LA LEZIONE DEL LUGLIO 1960

Post n°40 pubblicato il 05 Luglio 2010 da ivanfi

Ricorre in questi giorni il 50° anniversario dell'eroica Rivolta antifascista e anticapitalista del Luglio '60 contro il governo fascista Tambroni. Un avvenimento storico che rappresentò per molti aspetti una continuazione della gloriosa Resistenza e anticipò e preparò la Grande Rivolta giovanile e operaia del Sessantotto e quella del Settantasette, e come questi merita di essere ricordata e onorata per sempre e costituire una perenne fonte di ispirazione e di insegnamento per le nuove generazioni di antifascisti e anticapitalisti.
La Rivolta del Luglio '60 fu una rivolta di massa antifascista, perché fu la risposta di massa alla provocazione del governo fascista e golpista Tambroni, da poco costituito dalla DC con l'appoggio del MSI, e che aveva concesso al ricostituito partito fascista di Michelini e del boia Almirante di tenere il suo VI congresso nazionale a Genova, città spiccatamente operaia e antifascista e medaglia d'oro della Resistenza. Ma fu anche una rivolta giovanile e di classe dai forti connotati anticapitalisti, perché vide scendere in campo la classe operaia allora in forte ascesa, non solo quella che aveva sofferto il fascismo e aveva fatto la Resistenza, ma anche le nuove generazioni di lavoratori adolescenti o appena ventenni, gli eroici giovani delle "magliette a strisce", che si affacciavano allora sulla scena e che erano troppo giovani per aver partecipato attivamente al movimento partigiano, ma che tuttavia avevano assorbito lo spirito liberatorio, antifascista e di classe di quella straordinaria e ancora recente epopea.
Fu anche una Rivolta di piazza spontanea, che cominciò il 30 giugno con un grande sciopero spontaneo a Genova per impedire il congresso fascista, che poi si trasformò in una fiera battaglia di tutta la città contro i reparti più feroci e addestrati della famigerata "celere" creata dall'allora ministro dell'Interno Scelba, che il governo aveva scatenato a freddo contro i manifestanti per stroncare sul nascere ogni protesta contro l'infame provocazione fascista. Dando invece con ciò il via ad una catena di scioperi, manifestazioni e scontri di piazza che si estesero in tutto il Paese fino alla lontana Sicilia, e che durarono ininterrottamente fino al 19 luglio, con la caduta del governo Tambroni.

Il sangue versato dagli antifascisti
Molto fu il sangue versato dal popolo e in particolare dai giovani in questa eroica lotta che il governo diede ordine di reprimere senza pietà, facendo anche sparare ad altezza d'uomo. I feriti e gli arrestati si contarono a centinaia, e ci furono anche dieci caduti sotto il piombo dei poliziotti assassini: il primo, Vincenzo Napoli, un giovane operaio di 25 anni, viene ucciso il 5 luglio a Licata (Agrigento). Il 7 luglio tocca a Reggio Emilia pagare il contributo di sangue più alto, con l'uccisione di 5 manifestanti: Lauro Farioli, 22 anni; Marino Serri, 41 anni, operaio ed ex partigiano; Ovidio Franchi, 19 anni, operaio; Emilio Reverberi, 39 anni, operaio ed ex partigiano; Afro Tondelli, 36 anni, operaio ed ex partigiano. Il giorno dopo cadono a Palermo Andrea Gangitano, 19 anni, operaio edile, Francesco Vella, 42 anni, e Rosa La Barbera, 54 anni. Lo stesso giorno, a Catania, la polizia fascista uccide Salvatore Novembre, operaio disoccupato di 22 anni e ferisce altri sei manifestanti. I nomi di questi martiri rimarranno impressi per sempre nella memoria della classe operaia e di tutti gli antifascisti italiani.
Con la caduta di Tambroni la classe dominante borghese capisce che la via della restaurazione diretta del fascismo in Italia per reprimere l'ascesa del movimento operaio è preclusa e quindi cambierà strategia aprendo al PSI e ai governi di "centro-sinistra". La stessa strategia che userà in seguito col PCI revisionista, che dopo il '56, con l'adesione alla "destalinizzazione" kruscioviana e l'abbandono di ogni prospettiva rivoluzionaria, per scegliere la "via italiana al socialismo" e le "riforme di struttura", aveva già cominciato il lungo processo che lo porterà fino alla sua dissoluzione e alla piena integrazione nel sistema capitalistico del superstite gruppo dirigente di formazione togliattiana.
Il PCI revisionista di Togliatti, infatti, non promosse né guidò la Rivolta del Luglio '60, così come farà nel Sessantotto e nel Settantasette, ma cercò semmai di cavalcarla e di metterle le briglie, come aveva già fatto con l'insurrezione del 1948, adoperandosi per spengerla e accontentandosi di capitalizzarla elettoralmente nell'ambito della allora sua strategia socialdemocratica di graduale avvicinamento legale al governo borghese. Ben diversi avrebbero potuto essere invece gli sviluppi rivoluzionari di quella lotta di massa, che aveva riacceso improvvisamente il fuoco della Resistenza che covava ancora sotto la cenere, se alla sua testa vi fosse stato allora un autentico partito proletario e marxista-leninista.

