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Generazione di ferro

Post n°153 pubblicato il 22 Luglio 2008 da DerSpinne

Mia zia è morta. Detto così sembra quasi un telegramma. Era vecchia e malata, aveva percorso il suo tempo, ed è meglio così. Ma dispiace.

Lei era la sorella preferita di mio nonno, che grazie a Dio, a 95 anni suonati ancora non sta troppo male. L'altra sorella è morta un anno fa.

Loro sono la generazione di ferro. Questi tre fratelli, nati nei campi e cresciuti sulle strade della vita in maniera così diversa, fanno parte di quella generazione che se ne sta andando. Quella dei nonni.

E' il normale processo della vita, generazione su generazione, finchè anche noi non saremo una generazione da sostituire, che passerà, come passa il tempo.

Eppure la loro generazione, è così diversa dalla nostra. Loro erano fil di ferro ritorto, indurito. Non si spezzavano, non si piegavano.

Hanno passato la guerra, la fame, la miseria. Hanno vissuto nei campi. Hanno conosciuto la fatica.

Loro sono passati, e noi stiamo qui a farci le pippe con gli psicodrammi da operetta.
 Nelle nostre sensibilità, troppo spesso, da benestanti.

Forse erano dannatamente duri, fatalisti fino all'inverosimile. Ma avevano un senso del concreto che a noi manca decisamente.

Non dico che erano migliori. Il migliore, il peggiore, lo fanno le persone, non le categorie.

Dico che erano diversi. Loro erano il fil di ferro, teso, nel vento freddo che fischia.

E noi siamo qui, tremule canne, che al soffiare di qualche brezza, ondeggiamo, nella nostra ipersensibilità, da operetta.

Saluto mia zia, come saluto un intera generazione, che è stata giovane come lo sono adesso io, che è invecchiata ed è morta. Come capiterà a me.

Vorrei solo prendere, da questi canuti vecchietti, un pò di forza, della loro gioventù.
Travasarla nella mia, in modo che mi renda più forte, nell'affrontare questo tempo che passa
e che tutto divora

 
 
 

L'ESTATE CHE SCIVOLA

Post n°152 pubblicato il 17 Luglio 2008 da DerSpinne

Scivola tra le mani come sabbia, come qualcosa che cade e non riesci ad afferrare.

Fai quel gesto meccanico, istintivo, di chinarti, di allungare la mano. Ma continua a cadere.
Finchè non ti sfugge.

Questa è la foto che scelgo per questo mio inizio estate. Eppure passerà. Il periodo brutto che ancora persiste passerà. Rimango integro. Malgrado la stanchezza.

Sono qui, con la musica, la birra gelata nello stomaco, le sigarette, la notte in pugno.

Potrei parlare di tutti i miei passati, delle estate torride passate con qualcuno nel letto, o da solo, a scacciare le zanzare. Del caldo che entra dalla finestra. Di questa notte che è una lunga propagine oscura di ogni crepuscolo che ho visto.

Quando il cielo si incendia e segui semplicemente una destinazione.

La destinazione è sempre l'orizzonte, sempre domani, sempre avanti, oltre il bordo che separa il cielo e la terra. Non c'è altra strada.

E malgrado il superlavoro, il tempo per me stesso che manca, le sere a casa, la mia mente è piena di belle ragazze con le gonne, risate con gli amici, birra da bere e caldo sulla pelle

Somma di quello che è stato, di quello che verrà. Perchè come la metti la metti, l'estate è qualcosa di reale che scorre e scivola

Quasi fosse un acqua densa, intorno a te.

Guardo le foto nella mia testa. Io con quell'amore andato. Io con quest'avventura. Io ubriaco. Io che ballo nella notte nella maniera sgraziata dei dilettanti. Io nel campo a guardare le lucciole. Io e tutti i miei gatti. Io e le stelle. Io e la luna bassa sul mare, che disegna una strada di luce sulla risacca, che viene voglia di percorrerla e perdersi. Io e ancora Io.

Come se l'estate fosse la personificazione della mia essenza, densa e corposa, eppure così difficile da afferrare.

La vedi, è lì, pensi di prenderla, di catturarla. Ma la natura acquosa del mio ascendenti pesci che si fonde nell'aria impregnata di umidità, sospinta appena da una leggera brezza d'occidente, t'inganna.

