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Il bel paese addormentato nel bosco

Post n°429 pubblicato il 24 Novembre 2012 da massimo.maneggio

IL BEL PAESE ADDORMENTATO NEL BOSCO
“Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la
Vittoria? Le porga la chioma. Che schiava di Roma Iddio la creò”. Chissà con quali
versi apostroferebbe il nostro Paese nell’anno “di grazia” 2012, Goffredo Mameli,
quale manifesto a tinte tricolori partorirebbe la sua illuminata mente intrisa di
sprezzante patriottismo risorgimentale.
Il quadro italico di metà Ottocento era totalmente diverso da quello di oggi, un moto
di veemente rivolta che avrebbe condotto all’unità d’Italia, figlia di quello spirito
garibaldino che impregnava il popolo della penisola “dall’Alpi a Sicilia”, di gente
fiera, piena di passione e di voglia di libertà e di giustizia.
Bisogna ammettere con triste rassegnazione che i geni dei nostri antenati si sono
annacquati e dispersi nel vortice dei tempi che cambiano, dando vita a delle
generazioni scialbe, appagate e povere di stimoli, nonché di voglia di cambiare la
situazione disastrosa di quello che solo con un notevole esercizio d’ironia, possiamo
oggi definire il Bel Paese.
L’eccitazione e la partecipazione che quasi sempre accompagna l’esecuzione del
nostro inno nelle grandi manifestazioni sportive, non rispecchia il nostro approccio
alla situazione politica, economica e sociale, che ci troviamo ad affrontare.
Credo che la maggior parte degli italiani sia come intrappolata in una campana di
vetro che la paralizza in questa sorta di impasse, assuefatta agli illusori comfort che il
perdurante declino del sistema-Italia ancora le assicura.
Lungi da me, fare del catastrofismo, l’intento è solo quello di analizzare il nostro
comportamento dinanzi ad un periodo storico senza precedenti, non tanto per le
difficoltà economiche, già vissute in passato, quanto per la crisi valoriale, di identità
e di prospettive in cui versa il nostro paese.
Da una casta politica parassita, che ha ormai divorato gran parte della carcassa
peninsulare, alla disoccupazione dilagante che non risparmia nessuna classe d’età,
passando per la malavita organizzata, i disservizi e l’incompetenza delle pubbliche
amministrazioni, il decadimento e l’inadeguatezza delle infrastrutture, i tempi e i
metodi della giustizia, la manipolazione dell’opinione pubblica da parte degli organi
d’informazione di un polo piuttosto che di un altro, gli scandali che quasi
quotidianamente coinvolgono personaggi del mondo dell’economia, della politica o
dello sport.
Un quadro agghiacciante, la cui misura non è ancora colma e mai lo sarà per un
popolo che continua a subire inerme la consunzione che dilania ogni parte della
nostra nazione, senza ribellarsi, senza manifestare il proprio dissenso, immersa in
questo torpore, anestetizzata dal nuovo iPhone, dalla Serie A e dalla Champions
League, dall’ultimo scoop su Elisabetta Canalis o dalla “scelta” dei tronisti di Uomini
e Donne, perdendo di vista una realtà raccapricciante nella quale ci viene sottratta la
nostra esistenza, allo stesso modo in cui ci viene levato il diritto al lavoro; in virtù di
sacrifici economici dei quali noi siamo gli unici a doverci far carico, aspetto questo,
che fa da contralto a classi dirigenti che per decenni hanno amministrato con il più
classico pressapochismo e faccendierismo made in Italy, le quali sono state colpite
da queste presunte manovre “salva Italia” nella stessa misura in cui un timido
venticello primaverile possa scuotere uno yacht da crociera (riferimento non
casuale).
Ciò che è sconcertante è l’abitudine, l’assurda percezione che si ha del nostro
quotidiano, continuamente sconvolto da sempre nuovi scandali e orrende
nefandezze qualsiasi settore si voglia analizzare, come un qualcosa di assolutamente
normale del quale non val la pena nemmeno più sorprendersi o indignarsi.
Ed è proprio qui che prende forma, l’ultimo stadio della necrosi del cittadino
italiano; là dove finisce lo sconcerto e lo stupore, comincia il lento ripudio della
nostra identità, della possibilità di poter scegliere un futuro diverso da quello
imposto da linee governative, economiche e sociali obsolete, il cui unico credo è
quello del proprio tornaconto personale a discapito di quella programmazione
necessaria per uscire da qualsiasi era di “vacche magre”, figuriamoci da una crisi
globale senza precedenti.
Informarsi, leggere il più possibile e dalle più svariate fonti giornalistiche, costruire
una propria linea di pensiero che non sia il frutto dell’orientamento dato dai media,
confrontare la situazione nazionale con quella estera, partecipare o anche
organizzare manifestazioni, raccolte firme; in una sola parola: svegliarsi.
Atti questi, che spesso non vengono visti di buon grado da una cultura conservatrice,
tendente alla mediocrità, al malaffare e al tentativo di dissipare ogni sforzo di
sovversione di stagnanti scale gerarchiche, volte solo al consolidamento delle
posizioni dominanti a discapito sempre maggiore, di chi sta più in basso.
E’ questa una possibile strada da seguire, il bacio del principe che sveglia la bella
addormentata dall’incantesimo, ed anche il buon Goffredo avrebbe sicuramente
versi arditi ed entusiastici da spendere dinanzi ad una fiera presa di coscienza del
popolo italico, che ci facesse tenere la guardia sempre alta contro i soprusi che
quotidianamente subiamo nel nostro paese; un sentimento ed una carica forti che
non si affievoliscano come sempre accade, prima del fischio d’inizio, appena
terminata l’esecuzione dell’Inno di Mameli.

 

Francesco Iaquinta su Utopia

 
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