Riscoprire e recuperare quello spirito di lotta
In seguito i rinnegati e liberali della "sinistra" borghese hanno cercato di rimuovere questo grande e rosso avvenimento storico dalla memoria del proletariato e delle nuove generazioni, così come hanno fatto col '68 e il '77. Al massimo, come per la Resistenza, hanno cercato di ridurlo artificiosamente a un episodio del lungo processo di "democratizzazione" del Paese, che a loro dire oggi sarebbe finalmente compiuto dopo la caduta dei "muri" e degli "steccati ideologici". Ma non è così. Il suo valore antifascista e anticapitalista non può essere cancellato o mistificato. Esso è stato di esempio e fonte di ispirazione per la grande stagione rivoluzionaria del '68-69 e del '77, e ancora oggi ha molto da dire e da insegnare alle nuove generazioni operaie e studentesche che si affacciano alle lotte sociali e politiche.
Oggi che il fascismo è stato restaurato in Italia sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli dalla classe dominante borghese in camicia nera, e che il neoduce Berlusconi sta smantellando ad una ad una le stesse libertà e istituzioni democratico-borghesi e massacrando le masse con una macelleria sociale senza precedenti, c'è bisogno più che mai di riscoprire e recuperare lo spirito di sacrificio e di unità, l'indomita volontà di lotta, il coraggio di osare pensare, osare parlare e osare ribellarsi contro i reazionari, fino ad abbattere il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista, piduista, razzista, mafioso e antioperaio, che ebbero i giovani delle "magliette a strisce" del Luglio '60 nell'affrontare ed abbattere il governo fascista e assassino di Tambroni.
Quella battaglia fu vinta non nelle aule parlamentari ma nelle piazze, con la lotta di massa di milioni di lavoratori e giovani antifascisti che si mobilitarono e scesero in campo uniti per sbarrare la strada al ritorno al potere della canaglia fascista. È questa la sola opposizione che il nuovo Mussolini teme veramente e che può sbalzarlo di sella, non certo quella di cartone della sempre più suonata e arrendevole "sinistra" parlamentare, che si accontenta di strappare qualche miserevole "riduzione del danno" mentre costui moltiplica le leggi liberticide e ad personam, assoggetta la stampa e la magistratura, devasta la scuola, la sanità e i servizi sociali, attacca i diritti sindacali per riportarli indietro di cinquant'anni come chiedono Marchionne e la Confindustria, e invoca il presidenzialismo per sancire anche legalmente i pieni poteri mussoliniani che già esercita di fatto.
Questo è l'insegnamento che i combattenti e i martiri antifascisti del Luglio '60 ci hanno consegnato: con la lotta di massa e di piazza è possibile abbattere un governo fascista, ieri quello di Tambroni come oggi quello di Berlusconi.

 
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Sei Fiorentino se.....

Post n°39 pubblicato il 12 Maggio 2010 da ivanfi

se.. ti scappa detto un: 'maremma maiala!' (ma anche un “moccolo”) anche quando non dovresti..

se.. hai sempre la battuta pronta..

se..sei stanco della 'coha hola con la hannuccia horta horta'..

se..mangi i crostini neri fatti con i fegatelli..

se.. quando qualcuno si comporta da "coglione" gli dai del "bischero"

se.. oltre alla C strascicata, basta muoversi di qualche chilometro per sentire l'accento che cambia

se.. riesci a sdrammatizzare tutte le peggio situazioni con una battuta..

se.. alla fiera mangi i brigidini.

se.. a Natale mangi cantuccini e li inzuppi nel vin santo..

se.. pensi:  noi in toscana abbiamo tutto: mare montagne colline pianure (maremma) arte

se.. sai che dal rinascimento in poi abbiamo insegnato al mondo a vivere: arte, cultura, cibo e prese per i "fondelli" soprattutto per i potenti.

se.. ti senti orgoglioso del tuo accento, anche quando ti prendono in giro..

se.. pensi 'eh, ma noi si!!! Noi parliamo l'italiano, l'italiano puro!!!

se.. sai che tra livornesi e pisani c'è l'odio..

se.. tutti ti fanno i complimenti per l'accento..

se.. dici A ME MI..

se..ti vanti di esser della stessa regione di Dante, Leonardo,Giotto,Masaccio,Vasari,Michelangelo,

 Boccaccio,Macchiavelli,Vasari,ecc.

se.. quando ti dicono 'Voi toscani non avete un dialetto', tu rispondi in vernacolo stretto e loro 'un'intendano nulla !!

se.. quando ti imitano nel modo di parlare, rispondi con un sorriso: 'E un ti riesce, 'diamo, t'insegno io..'

se.. almeno una volta da piccolo sei andato al Carnevale di Viareggio. se..dici 'ma che ssei grullo?'..

se.. mangi i cenci e la schiacciata alla fiorentina

se.. esclami 'SIE!' quando qualcuno spara una cazzata..

se.. i verbi li dici a metà o li abbrevi: FO, VO, VEDE´, ANDA´, VENI´ ecc ecc..

se.. dici 'I su fratello', 'Mi mà', 'I mi babbo' o 'Mi pà', 'I mi amico'..

se.. dici 'CHETATI!' parecchio convinto invece di 'stai zitto!'..

se.. chiami la sigaretta 'CICCHINO'..

se..mangi le Pappardelle Al Sugo di Cinghiale o di Lepre,la bistecca al sangue, lampredotto e trippa accompagnati da un corposo chianti (gallo nero).

se.. sai fare sempre casino, metti allegria e sei molto accogliente con le persone..

se.. chiami 'CENCIO' lo straccio per pulire..

se..chiami 'GRANATA' la scopa..

se.. tra amici non prendi mai nulla sul serio e hai sempre voglia di scherzare..

se.. quando non te ne importa nulla di una cosa dici: 'MA M'IMPORTA NA' SEGA'..

se.. soprattutto sei fiero di esserlo!!

Sei VERAMENTE FIORENTINO se tifi la squadra che rappresenta la tua magnifica citta’: LA VIOLA !!!

.....le altre icche' ci incastrano.

E se un Fiorentino dovesse andare all'inferno, sarebbe solo pe' farci una pisciatina

 

 

 
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Mafia e politica...

