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C'era una volta - parte prima

Post n°28 pubblicato il 07 Novembre 2013 da marina3210

            

               C’erano una volta gli scompartimenti, piccoli paradigmi di una società andata. I treni erano divisi in vagoni, i vagoni in scompartimenti, ogni scompartimento in due file contrapposte fra loro in modo che ci si potesse ben guardare in faccia.

 

            Ogni scompartimento rappresentava un microcosmo; nei limiti del possibile, dopo una rapida occhiata dal corridoio - altro mitico luogo di fugaci incontri – ti sceglievi il tuo: quello vuoto se avevi litigato con il tuo ragazzo e ti accorgevi, per la prima volta, di odiare il mondo; quello con il signore che leggeva tranquillamente se c’era in cantiere un esame e avevi bisogno di ripassare; quello con la famigliuola in vacanza se fuori c’era il sole e la vita ti sorrideva. Tralasciamo, ma scagli la prima pietra chi non l’ha fatto, le scelte effettuate quando il viaggio era lungo e il tramonto imminente: nei sogni di generazioni di ragazzi un posto in primo piano l’hanno sicuramente occupato inenarrabili avventure d’una notte a bordo del convoglio dei sogni.

 

            Ricordo, con grande nostalgia, polpette al sugo sgocciolanti (sui miei appunti di fisica) durante il tragitto dal contenitore aperto sulle ginocchia della mamma alla mia destra, fino alla bimba seduta alla mia sinistra, un bacio da brividi in galleria dallo sconosciuto che mai più rividi, complice il libro del momento emozionalmente condiviso; la notte di Vermicino, in un treno per Roma, e l’intera popolazione di quel convoglio affacciata ad ogni fermata ad offrire a chi era a terra, stazione per stazione, sguardi di speranza.

 

            Impossibile dimenticare la notte di Italia-Germania negli anni che ritenevamo spensierati e nell’età che sicuramente lo era, l’orgoglio di essere italiani mentre una comitiva di olandesi stappava bottiglie di birra e scambiava con noi ragazzi abbracci profumati di malcelata invidia. E gli improvvisati comizi adolescianziali che ti facevano sembrar grande - e non lo eri - e i ritardi d’ore che ti lasciavano con il cuore in gola, cellulari di là da venire e mamme in pensiero da avvisare…

 

            Poi un giorno a qualcuno venne in mente di abbattere i divisori e ruotare la metà dei sedili, ad altri di brevettare I-POD e relative cuffiette, al Berlusca e company di avvelenare il dibattito politico e ridurlo, in ogni ambito, a rissa d’osteria.

 

            Cosa resta di quei treni, anzi, di quegli scompartimenti? Forse solo questa community, con le sue stanze e chi non si conosce nemmeno a condividere, in pochi istanti, storie ed emozioni. Ma qua finisce ogni somiglianza: là c’erano volti e vite reali, odori e colori; qui nick e foto di convenienza.

 

            Lasciatemi ricordare e rimpiangere quei viaggi senza fine, perché comunque qualcosa te la portavi addosso anche quando terminavano quei quattro gradini e dall’altra parte del fabbricato, nel parcheggio e nella sua Panda, c’era la mamma ad aspettarti per riportarti a casa, al tuo ruolo reale, dove alle cose da fare non era concesso il privilegio di mescolarsi con i sogni.

 

 

 
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Troppo bella

Post n°27 pubblicato il 04 Settembre 2013 da marina3210

      Troppo bella per essere amata davvero; troppo perché tu possa essere anche una brava ragazza, quelle che si accompagnano all’altare senza la paura che prima o poi un altro uomo ti porti via.

 

            Troppo bella perché ti si possa amare teneramente, senza rincorrere prestazioni da gare olimpiche, pensando anche a te, al tuo desiderio così diverso da quello di un uomo.

 

            Troppo bella e dunque pericolosa, perché da te ci si aspetta solo una cosa e l’onere della difesa è solo tuo, affidato al buonsenso, alla pazienza per la quale stai studiando da bambina, sin da quando toccava a te spiegare al mondo che se si gioca al vento può anche capitare che la gonnellina scopra casualmente le gambe.

 

            Troppo bella perché non ti si veda come l’unica causa di una crisi familiare nutrita anche, ci mancherebbe altro, da televisori ad alto volume e bollette non pagate, ma questo non lo si ammetterebbe mai. Tu, invece, spudoratamente gradevole e così giovane… dove lo trovi un alibi migliore?

 

            Troppo bella per vivere, per inchiodare alle sue responsabilità l’uomo-padre che non le vuole, che ora desidera solo fuggire da te con la stessa foga con la quale, solo poche settimane fa, ti rincorreva per quel fugace momento che ora maledice.

 

            Troppo. Colpa tua, ovvio.

 

            Ciao Marilia.

 
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Arrieccomi

Post n°26 pubblicato il 26 Giugno 2013 da marina3210

Eccomi, anzi, in perfetto italiano-televisivo post moderno, arrieccomi.

Da dove iniziare? Dalle scuse naturalmente visto che gli impegni vanno onorati, anche quelli palesemente irrilevanti come gestire un blog di periferia senza pretese d’alcun genere.