E nelle mani ti ritrovi sabbia, oggetti che cadono e che non sai afferrare, riflessi di tempo.

La chiamo personificazione. Forse è solo un ombra, il rumore di una lattina vuota che cade in terra.

Eppure mi guarda la notte estiva fuori dalla finestra, senza che io riesca ad afferrarla

Senza che lei, afferri me.

 
 
 

Primavera Nera

Post n°151 pubblicato il 20 Giugno 2008 da DerSpinne

A volte attraversi periodi difficili. Le giornate passano via come passeri frettolosi nei mattini d'inverno. Ti trovi a stringere i pugno e non sentire nulla nel cavo della mano.

Semplicemente tieni botta. Quando non hai tempo per te e per le cose che ti circondano, ti ritagli piccoli spazi come questi.

La luce è fioca e c'è un pò di musica a tenermi compagnia. Il mio letto è vuoto, il mio cuore è puro, la mia vita sta scorrendo istante dopo istante, inesorabilmente.

Al mio fianco ci sono vecchi fantasmi ed antichi appetiti. C'è sempre la voglia di partire e mollare tutto e andarsene via per il mondo. Lo chiamo punto di fuga. Quello dal quale non torni.
Quello dove perdi e vinci, allo stesso tempo. Non ho avuto mai il coraggio di superarlo fino in fondo.

Mi fanno compagnia nella stanza vecchi demoni, a cui devo la persona che sono. Vecchie tristezze, antiche sconfitte, recenti scottature, tempo che si ristringe e si allarga, lasciando solo vuoti tra le intercapedini.

Infondo mi sento a casa, ho tutto il tempo in questo momento per le mie sconfitte e le mie vittorie, ho il tempo per ricordare e sentire le mancanze.

Sono in un nido accogliente, con tutte le mie paure che mi circondano. Ci rido e ci scherzo.
Dopo anni siamo vecchi amici, non mi sbarazzerò mai di loro, ne tantomeno loro di me.

Siamo vecchi combattenti dopo tutto. Formiamo una fantastica muraglia oplitica. Siamo il battaglione sacro tanto caro a Tebe.

Passerà, questo periodo passerà, come passa il tempo, tra delusioni, tempo che manca, palpiti del cuore, risate in compagnia.

Mi restano pochi momenti, fatti della luce gialla del sole, che rimbalza sui palazzi lungo la tiburtina, la bella ragazza alla fermata del autobus, qualche risata di grazia.

Resto qui, dove mi ha confinato il lavoro è questo periodo di congiunzione astrale decisamente negativa. Appendo ai miei occhi qualche bel dipinto, immagino un letto che non sia vuoto, ma solo da riempire, trabocco dal cuore le mie sensazioni positive e negative.

Aspetto che tutto ricominci a scorrere. Non curante del resto del mondo che va avanti da sè.

Eppure è un tutto un rimbalzare, perchè non ho nessuno con cui condividere. Rimbalzano i miei vecchi amori, le mie avventure, tutte quelle storie abbortite premature.

Margherite tagliate, denti di leone, erbaccia qua e là nel prato della vita.

Ci soffio sopra, ed i minuscoli paracadute bianchi si staccano da ogni fiore per incendiare ogni mio pensiero. Anche ora, qui nell'oscurità di questo periodo nero. Io sono la fiamma.

Passerà, come passano le rondini, le estati, gli amori svaporati, i battiti del cuore e le delusioni della vita.

Cantiamo sul cratere alzando il cranio, traboccante di canti. Verrano tempi migliori, sopporterò i tempi peggiori.

Ora l'importante è questa nicchia tutta mia, dove posso esplodere, deflagrare, sparpagliarmi per ogni mia sensazione, recriminare senza sosta, propormi, sperare, retrocedere. essere completamente umano,

Resta il tempo che passa ed un pò di fulgore.

Si specchierà domani, come il sole, sui palazzi della tiburtina.


 
 
 

Tra i monti (in viaggio)

Post n°150 pubblicato il 01 Giugno 2008 da DerSpinne

Rifare certe strade ti riporta indietro. Forse non è la nostalgia, ne la malinconia, solo che guardi le curve e le montagne, e ci trovi qualcosa di diverso ogni volta. Vai avanti per immagini, mentre la striscia di asfalto si snocciola veloce tra valichi e pareti a strapiombo.