Post n°38 pubblicato il 19 Febbraio 2010 da ivanfi

"Nel 1994, l'ingegner Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, mi fece avere tramite il suo entourage una lettera destinata a Dell'Utri e Berlusconi. Io la portai subito a mio padre, che all'epoca era in carcere: lui mi disse che con quella lettera si voleva richiamare Berlusconi e Dell'Utri, perché ritornassero nei ranghi. Mio padre mi diceva che il partito di Forza Italia era nato grazie alla trattativa e che Berlusconi era il frutto di tutti questi accordi".
È il passaggio chiave delle nuove rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio del defunto mafioso sindaco di Palermo Vito, ascoltato l'8 febbraio in qualità di testimone al processo in corso nell'aula bunker di Palermo che vede l'ex generale del Ros ed ex capo dei servizi segreti Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu imputati di favoreggiamento aggravato di "Cosa Nostra" per la mancata cattura nell'ottobre del 1995 a Mezzojuso, provincia di Palermo, del capomafia Bernardo Provenzano e per aver coperto la sua latitanza.
Rispondendo alle domande dei Pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, Ciancimino junior ha chiarito i retroscena che hanno caratterizzato la stesura della famigerata lettera di minacce scritta da suo padre sulla base di un "pizzino" di Provenzano, indirizzata a Dell'Utri e, per conoscenza, al presidente del Consiglio Berlusconi.
La lettera, consegnata da Ciancimino ai giudici che l'hanno acquisita agli atti, fu inviata ai destinatari attraverso il "signor Franco", l'agente dei servizi segreti che secondo Ciancimino junior era in contatto con il padre e con Provenzano. Nella prima bozza scritta da Provenzano, il boss di "Cosa Nostra" minacciava un "triste evento", e cioé l'omicidio di uno dei figli di Berlusconi. Mentre nella versione definitiva scritta da Ciancimino l'ex sindaco mafioso di Palermo la trasformò in un avvertimento ancora più inquietante intimando di rivelare l'origine mafiosa di Forza Italia, frutto della trattativa fra mafia e Stato, e i lauti finanziamenti di "Cosa Nostra" ai cantieri di Berlusconi per la costruzione di Milano 2.
"Vidi per la prima volta quel pizzino consegnatomi da Provenzano nel 1994, lo portai a mio padre detenuto a Rebibbia e glielo lessi - ha riferito Ciancimino junior - Lui poi scrisse la lettera. E mi disse di avere avuto l'idea di scrivere a Berlusconi dopo un'intervista che aveva rilasciato a Repubblica nel 1977 in cui diceva che avrebbe messo a disposizione una rete televisiva di un amico se fosse sceso in campo in politica". Ciancimino jr. spiega che: "Il ruolo di mio padre era quello di richiamare il partito (Forza Italia, ndr.) a tornare un poco sui suoi passi e di non andare fuori dai ranghi, Berlusconi era il frutto di questi accordi".
Del "pizzino", che Ciancimino junior ha consegnato nei mesi scorsi ai magistrati di Palermo: "È rimasta solo una parte. Eppure, fino a pochi giorni prima della perquisizione fatta dai carabinieri nel 2005 a casa mia, nell'ambito di un'altra indagine, il documento era intero. Ne sono sicuro. Non so cosa sia successo dopo".
In riferimento a quella "strana" perquisizione del 2005 Ciancimino non ha esitato a ribadire lo strano comportamento dei carabinieri che non hanno aperto la cassaforte di casa sua, all'Addaura, ma anche quella, "ancora più grande", della sua casa di Roma. "Nessuno dei carabinieri presenti - ha riferito Ciancimino - chiese di aprire la cassaforte, che era ben visibile nella stanza di mio figlio. I carabinieri e qualcun altro sapevano che in quella cassaforte c'erano il papello e altri documenti".
Nello stralcio della bozza scritta da Provenzano si legge testualmente: "... posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive". Secondo quanto riferito da Ciancimino: "Provenzano voleva una sorta di consulenza da parte di mio padre: questo concetto di mettere a disposizione le reti televisive l'aveva suggerito proprio lui a Provenzano, qualche tempo prima. Mio padre si ricordava di quando Berlusconi aveva rilasciato un'intervista al quotidiano Repubblica. Diceva che se un suo amico fosse sceso in politica lui non avrebbe avuto problemi a mettere a disposizione una delle sue reti".
Vito Ciancimino ha poi rielaborato il pizzino di Provenzano e "io fui incaricato di riportarla a Provenzano. Poi non so che fine abbia fatto e se sia stata consegnata".
La missiva definitiva ha un passaggio in più rispetto al documento sequestrato nel 2005. Nel finale, le minacce contro i figli di Berlusconi sono sostituite col seguente avvertimento: "Se passa molto tempo e non sarò indiziato del reato di ingiuria sarò costretto ad uscire dal mio riserbo che dura da anni e convocherò una conferenza stampa".
In aula, quando il Pubblico ministero Nino Di Matteo ha chiesto a Ciancimino junior: "Cosa suo padre minacciava di svelare?". Egli ha aggiunto: "mio padre minacciava di svelare l'origine della coalizione che aveva portato in politica Silvio Berlusconi". Chiede ancora il Pm: "A quando risaliva la bozza?". Ciancimino: "Il 1994-1995". Ossia, proprio il periodo della discesa in campo di Berlusconi.
Insomma, secondo la ricostruzione della Procura effettuata anche grazie alle rivelazioni di Ciancimino, la trattativa fra mafia e Stato condotta durante le stragi del 1992-1993 ha avuto un lungo seguito, una "terza fase" in cui: "A Vito Ciancimino, nel rapporto con 'Cosa Nostra', si sarebbe sostituito Marcello Dell'Utri". Circostanza confermata da Ciancimino junior che durante l'interrogatorio ha aggiunto: "Mio padre mi disse che fra il 2001 e il 2002 Provenzano aveva riparlato con Dell'Utri".
Rabbiosa e prevedibile la levata di scudi della maggioranza in camicia nera con alla testa il ministro Alfano secondo cui: "Forza Italia ha emozionato milioni di persone, mai avuti contatti con la mafia".
Sciagurato, pericoloso e inaccettabile l'atteggiamento dell'"opposizione" di cartone e in particolare del segretario del PD Bersani che ha balbettato: "Lasciamo lavorare i magistrati"; mentre "l'antiberlusconiano" segretario dell'Udc Casini è subito rientrato nei ranghi a difesa del neoduce mafioso precisando fra l'altro che: "In questi 15 anni più volte la politica mi ha diviso da Berlusconi e più volte ho polemizzato con lui, come sanno tutti. Ritenere però che Forza Italia sia prodotto della mafia significa offendere milioni di elettori, e falsificare profondamente la realtà. Non ha futuro un Paese in cui la politica si fa usando queste armi".