Ovviamente scrivere su Libero non rientra fra le prescrizioni del mio medico ma aver creato un minimo di interesse fra uno sparuto quanto affettuosissimo gruppetto di amici, avrebbe dovuto consigliarmi una maggiore attenzione nell’assumere nuovi impegni e garantire quel minimo di presenza che differenzia un blog da qualsiasi altra pubblicazione.

Non posso addossarmi tutte le colpe per un periodo che definire orribile è già un modo per incensarlo ma il vostro affetto, in parte pubblico e ancor più spesso privato, non può che suggerirmi scuse e ringraziamenti.

Allora, come si suol dire, dove eravamo rimasti?

Se memoria e occhiali da vista non mi ingannano a tre post “politici” scritti in prossimità delle elezioni parlamentari e presidenziali e dedicati ad un dimenticato eroe degli anni di piombo, ad una vecchia partigiana e ad un’amica senza voce. Il tutto condito da una speranza, coltivata fra un sondaggio e l’altro, in un vero cambiamento e in qualche pensionamento eccellente.

S’è visto com’ è andata …

Non credo sia il caso di piangere ancora per l’occasione perduta, per il rigore tirato in tribuna dalla punta reduce da trionfali Primarie o unirsi agli sberleffi all’Omo-Yomo, come ama definirlo il nostro Panglos, capace di vincere la Lotteria di Capodanno e poi perderne il biglietto.

Tutto noto, trito e ritrito e, se proprio volete sapere cosa ne penso, evitandomi ulteriori poco produttive fatiche a quest’ora della notte, vi rimando all’ultimo post del già menzionato Panglos. Sposo senza alcun dubbio in merito la sua acutissima analisi.

Preferisco usare i miei ultimi momenti di lucidità per ragguagliarvi, proprio come si fa con l’amico che non vedi da un po’, sugli sviluppi di alcune storie qua raccontate, sperando possa servire a riprendere il filo interrotto.

In tanti mi hanno scritto in privato per condividere i loro ricordi sulla morte di Benedetto Petrone. Inutile cercare di convincerli a scrivere anche un commento pubblico: per quanto possa apparire incredibile quegli anni fanno ancora paura e la morte di un giovane militante continua ad imbarazzare e a meritare un prevedibile oblio.

Nazar ha perso il posto che tanto l’inorgogliva, o meglio l’officina dove lavorava si è trasferita, nella pagina delle statistiche, fra le due al minuto che chiudono dall’inizio della crisi. Adesso sul divano di casa ci trascorre le intere giornate; a cercare qualcosa in giro ci ha rinunciato da un po’. Non so se il Berlusca resta l’uomo dei suoi sogni: la tristezza gli ha tolto anche la voglia di parlare.

But non c’è più. Al mio rientro, ad accogliermi allo sportello dell’ auto e ad accompagnarmi fino all’uscio, alternando i loro passi rapidi ai miei, sono rimasti il Rosso e la mamma Brenda, anche loro più soli e mesti senza il nostro vecchio amico.

La biografa di Tina Anselmi mi ha ringraziato su FB; non credo lo farà mai il futuro biografo del presidente eletto, un Padre della Patria con un curriculum da incorniciare e tanti ma tanti voti da contare, compresi quelli di Capezzone ed Alemanno

Corina ha ritirato la pagella di fine anno, un trionfo di nove e dieci. La zia Mitri ha sentenziato che se continua così, un domani, brava e bella com’è, potrebbe persino aspirare a concorrere per un posto da velina. Perdonate la mia fissa da ex compagna, ex avvenente ragazza, ex tutto dall’incerto futuro, ma da sempre predico che il vero danno arrecato dal berlusconismo ai nostri giorni è da ricercarsi più nel rincoglionimento indotto via canali televisivi che nelle sue mortificanti, per lui e solo per lui, vicende giudiziarie.

Concetta ha smesso di sperare in Papa Francesco da quando lo ha sentito relazionare su una presunta lobby di prelati gay (incredibile ma l’ho sentito anch’io), piuttosto che occuparsi delle migliaia di buoni credenti con il peccato capitale dell’essere separati, conviventi o occasionali vittime di una suggestione passeggera, come se il buon Dio avesse creato solo occhi, mani e cuore, mettendosi in ferie nel momento in cui un distratto supplente progettava ormoni ed idonei distributori.

Ha capito che non sarà per questa vita poter essere ammessa nella sua chiesetta all’angolo di casa ed ha dirottato le sue ginocchia da fedele delusa in una parrocchia del capoluogo, godendo di un tranquillo quanto agognato anonimato.

Dora mi ha scritto ancora. Non capisce. Le ho risposto che quindi ha capito; tutto e bene.

 

Non potevo dopo tre mesi di assenza chiudere un post con le mie assonnate parole di pretenziosa ragazza di mezza età. Dopo tanta attesa meritate di meglio: i versi del grande Francesco, (Guccini naturalmente), nella sua splendida “Lettera”.

A presto amici.

 

“Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale l' affanno e l' ansimo dopo una corsa,
l' ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita,
il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...”