I monti credo proprio che siano una cosa seria. Quando valichi, attraversi, entri dentro l’appennino, ti rendi conto della loro natura di dinosauri sonnacchiosi. Coperti dalla polvere dei secoli, da erbe, muschi e licheni che crescono e si stratificano, fino a diventare alberi.

La strada è un qualcosa di così tortuoso, assomiglia alla vita. I monti ci mettono i piedi in mezzo.
Questi giganti fermi, allungano le loro propaggini di granito per pestare il percorso con le loro zampe boscose.

Andando con la macchina, hai l’impressione di dover schivare, i loro colpi poderosi.
In realtà stanno fermi, nella pace che da la roccia.

Chissà poi perché si dice “avere un cuore di pietra” per indicare che qualcuno è cattivo. Non lo trovo giusto. La pietra non è mai cattiva. La pietra ha solo la quiete dei secoli. La pietra è imperturbabile, magica, lontana da tutto e vicina ad ogni cosa.

Solo la pietra strapiombo sul vuoto della valle, può ammirare il volo delle rondini ed i viandanti di passaggio. La pioggia la lava, la neve s’incastra nelle sue minuscole fessure e l’ammanta, il sole la riscalda e fa risplendere. La pietra resta pietra, sgretolandosi man mano. Con una pace consapevole, accetta un tempo che scorre e sembra, per la natura delle pietre, infondo veloce come il nostro.

Le montagne sono fatte di pietra e terra e sono dinosauri addormentati che pascolano nel campo del cielo, in questa strada di confine, che porta sempre al crepuscolo.

Le montagne dureranno, le montagne durano, con la loro quiete pacifica. Così lontane dagli affanni del cuore e dalle piccole rabbie quotidiane.

Così quando vedo questi pachidermi verdi, quando ci passo in mezzo, mi sento piccolo. Mi sento così distante dalla pietra e ne invidio la sua pace fatta di millenni, pressione, fossilizzazione, struttura, terra, humus, bosco.

Mantengono in me intatto, il mistero e la magia, la purezza. Io quando guardo le montagne sono distante, dalle piccole bassezze della gente. Ci sono io e la strada che curva e loro che mi cullano.

Non hanno misteri impenetrabili da penetrare, aspettano solo che il crepuscoli illumini il bosco, per darmi l’ennesimo spettacolo. Come fai a non sentirti distante? come fai a non essere distante?

Capisco perché in tutte le religioni, c’è sempre un Dio su una montagna. Quale altro posto, è degno di un Dio?

Mi verrebbe voglia di scalarle, di assaporare la fredda consistenza della roccia con la mano, sentire il vuoto sotto, la forza di gravità che ti trascina verso il basso, mentre la parete è solida ed inalterabile. Mare che non conosce mai burrasche. Girarmi lentamente, guardare l’orizzonte, e vedersi specchiare nel cielo, il sorriso di un qualche Dio inventato.

Ma io sono terricolo, sono di passaggio, con il mio carico di gioie, problemi, delusioni, entusiasmi.
Non mi arrampico sui monti, vi passo solo in mezzo. Non durerò millenni, non avrò la pace immutabile della pietra.

Sono il prodotto dei mie affanni e dei miei sogni, l’allegra risata che faccio ogni giorno, il cuore che palpita ed a volte, batte a vuoto, i piccoli ed i grandi problemi, la mia carne così fragile, i miei occhi così verdi.

Sono di passaggio, solo di passaggio. Anche se la strada è lunga e tra le curve sta piovendo. Arriverò, prima o poi, in un posto chiamato casa. Mi girerò e vedrò, in lontananza, i dinosauri dormire ancora.
Rifare certe strade ti riporta indietro. Forse non è la nostalgia, ne la malinconia, solo che guardi le curve e le montagne, e ci trovi qualcosa di diverso ogni volta. Vai avanti per immagini, mentre la striscia di asfalto si snocciola veloce tra valichi e pareti a strapiombo.

I monti credo proprio che siano una cosa seria. Quando valichi, attraversi, entri dentro l’appennino, ti rendi conto della loro natura di dinosauri sonnacchiosi. Coperti dalla polvere dei secoli, da erbe, muschi e licheni che crescono e si stratificano, fino a diventare alberi.

La strada è un qualcosa di così tortuoso, assomiglia alla vita. I monti ci mettono i piedi in mezzo.
Questi giganti fermi, allungano le loro propaggini di granito per pestare il percorso con le loro zampe boscose.

