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Il buco

Post n°379 pubblicato il 21 Marzo 2016 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

Perché ad arrivare al mare ci vogliono quaranta minuti, forse un'ora, dipende se ti accontenti di Pisa Nord o se cerchi qualcosa di meglio. Però, quando si tratta di avere voglia di vedere il mare il prima possibile, qualunque esso sia, dopo quaranta minuti si può fare. Poi, il fatto che si dica sempre di andarci, anche fuori stagione, perché comunque vale la pena anche una passeggiata, e non ci si vada mai, è un'altro discorso. Li si entra nel marasma delle cose che si dicono sempre di fare e poi non si fanno mai, che si parli di una gita come dei nostri desideri più profondi. Di me si dice che sono un tipo che quando vuol fare una cosa la fa, e la porta in fondo. Purtroppo non è vero, non sempre almeno, ma quando stamattina mi sono alzato con la voglia di vedere il mare, avrei scommesso tranquillamente che lo avrei fatto. Pausa pranzo un po' più lunga, panino, partenza senza pensarci troppo. Dopo quarantacinque minuti ero seduto su un tronco, portato sulla spiaggia da qualche libecciata delle settimane scorse.

Il mare fuori stagione regala sensazioni sempre interessanti, specialmente nelle giornate senza vento, quando a malapena delle microscopiche onde ne increspano la superficie frangendosi sulla spiaggia con cavalloni da formica. Una giornata grigia, uniforme, con una coltre costante a difesa dell'azzurro del cielo. Tutto il cielo tranne un pezzettino. Si trattava di un cerchietto nella coperta grigia di nuvole, un'assenza di quella coltre di una rotondezza perfetta, come se qualcuno l'avesse fatto apposta. Apposta per poi cosa, per permettere a chi sta in cielo di gettare di sotto qualcosa senza farsi vedere, usando appunto quel buco? Continuava ad attirare il mio sguardo come una calamita, tanto che dovevo proprio fare fatica per gettare ogni tanto un occhio per vedere l'ora, preoccupato della mia facilità ad estraniarmi dal mondo che mi avrebbe inevitabilmente portato a rimanere li ad osservarlo fino a sera, o anche fino al giorno dopo se fosse rimasto ancora visibile durante la notte.

Era stato quindi un caso l'essermi accorto di qualcosa che galleggiava, qualcosa di strano, che le microscopiche correnti del mare di oggi stavano portando a riva verso di me. E subito, come un bambino davanti al suo gioco come se tutto il resto del mondo non esistesse viene velocemente distratto da un gioco nuovo e più bello, la mia attenzione si era da subito spostata su questo misterioso oggetto che le onde mi stavano consegnando. Ci sarebbe ancora voluto del tempo, ma io attendevo tranquillamente seduto sul mio tronco.

Una bottiglia, una bottiglia di vetro verde, una volta che il mare l'aveva adagiata sul bagnasciuga mi era tutto chiaro. E con la stessa lentezza che l'avevo attesa fin li, istintivamente mi ero alzato per andare a vederla più da vicino. Proprio una bottiglia verde, resa imbarcazione galleggiante dall'aria intrappolata all'interno grazie ad un tappo di sughero. Chissà che storia aveva e come mai una bottiglia vuota era stata tappata con un sughero. E soprattutto come era finita in mare, se ci era caduta e in che modo o se qualcuno ce l'aveva buttata e perché. Però a guardarla bene non era vuota. Toccandola distrattamente con un piede per rivoltarla mi aveva rivelato il suo contenuto: un tubicino, forse qualcosa di arrotolato per essere inserito al suo interno. Una rapida occhiata alla mia destra e alla mia sinistra per evitare che ci fosse qualcuno a vedermi e la bottiglia era nelle mie mani per essere stappata.

Non mi ero fatto prendere dalla frenesia. Le mie mani si erano mosse con la delicatezza con cui si tratta un vino d'annata, prezioso, una di quelle bottiglie che apri solo nelle occasioni speciali. Un rapido movimento verso il basso ed un colpetto sul fondo per farne uscire il contenuto e il rotolino di carta, legato con un nastro come fosse una piccola pergamena, era nelle mie mani. Appena un attimo a riflettere per cercare di convincermi che questo momento andava veramente goduto, che la mia curiosità di scimmia aveva preso il sopravvento e le mie dita avevano già sciolto il nodo che mi separava da quel segreto. Un respiro profondo prima di svolgere il mistero che avevo tra le mani, immaginando magari non certamente una mappa del tesoro ma comunque pensieri, una richiesta di aiuto, una storia, una cosa sicuramente non comune, tale da aver spinto una persona a fare una cosa del genere. 