 
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L'Italia che vorrei

Post n°25 pubblicato il 20 Marzo 2013 da marina3210

L’Italia che mi piace ha il volto pulito di Laura Boldrini, la sua voce rassicurante, il suo sguardo lontano, il suo nitido profilo. Non a caso viene dal mondo, nulla a che vedere con le nostre beghe di bottega; altra classe, altri ideali. Mi rassicura la circostanza che entri in un organismo malato ma che non ha ancora sviluppato gli anticorpi necessari per annullare tale raro bacillo.

            Colui che ormai predica come Il più politicante fra i politicanti, il barbuto Savonarola del 2000, l’ha già bollata come la foglia di fico del PD. Ne avessimo di simili foglie! Ci rivestirei il mondo intero con il manto che si usa quando fa freddo e c’è poco da scherzare, i brividi non ti fanno ragionare, bisogna rimboccarsi le maniche, coprirsi bene e uscire fuori perché comunque c’è tanto da fare; poi però incroci uno specchio e non puoi fare a meno di notare quanto questo soprabito sia bello ed elegante.

 

            L’Italia che vorrei al Quirinale ha il sorriso di Tina Anselmi, la sua storia di ragazzina staffetta partigiana, il suo passato di prima donna ministro della Repubblica, la tenace volontà delle venete che da sole - mariti in miniera in Belgio, bimbi da tirare su, macerie da sgomberare - hanno silenziosamente ricostruito il Paese, ancor più degli strombazzati industrialotti d’assalto o dei politicanti da Segreteria Politica.

            Il giorno che l’ho conosciuta sceglieva personalmente, uno ad uno, i pomodori per il sugo al mercato rionale della sua Castelfranco. La sua stretta di mano fu rapida e ferma, come quella di chi fa solo le cose che gradisce e nel tempo che serve. A casa l’attendevano sicuramente una pentola sul fornello e un messaggio a cui rispondere…

            Si ritirò a vita privata nella sua casetta, allora fra i campi, oggi nel cuore di un nuovo quartiere, quando aveva ancora l’età che ad altri colleghi avrebbe ispirato assalti al calor bianco per un posto da sottosegretario: quel sottobosco non le piaceva più.

            A scuola ci hanno parlato anche di Cincinnato; peccato poi ci si ricordi solo di Giulio Cesare.

 

            C’è un’altra Italia che adoro, quella che non ha diritto di parola, non si fa eleggere in Parlamento per meriti acquisiti via web o grazie al chirurgo plastico ma che poi, con un semplice sguardo, ti dice tutto.

            Concetta parla poco, tace persino nelle riunioni di condominio quando c’è da decidere se sostituire l’idraulico truffaldino.

Non parla nemmeno mentre insieme attendiamo, davanti ad un televisore, le prime parole del nuovo Papa. Non parla ma so cose gli chiederebbe se per uno di quei miracoli che avvengono solo al cinema potesse avvicinarlo e se, miracolo ancora più improbabile, riuscisse a vincere quella atavica timidezza dalle ben note origini: gli chiederebbe perché il parroco non l’ammette ai Sacramenti e da un po’, quando la trova a pregare da sola, nemmeno in chiesa. In effetti la risposta la conosce già ma la spiegazione è cosa diversa: incomprensibile, indigeribile.

Concetta ha superato da un pezzo i sessanta, non le attribuisco un gran numero di ormoni del desiderio in giro a far danni e non credo frequenti parrucchieri ed estetisti da parecchi mesi. Convive, vedova com’è da vent’anni, con un uomo libero e l’anziana suocera, paralizzata a letto da quando la conosco. Si amano di un amore visibile all’occhio più distratto, non possono sposarsi per questioni di pensione che non ho mai ben compreso ma credibili alla luce della sobrietà della vita che conducono.

            Tanto basta per precluderle la porta del confessionale e l’accesso ai Sacramenti. Ne soffre tanto, non lo dice ma si percepisce. Ne soffro anch’io, per lei e per me, pallida praticante ed ingenua quarantenne che, novella Alice, ancora riesce a meravigliarsi delle ingiustizie di questo Paese e del suo satellite nel cuore di Roma, dove non si nega mai un posto in prima fila nelle udienze generali al puttaniere di Arcore e si licenzia senza alcun tentennamento il direttore del quotidiano di famiglia al primo timido e nemmeno troppo convinto rimbrotto al Cavaliere.

 

            Gli occhi di Concetta si inumidiscono quando arriva il primo storico “buonasera”, inventa una scusa, va via. La immagino mentre scende le due rampe, apre la camera della suocera per vedere se tutto va bene, va a letto sperando che il sonno arrivi. Domani è un altro giorno e c’è tanto da fare: pensare alla casa, alla nonnina invalida, al suo pezzettino di mondo da portare sulle spalle.

 

            Ne avessimo di spalle così…

           

           

           

 

 

 

 
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Quelli che "tanto sono tutti uguali".

Post n°24 pubblicato il 23 Febbraio 2013 da marina3210

Se l’ultimo post ha raccolto più o meno lo stesso numero di commenti pubblici degli altri, in compenso mi ha permesso di stabilire un nuovo piccolo record in quanto a commenti privati, va da sé non sempre benevoli.

