)  racchiusi in studiatissime valigette munite di scomparti ad hoc per contenerli.

E, dulcis in fundo, video proiezioni che simulavano le modalità di utilizzo di alcuni di questi: e io, con occhi sbarrati, a guardarle.

 .....continua

 

 
 
 

Capitolo Primo: Io, Lui e gli Altri

Post n°2 pubblicato il 02 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

 

Le ragioni che mi hanno spinta a voler intraprendere un percorso conoscitivo attorno alla morte sono, certamente, la curiosità ma, soprattutto, il desiderio di elaborare l’idea di una morte non solo altrui, ma che comprendesse anche la mia, approfondendone gli aspetti meno filosofici e, comunque, non di ordine prettamente teorico. Dopo di che, il mio lavoro non sarà una testimonianza di osservazioni circa il suo divenire, quanto una riflessione su ciò che avviene quando la morte è già sopraggiunta, rompendo equilibri e relazioni (Clifford Marcus 2005). La mia presenza sul campo (Bordieu 2010) sarà accanto ai morti, ma anche ai parenti, agli amici e ai conoscenti che gli sopravvivono, perché c’è sempre qualcuno che sopravvive e che, quindi, deve provvedere al ripristino dell’ordine necessario a che la vita, la sua vita, continui (Lévinas 1996).

Rispetto alla complessità legata a queste contingenze, da un lato, esistono svariati luoghi comuni (che ne definiscono una forma e un senso dati e relativamente compresi) che possono semplificare la drammaticità legata alla scomparsa di una persona, dall’altro, è possibile trovare numerosi studi (Bourdieu 2003, Dewey 2008, Pierce 1891) con finalità certamente conoscitive, ma difficilmente divulgative: ragion per cui, per agevolare il lettore, ho scelto di utilizzare le opere più recenti degli autori a cui si riferiscono, altrimenti introvabili se connotate dalla data di prima pubblicazione.

L’ambizione di questo mio lavoro, infatti, è rendere accessibile, e per certi versi, più familiare, uno dei discorsi che per eccellenza si pone essere, nonostante la sua ineluttabilità, uno dei meno discussi.  Di fatto, si parla di chi è morto, di come possa essere morto, delle cause che hanno portato al suo decesso, di chi gli sopravvive, del modo in cui questi ultimi continueranno a vivere, ma è raro discutere della morte in sé e per sé, considerandola come un fatto non eccezionale o inalienabile. Così nasce il mio tentativo di rompere il silenzio che la circonda, trattandola come un qualcosa di concreto, senza cadere nella tentazione di astrarla o allontanarla.

La mia attitudine rispetto a questo genere di temi nasce da un percorso formativo che mia ha visto intraprendere, prima, una ricerca di dottorato sulla terminalità,  poi, una serie di altri studi avvenuti in contesti sanitari che hanno a che fare con chi è presto a morire, dove ho iniziato a socializzare con situazioni di fine-vita concrete, legate prevalentemente ai fatti e alle azioni che circondano questo evento. Fatti che generalmente si cerca di evitare demandandoli a tempo debito agli altri che, all’occorrenza, si troveranno a dover dirimere le incombenze legate alla burocrazia e ai costi previsti per la scomparsa di una persona, così come a dover scegliere il da farsi (la scelta delle pompe funebri, i fiori da appoggiare sulla bara, l’annuncio di morte da pubblicare sul quotidiano locale, etc.), seppur nel dubbio di non rispettare il volere del caro estinto.

Chi di noi, ripensando alla scomparsa di un suo parente, non ricorda situazioni analoghe a quelle sopra citate? È noto che in queste occasioni si senta spesso di battibecchi e liti tra famigliari rispetto alle “questioni” da risolvere. Non sarebbe assai più civile evitarli, scrivendo e depositando le proprie volontà presso un notaio?

La mia risposta è ovviamente sì, salvo un piccolo, ma non trascurabile, particolare: da noi non si parla facilmente di morte e quando lo si fa, ciò avviene o con estrema moderazione (Elias 1985, Bauman 1995), quasi fosse un sacrilegio, oppure attribuendole caratteristiche di ordine prevalentemente teorico o di matrice clinica.

