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Post n°184 pubblicato il 27 Aprile 2010 da max_6_66
 
Tag: Olimpia
Foto di max_6_66

Rientro in casa a notte fonda. Premo l’interruttore e la luce non si accende. Premo di nuovo l’interruttore come per spengere una cosa che in realtà non si è accesa. Rimango immobile al buio per almeno un minuto, prima di puntare di nuovo il mio dito indice sullo stesso interruttore, come se il fatto che nessuna luce si è accesa fosse dovuto ad un utilizzo errato, una pressione non esercitata nel modo giusto. Ovviamente non succede niente per la seconda volta. Sono molto stanco per gli ottocento chilometri percorsi in auto, e questo mi causa un secondo minuto da ebete al buio. Finalmente tutto si rischiara, ho premuto l’interruttore sbagliato. Individuo quello giusto e la luce si accende regolarmente. Cerco ancora il primo per spengere la qualunque e misteriosa cosa che si sia accesa premendolo. Indugio, poi dimentico il fatto e penso ad altro.

Che poi è tutta colpa dell’elettricista. Quando ho ristrutturato casa avevo idee ben chiare riguardo all’impianto elettrico. Non ci vuole niente. Un interruttore in ogni stanza per accendere e spengere la luce, e tutto è okkey. E invece no, perché quando sei in cucina devi accendere anche la luce nel corridoio, viceversa quando sei nel corridoio , dal quale però devi accendere anche quella della sala. E poi la predisposizione per la ventola al soffitto (meno male….perché di ventole ne ho messe addirittura due negli anni successivi), l’interruttore che dovrebbe accendere l’eventuale lampada alogena messa nell’angolo, e così via, fino a trasformare casa mia in una specie di centrale dell’Enel. Considerando che anche i confini tra le stanze sono piuttosto “vaghi”, in una casa ufficialmente di sei stanze, ma di cui solo due chiuse e ben definite con una porta, ne risulta uno spazio continuo pieno di interruttori al muro, che dopo tredici anni ancora mi costringono a procedere per tentativi. Ma fino a che un interruttore accende qualcosa, tutto funziona, perché se si accende la cosa sbagliata, spengi e provi con l’interruttore successivo. Ma un interruttore che non produce nessun effetto ti confonde, ti disturba. Avrei voglia di capirci qualcosa di più, ma oramai stanco, vado a dormire rimandando tutto alla mattina dopo.

I ritmi della natura, così semplici perché regolati da semplici motivi astronomici e fisici. Il sole che nel gioco delle orbite si avvicina, si allontana, la composizione dell’atmosfera, le correnti marine. Pensiamo però alla complessità della cosa se ci saltasse in mente di riprodurla volontariamente. Prendiamo un enorme sasso che galleggia nello spazio, mettiamo per esempio che ne troviamo uno delle stesse dimensioni della terra e cerchiamo di ricreare artificialmente le stesse condizioni. Migliaia di lampade U.V.A. che creano l’estate mentre ti abbronzi su una spiaggia creata con milioni di metri cubi di sabbia rubata a Riccione e portata li con delle astronavi, mentre da un’altra parte lontana migliaia di chilometri, contemporaneamente, una flotta di Canadair antincendio fa cadere improvvisamente acqua dal cielo su persone al passeggio, che sorprese per strada cercano di ripararsi sotto i cornicioni delle case, mentre degli altoparlanti enormi e dei flash da macchina fotografica alti sei metri riproducono tuoni e lampi. Due frigoriferi enormi ai due estremi, che creano due calotte di ghiaccio perenne.

La mattina, al risveglio, mi viene quasi naturale toccare il termosifone di camera. E’ assolutamente freddo. Sono alcune settimane che ho tolto la programmazione invernale al termostato, ovvero l’accensione o lo spegnimento del riscaldamento a certi orari. Ho lasciato una semplice impostazione che lo attiva solo quando in casa la temperatura scende sotto un certo limite. Lo faccio perché anche a primavera inoltrata possono esserci improvvisamente delle nottate con temperature molto fredde e con questo tipo di impostazione evito di svegliarmi con un pinguino che mi osserva incuriosito. Tutte queste mattine i termosifoni erano però almeno tiepidi. Questa mattina invece sono freddi. Sono le otto e faccio la riprova decisiva, ovvero spalanco la finestra di camera. Beh, la temperatura è mite. E’ la prima mattina che a quest’ora la temperatura è già piacevole. Ci siamo. Nonostante la primavera sia arrivata astronomicamente quasi un mese fa, il tempo ha compiuto uno scalino successivo solo questa notte. Stanno arrivando il caldo e la bella stagione.

Passa una settimana ed arriviamo all’undici aprile scorso. Domenica, sveglia alle sette e trenta, partita di calcio. E’ una pessima cosa alzarsi alle sette e trenta di domenica, almeno per me. Procedo a tentoni per casa, scendo le scale e cerco di arrivare in cucina il prima possibile. Ho bisogno di un caffè abbondante e ustionante. Sempre a tentoni cerco lungo il muro, incontrando lo stesso interruttore maledetto, quello che non accende nessuna luce. Che certe giornate iniziano storte si vede anche da queste piccole cose, poi trovo quello giusto e inizio ad armeggiare con la moka. Appena apro la portafinestra che da sul cortile vengo investito da una raffica gelida di vento e acqua. Pessima giornata per una partita di calcio. Ma questo strascico improvviso d’inverno non si accontenta di un solo giorno. Il resto della settimana trascorre gelido. L’appennino torna addirittura ad essere imbiancato dalla neve. Lunedi, martedi, mercoledi, giovedi si affaccia il sole, ma l’aria è ancora fredda per i venti che provengono da nord. Venerdi incerto, il sabato ancora temporali.

Sabato notte mi sto preparando per la partita di calcio della mattina successiva. Ho ancora il pessimo ricordo della domenica precedente, ranicchiato in panchina con guanti e cappello di lana. Sto preparando tutto il materiale e indugio sul fatto che sia opportuno o meno preparare anche il thermos del the caldo, quando tutta una serie di pensieri assurdi mi assale, mentre lo sguardo indugia sull’interruttore misterioso. Mi alzo, continuando ad osservarlo fisso mentre mi avvicino. E’ a portata di dito indice, lo premo senza pensarci due volte. Ripongo il thermos e vado a dormire.

E siamo alla domenica sera, tra un po’ telefonerò all’elettricista. Mi deve dare una spiegazione, mi deve dire perché questa responsabilità è toccata a me, mentre continuo a spalmare crema doposole sulla mia faccia arrossata.

 
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