Vediamo di riassumere: al primo posto, e di gran lunga superiori agli altri, i consigli su dove e con quale parte del corpo, preferibilmente, dovrebbe andare a battere una troia comunista. Ho preso accuratamente nota, la crisi economica è innegabile e, chi lo sa, magari un domani questi appunti potrebbero tornare utili.

Subito a ruota quelli che, irrilevanti ai tempi del testo di Enzo Jannacci, marea dilagante nei giorni di Laura Pausini, a votare non ci andranno, perché “tanto sono tutti uguali”.

Infine la perla, il messaggio che aspettavi come da bimbi si attendeva la mamma all’uscita della scuola: Dora, una lettrice attenta anche se non sempre presente fra i commentatori per qualche suo eccessivo timore verso il corretto utilizzo della lingua italiana, che, anche commuovendomi un po’, mi regalava i ricordi di quello che significava votare negli anni del crepuscolo dell’Unione Sovietica  e poi, nell’orgia di quella pseudo democrazia rappresentata dalla Russia di Eltsin e Putin.

Le ho chiesto il permesso di citarla e riassumere il suo pensiero: non nascondo l’ambizione che qualcuno di voi domenica o lunedì ne faccia tesoro quando dovrà decidere se continuare a godersi il calduccio della propria cucina o condividere i previsti fiocchi di neve con chi sceglierà di recarsi alle urne.

Votare in Unione Sovietica era come andare allo stadio: assistevi a quell’incontro liberamente e senza alcun obbligo ma senza nemmeno poter far nulla per cambiarne le sorti. L’applauso era tanto gradito quanto inutile, il pallone andava dove doveva, dove l’accompagnava il più spregiudicato fra i contendenti.

Poi un giorno Boris Eltsin salì su un carro armato, riuscì ad occultare per qualche minuto  la fedele fiaschetta della vodka e cominciò ad arringare la piazza (ops, lo sapevo che ci sarei caduta… vi prego, dovessi cominciare a grillare anch’io, scuotetemi pure, ve ne sarò grata).  Arrivarono gli altri, i giovani rampanti, quelli che la tessera del PCUS avevano appena fatto in tempo a prenderla e già, frettolosamente, dovevano farla scomparire, in nome della nuova Internazionale, potente ed imbattibile, sul campo e fuori, quella del capitale.

Il nuovo potere, ancora una volta, aveva un solo volto, sorridente e rassicurante, ma spaventosamente unico, insostituibile anche quando momentaneamente scambiava il volto di Putin con la maschera di Medvedev.

Ascolta, Dora, gli italiani lamentarsi ogni giorno dei mille partiti. Percepisce che la voce maggioritaria è quella di chi li mette al bando quali inutili megafoni della stessa mediocre idea. Se ne indigna, Dora, mi scrive che è tipico di chi ha avuto tutto, il non accorgersi dell’importanza di quello che si ha.

Hai ragione Dora, ragione da vendere.

Regalo i tuoi ricordi a chi quando va in pizzeria ama farsi scegliere la pietanza dal cameriere ben istruito sul piatto da dar via subito perché quasi avariato, a quelli che decidevano dopo la messa domenicale, mentre un nuovo dipinto iniziava a lacrimare ed un prete operaio veniva scomunicato, a chi passava a ritirare il pacco di pasta del Comandante Lauro insieme alla scheda precompilata, ai tifosi di Balotelli, elargito agli elettori milanisti subito dopo essere stato pubblicamente definito “mela marcia”, a chi lascerà nel carrello della spesa il decuplo del rimborso dell’IMU dandone la colpa al proprietario del negozio.

Li regalo, Dora, a chi infine, magari in buona fede, si è fatto mettere in testa dai tribuni con barba in faccia e capitali in Svizzera, che “tanto sono tutti uguali”. No amici, non sono tutti uguali: non ho notizia di minorenni nel letto di Bersani né di vulcani eruttanti in casa Vendola. Non credo abbia governato mai l’economia italiana il coraggioso Ingroia o il sindaco Renzi. Chi ha guidato l’Italia negli ultimi anni, quelli dello sfascio, ha un nome ben preciso e, per una volta ed a scanso di equivoci, quel nome lo scriverò senza ricorrere a sinonimi utili ad attenuare quel vago senso di nausea ricorrente ad ogni suo materializzarsi ai miei occhi: Silvio Berlusconi.

A chi altro dovremmo attribuire colpe e demeriti se non a chi ha spadroneggiato per lustri dall’alto del suo capitale, sostenuto da schiere di camerieri prezzolati e da una infame legge elettorale?

Facile anche individuare i compagni di cordata della prima e dell’ultima ora: una scelta compagnia di razzisti sgrammaticati, economisti da barzelletta, politicanti voltagabbana, giuda da avanspettacolo, principi del foro monouso e baldracche rifatte.

A votare ci andrò, con le idee più chiare che mai, le parole di Dora in mente, una bandiera rossa nel cuore, la voglia di esserci quando finalmente arriverà qualcuno a cacciare i mercanti dal tempio e a ridarci il gusto di vivere in un Paese che una volta, e a giusto dire, amavamo chiamare il “Bel Paese”.

 
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Il sorriso di Benny

Post n°23 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da marina3210

               Benedetto Petrone è, nella memoria di mia madre, un dolcissimo, quasi surreale, ragazzo di 18 anni; nei miei ricordi di bambina, una valanga di lacrime nei suoi occhi.