 
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H1N1

Post n°37 pubblicato il 10 Novembre 2009 da ivanfi

Quello basato sulla paura di una pandemia mortale di influenza è un business da miliardi di dollari. Protagonista assoluta del grande affare è Big Pharma, l'insieme dei grandi colossi farmaceutici, "chiamata" in fretta e furia a preparare "l'antidoto" per il virus H1N1. Nonostante le evidenze cliniche ed epidemiologiche stiano mostrando che il ceppo virale incriminato (A/California/7/2009) è responsabile di una normale influenza, molto contagiosa ma poco pericolosa nei soggetti in buona salute, i governi, sollecitati dagli allarmi a ripetizione lanciati dell'Oms, si apprestano a mettere in atto la più grande vaccinazione di massa che la storia ricordi.
I monopoli farmaceutici stanno rastrellando denaro pubblico a palate in tutto il mondo: ogni singola dose di vaccino costa una decina di euro, ma è il volume delle vendite a fare massa. Una delle maggiori banche d'investimento mondiali, J.P. Morgan dell'impero dei Rockefeller, nell'agosto scorso, aveva calcolato che i governi dei vari paesi hanno prenotato, presso le 3-4 aziende in grado di produrre il vaccino su larga scala, almeno 600 milioni di dosi, per un controvalore di 3 miliardi di euro, circa 4,3 miliardi di dollari. La sola Francia, con un ordine per 94 milioni di dosi ha staccato ai produttori un assegno da 1 miliardo di euro.
All'inizio di novembre ai 600 milioni complessivi di dosi già prenotate se ne sommeranno altri 350 milioni, per un'ulteriore fattura di oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, più di 1,8 miliardi di euro. Sebbene dunque il miliardo di dosi prenotate, o in via di prenotazione, è insufficiente a coprire una popolazione mondiale che sfiora i 7 miliardi di persone questa cifra è anche, più o meno, il massimo che gli impianti attuali possano produrre, sotto forma di fiale da iniettare (in Europa) o di spray nasale (negli Usa). In poche parole ad operazione completata non ci saranno rimanenze di magazzino come è accaduto spesso con le passate campagne vaccinali per epidemie stagionali.

Le multinazionali coinvolte
Se ai vaccini si aggiungono le medicine (per lo più inefficaci) il "rischio pandemia suina" vale un profitto di circa 10 miliardi di dollari. A spartirsi questo denaro è un ristretto gruppo di giganti dell'industria farmaceutica: GlaxoSmithKline, Sanofi Aventis, Novartis, Astra Zeneca, poiché Big Pharma domina anche il mercato degli antivirali. Anzitutto con il Tamiflu della Roche. E poi con il Relenza, ancora di GlazoSmithKline. Sempre secondo J.P. Morgan, Tamiflu e Relenza porteranno, rispettivamente a Roche e Glaxo, vendite per 1,8 miliardi di dollari nei "paesi ricchi", più 1,2 miliardi di dollari nei "paesi in via di sviluppo". Complessivamente, altri 3 miliardi di dollari, oltre 2 miliardi di euro. Cifre sottostimate in quanto alla fine di settembre la britannica GlaxoSmithKline aveva venduto già 440 milioni di vaccini per un totale di 3,5 miliardi di dollari, il Tamiflu della Roche aveva già fatturato (nel 2009) 2,7 miliardi di dollari e nel terzo trimestre le vendite si sono decuplicate. La rivista Altroconsumo il 30 luglio 2009 ha denunciato che in Italia 14 farmacie su 20 da loro visitate, hanno venduto l'antivirale Tamiflu senza ricetta medica, pur essendo obbligatoria e ricordiamo una confezione costa la "modica" cifra di 36,80 euro! Non solo, per accontentare anche le persone che non vogliono o non possono muoversi da casa, offrono la primizia della Roche da 64 a 127 euro a scatola.

Diversificare il profitto
Non si fa peccato quindi a pensare che l'operazione vaccinazione da H1N1 nasconde gli interessi delle lobby del farmaco, che hanno fretta di gonfiare gli utili per azione 2009 e le quotazioni in borsa. L'indice Dj Eurostoxx Healthcare, che riunisce una trentina di azioni delle principali società europee operanti nel campo dei prodotti farmaceutici, ha registrato una performance positiva di oltre il 4%, mentre l'indice Eurostoxx 50 è salito del 9% circa nello stesso arco di tempo (elaborazioni Morningstar Direct).
Per quanto riguarda l'intreccio di interessi nel regime neofascista italiano basta dire che Enrica Giorgetti, moglie dell'attuale ministro del Welfare Maurizio Sacconi, è Direttore Generale di Farmindustria, che riunisce le 200 aziende del settore più influenti (fonte, sito ufficiale di Farmindustria).
E sarebbe stata proprio la crisi economica a spingere i monopoli farmaceutici a diversificare le fonti di profitto. Alle pressioni per l'immissione in commercio di "nuovi" e più costosi farmaci per vecchie e nuove "malattie", come la "sindrome da iperattività e deficit di attenzione dei bambini (Adhd)" da curare con potenti psicofarmaci come il Ritalin, si affiancano i vaccini. Cinque anni fa, nell'inverno 2004-2005, negli Usa non si riuscì a mettere insieme le dosi previste di vaccino contro l'influenza ordinaria, prodotte da due aziende relativamente piccole: Aventis Pasteur e Chiron. Big Pharma infatti si teneva per lo più lontana da un settore che appariva poco promettente cosicché nel 2004 le vendite complessive di vaccini in generale - non solo per l'influenza - raggiungevano "appena" gli 8 miliardi di dollari, meno degli incassi di un singolo farmaco fra i più diffusi. Poi è cambiato qualcosa, alcune aziende hanno scoperto che anche con i vaccini, si possono fare molti soldi. La Wyeth lancia un vaccino contro lo pneumococco (84 dollari a dose), la Merck uno contro il papilloma virus, acquistato nel marzo 2008 dal governo italiano per vaccinare tutte le adolescenti tra 11 e 12 anni (130 dollari a dose, per una spesa pubblica di 70 milioni di euro). Immediatamente Big Pharma decide di monopolizzare il settore: Novartis compra Chiron, Sanofi prende possesso di Aventis Pasteur, Astra Zeneca Medimmune, Glaxo ID Biomedical, ancora Sanofi acquista la Acambis, Pfizer assorbe Wyeth per 65 miliardi di dollari.
Questo "concentramento di forze" e di capitali in Borsa ha trasformato una vaccinazione raccomandata solo per i soggetti ad alto rischio come anziani, diabetici, cardiopatici, pazienti con malattie respiratorie, neoplastiche o con deficit immunitari, in una vaccinazione di massa, al punto che già nella stagione 2006-2007, per la prima volta il CDC di Atlanta raccomandava fortemente l'antifluenzale per i bambini con età inferiore a 59 mesi.