E invece c'era solo una breve frase, scritta perfettamente e con lettere di una fattura non banale, non stampate ma forse dipinte, in caratteri moderni ma come fossero state scritte da un miniatore, un monaco copista del ventunesimo secolo. "E che aspetti?". Questo c'era scritto. Niente di più, niente di meno. Si, c'ero rimasto un po' male, e con quel foglio in mano e lo sguardo ebete verso l'infinito dell'orizzonte, come cercassi una risposta da quella linea che divide il mare dal cielo, mi sentivo proprio un fesso.

"E che aspetti?". E' una cosa strana, perché nonostante la forma interrogativa si tratta in realtà di una risposta. E' la risposta che si da a chi tentenna, a chi esita a compiere un'azione che evidentemente può essere fatta senza alcun problema, la risposta giusta per chi ha paura e cerca una sponda, un alibi, qualcuno che gli dia una scusa per non muoversi. Avevo riavvolto con cura il messaggio, l'avevo rilegato con la sua cordellina e l'avevo riaffidato alle onde con un grande lancio dopo averlo rimesso dentro la bottiglia tappata con cura, con la speranza che il prossimo casuale destinatario di quel messaggio sarebbe stato sicuramente più bravo di me ad interpretarlo, a usarlo nel modo più appropriato. O forse il problema era che il messaggio magari non era destinato a me.

Stupido. Mentre sto cenando e osservo la bottiglia dell'acqua immobile sul tavolo davanti a me, il mio sguardo, anche se non lo vedo, esprime sicuramente il massimo della stupidità, proprio nel momento in cui improvvisamente mi ricordo di una bottiglia identica, gettata nel mare una bella cifra di anni fa, con dentro tutti i miei sogni di ventenne che si affaccia alla vita, una stupida lista della spesa consegnata al mare ma destinata al cielo, come se la responsabilità di tutto questo fosse stata di qualcuno al di sopra delle nuvole. Per fortuna che ogni tanto, proprio tra le nuvole si apre un buco, e chi ha ricevuto le tue richieste lo usa per restituirti l'unica risposta possibile alla lista dei tuoi desideri. "E che aspetti?"

 

 

 
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Isole sole

Post n°378 pubblicato il 10 Marzo 2016 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

Isole sperse nel mare grigio delle città, Re Nudi che ne solcano le strade camminando con l'incedere pieno di superbia come fossero vestiti di oro e brillanti. Questa notte ho sognato due isole con un arcobaleno che le univa. Forse tutto è nato da quello che l'altro pomeriggio si intravedeva fuori dalla finestra del mio ufficio, che mi ha impressionato, mi ha rapito. Strano, visto che non considero più gli arcobaleni come ponti o comunque  capaci di unire qualcosa, e soprattutto ho smesso di credere che abbiano una base, un punto del terreno dove iniziano, dove gli gnomi hanno nascosto una pentola d'oro. Si tratta solo di un fenomeno ottico, di una cosa che vediamo ma che in realtà non ha consistenza fisica, reale. Eppure tutte le volte che ne vedo uno, non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Come se un bambino dentro di me mi urlasse qualcosa in una lingua che non conosco. Però, stringi stringi, negli arcobaleni non ci credo più.

Questa mattina, fermo al semaforo in una stradina di periferia, quasi campagna, osservavo le auto che, provenendo dalla direzione opposta alla mia, aspettavano il mio stesso verde esattamente di fronte a me. Due macchine affiancate, identiche. In una c'era solo la persona alla guida e nell'altra solo il passeggero. Entrambi erano voltati verso il posto vicino vuoto e parlavano, come se niente fosse. E le cose che pensavo erano solo due: come fanno a sentirsi e forse dovrebbero aprire i finestrini, e chi guida la macchina dove c'è solo una persona seduta dal lato del passeggero. Ma quando, oltre ad aver notato l'incredibile somiglianza delle due auto mi ero soffermato a notare il fatto che anche la targa era la stessa, mi ero dato la semplice spiegazione che ci vedevo doppio, consolato dal fatto che appunto mi stavo recando dall'oculista per una visita.

Siamo isole o non siamo isole? Sentimenti, passioni, casualità, come traghetti che uniscono per un istante un porto all'altro, per poi ripartirsene dopo aver scaricato gli occupanti e averne imbarcati dei nuovi, diretti a loro volta verso un altro porto ancora. Non ho mai voluto arrendermi a questo traffico inutile, dove tutti vanno continuamente da qualche parte, probabilmente senza nemmeno sapere dove e perché. Di solito preferisco passare il tempo seduto su uno scoglio ad osservare pigramente quel gran viavai di barche.