 

Benny viveva a Bari, anzi a Barivecchia che poi è tutta un’altra cosa e spero che il mio amico Ottimista ve ne parli meglio di me. Faceva l’operaio da quando in famiglia era stato ben chiaro che i soldi per l’università non c’erano; era un militante comunista e l’anima più generosa fra quelle che, in quegli anni poi ribattezzati “di piombo”, potevi incontrare nei vicoli della città già deserti dopo il tramonto.

 

Anni terribili ma con il pregio della chiarezza. Allora i comunisti erano comunisti e i fascisti, fascisti. Di giorno ci si confrontava in fabbrica o fra i banchi di scuola, la notte ci si picchiava nei quartieri di periferia.

 

Benny era, e l’accadimento avrà nella storia la sua importanza, un ragazzo disabile, nato prima che la vaccinazione antipolio di massa fosse riuscita a debellare il problema. Quel 28 novembre 1977 i fascisti erano in tanti, i compagni solo tre. Uno sparì subito, il secondo, prima di essere accoltellato a sua volta, fece in tempo a vedere Benny morire sotto i colpi di chi, ben conoscendolo, non aveva avuto pietà né per i suoi anni, né per la condizione di disabilità che lo rendeva inerme ad ogni possibile difesa.

 

Una storia fra le tante che possono raccontarci i parenti che c’erano e le cronache in bianco e nero della televisione di stato.

Una storia diversa però, più triste di tante altre ma anche esaustiva per chi, non avendoli vissuti, poco sa di quei giorni.

Una storia, infine, dimenticata; un ragazzo ucciso due volte e non è solo un modo di dire.

L’indomani, a Torino, finivano i giorni di Carlo Casalegno, conosciuto ed apprezzato giornalista metropolitano; pochi mesi dopo quelli di Aldo Moro e della sua scorta.

 

Alla famiglia di Benny regalarono un colpevole di comodo, tale Franco Piccolo, subito dato per fuggiasco, ricoverato nei manicomi di mezza Europa e poi morto suicida in un carcere italiano. Dei tanti camerati con lui in piazza, nessuna traccia. Erano partiti da una ben nota sede barese del MSI ma tanto non bastò a far emergere altre, evidentemente scomode, verità.

 

A Benny, di recente e solo grazie al Presidente Nichi Vendola, è stata dedicata una strada; alla sua storia solo poche parole. Poche altre ricordano lo stile di Enrico Berlinguer, il sacrificio di Antonio Gramsci, le lotte di Giuseppe Di Vittorio…

 

            I nostri giorni hanno scelto altri eroi; il sorriso di Benny è stato sostituito dalle volgari risate che da Palazzo Grazioli hanno invaso la penisola, in fabbrica si ammirano solo i maglioni di Marchionne e nelle università, nella migliore delle ipotesi, l’unico urlo udibile è “forza Roma”.

 

Fra poco si vota; mi piacerebbe che nelle cabine elettorali ci accompagnasse il ricordo della generosità di Benny, della concretezza di Luciano Lama, dell’onestà intellettuale di Enrico Berlinguer, della serenità di Nilde Iotti. Nei sogni più belli mi spingo oltre, ad immaginare tutti i mercanti fuori dal tempio ma purtroppo, desolatamente e irrimediabilmente, non si intravede all’orizzonte nessun Gesù in azione.

 

Chiudo ancora gli occhi e ritorno a quegli anni in bianco e nero… Che bello sognare!

 

 

 

 

 

 
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Cosa resterà del Berlusconismo

Post n°22 pubblicato il 21 Gennaio 2013 da marina3210

Come è ben noto anche agli Eschimesi di passaggio da Roma, in Italia il 24 febbraio si vota per il rinnovo delle due camere parlamentari. Pur non essendo questo un blog politico in senso stretto, non riesco ad esimermi in questo importante contesto dallo schierarmi apertamente, come in genere uso fare, e chi mi legge può esserne buon testimone.

Dunque, il mio cuore batte a sinistra. Intuibile per chi voterò. Non credo abbia mai avuto grandi dubbi in merito, men che meno questa volta. Il problema vero non è scegliere fra due o tre schieramenti diversamente colorati o fra un paio di opposte culture economiche; non entro nel merito di dottrine che richiederebbero ben più mirate conoscenze. Mi auguro semplicemente una ingloriosa fine del Berlusconismo di ritorno, sepolto non da qualche condanna giudiziaria ma da una valanga  di voti, liberi e speriamo poco condizionati dalla vomitevole profusione parolaia servita nei vassoi d’argento della sua stampa prezzolata, da camerieri in livrea che qualcuno con il senso dell’umorismo ben spiccato, ancora si ostina a chiamare giornalisti.

Nonostante i recenti problemi nel suo schieramento, il Berlusconismo non è morto, anzi... Sopravviverà al suo padrone anche quando scomparirà il suo partitucolo che non reggerà un attimo in più del fondatore-finanziatore. Sopravviverà nel gusto pacchiano di chi lo professa, nella pubblicità nei programmi per bambini, nell'arroganza nel sostenere le proprie idee, nelle leggi ad personam, nelle veline fuori orario, nella spocchia incontrollabile di chi si sente intoccabile, nell'omofobia elevata a sistema, nei falsi bilanci impunibili, nella pratica ormai diffusa, anche fra i ladri di galline, di seppellire ogni processo sotto valanghe di certificati medici.