Particolarmente significativa, a questo riguardo, è l’attualità del dibattito circa il concetto di morte cerebrale (definito ben più di 40 anni fa) che sancì la linea di demarcazione tra la vita e la morte. Definizione che ora viene messa in discussione, portando con sé questioni difficilmente risolvibili sia sul piano individuale, sia su quello collettivo (contribuendo ad aumentare la mole d’istanze già esistenti in merito).

Chiedersi quando uno è morto (quando non batte più il suo cuore? Quando il suo elettroencefalogramma è piatto? Quando smette di respirare?) è solo uno dei quesiti possibili dalle sconfinate risposte da cui mi svincolerò in quanto intenzionata, invece, a pormi il problema, tematizzandolo.

Sempre a questo riguardo: sarebbe più rischioso lasciare la collettività decidere per l’individuo (violandone per certi versi la libertà personale) oppure sarebbe più opportuno lasciare al singolo la libertà di scegliere per sé e solo per sé, senza che questo leda le libertà altrui? Quali sarebbero le conseguenze sul piano politico e sociale di un simile atteggiamento? Quali sarebbero le direttive da seguire se proposte da un’istituzione religiosa o laica? Questioni, queste, che dovrebbero coinvolgere non solo la sottoscritta, ma l’intera cittadinanza.

Se pensiamo che grazie alle innovazioni tecnologiche avvenute in questi ultimi anni, simili problematiche non potranno che aumentare (essendo accresciuta sia la possibilità di procrastinare il fine vita, sia le scelte relative a esso), come dovremmo agire da qui ai prossimi decenni?

Il bisogno di dare un senso al come si potrebbe morire genera, ai nostri giorni, domande che muovono da orizzonti cognitivi in cui le cosmologie di matrice religiosa (o i paradigmi del sapere medico tradizionali) vengono sostituite da definizioni prevalentemente individuali, contestuali e situate (Berger e Luckmann 1969). Definizioni fondate sulla necessità di garantire stabilità ai processi identitari e relazionali che investono le persone, oggi sempre più precarie, perché non supportate a nessun livello, individuale e collettivo (Beck 2000). Semplificando, se fino a qualche decennio fa l’unica differenza che era possibile istituire, in caso di decesso, era quella tra morte naturale e morte violenta (dove la prima era l’esito di una malattia e la seconda era dovuta a un incidente, a un trauma o a un delitto), oggi il momento della morte viene sempre più dissociato dall’evento e dalla causa che lo ha innescato, subendo, in un certo senso, una sorta di alterazione e deviazione metaforica (Lakoff Johnson 1998).

A fronte di una progressiva tecnicizzazione della morte (Illich 2004), che viene via via separata dai meccanismi naturali che la caratterizzano, oggi potremmo affermare che la medicina abbia simultaneamente guadagnato e perduto qualcosa di sé. Prolungando il tempo di vita attraverso, ad esempio, i servizi di rianimazione e di terapia intensiva (Bertolini 2007), essa ha contribuito a rendere più difficile la definizione di confine tra essa stessa e la vita. Particolarmente esplicativa è la discussione circa le direttive anticipate (in atto a livello parlamentare) che hanno caratterizzato, e continuano a caratterizzare, intere pagine dei nostri quotidiani, creando e portando con sé dilemmi di diversa natura e smuovendo coscienze sia individuali sia pubbliche.

A questo proposito, che dire della diversa consapevolezza che l’uomo oggi ha di sé e dei suoi diritti, tra cui il diritto all’autodeterminazione (sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948), che si scontra con la vecchia, ma per certi versi ancora attuale, concezione paternalistica (Foucault 1998, Cabanis 1974, Braibanti Zunino 2005) del medico secondo cui il potere-dovere di cura di quest’ultimo nei confronti dei pazienti un tempo era illimitato e oggi non lo è più (almeno sulla carta)?

Nonostante le problematiche legate all’inevitabile passaggio da una medicina incentrata sul medico e sulla malattia del paziente a una medicina concertativa, costruita e fondata sulla persona malata (Angeletti Gazzaniga 2008), a emergere è sì un cambiamento politico, culturale e sociale, ma che non vede l’individuo e i suoi diritti ancora affermati (Merton 2006, Cosmacini 2003).