L'ignoto vaccino
Il vaccino per l'influenza suina è ancora oggi un grande punto interrogativo: come è stato prodotto? Che sperimentazione è stata fatta? Che tipo di vaccino è? Ci sono adiuvanti tossici o cancerogeni, come lo squalene? Quali sono gli effetti collaterali? In sostanza i governi hanno acquistato e distribuiranno "il miracoloso "antidoto" a scatola chiusa, senza sapere precisamente cos'è e quali effetti avrà.
Gli scienziati della Novartis ad esempio avevano fatto sapere che, nei test di laboratorio sul virus, riescono a produrre solo il 30-50 per cento dell'antigene (l'antigene è l'elemento attivo del vaccino) che normalmente si ottiene per il virus dell'influenza ordinaria, mentre la casa farmaceutica Sanofi-Aventis aveva precisato che il vaccino non poteva essere pronto prima della fine di dicembre.
Nonostante informazioni più dettagliate siano coperte dal segreto di Stato, sappiamo infatti che il processo di fabbricazione è lungo, almeno sei mesi: una volta isolato il virus in laboratorio, le milioni di dosi di vaccino vanno coltivate in altrettanti milioni di uova di gallina, per un periodo di 4-6 mesi, poi va fatta la sperimentazione clinica che prevede numerose fasi. L'emergenza pandemia ha costretto a bruciare i tempi. Per la prima volta è stata autorizzata, come per i farmaci vagliati dalla supercorrotta Fda americana, una procedura più rapida: direttamente su una cultura di cellule, sperimentazione clinica a posteriori.
"Sulla sicurezza del vaccino non si scende a compromessi" ha detto per tranquillizzare i perplessi Keiji Fukuda, il vicedirettore generale dell'Organizzazione maondiale della sanità (Oms), ma secondo il quotidiano britannico "The Guardian", per assicurare le centinaia di milioni di dosi entro l'autunno, l'EMEA (l'ente europeo dei farmaci) ha permesso alle società produttrici di scavalcare la fase dei test su larga scala sugli uomini.

Il ruolo dell'Oms
In questa truffa mondiale anche l'Oms ha avuto un ruolo importante. Dall'11 giugno scorso ha dichiarato il "livello 6", il massimo dell'allerta. Addirittura il portavoce ufficiale dell'Oms, Gregory Hartl, ha dichiarato ultimamente in una conferenza stampa, che la nuova influenza si è "diffusa in quasi il 100% dei paesi". Gli effetti secondari non sono irrilevanti. In caso di pandemia infatti le linee guida dell'Oms hanno un carattere vincolante su tutti i 194 paesi aderenti e l'Organizzazione sovranazionale (ormai gestita dalle lobby del farmaco), può legittimamente "costringere" i propri "sudditi" a farsi vaccinare, a limitare gli spostamenti e imporre quarantene.
Ogni governo sta decidendo come rispondere agli allarmi dell'Oms ma quel che è certo è che paesi come Inghilterra, Francia e Australia hanno già dichiarato l'intenzione di voler vaccinare (forse obbligatoriamente) l'intera popolazione, mentre gli Stati Uniti d'America almeno il 50% (cioè 160 milioni). Addirittura l'esercito svizzero sta facendo incetta di vaccini (16 milioni di dosi che provengono da USA, Germania e Spagna) in vista di una vaccinazione di massa forzata della popolazione. (fonte, "Blaser Zeitung"). Il governo italiano ha ordinato 48 milioni di dosi di vaccino, la metà a Sanofi (con sede a L'Aquila dove ha finanziato la realizzazione di un villaggio con 100 case in legno nel comune di Scoppito) e l'altra a Novartis. Le clausole di questi contratti con i colossi farmaceutici non sono state rese note dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, ma è trapelato che prevedano ad esempio che le eventuali cause per risarcimento danni siano pagate con soldi pubblici, scaricando completamente da ogni responsabilità i produttori.