Andando con la macchina, hai l’impressione di dover schivare, i loro colpi poderosi.
In realtà stanno fermi, nella pace che da la roccia.

Chissà poi perché si dice “avere un cuore di pietra” per indicare che qualcuno è cattivo. Non lo trovo giusto. La pietra non è mai cattiva. La pietra ha solo la quiete dei secoli. La pietra è imperturbabile, magica, lontana da tutto e vicina ad ogni cosa.

Solo la pietra strapiombo sul vuoto della valle, può ammirare il volo delle rondini ed i viandanti di passaggio. La pioggia la lava, la neve s’incastra nelle sue minuscole fessure e l’ammanta, il sole la riscalda e fa risplendere. La pietra resta pietra, sgretolandosi man mano. Con una pace consapevole, accetta un tempo che scorre e sembra, per la natura delle pietre, infondo veloce come il nostro.

Le montagne sono fatte di pietra e terra e sono dinosauri addormentati che pascolano nel campo del cielo, in questa strada di confine, che porta sempre al crepuscolo.

Le montagne dureranno, le montagne durano, con la loro quiete pacifica. Così lontane dagli affanni del cuore e dalle piccole rabbie quotidiane.

Così quando vedo questi pachidermi verdi, quando ci passo in mezzo, mi sento piccolo. Mi sento così distante dalla pietra e ne invidio la sua pace fatta di millenni, pressione, fossilizzazione, struttura, terra, humus, bosco.

Mantengono in me intatto, il mistero e la magia, la purezza. Io quando guardo le montagne sono distante, dalle piccole bassezze della gente. Ci sono io e la strada che curva e loro che mi cullano.

Non hanno misteri impenetrabili da penetrare, aspettano solo che il crepuscoli illumini il bosco, per darmi l’ennesimo spettacolo. Come fai a non sentirti distante? come fai a non essere distante?

Capisco perché in tutte le religioni, c’è sempre un Dio su una montagna. Quale altro posto, è degno di un Dio?

Mi verrebbe voglia di scalarle, di assaporare la fredda consistenza della roccia con la mano, sentire il vuoto sotto, la forza di gravità che ti trascina verso il basso, mentre la parete è solida ed inalterabile. Mare che non conosce mai burrasche. Girarmi lentamente, guardare l’orizzonte, e vedersi specchiare nel cielo, il sorriso di un qualche Dio inventato.

Ma io sono terricolo, sono di passaggio, con il mio carico di gioie, problemi, delusioni, entusiasmi.
Non mi arrampico sui monti, vi passo solo in mezzo. Non durerò millenni, non avrò la pace immutabile della pietra.

Sono il prodotto dei mie affanni e dei miei sogni, l’allegra risata che faccio ogni giorno, il cuore che palpita ed a volte, batte a vuoto, i piccoli ed i grandi problemi, la mia carne così fragile, i miei occhi così verdi.

Sono di passaggio, solo di passaggio. Anche se la strada è lunga e tra le curve sta piovendo. Arriverò, prima o poi, in un posto chiamato casa. Mi girerò e vedrò, in lontananza, i dinosauri dormire ancora.

 
 
 

Birds

Post n°149 pubblicato il 30 Maggio 2008 da DerSpinne

E' tanto che non incollo una canzone. Sarà perchè questa la sento un pò mia, e fa parte di uno di quei gruppi che probabilmente conosco solo io. I "Sophia".

La canzone si intitola "birds" ed io così, liberamente, l'ho tradotta:

Il contadino john si aspetta la pioggia
Non lasciare che il cielo limpido ci inganni un'altra volta

Stecche in basso, sulle porte della cantina ed intorno al bordo della casa
senti il vento come scricchiola e geme

Non è bella
la nostra perdita di controllo.
Nessuna preghiera senza risposa o augurio ignorato.
Vieni, sbrigati ora
siamo con un giorno di ritardo per la primavera
Se passiamo in silenzio attraverso aprile
non ci perderemo niente.

Non è bella
a nostra perdita di controllo
Nessuna preghiera senza risposta o augurio ignorato

Vieni, sbrigati ora
siamo con un giorno di ritardo per la primavera
Se passiamo in silenzio attraverso aprile
non ci perderemo niente..

 
 
 

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