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Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

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La Madre delle fate

Post n°109 pubblicato il 16 Marzo 2016 da Marvelius
 

 

 

 


L'orizzonte era un trionfo di fiamme,

sparsi qua e la ciuffi di nembi bianchi

con pennellate rosa e lame di sangue

che pugnalavano il cielo.

Le rondini volteggiavano basse sulle rive

limacciose come in una danza estenuante

che le riportava indietro nel tempo ,

su quelle rive dove si erano date commiato.

Lei se ne stava irta su un sasso bianco, sul ciglio

del fiume nel silenzio rotto solo dal vento che

agitava le fronde di betulle ondeggianti, mentre

l'erba filuta come onda di mare si fletteva

ripetutamente tra riflessi di un verde cangiante.

Era vestita con un peplo di canapa color

melograno stretto da un laccio d'organza appena

sotto i seni che già rigogliosi scolpivano una

vertigine tra le loro anse.

 

 

I capelli ritorti in piccole trecce sulla testa

ingentiliti da sottili nastri di ginestra ...

due riccioli ai lati della fronte ricadevano sulle

tempie come colonne intarsiate di onice.

Il crine nero come la notte e le labbra tumide

e rosse su bianche guance rendevano i suoi

lineamenti schegge di una bellezza antica,

finanche l'acqua del fiume sembrava attardarsi

sull'immagine di lei per rapirne la luce e i tratti

splendidi e trasportarli via con sé.

Quell'immagine di dea, come una statua gloriosa,

la consegnava ad un immortalità precoce,

così tutta la natura prese a ruotare intorno a lei.

Come una lancia infissa nel cuore della terra per

segnare lo scorrere del tempo lei era assisa su quel

cippo di pietra, ossa di terra e sangue pulsante in

mezzo al respiro dell'aria e al suono del vento.

Era stata felice un tempo su quelle candide rive,

era stata fiore e farfalla, aveva assaporato

l'inebriante polline dei rossi papaveri

s'era librata nello zefiro caldo del tramonto

fino a mutare in lucciola e vagare nel tepore

di notti insonni.

 

Era stata colibrì e falco, ape e muschio grigio

abbarbicato ai greppi lungo le anse di quel

fiume gorgogliante.

Ricordava ancora quando vestita di rugiada

scivolava sulle lucide e tumide foglie, quando

si scioglieva come neve sui prati puntellati di

bucaneve.Era stata vento tra i rami nodosi degli

ulivi, e coccinella sui bianchi petali di achillee

impettite.

Quando il sole d'agosto riposava sulle

rosse spighe di grano ella si incuneava

tra di loro simile al soffio vespertino, poi

come pesci agili d'argento guizzava tra

le anse del fiume e si inabissava fino al

greto per mormorare tenere parole alle

pietre del fondo.

Saliva fino a vertiginose altezze con le

sue ali cangianti, disegnava colonne di

ametista nel cielo radioso e con le nubi

dal bianco manto tesseva zucchero filato.

Ora era li, ferma sul suo cippo a guardare

il mondo mutare ancora una volta.

 

 

Una lacrima le scorreva sul viso e subito

un'altra era pronta a seguirne il flusso.

Gocce di rugiada sui greppi delle ciglia

illuminavano gli occhi di un azzurro cinereo.

Quando cadevano a terra,sposando il suolo

scuro, foglie di acanto germogliavano d'incanto.

Da lontano si udiva l'eco di tuoni giungere di

la dai monti, su antiche vette innevate il

vento si inerpicava e ne scendeva

gelido come il fiato di un fantasma.

I suoi piedi presero a mutare forma e

sostanza, prima tralci di siepe come radici

multiformi abbracciarono la pietra dove

era assisa da tempo, poi i virgulti nati dalla

sua carne divennero legno .

Ampie striature verdastre si colorarono

di linfa e sangue , poi la corteccia dura

inaridì e alla fine pietrificò nel lucido

scintillare del quarzo .

Le sue lacrime ora erano perle d'elettro,

le sue labbra un tempo come un fico spezzato

scurirono come morse dal gelo e finanche

la sua pelle sbiadì come se alla neve

dell'incarnato fosse sottratta l'intima cella

della sua vita.

 

(clicca sul video e continua )

Le braccia lungo i fianchi sembrarono

flettersi come giunchi per arrivare alla

terra, per sentire ancora il calore che ad

essa la legava, per ascoltare il cuore della

foresta parlargli teneramente, carezzarle i

capelli accompagnandola nelle triste stanze

del suo eremo.