Terrorismo mediatico
Anche i media sono controllati dalle grandi multinazionali? Certo è che il terrorismo mediatico in atto ha contribuito non poco all'effetto psicosi che sta dilagando in diverse parti del globo. Ecco un articolo illuminante, tra i mille spazzatura che circolano in questi mesi: "L'influenza partita dal Messico potrebbe compromettere anche lo stato economico di molte nazioni. Oltremanica, ad esempio, gli economisti dell'Oxford Economics (centro di analisi economico-finanziaria del Regno Unito) hanno preventivato che un'epidemia potrebbe mandare in fumo una fetta pari al 5% del Pil del Paese. Secondo gli analisti di Credit Suisse, si legge in una nota, 'è difficile ipotizzare quale potrebbe essere la reazione delle Borse'". Risultato: a metà luglio in Gran Bretagna il nuovo sito web National Flu Pandemic Service è saltato a pochi minuti dall'inaugurazione, bombardato da 1.600 contatti al secondo.
Anche in Italia questo vaccino si doveva acquistare a tutti i costi, con l'autunno bisognava tenere l'attenzione alta, focalizzare l'attenzione, allarmare. Ed ecco che arriva il primo decesso italiano. Che poi viveva a Buenos Aires da almeno 15 anni poco importa. Poi la recente sequenza di decessi a Napoli e in Campania, 9 morti su un totale di 18 a livello nazionale al momento in cui scriviamo, nella stragrande maggioranza già in condizioni di salute gravi o gravissime.
Sull'onda della paura, la corsa alla vaccinazione è cominciata, l'ospedale per le malattie infettive Cotugno di Napoli è assediato ogni giorno dalle mamme con i bambini in braccio, come ai tempi del colera, al Cardarelli e al Santo Bono prevedono una rapida saturazione anche dei posti in barella. Molte scuole sull'onda del panico sono chiuse.
Sembra proprio che si voglia dimostrare che siamo in presenza di una epidemia letale. Ma i numeri confrontati con le precedenti epidemie dicono il contrario. Per quanto riguarda il caso Napoli se ci soffermiamo a ragionare ci appare evidente che le condizioni di salute generali e del sistema immunitario dei soggetti, insieme ai fattori climatici, al sovraffollamento, alla densità abitativa ed alle condizioni igienico-sanitarie, sono determinanti non solo perché avvenga l'infezione, per la durata e l'intensità dei sintomi, ma anche e soprattutto delle complicanze, in prevalenza polmonari. Perché allora il "picco" di mortalità che i mass-media stanno registrando nel capoluogo partenopeo non dovrebbe essere lo specchio delle condizioni di vita della popolazione, soprattutto delle cosiddette fasce a rischio, e della disastrosa condizione delle strutture ospedaliere? Napoli non assomiglia molto da vicino a città del Messico, persino per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico?
Vista poi la confusione che regna assoluta nello stesso personale sanitario e visto lo stato pietoso dei servizi di epidemiologia e prevenzione c'è da chiedersi: chi controllerà che la popolazione non faccia confusione tra il vaccino per l'influenza stagionale, che contiene tra l'altro anche un diverso ceppo di H1N1 (california brisbane 2007), e il vaccino per l'influenza porcina?
Se a Napoli la pandemia è in atto, come può il vaccino avere un effetto preventivo, se è noto che la formazione degli anticorpi specifici richiede alcune settimane di tempo e dunque è possibile essere infettati appena prima della vaccinazione e ammalarsi con il ceppo che dovrebbe essere prevenuto dal vaccino? Nel caso della somministrazione di due vaccini a breve distanza di tempo, evenienza molto probabile e mai verificatasi su scala di massa in passato, chi controllerà gli effetti a breve, medio e lungo termine di un simile bombardamento antigenico? Il direttore generale del Cotugno, Antonio Giordano, appena qualche giorno fa affermava: "Cominceremo a vaccinare i soggetti delle categorie a rischio. Studieremo le risposte anticorpali positive. Non abbiamo esperienze precedenti in merito. Non sappiamo nemmeno se si devono fare una o due dosi. Lo scopriremo nelle prossime settimane" (sic!). E infine: Come fa il ministero del "Welfare" Sacconi a dire che: "La vaccinazione ai bambini e alle donne incinte è fortemente raccomandata" quando appena pochi giorni prima il viceministro con delega alla Salute Ferruccio Fazio aveva affermato: "L'influenza è più mite del previsto. Ha effetti simili a quelli dei malanni stagionali"?

Un precedente dimenticato
La storia, quando di mezzo c'è un sistema corrotto fino al midollo e uomini senza scrupoli, tende a ripetersi... Facciamo un salto indietro e andiamo nel febbraio 1976, ed esattamente negli Stati Uniti d'America. Le televisioni dell'epoca mandavano in onda continuamente spot pubblicitari per terrorizzare gli americani e convincerli a farsi vaccinare contro... l'influenza suina! Avete letto bene: influenza suina. Fu il presidente Gerald Ford ad imporre il vaccino, dopo che l'epidemia colpì la base militare di Fort Dix nel New Jersey uccidendo 19 militari. Non è stato detto che molto probabilmente la vera causa di quei morti è da imputare ai numerosi vaccini che i soldati sono tenuti a fare... Nella rivista britannica "Time" del 27 aprile 2009, si può leggere in che modo il vaccino del 1976 provocò dozzine di morti e gravi effetti collaterali come la Sindrome di Guillan-Barré (progressiva paralisi agli arti): ci furono più morti (oltre 30) per colpa del vaccino che per il virus dell'influenza suina.
Oggi, a distanza di ventitre anni, la storia si sta ripentendo: i media trasmettono spot terroristici, i responsabili della salute pubblica creano paura e spingono alle vaccinazioni di massa, Big Pharma si frega le mani... Ecco perché in America, oltre 3.000 persone si sono offerte di fare da cavia per testare i vaccini, a fronte di 2.800 soggetti richiesti dalla multinazionale che li sta producendo (fonte, Ansa, "Il Sole 24 Ore" 29 luglio 2009).
Cosa possiamo fare subito per fermare questo scempio? Anzitutto, a cominciare dal nostro Paese, batterci per nazionalizzare e rendere pubbliche tutte le case farmaceutiche per strapparle per sempre alla logica del massimo profitto. E inoltre sciogliere e ricostruire su basi nuove gli organismi internazionali come l'Oms, ormai asservita ai monopoli della globalizzazione imperialista. Nell'immediato rivendichiamo che a ciascuno sia garantito il diritto a un'adeguata e scientifica informazione sull'influenza e sul vaccino.