Sopravviverà a lungo, ben oltre la sua, speriamo prossima, sconfitta politica, e questo sarà il vero danno arrecato al Paese. Se ci vorranno anni per sanare il dissesto finanziario lasciato in eredità a chi lo ha sostituito, ancor di più ne serviranno, se mai ci riusciremo, per risalire dal baratro dell’inconsistenza morale in cui ci ha precipitati, vera peste dei nostri giorni.

 

 
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Regalami un sogno

Post n°21 pubblicato il 18 Dicembre 2012 da marina3210

Caro Babbo Natale,

            chiedo venia se alla mia non tenera età mi intrometto nella tua lista sicuramente stracolma di pargoli, ma dopo aver pagato l’IMU, l’IRPEF, i contributi previdenziali, il ticket per le analisi del sangue e tutto il pagabile imposto ai lavoratori dipendenti, credo pure di poter esercitare il mio sacrosanto diritto costituzionale alla letterina.

            So già, caro Babbo, che la crisi ha imposto anche a te un budget ben preciso e quindi eviterò quel lungo elenco di inutilità elettroniche che, del resto, non saprei né pronunciare né utilizzare.

            Spero di dare il mio piccolo contributo alla riflessione, oltre che al bilancio lappone, con le mie modeste quanto fantasiose richieste, sperando che i tuoi rapporti con Chi di Dovere, siano tali da potermi venire incontro in qualche modo.

           

            Le cose che vorrei, tanto per essere chiari, te le chiedo semplicemente in sogno ben sapendo che solo il biblico ritiro del mare fu impresa più ardua del concreto realizzarsi di quello che mi accingo a scrivere.

            Vorrei una giornata televisiva senza udire il nome di Monti, gli sproloqui del Cavaliere e i vaffa del Grillo Parlante. Non se ne può più e l’idea che alle prossime elezioni manchino più di tre mesi, potrebbe anche spingermi a chiedere asilo politico al tuo nobile e antico Paese, trattenuto solo dalla circostanza che, abbondando anch’esso di monti, comunque qualcosa ricondurrebbe il mio pensiero ai nostri italici mali.

            Esagero chiedendoti se, sempre in un breve sogno, potessi rivedere il mio gattone grigio, la nonna Nella e Fabrizio de Andrè? Mi piacerebbe anche sognare, e qua il sorriso che accompagna il mio pigiare la tastiera diventa sempre più scettico, un Parlamento prossimo venturo senza ladri, un’autostrada senza ubriachi, una ciliegia senza il verme, un governo senza baldracche. Lo so, l’ultima è dura ma se da secoli godi della fiducia di milioni di persone, qualche merito dovrai pur averlo…

 

            Da tempo ormai le tasse e l’incombente crisi hanno limitato il mio potere d’acquisto, il colesterolo i miei pasti e il nuovo direttore la mia voglia di lavorare per il gusto di farlo.

            Contro il potere c’è poco da lottare ed io non ho una particolare simpatia per le cause perse in partenza. Un mondo diverso, dunque, te lo chiedo almeno in sogno, un meraviglioso sogno che duri una notte intera. Una notte senza nebbia in Val Padana, Cavalieri in campo, mal di denti ed Emilio Fede. Dieci ore in compagnia di dolci che non fanno ingrassare, politici che non fanno cagare, autovelox disattivati, Laura Pausini in ferie in Nuova Zelanda, Del Piero in campo, Guccini che canta, Casini che tace, lo spread che scende, il mio telefono che trasmette un numero, il sorriso di una bimba che ritorna ad illuminarmi, la sveglia che suona quando le batterie saranno cariche al punto giusto per saltare giù dal letto ed iniziare una nuova giornata amando, questa volta, le cause perse in partenza, Davide piuttosto che Golia e il Don Chisciotte dei mulini a vento.

           

            Regalami questo sogno Babbo Natale, al resto ci rinuncio. In noi esiste già tutto quello che serve per star bene se solo sapessimo svegliarci al momento giusto, quello in cui i sogni ce li ricordiamo ancora…

 

 

 

 
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controcorrente tre

Post n°20 pubblicato il 21 Novembre 2012 da marina3210

               Come ricordavo anche nei commenti al precedente post, nella rubrica “Controcorrente” mi occupo delle malefatte della stampa italiana, di gran lunga la più insulsa, inutile e, purtroppo per noi, sovvenzionata del mondo. La maggior parte dei nostri quotidiani trabocca di notizie che a definirle idiozie rischi di incensarle; poi ci sono le eccezioni, La Repubblica ad esempio, che raramente indugia sulle banalità e alla quale non mancano raffinate penne ma che si accoda al resto della compagnia in quanto ad omissioni ed indifferenza.  

            Anche per rassicurare l’affezionato Prontalfredo che ha già bollato alcuni miei post come portatori sani di esagerata indignazione, oggi vi racconto una storia bella, una di quelle che non leggerete mai sulla “Padania”, un racconto che mi servirà, alla fine, per parlare d’altro, un po’ come si faceva una volta alla RAI nella “Pubblicità-Progresso” che oggi, come sempre più spesso succede alle trasmissioni di pubblica utilità, è scomparsa da ogni palinsesto.