L'oculista era perplesso, perché secondo lui la mia vista era perfetta e dai suoi esami non risultava niente di strano, quindi per non uscire dallo studio senza nemmeno qualche medicina da prendere, mi ero deciso a raccontargli quello che avevo visto poco prima nei dettagli. Ne era rimasto molto turbato e fin dai primi particolari della storia era diventato scuro in volto. Dopo alcuni secondi di silenzio, guardando per terra come per riflettere sulla faccenda, si era diretto alla scrivania e aveva fatto una telefonata così bisbigliata e breve che non ero riuscito a cogliere il minimo particolare. Aveva poi scritto frettolosamente un numero di telefono su un bigliettino e me lo aveva consegnato, con il semplice commento che per il mio caso ci voleva uno specialista.

Isole, persone che per strada parlano da sole o con un pezzo di plastica. Colpa degli auricolari e anche del fatto che adesso molti amano usare il vivavoce. E se invece la maggior parte facessero solo finta? Che approfittassero del fatto che la tecnologia permette questi dialoghi con nonsisachi per ingannarci, per farci credere che dall'altra parte c'è una persona, anche se non è vero. E se per tutti quelli che camminano per strada leggendo e rispondendo a messaggi fosse lo stesso? Che anche in questo caso sfruttassero solo una App geniale, che ad ogni tuo messaggio ti risponde automaticamente con quello che vuoi sentirti rispondere? Ma soprattutto, siamo sicuri che la realtà sia poi così lontana da queste fantasie?

"Il suo problema è molto raro quanto di semplice soluzione". Il tono del luminare consigliato dal mio oculista era molto rassicurante e anche la figura ispirava la fiducia di un nonno. "Tutto si risolve con questa pillola. Ne basta una al giorno al mattino appena alzati. Basta una sola settimana, dopodiché non avrà più bisogno di prenderla". Questo diceva, mentre dal palmo della mano mi porgeva già l'inizio di questa cura, velocemente estratto da un blister preso in un armadietto che ne conteneva in gran quantità, tutti uguali. Vedendo la mia titubanza, secondo me giustificata dal fatto che queste erano state le uniche parole che mi aveva detto in seguito ai miei racconti, senza visitarmi e senza darmi nessuna ulteriore spiegazione, come leggendomi nel pensiero aveva aggiunto "Lei non vede male. Lei vede benissimo. Lei vede troppo". Ero uscito dalla stanza lasciandolo immobile, con il palmo della sua mano che custodiva ancora la sua soluzione a tutti i problemi.

Le malattie non esistono. Le malattie sono state inventate per vendere pillole. Le isole non esistono, se sai guardare sotto il mare, osservando, magari a migliaia di metri di profondità, la terra che le unisce, le une alle altre, vedi che non sono piccoli mondi solitari e galleggianti, ma soltanto la punta emergente di ciò che è solidamente collegato al grande cuore della madre terra. E gli arcobaleni continueranno a rendere il nostro cammino, breve o lungo che sia, pieno di colori.       

 

 

 
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Marilyn - un ricordo di Franco Casaglieri che (forse) non c'è più

Post n°377 pubblicato il 17 Gennaio 2016 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

Marilyn Monroe è morta. E' successo la notte del Natale appena trascorso. La notizia non è ovviamente apparsa sui giornali perché nessuno poteva saperlo a parte quattro persone: Elvis Presley, Jim Morrison, il Casaglieri e ovviamente io, visto che sono qui a raccontarlo. Elvis e Jim lo sapevano perché da decenni condividevano con lei la spiaggia di una sperduta isola del Pacifico dove vivevano segregati dal giorno della loro finta morte ufficiale. Il Casaglieri perché appena accaduta la disgrazia, Jim e Elvis gli hanno telefonato per informarlo che si era liberato un posto. E allora, dopo i primi dubbi (ma donne ce n'è?) e le prime riluttanti rimostranze, si è dovuto piegare al destino di chi ha con lui condiviso un culmine, un apice. Non si può essere l'amante di un presidente, non si può essere il desiderio sessuale di tutte le donne del mondo, non si può cantare la poesia che si è vista viaggiando dentro di se come nessun altro, senza che prima o poi le circostanze non ti costringano a sparire in un posto dove nessuno ti potrà mai trovare e dove nessuno ti cercherà mai perché tutti ti credono morto. E cosa pensava il nostro caro amico, che gli perdonassero questo suo burlarsi del mondo e di se stesso fino al limite estremo, quello che ti porta a non avere più paura della vita e della morte. Su queste paure si basa il potere di chi ci tiene sotto controllo. E loro non si potevano permettere che il Casaglieri portasse a termine questo fine e costante lavoro di sgretolamento, che diffondesse il virus scanzonato e pazzo dell'allegria genuina imparata passando le serate al circolo del paese. E' un'allegria pericolosa, che se non stai attento potrebbe rivelare il segreto di ciò che abbiamo tutti davanti ai nostri occhi ma che non vediamo: la felicità.