 
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Stato e mafia

Post n°36 pubblicato il 17 Ottobre 2009 da ivanfi

Dietro il criminale traffico di rifiuti tossici su cui ha riacceso i riflettori l'inchiesta del procuratore di Paola, Bruno Giordano, si cela una vera e propria associazione a delinquere di stampo mafioso che coinvolge i massimi vertici politici e istituzionali dello Stato e dei servizi segreti, il sancta sanctorum della 'ndrangheta calabrese, massoni e faccendieri senza scrupoli che, a partire dalla seconda metà degli '80, in cambio di un vorticoso giro di tangenti hanno pianificato l'affondamento di "almeno una trentina di navi" cariche di veleni provenienti dagli scarti di lavorazione delle grandi fabbriche del Nord Italia smaltiti lungo le coste del Mediterraneo e della Somalia con conseguenze catastrofiche per le popolazioni e di tutto l'ambiente circostante.
Non solo. Tra le carte dell'inchiesta ci sono anche collegamenti con l'assassinio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa insieme al suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo del 1994 in Somalia, forse proprio perché aveva scoperto qualche inconfessabile verità sul colossale traffico di armi e rifiuti tossici intercorso fra l'Italia e la Somalia durante l'occupazione militare imperialista denominata "operazione ibis".

Le dichiarazioni del "pentito'' Fonti
A ribadirlo è stato l'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti che tra l'altro con le sue rivelazioni ha consentito di scoprire il 12 settembre scorso il relitto del "Cunski", nave affondata dallo stesso Fonti e da altri 'ndranghetisti con una salva di dinamite nel 1992 a 11,8 miglia nautiche al largo di Cetraro (Cosenza) esattamente nel punto indicato dal pentito. Fonti, infatti, parlando dello smaltimento di rifiuti tossici in Somalia ha detto che ciò avveniva anche attraverso l'utilizzo delle navi della compagnia Shifco. Un nome, questo, strettamente legato all'omicidio di Alpi e Hrovatin. Soprattutto perché nel suo ultimo viaggio a Bosaso la giornalista del Tg3 aveva intervistato il sultano del posto, Abdullahy Mussa Bogor, chiedendogli con insistenza notizie dettagliate proprio sulla flotta di pescherecci e di navi che si celava dietro la Shifco.
Ma non è tutto: Fonti, che attualmente non è sottoposto ad alcun regime di protezione e si trova agli arresti domiciliari, ha riferito di avere partecipato direttamente all'affondamento di tre navi nei mari calabresi, la Cunsky, che potrebbe essere quella individuata a Cetraro, la Yvonne A e la Voriais, ma di avere saputo che complessivamente le imbarcazioni fatte affondare dalla 'ndrangheta con i loro carichi di rifiuti "sono oltre una trentina".
"Era una procedura facile e abituale. Ho detto e ribadisco in totale tranquillità che sui fondali della Calabria ci sono circa 30 navi. Io ne ho affondate tre, ma ogni anno al santuario di Polsi (provincia di Reggio Calabria) si svolgeva la riunione plenaria della 'ndrangheta, dove i capi bastone riassumevano le attività svolte nei territori di loro competenza. Proprio in queste occasioni, ho sentito descrivere l'affondamento di almeno tre navi nell'area tra Scilla e Cariddi, di altre presso Tropea, di altre ancora vicino a Crotone. E non mi spingo oltre per non essere impreciso".

Il coinvolgimento dei servizi segreti
Molta precisione invece Fonti la usa quando ricostruisce il sistema che regolava la sparizione delle navi in fondo al Mediterraneo e il colossale affare dei rifiuti tossici chiamando in causa i vertici politici e istituzionali dell'epoca e i servizi segreti. "Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino. Un trentenne atletico, alto circa un metro e ottanta con i capelli castani ben pettinati all'indietro, presentatomi nella Capitale da Guido Giannettini, (l'agente del Sid coinvolto nel Golpe Borghese e nella strage di Piazza Fontana ndr) che alla fine degli anni Sessanta aveva cercato di blandirmi per strapparmi informazioni sulla gerarchia della 'ndrangheta. Funzionava così: l'agente Pino contattava a Reggio Calabria la cosca De Stefano, la quale informava il mio capo Romeo, che a sua volta mi faceva andare all'hotel Palace di Roma, in via Nazionale. Da lì telefonavo alla segreteria del Sismi dicendo: 'Sono Ciccio e devo parlare con Pino'. Poi venivo chiamato al numero dell'albergo, e avveniva l'incontro... L'agente Pino mi indicava la quantità di scorie che dovevamo far sparire e mi chiedeva se avessimo la possibilità immediata di agire... Era un ottimo affare, si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30. Soldi che venivano puntualmente versati a Lugano, presso il conto Whisky all'agenzia Aeroporto della banca Ubs, o in alcune banche di Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. Tutte operazioni che svolgevamo grazie alla consulenza segreta del banchiere Valentino Foti, con cui avevamo un cinico rapporto di reciproca convenienza".

Il ruolo del governo
Quanto ai politici che stavano alle spalle dell'agente, Pino Fonti rivela: "Mi incontrai più volte per gestire il traffico e la sparizione delle scorie pericolose con Riccardo Misasi, l'uomo forte calabrese della Democrazia cristiana, il quale ci indicava se i carichi dovessero essere affondati o seppelliti in territorio italiano o straniero. La 'ndrangheta, infatti, ha fatto colare a picco carrette del mare davanti al Kenya, alla Somalia e allo Zaire (ex Congo belga), usando capitani di nazionalità italiana o comunque europea, ed equipaggi misti con tunisini, marocchini e albanesi... la maggior parte delle navi è stata fatta sparire sui fondali dei nostri mari e non soltanto attorno alla Calabria, ma anche nel tratto davanti a La Spezia e al largo di Livorno, dove Natale Iamonte mi disse che aveva 'sistemato' un carico di scorie tossiche di un'industria farmaceutica del Nord". Non solo. Secondo Fonti, un altro politico di primo piano avrebbe avuto un ruolo nel grande affare dei rifiuti pericolosi. "Si tratta dell'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita, indicatomi a metà Ottanta da Misasi per trattare in prima persona il prezzo degli smaltimenti richiesti dallo Stato. Con De Mita ci siamo incontrati tre o quattro volte nel suo appartamento a Roma e concordammo i compensi per più smaltimenti". A lavoro finito "l'agente Pino ci segnalava la banca dove potevamo andare a riscuotere i soldi che venivano accreditati su conti del signor Michele Sità, un nome di fantasia riportato sui miei documenti falsi. Anche le auto che utilizzavo per andare a recuperare i soldi me le dava direttamente il Sismi con la mediazione dell'agente Pino. Per salvarmi la vita, in caso di minacce o aggressioni, mi sono segnato il tipo di macchine e le matricole diplomatiche che c'erano sui documenti... In un caso ho usato una Fiat Croma blindata con matricola VL 7214 A, CD-11-01; in un altro ho guidato un'Audi con matricola BG 146-791; e in un altro ancora, ho viaggiato su una Mercedes con matricola BG 454-602. Va da sé, che ci venivano assegnate auto diplomatiche perché non subivano controlli alle frontiere... Andavo, recuperavo i contanti e li consegnavo alla famiglia Romeo di San Luca, dove ricevevo la mia parte: circa il 20 per cento del totale".