 

            Bertilla è una splendida ragazza veneta, bella, simpatica ed autosufficiente. Avrei omesso l’ultimo aggettivo se non fosse stato per la non trascurabile circostanza che Bertilla è anche affetta da tetrafocomelia connatale.

 

            Venire al mondo senza alcun arto o con un parzialissimo sviluppo degli stessi, è un accadimento già di per sé stesso increscioso; essere affidata ad un istituto per orfani dai pavidi genitori naturali non migliorò, di sicuro, la situazione, come sicuramente non la migliorò il restarci per dieci anni, mentre gli altri bambini, quelli biondi e con gli occhi azzurri prima degli altri, trovavano rapidamente una famiglia disposta ad occuparsene. Ma l’angelo custode di Bertilla, da segnalare all’ordine professionale, dovessero averlo anche loro, ben lavorando in merito, le procurò alla non tenera età, per un fanciullo adottabile, di dieci anni, l’incontro che le avrebbe cambiato l’esistenza. Papà e mamma, già genitori di due sanissimi ragazzi e con tutti i requisiti per poterne generare un terzo, senza aver programmato a priori la scelta di una bimba nelle sue condizioni, rimasero folgorati dal suo sguardo e pochi mesi dopo anche Bertilla finalmente conobbe il calore di una vera famiglia.

 

            Presto si avverarono altri sogni: il diploma, il lavoro, una vita sociale assolutamente normale.

 

            Solo l’ultimo desiderio rischiava di rimanere un miraggio: Bertilla voleva guidare, liberare i genitori, ormai pensionati, dalla quotidiana necessità di accompagnarla ovunque. La montagna da scalare era elevatissima. In Germania i dispositivi idonei c’erano già ma costavano quanto un transatlantico e per conseguire la patente avrebbe dovuto prima trovare una residenza teutonica e trasferirsi per parecchi mesi… In Italia la normativa era alquanto fumosa e dentro questo fumo si nascondevano facilmente i primi funzionari consultati.

 

            Quando mi venne a trovare e grazie ad alcuni estemporanei dispositivi, adattati allo scopo sul momento, capimmo che la cosa era fattibile, la vidi piangere in silenzio. Mi confessò che non le succedeva dal giorno dell’adozione e definì quel momento come l’inizio della sua terza vita.

 

            Non fu semplice; l’iter burocratico e la ricerca dell’officina in grado di realizzare quanto avevamo progettato insieme, durarono parecchi mesi ma alla fine, e non senza altre lacrime di gioia,  la patente di guida si aggiunse alle sue storiche conquiste.

 

            Bertilla aveva spalancato una porta: oggi quei dispositivi sono omologati, nessun funzionario si sognerebbe di ostacolare il rilascio della documentazione necessaria. Ma se quella di Bertilla è una storia a lieto fine, non riesco nemmeno lontanamente ad immaginare quanti ragazzi, nelle sue condizioni o addirittura con minori problemi, non potranno mai accedere allo stesso diritto solo per mancanza di informazione, perché non immaginano nemmeno quanto reale e concreta sia questa possibilità.

 

            Qualche anno fa, organizzando il mio ultimo convegno, invitai un giornale ed una rete televisiva locale perché riprendessero la notizia a tutto vantaggio di chi era ancora all’oscuro delle soluzioni pur avendo lo stesso problema. Entrambe le testate mi chiesero un compenso che, essendo assolutamente al di fuori del budget dell’evento, non riuscii in nessun modo a versare. Quel giorno, lo ricordo quasi fosse ieri, quel quotidiano uscì con la notizia (in prima pagina!) della gita di Sarkozy e Carla (con l’accento sulla “a”) a Disneyland con il figlio di lui o di lei o di chissà chi…

 

 

 
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Dear Mitt... (Lettera aperta ad un Autorevole Candidato).

Post n°19 pubblicato il 03 Novembre 2012 da marina3210

Ill.mo Mr. Romney, chiedo venia se dal basso della mia posizione di cittadina italiana, con la deferenza dovuta e nel rispetto dei rispettivi ruoli - autorevole candidato alla poltrona più importante del mondo Lei, blogger di periferia con tre o quattro lettori fissi io - oso distrarla per qualche minuto dalla sua pregevole campagna elettorale.

Ascoltavo poco fa la registrazione di uno degli ultimi suoi sermoni colpita, come credo molti altri miei connazionali, dalla parte in cui ammoniva, o meglio, terrorizzava i presenti, teorizzando la tremenda sventura di finire come l’Italia qualora a vincere le presidenziali di martedì prossimo fosse il suo antagonista, Mr. Obama.

Le confesso che un piccolo miracolo, forse addirittura due, comunque vada a finire martedì, le sue teorizzazioni l’hanno già ottenuto: suscitare in me sentimenti finora sconosciuti; chieda pure ai tre o quattro aficionados di cui sopra,  le confermeranno quanto tenga in poco conto ogni forma di sciovinismo.

