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la nube tossica

Post n°97 pubblicato il 08 Gennaio 2010 da max_6_66
 
Tag: laura
Foto di max_6_66

Un anno fa. Circa un anno fa ho veramente avuto paura. Per quasi un’ora ho avuto il terrore di aver scatenato una specie di reazioni chimica, di nube tossica, un disastro che potesse mettere in pericolo il mio vicinato o addirittura tutta la città. E’ stata ovviamente una cosa non completamente dipendente dalla mia volontà, nel senso che le mie intenzioni erano innocue. Poi c’è entrata di mezzo la mia imbranataggine, il mio essere pasticcione. E solo adesso riesco a trovare il coraggio di raccontare tutta la storia.

Il sabato è giorno di pulizie. Ho una casa piuttosto impegnativa, ma anche se la cosa risulta faticosa, riesco a farlo con piacere. Non ricordo, tranne una volta, di aver mai accettato l’aiuto di nessuno. E’ un momento che dedico a me stesso e alla mia casa e non me la cavo male. Anche se non sono un fenomeno, i risultati sono spesso abbastanza sopra la media dei maschietti single. Quando c’è la bella stagione, dalle finestre e dalle porte di casa aperte per tutto il giorno entra il profumo dei fiori del giardino e io sono felice, in pace con il mondo. In inverno però, per ovvi motivi, questo ha sempre rappresentato un grosso problema. Ho provato con tutti i tipi di profumi, profumetti & deodoranti. Spray, elettrici, a batterie, liquidi, candele, incensi, legno impregnato. Sono diventato un esperto. Niente da fare. Sono essenze artificiali, ottenute attraverso la tortura di fiori e piante, mischiate con prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. E questo si sente. Finalmente, un mese fa, una mia amica mi ha telefonato per invitarmi all’inaugurazione del suo nuovo negozio di prodotti “naturali”. Sono diventato immediatamente il suo primo cliente, facendo scorta di tutto quello che poteva essere utile a sostituire, se pur artificialmente, i miei fiori.

Sono un distratto e un pasticcione patologico. Ho comprato il mio primo cellulare poco meno di venti anni fa e regolarmente sono quasi venti anni che esco di casa e lo dimentico. Quando esco la sera questo non rappresenta un problema, so rinunciarci quasi con piacere. Quando vado al lavoro non lo posso fare, quindi capita quasi quotidianamente che debba rientrare in casa per prenderlo. Ho un post-it dentro l’auto che attacco sul volante quando la sera la parcheggio con scritto “ricordati di prendere il telefono”, per evitare che me ne accorga quando sono già in ufficio. Per fortuna i miei disastri sono sempre di scarsa entità e con una risata si risolve tutto. Potenzialmente sono però in grado di scatenare vere e proprie calamità.

Quando compro qualcosa, sono come un bambino con un giocattolo nuovo. Non riuscirei mai a tenerlo sotto l’albero di Natale fermo e impacchettato nemmeno per un giorno. La serie completa di deodoranti naturali per l’ambiente l’avevo aperta appena arrivato a casa, di ritorno dall’inaugurazione del negozio dell’amica. Non so, quando li avevo presi mi sembravano tutti buoni, estratti dalle piante con dolcezza, senza aver loro causato dolore, senza aggiunta di petrolio. Ho iniziato a provarli nella stanza grande all’ingresso, dove ho un divano e una TV. E’ immediatamente iniziata una fase compulsiva di prova e riprova, senza che trovassi niente che mi soddisfaceva. Quando ho provato l’ultima delle circa ventitré essenze acquistate ho avuto la percezione di pace che cercavo, quasi quella dei fiori del mio giardino. Una serenità gioiosa, che mi ha fatto stringere il cuscino. Ma è durata poco. Quando l’odore dell’ultima fragranza è divenuto preponderante e riconoscibile, tutto è cessato. E mi sono trovato con stretto al petto un cuscino per il quale non provavo più nessun sentimento.

Camminare e ricamminare intorno al tavolo di cucina, questo il mio modo di riflettere. E funziona. Dopo un’ora e circa centotrentacinque giri ero arrivato alla soluzione. La sensazione era durata solo un attimo perché dovuta alla combinazione di tutte le fragranze, ottenuta in modo casuale dal mio provare e riprovare. Ero fregato, con ventitré essenze diverse si possono ottenere un numero di combinazioni elevatissimo. Nella mia disperazione ero tornato  nella sala degli esperimenti, cambiando però immediatamente umore e saltando dalla gioia. Incredibilmente per un casinaro come me avevo lasciato sul tavolino dei sigari tutte le bottigliette di essenze nell’esatto ordine in cui le avevo provate. La cosa fu subito confermata da un ulteriore round di tentativi, terminato con l’abbraccio dello stesso cuscino. Dunque la soluzione  era a portata di mano: mischiare tutte le essenze per ottenere quello che volevo.

