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Capitolo terzo: IL RADUNO DEI BECCHINI

Post n°3 pubblicato il 03 Novembre 2011 da Signoraquasiperbene

A) IL RADUNO DEI BECCHINI

(alcune note di campo estrapolate dal mio diario)

 

Sant’Antonio, 28 marzo 2010

Ore 8.30

Il viaggio ha inizio nel parcheggio antistante una casa di riposo. La temperatura è mite, il cielo è terso e l’aria è fresca. Ad attendermi, lui, il becchino. Destinazione TANEXPO, un’esposizione internazionale di articoli funerari e cimiteriali destinata ai soli “addetti ai lavori”: gli impresari di pompe funebri, i costruttori di bare, gli “artisti degli epitaffi” (i marmisti), i fioristi, i concessionari di carri funebri e, per finire, i venditori degli impianti di cremazione: a oggi una delle figure professionali più tranquille sul piano economico, poiché con un futuro abbiente statisticamente certo.

L’emozione, così come la curiosità, è tanta. Immaginatevi un venerdì mattina di fine marzo con una anomala “studiosa” vestita di tutto punto pronta a partire a bordo di un Porche Cajenne, guidato da un becchino occasionalmente in congedo. A rendere ulteriormente strampalata la situazione, il mio “autista” era un uomo sulla cinquantina, di bel aspetto, con occhi azzurri, chioma canuta e quel “non so che” d’inquietante legato proprio al suo lavoro. In effetti, quelle stesse mani che ora tenevano il volante, il giorno prima sistemavano un caro (e non) estinto o la soffice imbottitura di una cassa da morto.

Il becchino, appunto, una figura mitologica dai caratteri eleganti e discreti, dalla grande mano calda e liscia che mi accoglie, dallo sguardo di ghiaccio e dalla voce schietta e squillante.

Luigi è un uomo forte, sicuro e determinato; incarna l’esempio dell’uomo che ti conquista con un semplice commento circa la bellezza e l’imprevedibilità della vita. Ama godere del mondo in cui vive e ciò ti fa sentire davvero bene: ti fa pensare che, nonostante (oppure, grazie?) il suo lavoro, la vita debba essere vissuta.

Una figura mitologica, mezzo becchino e mezz’uomo con uno sguardo che non dipende dall’azzurro dei suoi occhi. È uno sguardo attento, il suo, che va in profondità, oltre la superficie delle cose, la polvere e l’usura che si deposita sopra le persone e i corpi di queste. È uno sguardo che osserva, studia, pondera: che prende le misure del mondo e delle persone, vive o morte che siano. È uno sguardo al di sotto della normale linea visiva che non si percepisce se non lo si osserva bene.

Reminiscenze lombrosiane mi fanno pensare che gli impresari funebri potrebbero avere tutti la stessa forma del cranio, la stessa fisionomia (cupa e poco raccomandabile), e il medesimo DNA.

A questo proposito: becchini si nasce o si diventa?

Durante il viaggio, il susseguirsi di telefonate è impressionante: il becchino è “perpetuamente” al telefono che coordina le azioni dei suoi collaboratori. Abiti da preparare, defunti da vestire e da truccare, contratti da stipulare, cofani da scegliere, parenti da rassicurare, corone floreali da ordinare, annunci funebri da stampare, pratiche burocratiche da sbrigare, loculi da occupare, parroci da allertare, cremazioni da prenotare e via dicendo… Il tutto, velocemente e con una capacità organizzativa e di coordinazione straordinariamente rapide, “prima che il cadavere si raffreddi” e si irrigidisca, rendendo difficile la sua vestizione.

Via via che ascolto le telefonate, si fa sempre più nitida un’immagine: soldi. Ogni squillo corrisponde a centinaia di euro: motivo per cui, all’altezza di Fiorenzuola, ho iniziato a figurarmi un nuovo ruolo: la becchina.

Pressappoco all’altezza di Brescia, inizio a chiedermi con quale veste avrei dovuto presentarmi a quello strano raduno (funebre). Chi ero? La segretaria del becchino? Una impresaria in erba? Una pseudo ricercatrice senza mandato alcuno? Così, giunta a pochi chilometri dalla meta, opto per essere genericamente, ma molto genericamente, una studiosa (di che cosa, poco importava).

Alle 11.15,  la nostra auto approda in fiera a Bologna. Il parco macchine disposto all’ingresso è subito indice di ciò che mi avrebbe aspettato: Bmw, Bentley, Mercedes, Jaguar e Porche come utilitarie impilate lungo i sotterranei di un centro commerciale di Dubai. Prima di addentrarmi nella descrizione della fiera, è importante che vi dica che il mio Caronte era, ed è, uno degli impresari più facoltosi del settore: cosa che mi avrebbe assicurato (una volta sul campo) una certa legittimazione da parte della comunità dei becchini. Al pari di illustri notai, commercialisti o medici, anche gli impresari funebri costituiscono una vera e propria casta, ma il loro ruolo professionale rappresenta uno stigma e non una nota di prestigio come per gli altri.

Ore 11.30

La sottoscritta fa il suo ingresso all’esposizione, che si annuncia essere come la fiera più grande per superficie occupata, per numero di aziende presenti, per flusso di operatori italiani ed esteri che la visiteranno. Sul fronte convegnistico, sono oggetto del disquisire temi quali la cremazione e le direttive anticipate, inclusi gli aspetti formali e cerimoniali relativi ai funerali, per arrivare a quelli etici.

Una volta entrata, il primo padiglione che incontro è il numero 1, che ha come tema i cofani funebri (volgarmente chiamati, le casse da morto).