Pensiamo all’esigenza odierna di adottare il consenso informato nella pratica medica, consenso che nasce proprio dalla necessità di esercitare la libertà individuale nello spazio pubblico (sulla base di un’informazione completa circa il proprio stato di salute o di malattia, della libertà da coercizioni o da pressioni nelle scelte e della capacità del malato di prendere una decisione terapeutica in modo competente), tale necessità non viene attivata a livello quasi esclusivamente formale?

Allora, porsi domande riguardo il diritto di morire quando la malattia di cui si soffre non è più curabile oppure quando la situazione clinica non solo è irreversibile (ma può portare sofferenza) è plausibile? È accettabile decidere di interrompere le terapie e porre fine alla propria esistenza? Chi sostiene l’eutanasia, come la legittima agli occhi di se stesso e della società? Perché si prendono simili scelte? Che cosa le sostiene?

Alla base di queste domande sembra riemergere il tabù della morte (Deganis 2005): noi stessi, in primo luogo, tendiamo a non parlare di morte, ma soprattutto della nostra morte.

Uno dei dibattiti interni alla medicina contemporanea, non a caso, riguarda il problema dell’incontro-scontro tra le volontà dell’individuo che si trova ad affrontare la propria malattia e la propria fine, le speranze dei famigliari di questo che non riescono ad accettare la sua scomparsa e i valori e i saperi degli operatori sanitari che lo hanno in cura (Marzano 2004).

Proviamo a ricordare le svariate volte in cui ci siamo trovati a dover firmare consensi relativi ai trattamenti dei nostri dati sensibili prima di una visita medica o di un’operazione chirurgica (Felici 2008): quanto era la nostra attenzione e consapevolezza circa quel foglio formato A4 redatto in burocratese e con una formattazione dalla dubbia leggibilità (il carattere spesso non supera i 10 punti)?

Una visione sempre più secolare (Ricolfi 1988) della società ha contribuito a marcare ulteriormente i confini tra ciò che un tempo era definito lecito, giusto e dato a livello sociale, e ciò che oggi è inteso come possibile, probabile e ragionevole agli occhi dei singoli.

Così, la medicina in genere, e la ricerca psico-sociale in parte, nonostante abbiano tenuto fede ai loro principi, ai loro saperi e alle loro pratiche, oggi si trovano a doversi confrontare con dilemmi di ordine etico e morale sempre maggiori, in linea con i cambiamenti politici, culturali in essere e con una società sempre più individuale e poco avvezza alla condivisione (Vineis Ingrosso Neresini Vicarelli 2007, Alfieri 2007).

Non è una visione laica della società a sostenere il diritto di ogni uomo a decidere ciò che riguarda la propria morte e a rivendicare questo diritto come uno dei diritti fondamentali di cui egli gode?

Pensiamo alle implicazioni che una simile trasformazione può avere apportato anche nella definizione dell’identità medica e dell’identità lavorativa di tutti coloro che si occupano di assistenza nei contesti socio sanitari (Tousijn 2000): quali sono oggi i limiti entro cui l’operatore sanitario può agire? Fino a dove possono essere ritenuti leciti un suo intervento o una sua decisione?

Se una volta, allo status di medico veniva associato un potere indiscutibile, oggi quello stesso potere viene ridimensionato alla luce di un mutamento che coinvolge anche il ruolo stesso dei malati, i quali tendono sempre più a sostituire al loro status di «paziente» quello di «persona», definendo in questo modo nuovi bisogni e con essi diverse aspettative terapeutiche e relazionali (Freidson 2002).

Elaborare un percorso capace di fare fronte ai mutamenti in atto, ma soprattutto, in grado di arginare la complessità legata a essi, dovrebbe essere, a mio avviso, un passaggio consequenziale all’accettazione della nostra finitudine in primis e, in secondo luogo, alla tematizzazione di essa sulla base di una comprensione dei segni che la morte lascia.

Parlare di morte, parlare della propria morte, pensando a cosa fare prima che essa sopraggiunga e definire anche precise modalità funerarie per il proprio congedo sono solo alcuni esempi di come si potrebbe rendere un simile tema non solo argomentabile, ma anche fonte di considerazioni più approfondite. Iniziare a considerare la morte come una questione pratica, cioè tangibile nella sua dimensione concreta, potrebbe rappresentare un punto di partenza per una riflessione individuale e collettiva volta a una sua migliore comprensione e a una sua successiva elaborazione.