Non era semplicissimo, e soprattutto non dovevo sottovalutare nessun particolare. Quando diffondevo il contenuto dell’ultima bottiglietta, l’essenza contenuta nella prima era ormai molto attenuata, quindi il perfetto composto non doveva contenere dosi uguali di tutto, ma dosi crescenti di quelle usate successivamente nella sequenza in modo proporzionale al tempo di decadimento del profumo. Ho un fratello scienziato, qualcosa sarà arrivato, anche per errore, nel mio DNA. Cronometro in mano ho calcolato il tempo che passava tra un tentativo e l’altro e calolato in una scala da uno a dieci  quella che secondo la mia percezione era la diminuzione dell’essenza. Qualche veloce conteggio e sono arrivato alla formula. Bastava moltiplicare per uno virgola zero quattro il quantitativo dell’essenza precedente per ottenere la giusta misura di quella successiva. Per ridurre al minimo la possibilità di errore dovevo alzare la tolleranza, ovvero lavorare su quantitativi alti, in pratica il più possibile. Considerando che il quantitativo maggiore andava messo dell’ultima, ho fatto lo stesso conto a ritroso, ovvero partendo dall’intera ultima bottiglietta, quanto metterne della precedente e così via fino ad arrivare alla prima. Si trattava a quel punto di togliere un quattro per cento invece di aumentarlo. Il piccolo chimico di quando ero bambino, con tutti i misurini, gli alambicchi e le provette era in soffitta.

Ero già all’opera, con una buona dose di eccitazione. Le misurazioni procedevano per il meglio e un grosso alambicco si stava riempiendo. Ero stato colto da un ricordo, il ricordo affettuoso di tutti i disastri e principi di incendio causati in giovane età con quel gioco, tanto da averlo riavuto di nuovo da mio padre (che lo aveva nascosto per preservare l’incolumità della famiglia) solo dopo compiuti i venticinque anni. Non voglio allarmare nessuno, si tratta di un gioco assolutamente sicuro e divertente. Ero io, che avendo la patologia del disastro dentro di me, riuscivo a creare combinazioni impensabili. In mezzo alla dolcezza dei ricordi e a causa di questi, mi si era però a questo punto accesa una lampada rossa di pericolo in testa. Immediatamente dopo mi era apparsa la visione della mia professoressa di matematica delle superiori che mi rimproverava perché se si aumenta un numero del quattro per cento, ridiminuendolo a sua volta del quattro per cento non si riotteneva il numero originale. La stessa logica dello scorporo dell’ IVA. Avevo fatto dei conteggi errati. Ma la prof era apparsa tardi. Stavo già versando l’ultima essenza.

Lo scoppio fu sordo, come una pietra avvolta nell’ovatta che cade a terra. Appena ripreso dallo spavento mi ero toccato tutto il corpo, poi avevo pian piano aperto gli occhi. Sembrava tutto a posto. Un vapore color rosa fucsia aveva riempito la casa. Mi trovai stupito però di essere colto dalla stessa sensazione di prima, quella giusta, che avevo cercato. No, era troppo forte. Il mio trasporto per il guanciale stava assumendo un’intensità esagerata, e solo la decenza e la forza della ragione stavano trattenendomi dall’impulso di sbottonarmi i pantaloni. Poi avevo aperto tutte le porte e finestre di casa ed ero andato a rifugiarmi in giardino, in attesa che l’effetto passasse.

Con la faccia annerita e i capelli scompigliati, stavo cercando di respirare con calma per tranquillizzarmi quando mi sono reso conto dell’enorme cazzata fatta. Avevo fatto uscire la nuvola fucsia da casa mia, ma avevo contaminato tutto il quartiere e forse la città. Una corsa verso il cancello, per dare un’occhiata in strada. Era il tardo pomeriggio. Circa cinquanta metri alla mia destra, lungo la via, c’era stato un tamponamento. I due automobilisti si stavano abbracciando tra gli applausi commossi della gente intorno. Molti stavano tornando a casa dal lavoro. Cercavano in fretta le chiavi, come colti da una strana bramosia di entrare in casa.

Nove mesi dopo, lungo tutta la via, i portoni di ingresso delle case erano pieni di fiocchi rosa e azzurri.

 
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