Nelle orecchie il suono di mille violini,

negli occhi miriadi di farfalle azzurre

come le stelle del firmamento la

traghettarono alla fine del suo tempo.

Un brezza secca si levò da tergo e un

mulinello di foglie gialle e rosse le danzò

intorno poi lentamente anche il vento

cessò e le foglie caddero a terra

rinsecchite. Un leggero drappo di

neve iniziò a cadere come coriandoli

nel silenzio di una natura che le diceva

addio.

 

 

La luce del giorno fu solo un ricordo e

la notte scese ad ammantare ogni cosa.

Gli alberi smisero di ondeggiare, gli

animali si rinserrarono spaventati nelle

loro tane, le acque fermarono il loro corso,

tutto cessò di vivere per un istante mentre

la statua di lei imbiancava sotto un

mantello di neve, rilucendo sotto la

bianca folgore di luna .

Quando tutto si arrestò un tuono si

fece strada tra le colonne del tempo

e un fulmine squarciò le tenebre

rischiarando il bosco di una luce vermiglia.

Le acque del fiume che erano rimaste

ferme come uno stagno d'argento si incendiò

di riflessi turchesi e presero a scorrere come

se solo adesso sorgesse dal loro fondo la

sorgente e la fonte svanita , poi l'abbrivio

divenne corsa e infine rullìo di cascata.

 

 

Turbini fragorosi tra le linfe e i sassi

smorti e un biancheggiare gorgogliante

che tutto trascinò via. Gli animali uscirono

dalle loro tane, i lupi si radunarono sulle

alture e le rocce affioranti i pendii per

ululare alla luna il loro ritrovato coraggio.

Anche il vento rinacque da ostro fino a

garbino per cantare lode alla Signora delle

acque, alla ninfa del bosco, alla dea

candida delle rocce .

Sui rami delle querce si ritrovarono

stormi di capinere e fringuelli dal becco

rosa, tra gli ilici ombrosi il canto degli

usignoli resero più gentile il fischio del

vento che come uno sciacallo urlava tra

i buchi e i nodi delle ceratonie con i frutti

che scampanellavano ad ogni sussulto.

Quando tutto sembrò prendere vita, la coltre

di ghiaccio che ricopriva la statua scricchiolò,

il bianco ghiaccio prese vita colorandosi

di un oltremare che sfumava in mille riflessi

luminosi.

Poi accadde ... un fulmine balenò nel cielo

come una sottile arteria pulsante e dopo

aver attraversato tutta la volta celeste si

infisse ai piedi della statua avvolgendola

di un rosso fulgore di fiamme.

Ancora una volta tutto si arrestò, finanche

le biglie della memoria congelarono

l'attimo e le sabbie del tempo sfumarono

le gialle terre di un ricordo andato.

L'alba giunse su un carro trainato

da bianchi leoni dalle nere criniere,

fosche pennellate pervinca striarono il

cielo agonizzante, le cime degli alberi

furono irradiate dalla sua luce e presero

a vibrare come scosse da un fremito

d'ansia.

 

 

La stessa terra si ritrasse percorsa da un

energia invisibile e le acque del fiume si

condensarono in miliardi di gocce che

come pioggia si librò nell'aria risalendo

al cielo.

Quando tutto passò il giorno era rinato

e il sole si affacciò timido sulle cime

dei monti carezzando i verdi prati e le

grandi distese di mangrovie, i canneti

tornarono ad ondeggiare dolcemente

tra le acque placide e i pesci a guizzare

tra i corsi del fiume, timidi pettirossi

zampettavano curiosi tra il fogliame

e gli stecchi dei peschi in fiore e i

tordi picchiettavano sulle pietre come

a romperne il guscio . Il ronzio delle

api si fece rombo di tuono e le

cascate tintinnarono nello spumeggiare

delle acque , gli gnomi si destarono

dai loro giacigli e tornarono ai

campi mentre folletti dispettosi

presero a rincorrersi e giocare tra le

fronde di alberi millenari.

Nel cuore della foresta restava un

grande masso di pietra bianca, lì sul

ciglio del fiume come un altare nel cuore

di un tempio, un piedistallo orfano

della sua colonna infisso nella terra a

ricordare che la Fata del Bosco era rinata,

che l'alito della sua anima era ancora

sopra le creature della foresta, che lo spirito

delle sue grazie avrebbe ancora infuso

gioia e speranza in tutti i loro cuori

fino a quando l'ultimo di loro l'avrebbe

tenuta viva nel ricordo.

 

 

Marvelius

 

 

 

 
 
 
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