 

Per avvicinarmi a questo intento, la conoscenza di un becchino mi fu fatale: non che avere come amico un becchino rappresenti un fatto straordinario, più straordinario, invece, potrebbe essere raccontarlo. Dopo averlo contattato e reclutato come “guardiano” di un campo di saperi e di esperienze di cui non sapevo quasi nulla, egli è stato la mia porta d’accesso al mondo dell’al di là, pur rimanendone, io, al di qua.  A spasso con il becchino racchiude il senso del cammino che ho fatto per avvicinarmi alla morte e a me stessa, mettendo a nudo paure e timori, concedendomi spazio e tempo.

Ho scelto di adottare il termine «becchino» perché intriso di significati e di sfumature che, altrimenti, utilizzando il termine «impresario funebre», avrebbero potuto risultare mistificati. In questo senso, giusto perché si sappia, “becchino forse è voce congenere a beccaio, cioè persona che maneggia i cadaveri umani, come il beccaio le carogne. Ordinariamente, però, si riferisce a beccare, nel senso di pungere, cioè colui che pizzica i morti per accertarsi che lo siano oppure li sotterra”.

La consuetudine vuole che oggi vengano chiamati becchini solo coloro che all’atto della sepoltura sotterrano o tumulano il feretro, mentre coloro che si occupano di tutto il resto sono chiamati impresari funebri. Svolgendo una ricerca etimologica attraverso diversi motori di ricerca, ho trovato e letto una bizzarra storia sul significato di quest’espressione: i beccamorti pare venissero chiamati in questo modo poiché, per verificare e attestare il decesso di una persona, le mordevano l’alluce. Altre fonti, più verosimili, sostengono, invece, che “beccassero” i morti per derubarne gli ori e i gioielli prima della sepoltura. La liceità di simili definizioni è ovviamente discutibile, ma mi pareva opportuno proporla per caratterizzare la figura e la professione del becchino che, in questo modo, risulta essere, se non altro, degno di curiosità. Un altro modo per definire e chiamare le imprese che si occupano di gestire i morti e di organizzare i loro funerali corrisponde a onoranze funebri: in questo caso, il senso dell’espressione sta a racchiudere la funzione stessa che queste svolgono, ovvero “onorare il defunto”. Per quanto concerne gli altri, infine, i morti, essi sono semplicemente ciò che saremo noi una volta defunti: sicuramente estinti e forse anche cari... Da qui l’espressione caro estinto.



 
 
 

A SPASSO CON IL BECCHINO

Post n°1 pubblicato il 02 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

La morte - è la prima e più antica realtà, anzi saremmo tentati di dire: è l'unica realtà. È di una mostruosa vecchiezza e nuova ogni momento. Ha un grado di durezza dieci ed è tagliente come un diamante. Ha la massima freddezza che esiste nel cosmo (...). Fintante che esiste la morte, tutto ciò che vien detto è detto contro di lei. Fintante che esiste la morte, ogni luce è un fuoco fatuo poiché porta ad essa. Fintante che esiste la morte, il bello non è bello, il buono non è buono. La morte, dunque, come la vita, costituisce un fatto concreto, ma più della vita essa è ineluttabile. Alla vita si può rinunciare, alla morte non si può sfuggire.

Elias Canetti (1984) in Coscienza della parole, Adelphi.

 

Eccomi qui a condividere con voi una bizzarra e inconsueta avventura intrappresa dalla sottoscritta dietro le orme di un becchino. Un viaggio durato 365 lunghissimi giorni che mi ha letteralmente stravolto la vita.

 

INDICE

1- IO, LUI E GLI ALTRI                                                                          

2- A PROPOSITO DI MORTE                                                                            

3- IL RADUNO DEI BECCHINI                                                               

4- CREMANDO, S’IMPARA                                                                            

5- QUELLA CASA COSÌ ATIPICAMENTE FAMILIARE                             

6- UN TRUCCO PER L’ETERNITÀ: “BELLI DA MORIRE”              

7- A SPASSO CON IL BECCHINO

 

 

8- EPITAFFIO                          

 
 
 
 

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