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1993 - Mina racconta i Beatles

Post n°268 pubblicato il 22 Maggio 2008 da beppenovara

In occasione dell'uscita di "Mina canta i Beatles" nel giugno 1993, Mina scrive questo articolo per il settimanale NOI in cui racconta il suo "incontro" con i Beatles. Buona lettura.

Grazie a Max di Torino per il pronto intervento...
Beppe


Che anno era? Che giorno era? Una domanda che mi sarei posta più tardi. Intanto ero là, di ritorno da Roma, le braccia allungate sul volante, le gambe allungate fuori da una gonna più corta dell’orlo di una gonna normale, gli occhiali scesi sul naso per far posto  alle ciglia finte incollate sulle palpebre come una tettoia di rami di palma; il tintinnio rapsodico dell’orecchino sinistro, talmente grande che a ogni minimo oscillare della macchina scampanellava sul vetro del finestrino con la serafica determinazione di un picchio, mentre quello destro, indispettito, non riusciva ad arrivare fino a mia madre che, seduta accanto a me non avrebbe aperto bocca fino a Milano tranne che per pronunciare un impercettibile, minuscolo: “Un cognac, per favore” all’autogrill dove ci eravamo fermate.

Solamente anni più tardi mi avrebbe detto: “Ma come andavi veloce quel giorno in autostrada”.

Dopo la sosta tutto come prima tranne che ogni tanto, approfittando di quel silenzio favorito anche dal fatto che ci avevano rubato la radio mezz’ora prima della partenza, mi liberavo la mentre da un insistente “she dab dab yè yè yè” che vi frullava incalzante, puntuale, ricorrente, come la frase “beccata” all’infinito dalla puntina sul graffio di un disco  che la imprigiona, che non la libera più da quel solco.

Solo verso Modena il nodo si sciolse. Quello “she dab dab yè yè yè” diventò come per incanto “she loves you, yeah, yeah, yeah” e mi resi conto che era un segmento di un pezzo che avevo sentito distrattamente dagli altoparlanti dell’autogrill mentre, dietro i chilometri di ciglia finte, dentro i millimetri della minigonna, sotto i metri quadrati degli orecchini ero impegnatissima a passare inosservata (!). E finalmente, da Modena a Milano, quello “she loves you, yeah, yeah, yeah” prese sempre più corpo e all’arrivo avevo recuperato quasi tutto il brano. Che continuai a canticchiare un po’ qua e un po’ là, finché qualcuno mi chiese: “Ah! I Beatles! Ti piacciono, eh?”.

Non sapevo chi fossero né che fossero loro quelli dello “she loves you, yeah, yeah, yeah”. Trenta secondi dopo, però, senza muovermi di un millimetro, ne fui perfettamente informata.

Come ogni altro essere vivente fui colpita, invasa da quell’inondazione, dal più grande servizio a domicilio che la storia ricordi, dalla trasformazione che il nostro pianeta ebbe nel “mondo dei Beatles”, dalla più colossale uniformità di emozioni, passione, partecipazione compatta in massa a quello che è stato più di ogni altro il “fenomeno per tutti”, il “caso generale” più vissuto da ogni singolo sulla faccia della terra.

Impossibile non prenderne atto, di quelo trasloco collettivo, immediato, dall’epoca in corso a “quella dei Beatles”. Improvvisamente, la pagina che era stata girata andava a coprire, a stendere come un velo su importanti lavori in corso, su presenze potenti, incisive energiche quali Presley, Sinatra e i grandi del jazz, che pure si stemperavano con tanta buona volontà in motivi da ascolto, belli, corposi e resi spesso un po’ ammiccanti, commerciali.

Tutto fagocitato. Dai Beatles e dalle loro canzoni che riuscirono a travalicare la forza di Elvis, che peraltro assomiglia molto più di loro al mondo di oggi; sì, molto più dei Beatles, che adesso possono apparire un po’ stretti in una icona un poco démodé, ma che avevano canzoni migliori, così semplici, in fondo, e così grandi, apparentemente così spontanee da ricordare le canzoni napoletane.

Capelloni ante litteram ma con divise “composte” da un grande couturier e vaporose chiome che proteggevano le loro sorprendenti menti musicali sotto un taglio miliardario di fronte al quale impallidiscono le strategiche coiffures di Bill Clinton e signora. Composti come suorine, i Beatles gettavano nella marginalità i grandi protagonisti della musica “comportamentale”, più aggressiva e fatta di “come” che di “cosa”.

Ed eccomi oggi ancora qui, ancora legata ai Beatles, oltre che da altro, dalla gratitudine per il loro aver fornito a Joe Cocker, Ray Charles, Sinatra, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e altri grandi il materiale per quei capolavori che sono le loro versioni di She came in throught the bathroom window, With a little help from my friends, Eleonor Rigby, A hard day’s night, eccetera eccetera. E neppure la geniale, severa, selettiva e attenta Mae West, regina delle pazze di tutto ilmondo, riuscì a resistere e incise un long playing con un indimenticabile Day tripper e altre chicche.

Ed eccomi oggi ancora, pronta testimone dell’abbattimento di frontiere, di muri, di ostacoli linguistici effettuati dai Beatles attraverso le delizia dei loro testi, fluidi come ipensieri più felici di una mente col dono dell’eterna freschezza. Che altro? Vogliamo riassumere tutto questo e dire di più, molto di più? Va bene. Presto fatto: “I Beatles”.   MINA

 
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