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una storia vera

Post n°1 pubblicato il 30 Giugno 2009 da max_6_66
 
Tag: carlo
Foto di max_6_66

Questa è una storia vera.

La mano che vedete è la mia. Chi mi conosce bene può facilmente  riconoscere il top della mia cucina. l’esserino che è nella mia mano invece è…. questo ve lo spiego dopo.

La storia inizia due mesi fa, quando dopo il consueto riassetto settimanale del giardino e del cortile dietro casa……

Nelle intercapedini della tettoia posta sopra la portafinestra di cucina (che si affaccia sul cortile e sul giardino) fanno il nido i passeri. Non è un luogo consono, ma oramai la magnolia e i due aceri sono stati invasi dai merli (e hanno opzionato per il prossimo anno la liquidambar, oramai prossima alle dimensioni sufficienti)…. E si adattano. Con la primavera che avanza, le uova si schiudono e nascono i piccoli.

E’ cosa comune che alcuni cadano dal nido, succede tutti gli anni. Da quando esistono i passeri,c’è sempre uno più curioso che si sporge troppo, uno più piccolo o debole che nel parapiglia dell’arrivo del cibo non riesce a reggere l’urto e gli spintoni degli altri. E cade.

Succede anche a Giugno, quando nel tentativo dei primi voli, qualcuno, tardivo rispetto agli altri nelle sue capacità di apprendere il volo, si getta dalla tettoia e si scopre incapace  a ritornarvi. Sono quei due mesi che i gatti del vicinato chiamano “la sagra del passero”. Si, il gattino che vi fa le fusa, che si struscia ai vostri piedi quando rientrate in casa dal lavoro, gioisce della disponibilità di quello che per noi è uno dei massimi sinonimi di tenerezza per il proprio uso alimentare, non senza essersi prima saziato del suo utilizzo per scopi ludici.

Essendo cresciuto in una casa molto simile a quella dove vivo adesso (periferia Pratese, molto prossima  anzi confinante con la campagna) sono molto avvezzo fin da bambino a questi avvenimenti. E fin da bambino so che non c’è rimedio. Lo so con basi scientifiche visto che il mio nonno materno (con il quale sono cresciuto) era un famoso allevatore di uccelli da richiamo. Anni passati a correre da lui con uno di questi esserini con l’unico risultato di vederlo scuotere il capo appena la mia piccola mano si apriva mostrandone il contenuto. Non si possono rimettere nel nido, non si possono alimentare (ho provato con tutti i  mangimi, insetti, bacherozzi esistenti sulla terra). L’uccellino rimaneva alcuni giorni immobile nella scatola da scarpe  piena di cotone idrofilo dove avevo deciso di allungare la sua agonia, poi si “acchiocciava”, si gonfiava, tenendo gli occhietti socchiusi. Lo stesso giorno il nonno si affacciava sulla scatola da scarpe e diceva “ha fatto i’ pallone”. E questa era la sentenza finale. 

La natura non ha niente di più o di meno di quello che ha e non è niente di più o di meno di quello che è. Né crudele né comprensiva, né madre né matrigna. D’estate fa caldo e d’inverno fa freddo. La pioggia disseta le piante e affoga milioni di insetti. In natura non ci sono buoni e cattivi. I buoni e i cattivi li decidiamo noi, a seconda della convenienza, a seconda che abbiamo tra le braccia il gattino o teniamo in mano il passerotto. E così, crescendo, ho continuato a vedere tra Marzo e Aprile un leggero sfrugugliare  tra le foglie secche, il movimento di qualcosa di molto piccolo, in lontananza, senza capire o essere sicuro, mah. Ho studiato, ho lavorato, ho amato, ho imparato a passare oltre, a non farci caso, se mi fermo a pensare a quanti ne ho visti negli ultimi trenta anni non saprei affermarlo con certezza, si forse qualche volta, ma non ero sicuro. Fino a un pomeriggio di due mesi fa.

Un tardo pomeriggio di due mesi fa finito di spazzare il cortile, al momento di rientrare in casa me lo sono trovato davanti. Minuscolo ma fieramente eretto sulla soglia in pietra serena dell’ingresso di casa. Come se volesse urlare alla mia coscienza “ora m’hai visto, cazzo, non sono una lucertola che scuote i fili d’erba, non puoi fare a meno di vedermi”. Ero fregato.

Si era lasciato prendere docilmente, anzi, si era proprio accucciato nel palmo della mia mano, riconoscendo l’esperienza di uno che sapeva come tenerlo, che lo aveva fatto molte volte. Si, sono passati trenta anni, ma non ho ancora dimenticato come si fa. D’altra parte non ho nemmeno dimenticato come si fa ad andare in bicicletta.

Mi sono diretto in casa, mestamente, pensando a dove avrei potuto trovare una scatola da scarpe. Gli ho fatto la foto che vedete, mi sono diretto al piano di sopra. Su per le scale un breve flash, una visione brevissima, quasi come un pensiero dentro una bolla di sapone. La bolla scoppia, dentro un foglietto tipo baci perugina con critto in piccolissimi caratteri una soluzione. Subito di corsa in bagno, l’apertura della finestra (che da sulla tettoia dove ci sono i nidi), e il tentativo funambolico di porre l’esserino vicino a una intercapedine dalla quale si intravedono le tabelle e le travi. Tentativo riuscito, chiusura immediata della finestra per evitare di sentire (o avere l’impressione di sentire…) miagolii sospetti e via al piano di sotto, in sala da pranzo, a sedere sul divano, in silenzio, in attesa del processo.