Il numero degli stand è sconcertante così come la quantità di visitatori. Ci sono centinaia di bare di ogni tipo e colore. Una, in particolare, rapisce il mio sguardo: è interamente ricoperta di moquette viola e rossa. Nel guardarla, mi domando chi possa sceglierla.. Che sia, anche quello, un tentativo per sdrammatizzarla?  

Al loro  interno spiccano morbidi tessuti per imbottirle e piccoli cuscini simili proprio a quelli che vengono utilizzati per portare agli sposi le fedi nuziali, provocando in me speculazioni sull’esistenza o meno di una continuità ontologica dell’essere nel mondo.

Le imbottiture, diverse tra loro nei dettagli, sono “inconfondibili”: possono essere in seta, in “raso Jacquard” o persino damascate. Riprendendo una frase pubblicata su un catalogo, esse  “nel loro gusto estetico così raffinato e unico” portano nomi come, “Venere, Luxor, Soraya, Musa, Fior di Loto, Virginia, Costanza” e via dicendo.

Girando per il padiglione, scopro l’esistenza di vere e proprie linee di produzione per questi prodotti, che possono essere di matrice sartoriale (high couture) o tradizionale, così come i colori, che possono variare dal grigio perla, al beige, al nocciola, al salmone o al pesca. Che ci crediate o meno, sappiate che osservando quelle imbottiture, tanta era la loro fastosità, sono stata tentata di comprarne qualche scampolo per farci le tende di casa. E non scherzo!

Passeggiando, poi, mi imbatto in un curioso lenzuolo dall’aspetto ambiguo, ma “ecologicamente utile”: si tratta, come mi illustra il becchino, di un sacco da riporre tra il legno e l’imbottitura della cassa per “trattenere la fuoriuscita di umori dalla salma”, la quale, oltre la vita, naturalmente inizia la sua decomposizione.

 

In un altro padiglione, mi imbatto in un’esposizione di urne presentate su alti piedistalli cilindrici neri. Sembra di essere a un’esposizione di arte contemporanea, con giochi di luce ed effetti scenici a voler mettere in evidenza intarsi, colorazioni e prestigiosi materiali. Non vi nascondo il mio stupore nello scoprire l’esistenza di oggetti così esclusivi per contenere ceneri: una, in particolare, mi colpì, avendo incastonato sul coperchio un cactus.

Sempre in questa zona, trovo piastre frigorifere da apporre sopra le bare durante i periodi di non esposizione del defunto al pubblico, carrelli porta-bare, barelle porta-salme “costruite in puro acciaio Inox 18/10 con piano sagomato e bordi lati rialzati”, barelle “con foro e piletta scarico con bacinella estraibile per raccolta liquidi”, tavoli di osservazione (cosa ci sarà mai da osservare) e vestizione salme.

Accessori come set “compresivi di 1 tavolino per sezione, 2 coppie reggisalme, 1 supporto reggitesta, 1 tritarifiuti e 1 dinamometro”; “apparecchiature di depurazione”, che apprendo essere utilizzate nelle sepolture per tumulazione (meglio conosciuta come sepoltura) in cappelle o colombari al fine di evitare “spiacevoli fuoriuscite di gas” che, esercitando una pressione elevata all’interno della bara, rischierebbero di far scoppiare la medesima con conseguenze per me inimmaginabili (non so per voi…); veli simili a quelli usati dalle spose, destinati a ricoprire le salme durante le ore d’esposizione, specie nella stagione calda, per “evitare la diffusione di cattivi odori”; sudari “in cotone biodegradabile al 100% imbibiti di sostanze disinfettanti, registrate al Ministero della Sanità, da utilizzare durante il periodo di osservazione della salma, la quale viene così a trovarsi racchiusa in un involucro dall’aspetto esteticamente decoroso e in condizioni tali da poterne rilevare la più piccola manifestazione di vita grazie al tulle che li ricopre” (che scritta così è piuttosto inquietante, come se la temuta possibilità di risveglio post mortem fosse concreta); siringhe “con speciale stantuffo a vite utile a vincere la resistenza che oppone la salma all’introduzione del liquido” (e mentre scrivo insistente è la domanda sul tipo di resistenza che potrà mai opporre una salma?!);

soluzioni enzimatiche in grado di favorire la scheletrizzazione dei resti da esumazione o estumulazione; coulotte igieniche e assorbenti in grado di evitare inconvenienti, specialmente durante la vestizione e l’esposizione del defunto; mentoniere “in cristallo policarbonato adattabili alla salma”; guanti “leggerissimi, resistentissimi e sottilissimi” (a voi il richiamo…) capaci di lasciare “il pieno movimento della mano, scioltezza e tatto alle dita”; kit per la “toilette funebre”, compresivi di ombretti, rossetti, fondotinta, ciprie, matite, colle per chiudere le palpebre, tappi di ogni forma e dimensione per chiudere gli orifizi, ecc…; forbici, martelletti, cacciaviti, spuntoni, tenaglie, seghette, fili, in acciaio e in tessuto, per ricucire (lo scucito)  racchiusi in studiatissime valigette munite di scomparti ad hoc per contenerli.

E, dulcis in fundo, video proiezioni che simulavano le modalità di utilizzo di alcuni di questi: e io, con occhi sbarrati, a guardarle.

 .....continua

 

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Commenti al Post:
magdalene57
magdalene57 il 09/01/12 alle 22:58 via WEB
che viaggio.... detto coś sembra la disneyland dei becchini, ma tu, di che colore eri vestita??
 
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