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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 16 Marzo 2007 da hrothaharijaz
Foto di hrothaharijaz

Vi avevo precedentemente anticipato che in un racconto successivo sarei morto un'altra volta. Il momento é arrivato anche se c'é una sorpresa finale.

                                                 IL CALDERONE

Lo squillo del cellulare, un'enorme massa rossa catapultata verso di lui, una luce accecante che gli esplode intorno; furono le ultime cose che udì e vide nella sua vita; poi il silenzio e il buio.

Lo spirito si staccò dal corpo e rimase lì, in piedi, sul luogo dell'incidente, a rimirare lo scempio di lamiere, carne e sangue.

Udì le grida dei primi soccorritori: "Madonna che botta, questo ci ha lasciato la pelle", le prime giustificazioni disperate dell'autista del TIR: "Non ho potuto evitarlo, mi é venuto addosso a più di 100 all'ora, magari si é sentito male" e pure la conferma, con voce tremante e incerta di una prostituta dell'est che, su quella strada, faceva mercimonio di se stessa: "E' vero, ha ragione lui, andava forte e poi, improvvisamente, ha incominciato a sbandare".

Lo spirito guardava il corpo inerte passandolo come ai raggi X: l'osso frontale sfondato, tre grosse raccolte emorragiche in quello che, fino a pochi istanti prima , era un cervello, la frattura fra la quarta e quinta vertebra cervicale con sezionamento del midollo spinale, lo sfondamento degli acetaboli, fratture multiple agli arti inferiori e il piantone dello sterzo conficcato in profondità nel torace. Vedeva le singole cellule sfaldarsi ad una ad una e le molecole, come impazzite, disintegrarsi in modo vorticoso. Venuta a mancare l'impalcatura dello spirito, la materia si dissolveva come neve al sole.

Ancora voci: "Dicono che sia un dottore di Pavia, non si sarà nemmeno accorto di morire".

Lo spirito si sollevò da terra di alcuni centimetri, un metro, dieci, cinquanta: osservava , da quell'altezza, l'area dell'incidente cosparsa di pezzi di copertone e lamiera e una doppia fila di auto bloccate lungo la provinciale che da Tromello porta a Mortara; cinquecento metri: quel pezzo di Lomellina con i suoi campi coltivati a riso e i radar del Centro Aeronautico di Remondò; mille metri: il Po con il ponte di Casei Gerola e, sullo sfondo, Pavia a sinistra e Voghera a destra.

La velocità crebbe vertiginosamente e lo spirito ebbe appena modo di vedere sfumare sotto i suoi piedi le Alpi e la Pianura Padana, lo Stivale per intero, i contorni dell'Europa, la Terra e i pianeti del Sistema Solare. In men che non si dica il Sole si ridusse ad un puntino sempre meno luminoso e sempre più lontano.

Più acquistava velocità, più aveva la sensazione di uscire dalla propria dimensione, dal proprio essere per entrare a far parte di un essere diverso. All'inizio provava un senso di estraneità ma, col passare del tempo e lo scorrere dello spazio, questi due elementi si stavano confondendo l'uno nell'altro; provava sempre maggior familiarità con questo enorme tutto in cui stava precipitando per mescolarvisi.

Lo spirito stava entrando in sintonia con lo spirito universale, ad esso cedeva le proprie sensazioni ed esperienze e da esso ne riceveva di ritorno altrettante, ma di numero e intensità di miliardi e miliardi di volte superiori.

Non so per quanto tempo fluttuò in quel calderone enorme: avanti e indietro non solo nello spazio ma anche nel tempo, a contatto con entità già viste, visitate e possedute e con altre mai conosciute e a lui estranee.

All'estremità del calderone piccole entità entravano nel grande tutto e altrettante uscivano, come per gemmazione, per allontanarsi a velocità sempre più crescente. lo spirito intanto continuava a fondersi nel grande spirito, assumeva forme diverse per poi rifondersi ancora in una serie infinita di volte.

Ad un certo punto la sensazione di staccarsi, di allontanarsi dal calderone a velocita' sempre più folle. il Sole, la Terra, l'Europa, la fascia alpina imbiancata di neve, la superficie di un lago, splash..

Sgambetto nell'acqua gelida di un fiume alla confluenza di un lago alpino. Che dico sgambetto, guardo sott'acqua: "Quelle sono zampe, zampetto dunque". Mi specchio nell'acqua limpida del lago e mi riconosco in un maestoso bianco cigno. "Ma dove sono?" Mi guardo in giro, "Ma quei profili di monti, lungo la sponda opposta del lago, li riconosco: la punta del Piancavallo, il Morissolo, il Limidario stracarico di neve e i panettoni sempre innevati del Lema e della Forcora".

Sono sempre più stupito: "Ma lì davanti non vedo Cannero e i suoi castelli affioranti dall'acqua, mi giro verso sinistra e non vedo che poche capanne di pescatori: la mia Germignaga, paese natio; allora l'acqua in cui sto nuotando é quella del Lago Maggiore".

Sulla vicina sponda s'avanza un drappello di soldati, sono legionari romani; dal vessillo leggo che appartengono alla XI° legione, la Claudia Pia Fidelis, "Possibile, trasformato, anzi rinato cigno nel 50 d.C.

I soldati scortano un gruppo di cinque prigionieri in catene, facce di montanari segnate dalla fatica e dal clima rigido; "Che siano Leponti, gli antichi abitanti della zona prima che arrivassero i Romani?".

I prigionieri vengono fatti salire su una barca a fondo piatto che, con un paio di colpi di remo si stacca dal pontile e volge la prua verso il fondolago; " A Ticinum e poi a Classe sulle triremi, o a Roma, da gladiatori?".

Alla mia destra si affianca una cigna dal collo lungo e flessuoso, bianca come il latte e con le zampe lunghe e nervose; il suo odore é buono. A dieci metri dalla riva ci sono dei canneti; ci dirigiamo in silenzio e in preda ad una frenesia erotica.

                                            

 
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