Dopo venti minuti la coscienza era pronto per entrare nell’Aula e presiedere il dibattimento. Il mio avvocato difensore mi ha fatto andare fuori in cortile per verificare se non fosse di nuovo caduto, poi mi ha costretto a stare affacciato alla finestra del bagno fino a che potessi affermare senza ombre di ogni ragionevole dubbio che non era rimasto sul tetto e che non c’erano gatti nelle vicinanze. Il pubblico ministero le ha provate tutte, chiamando a testimoniare anche il ricordo del nonno, che scuoteva il capo. Alla fine, la coscienza non ha potuto che dichiarare la mia innocenza e assolvermi. Non con formula piena ma per insufficienza di prove. Vabbé, quello è perché mi vuole male.

§   §   §   §   §

Questa mattina, era perfetta per fare giardinaggio. Mi sono alzato di buon’ora nonostante la serata leggermente nottambula (di buon’ora…vabbé…..diciamo le 9 e mezza….), sono sceso immediatamente e senza vestirmi al piano di sotto, ho preparato il caffè, ho aperto la portafinestra che da sul cortile, sono uscito fuori. Appena il tempo di sentire il calore del sole sulle spalle,che il mio sguardo si è posato sul tavolino appoggiato al muro del cortile, dove c’era un passero che mi fissava. “Cazzo guardi” ho pensato io, “e te, cazzo ci fai fuori in cortile in mutande” ha pensato lui.

Qui bisogna fare una premessa. Gli animali e gli esseri umani non possono parlare tra di loro. Già gli esseri umani hanno spesso grosse difficoltà a farlo con i loro simili, gli animali non parlano proprio. Questo non vuol dire che non sia possibile una forma di comunicazione, che qui per semplificare farò apparire come fosse un dialogo in forma di pensieri. Niente di paranormale, solo una specie di linguaggio del corpo, che con un minimo di esperienza chiunque è in grado di utilizzare e comprendere.

“Sei te….?” è la prima cosa che ho pensato. La seconda aveva a che fare con la richiesta di revisione di un processo dove, per quanto assolto, lo ero stato con l’ingiusta formula della mancanza di prove a mio carico. ”io chi….?” è stato invece il suo pensiero.

C’è bisogno di una ulteriore premessa. Noi esseri umani tendiamo ad “umanizzare” tutto il regno animale. Con la supponenza di essere gli unici esseri intelligenti e dotati di anima, rapportiamo tutto quanto ci circonda a noi stessi. Sarebbe una cosa di cui siamo stati dotati per un buon motivo, solo che la usiamo male. La capacità di mettersi “nei panni” degli altri aiuta ad essere tolleranti, comprensivi, a dare una possibilità di riscatto anche a chi ha fatto una cosa che ci sembra sbagliata, a pensare che a volte anche noi abbiamo fatto qualcosa del genere ma infondo avevamo le nostre buone ragioni. E’ un processo di identificazione progettato per questo, per imparare a vedere le cose da un punto di vista diverso,          “dell’ altro”, che invece noi usiamo per cercare di capire gli altri senza riuscirci. Una visione egocentrica del mondo, dove tutto quello che fanno gli altri lo giudichiamo si, mettendosi al posto dell’altra persona, ma con il nostro cervello, la nostra cultura, il nostro modo di vedere le cose. Avete idea del casino che questo comporta a livello di incomprensioni tra uomini e donne….? Con gli animali (ma anche con le piante….anche loro “pensano”) non bisogna cadere nello stesso errore. Questo per spiegare, che quando chiedi ad un passero “sei te…?” facciamo in realtà lo stesso errore. Infatti noi uomini abbiamo una percezione dell’io di questo tipo, abbiamo un nome ed un cognome, siamo “qualcuno”. Anche un passero sa di essere “lui”, ma percepisce questo in modo diverso. Gli animali infatti si riconoscono tra di loro benissimo, e in questo sono molto più bravi di noi perché non hanno bisogno nè di un nome, né di documenti, né di una particolare caratteristica fisica o somatica. Gli uccelli, in particolar modo, sono in grado di farlo molto facilmente a molti chilometri di distanza. Questo fa si che quando due di loro si incontrano non hanno bisogno di capire o di chiedere “se te..?” oppure “non sei te…?”, lo sanno già da almeno un quarto d’ora.

La mia domanda infatti (sapendo io queste cose… ed avendo già la certezza che si trattasse di “lui”) era retorica. Una naturale reazione, come se un giorno, su un Aeroplano per New York, incontrassi il mi’ fratello che so in vacanza a Follonica. Verrebbe spontanea la domanda “o te…? Che ci fai qui….?”….ma è una domanda retorica, non è una vera e propria richiesta di una informazione…..e che mi dovrebbe rispondere…. ”vo  a New York…!”

Se vi dico che questa cosa è successa veramente tra me e il mi’ fratello…..ma qui ne nascerebbe un’altra storia.

Abbiamo continuato a pensare ancora, ad alcune cose varie. S’è pensato anche del tempo, che sarebbe stata una bella giornata. Dopo una mezz’oretta se n’è andato e io mi sono messo a tagliare l’erba in giardino.

 Come…? Non torna che la storia sia finita qui…..? Perché….non capisco…..

Ah, chiaro, tutti si sarebbero aspettati che lui fosse venuto da me per ringraziarmi, perché lo avevo salvato da un destino probabilmente terribile, perché gli avevo salvato la vita…. eccetera, eccetera. No, anche qui stiamo travisando la realtà per come siamo abituati a vedere le cose dopo anni di Grandi Parenti e Isole degli Affamati.

La natura da e prende. L’unica certezza che abbiamo nascendo è che dovremo morire. Ma nello stesso tempo prende e da. Questa volta, ha dato.

Anche a me.

MassimoPieroPierattini

 
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