I rapporti con Putin, i servizi russi e il Psi di Craxi
A tal proposito Fonti ha rivelato che: "Avevo rapporti personali" anche "con Ibno Hartomo, alto funzionario dei servizi segreti indonesiani, il quale contattava me e la 'ndrangheta per smaltire le tonnellate di rifiuti tossici a base di alluminio prodotte dall'industriale russo Oleg Kovalyov, vicino all'allora agente del Kgb Vladimir Putin". Il lavoro veniva gestito in due fasi: "Nella prima caricavamo le navi in Ucraina, a Kiev, le facevamo passare per Gibuti e le dirigevamo a Mogadiscio oppure a Bosaso. Nella seconda fase, invece, le scorie venivano affondate a poche miglia dalla costa somala o scaricate e seppellite nell'entroterra".
Le navi superavano senza problemi la sorveglianza dei militari italiani - riferisce ancora Forti - "Semplicemente perché essi si giravano dall'altra parte", in quanto "il ministro socialista Gianni De Michelis, che come ho già raccontato all'Antimafia gestiva assieme a noi le operazioni, era solito riferirci questa frase di Bettino Craxi: 'La spazzatura dev'essere buttata in Somalia, soltanto in Somalia'. Naturale che i militari, in quel clima, obbedissero senza fiatare".

Le inchieste insabbiate
Fatti e circostanze che vennero alla luce già 12 anni fa con la prima inchiesta sul traffico dei rifiuti tossici avviata dal sostituto procuratore generale della Corte d'Appello di Reggio Calabria Francesco Neri il quale già allora aveva provato a cercare i relitti, chiedendo cento milioni di lire all'allora ministro della giustizia Mancuso. Bastava poco per verificare quei punti sulla mappa del Mediterraneo, con nomi di navi, date di affondamento, numeri del registro navale. Un lavoro di indagine minuzioso, condotto dal capitano di fregata Natale De Grazia in qualità di consulente della Procura di Reggio Calabria morto misteriosamente il 12 dicembre del 1995 dopo aver bevuto un caffè (come Sindona) in autostrada all'altezza di Nocera Inferiore (Salerno) mentre andava da Reggio a La Spezia a ritirare documenti importanti sul caso delle "navi a perdere". Mentre soldi necessari al prosieguo delle indagini - ha recentemente ricordato il Pm - furono negati e tutta l'inchiesta fu archiviata.

Il ruolo del faccendiere Comerio
De Grazia ricostruiva le rotte seguite delle navi dei veleni. In particolare stava indagando sulla Riegel, affondata nel 1987 nello Ionio e sulla Jolly Rosso, spiaggiata davanti ad Amantea il 14 dicembre 1990. E proprio nella cabina di comando della Jolly Rosso De Grazia scoprì una mappa di siti per l'affondamento, la stessa che sarebbe stata trovata, cinque anni dopo, nell'abitazione di Di Giorgio Comerio: il faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia e alla illecita gestione degli aiuti della direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo. Ovvero quell'ingegnere che - secondo diverse inchieste sia parlamentari che delle Procure - sarebbe il trait d'union tra il caso delle navi dei veleni, la Somalia e la cooperazione. Comerio partecipa al progetto "Dodos" ideato dall'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dell'Euratom) che prevedeva di inabissare sul fondo del mare il materiale radioattivo stivato nelle testate dei siluri. Progetto che, in seguito alla stipula della Convenzione Onu che impedisce lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini, fu abbandonato dall'Ispra ma non da Comerio. Il faccendiere infatti acquista i diritti delle tecnologia e stipula un accordo col governo somalo di 5 milioni di dollari che prevede di poter inabissare rifiuti radioattivi di fronte alla costa. In cambio paga 10 mila euro di tangente per ogni inabissamento al capo della fazione vincente dell'epoca Ali Mahdi. Innfine Comerio fa il giro dei governi del Globo proponendo di smaltire le scorie pericolose a prezzi scontatissimi e ottiene decine di commesse in nero.
De Grazia probabilmente aveva scoperto tutto, ivi compreso i porti di partenza delle scorie, quasi tutti situati tra Toscana e Liguria dove ci sono due condizioni molto favorevoli: l'area militare di La Spezia e le cave di marmo delle Alpi Apuane: la prima garantisce la riservatezza, mentre la seconda fornisce il granulato di marmo con cui coprire le emissioni delle scorie radioattive. E quel giorno, riferisce un collega di De Grazia: "Stavamo andando a La Spezia per verificare al registro navale i nomi di circa 180 navi affondate in modo sospetto negli ultimi anni e partite da quell'area".
Ecco perché adesso, alla luce di quanto rivelato da Fonti, il comitato civico intitolato Natale De Grazia chiede che vengano riaperte anche le indagini sul suo misterioso decesso e i magistrati di Paola assicurano che adesso "è arrivato il momento di andare fino in fondo e scoprire tutta la verità".

 
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