Il ricordo va ai miei lontani studi liceali, cogliendo l’occasione per farle presente che anche da noi esistono i licei. Le chiedo: ha mai sentito parlare del Rinascimento? No presidente, no, non è una crema per la sua preziosa chioma, no. Si informi meglio; le spiegheranno che in quel buco d’Europa chiamato Italia i più grandi artisti di tutti i tempi, in quegli anni, creavano opere eterne mentre dalle sue parti i nativi si contendevano le capanne meno umide.

Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello… No Presidente, mi creda, non sono transatlantici della Costa Crociere, chieda pure in giro. E, mentre c’è, si informi sulle opere del Divino Poeta, Dante Alighieri, che non gioca terzino nell’Inter come suggeritole qualche giorno fa da un suo collaboratore (l’orecchio era il sinistro, ricorda?), ma il Vate che lasciava indelebili tratti di penna su immortali fogli mentre i suoi avi si scambiavano ancora segnali con il fumo.

Ops, cosa diceva? Si, ha ragione anche Lei… non erano i suoi avi. D’accordo, i suoi trisnonni erano anglosassoni come la Thatcher; vedo che un po’ di memoria, quando vuole, la soccorre. E poi, come aver dubbi sulle sue origini? Pochi W.A.S.P. sono W.A.S.P. come la S.V.!

Le ripeto, ho studiato anch’io e ricordo benissimo, e del resto ce lo avete propinato in tutte le possibili salse prodotte ad Hollywood, il vostro sbarco a seguito delle rotte del the e la “generosa” sorte riservata agli indigeni.

Cosa? Mi scusi, ripeta, sa sono una donna di una certa età… Siete la prima potenza al mondo? Vero, credo abbia ragione Lei, qualora il metro di giudizio scelto sia quello del PIL. Ma, mi consenta caro Mitt - posso chiamarla affettuosamente così, giunta come sono a metà circa della mia letterina? – mi tengo stretto il nostro ottavo posto se comunque mi consente di farmi curare subito in un ospedale se un TIR mi venisse addosso, senza prima dover mostrare, come capiterebbe nel suo Paese qualora fosse Lei a vincere, il contratto con l’assicurazione.

Mi tengo stretta anche la nostra tanto vituperata “Giustizia” che, è inutile negarlo, a volte sbaglia, relegandoti però al massimo, se tutto va storto, per qualche mese a Regina Coeli ma, molto più spesso, a Montecitorio. Il guaio della vostra Giustizia è che invece, quando sbaglia e poi qualcuno se ne accorge, spesso è già troppo tardi. Persino dal nostro Senato dopo qualche lustro è stato visto uscire un pluricondannato per fine mandato. Molto più difficile che esca riabilitato e in posizione verticale da una delle vostre camere della morte.

Cosa? La nostra politica? Ma allora le piace giocare sporco… Ha ragione: anch’io me ne vergogno un po’. I nominati in Parlamento, Scilipoti, la campagna acquisti dell’impomatato e capisco che Lei non si stia riferendo a quella del Milan. Sa cosa non condivido del suo attacco? Il pulpito. Ha già dimenticato il suo esimio compagno di merende, il Giorgino Bush? Non credo, anche se prudentemente lo ha tenuto ben lontano dalla vostra Convention, un po’ come si fa con le zie sceme quando arriva per le presentazioni ufficiali la famiglia del fidanzato dalla primogenita.

Ha già dimenticato la vittoria del 2000 per pochi voti arrivati per posta in Florida all’indirizzo del fratellino Jeff? E chi gli ha pagato la campagna elettorale? Sbaglio o l’ombra del Giorgino era proiettata dal radioso faro retto dalle Sette Sorelle titolari del commercio mondiale del greggio? No, non mi spinga con le sue insinuazioni a parlar bene del nostro napoleoncino casereccio, la cosa proprio non mi riuscirebbe; al più potrei riconoscergli che, possedendo del suo, non credo abbia avuto bisogno per la sua campagna elettorale di un mutuo a buon rendere da chi sopra.

Sa cosa mi brucia di quella vittoria? Che il conto salato dell’eterna gratitudine ai petrolieri in argomento, l’abbiano poi pagato i vostri ed i nostri soldati e migliaia di civili iracheni, immolati per la falsa ricerca delle armi di distruzione di massa di Saddam e per la vera caccia al tesoro, quella a qualche pozzo in più. Mento? Provi a leggere le dichiarazioni del suo collega di partito Colin Powell, allora comandante in capo dell’eroica spedizione, oggi, non a caso, elettore del suo avversario.

Mi scusi ancora una volta Governatore, Senatore, Candidato Autorevole o quello che diavolo è;  soprattutto mi scusi con i suoi connazionali che continuo a ritenere, nonostante il suo poco lodevole impegno in merito, nostri grandi amici. Credo che solo oggi e per la prima volta alla mia non tenera età mi sia espressa in tali termini a difesa della mia Patria. Sono praticamente certa che non lo farò mai più. Altrettanto certa sono della circostanza che quando martedì notte avvicinerò la poltrona preferita al televisore per aspettare i risultati nel cuore della notte, tiferò senza il minimo dubbio per il suo avversario, Mr. Obama.

Bye-Bye, Mitt.

 
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