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interno vellutato

Post n°116 pubblicato il 02 Febbraio 2010 da max_6_66
 
Tag: Lucia
Foto di max_6_66

Il biglietto del treno. Non è una cosa che mi serve tra una settimana, non è una cosa che mi serve domani. E’ una cosa importantissima che mi serve tra un paio d’ore, quando mi dovrò dirigere verso la stazione. Una cosa così la dovrei tenere sul mobile in cucina, vicino alle bollette che mi dimentico di pagare, ai centesimi che mi tolgo di tasca la sera prima di andare a dormire, alle chiavi della macchina, al cellulare che tutte le volte che esco devo rientrare in casa perché mi accorgo di non averlo con me. Si, mi sono appena dato la risposta. La risposta a come mai ho deciso invece di metterlo in un posto “sicuro”. Il posto sicuro è un mobile che ho comprato di recente e che tengo nell’ingresso. Si tratta di un vecchio mobile da farmacisti che ho restaurato e dipinto di bianco (come tutti i mobili di casa mia, a parte la cucina). Un mobile da farmacisti è tipo una specie di comò con tantissimi piccoli cassetti, foderati di velluto al loro interno.

Io sono un grande appassionato di mobili e di arredamento in generale, ma in questo caso non si tratta di un vezzo. Una mattina mi sono svegliato e facendo un po’ d’ordine in casa mi sono reso conto di avere molte piccole cose da conservare. Foglietti di carta, piccoli oggetti, cose che possono essere giudicate assolutamente inutili da chiunque non sia io. Non è sufficiente chiamarli “ricordi”. Sono dei veri e propri piccoli e importantissimi pezzetti della mia vita. Divisi per tipo, evento o categoria, avevano bisogno per essere gelosamente conservati, di un vecchio mobile da farmacisti con quaranta piccoli cassetti. Era li che avevo messo il biglietto del treno che tra poco più di due ore sarebbe partito, con o senza di me.

Nel primo cassetto c’erano le fotografie del mio battesimo. Pochi giorni dopo la nascita, direttamente in ospedale, a Firenze. Nel secondo i miei quaderni di scuola, scrittura incerta, la maggior parte in stampatello maiuscolo, fin dai primi anni e per la disperazione delle maestre. Pochi compiti e molte brevi storie, quasi sempre raccontando quello che vedevo dalla finestra. Ho sempre avuto un banco vicino alla finestra, fino alle superiori. Un cassetto di spartiti musicali, perché contemporaneamente alle parole ho imparato a leggere anche quelli. Fotografie, sbiadite nel quarto cassetto, fino ad arrivare ad altre con colori sempre più realistici e brillanti in quelli successivi. La mia domanda di accesso all’obiezione di coscienza, dove dichiaravo la mia impossibilità morale di svolgere servizio militare a causa del mio rifiuto totale verso le armi, un biglietto aereo per Belfast, Irlanda del Nord, allora territorio di guerra, l’indirizzo di un centro per la cura e il recupero di minorenni alcolizzati, dove tra qualche bomba che interrompeva il silenzio della notte e i militari inglesi che mi mettevano al muro per perquisirmi dalle cinque alle dieci volte al giorno, ho prestato servizio civile volontario sostitutivo, testimoniando l’assurdità di quelli che si scannavano a vicenda fuori da quel portone. Un cassetto con mille lire, le prime guadagnate lavorando, seguito da molti cassetti pieni di persone, adagiate su quell’interno vellutato e forse non più presenti nel mondo, ma con uno spazio  a loro dedicato nel mio vecchio mobile da farmacisti. Nel trentasettesimo cassetto tante ricevute di pizzerie. La pizza non è un cibo, è qualcosa di più, è una serata tra amici, una cosa che sarà sempre buona e che mi piacerà sempre mangiare. Nel trentottesimo cassetto il mio ultimo amore, con una canzone di Giorgio Gaber che inizia a suonare appena lo apro. Finalmente, nel trentanovesimo, il mio biglietto. Appena in tempo per incamminarmi verso la stazione e prendere il treno.

Sembra un film, prendo il treno praticamente al volo in una stazione grigia, piena di vapore e nebbia. Il tepore mi attende poco lontano, nel mio scompartimento. Come mio solito, mi accomodo vicino al finestrino con le spalle alla fine del treno, in modo da osservare il paesaggio che mi viene incontro. Per un po’ conto gli alberi, seduto sul mio sedile ricoperto di velluto, ma nel trascorrere delle ore diventano troppi per i numeri da me conosciuti. In ogni caso la vegetazione è terminata, le rotaie del treno sono appoggiate direttamente sulla sabbia e posso ricominciare dal principio dei numeri contando i gabbiani alla mia sinistra. Il treno rallenta, si ferma. Il controllore entra in ogni singolo scompartimento, chiedendo a tutti di chiudere i finestrini per poi avvicinarsi toccandoli con la mano, come a verificarne l’effettiva chiusura o la tenuta. Probabilmente impiega circa un’ora a compiere con la massima cura questa operazione per tutta la lunghezza del convoglio, perché è questo il tempo che trascorre prima che le ruote riprendano stancamente a muoversi. A circa cinquecento metri davanti a me la ferrovia fa una curva verso sinistra, lasciando intravedere i binari fino a che non si immergono nel mare. Le ruote iniziano a trasmettere al terreno un vigore maggiore proveniente dalla propulsione.

Il treno è oramai sulla curva, stringo tra le mani il mio biglietto, trovato appena in tempo nel trentanovesimo cassetto del mio vecchio mobile da farmacisti. Ma…..non ho aperto il quarantesimo cassetto. Cosa accidenti ho messo nel quarantesimo. Ma certo, nel quarantesimo cassetto ho messo le lettere d’amore che ho scritto.

Nessuno si stupisca però, visitando per caso casa mia, di vedere un vecchio mobile da farmacisti con trentanove cassetti. Il quarantesimo cassetto è lo scompartimento di questo treno, dove sempre scrivo quello che ognuno può leggere in questo blog.

 
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