Chi è felice non compra, chi è felice non passa le giornate con gli occhi che guardano lo schermo di un cellulare, chi è felice non si ammala di lavoro per pagarsi le medicine. Se a questo mondo si diventasse improvvisamente tutti felici, il sistema si ingripperebbe.

E così, appena si sono resi conto che in zona Prato un bambino aveva scoperto che il Re era nudo, lo hanno messo subito in lista.  Marilyn avrebbe compiuto novanta anni a Giugno, sapevano che non ci sarebbe stato da aspettare parecchio.

Quindi al Casaglieri non rimaneva altra scelta che partire per il Pacifico. Io posso raccontare tutto questo solo perché ho il vizio di andare in giro di notte a camminare quando in casa mi viene l'uggia e sento che fuori l'aria ha un buon profumo, e allora dal Fondaccio in Galciana sconfino passando sotto il ponticino della tangenziale. Ovviamente non trovando mai nessuno in giro mi sono incuriosito di quell'ombra dai contorni noti che svoltava furtiva in via di Mezzo e m'è venuto da seguirla. Non è stato difficile raggiungere quel passo, anche perché arrivato alle scale del Circolo s'è seduto e m'ha aspettato. Mi sono messo li vicino a lui e siamo rimasti li, senza fare nulla, o meglio, senza fare nulla di ciò che il mondo considera "fare qualcosa", come da tradizione di quelle scale. Non so dire con certezza se questo sia successo nella realtà o in una dimensione ancora più vera, quella che mi fa essere sicuro che il Casaglieri, prima di partire per quell'isola misteriosa, una pesticciata con i piedi per quelle strade se l'è voluta sicuramente fare.

Franco, anche se sei su un'isola del Pacifico e stai sicuramente benissimo, mi dispiace che sei partito, perché era rimasta una cosa in sospeso tra noi, la risposta a una domanda che m'avevi fatto tanti anni fa in Piazza del Comune "Pierattini, che cos'è l'amore?". Lo chiedevi a tutti perché ci volevi fare un libro. A me la risposta mi era rimasta strozzata in gola e nel libro non ci son finito. Ecco, ora ce l'avrei una risposta interessante: "Casaglieri, l'amore sono anime che si sovrappongono, ovunque e comunque succeda, che sia seduto su un aereo mentre cerchi di raggiungere un'isola sperduta o sdraiato sull'erba del giardino di casa una notte di luglio mentre guardi le stelle, e da questa eclisse, di anime se ne crea una terza, nuova, che si chiama "Noi".

Ne sarebbe sicuramente venuta fuori una bella discussione, ma non ho fatto in tempo.

Casaglieri, lo so che con Jim Morrison e Elvis Presley se li che ti diverti, anche se donne 'un ce n'è, però permettimi di sognare che un giorno sarò anch'io uno che ha detto qualcosa in questo mondo, tale da poter meritare di essere considerato pericoloso e portato sull'isola a fare il quarto. Almeno si gioca a scopa briscola e ventuno.


 

 
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We have all the time in the world

Post n°374 pubblicato il 07 Maggio 2015 da max_6_66

 
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We have all the time in the world

Post n°373 pubblicato il 04 Maggio 2015 da max_6_66
Foto di max_6_66

 

L'escoriazione sul palmo della mano si sta oramai colorando di rosso. E brucia. Brucia maledettamente, ma sempre meno di quanto mi brucia il fatto che sono caduto, qui, sul marciapiede, in mezzo alla gente. Qualcuno ci ha fatto sicuramente una risatina, per poi girarsi subito dall'altra parte e continuare a camminare in direzione di quella cosa verso la quale camminava prima. Li osservo, tutti che camminano, scansandomi, scendendo dal marciapiede se necessario. Sono passati alcuni minuti e sono ancora seduto per terra dopo la caduta. Pochi minuti sono necessari a cambiare gli sguardi. Quelli che ti hanno visto cadere si sono fatti il sorrisetto di nascosto, ma oramai sono già passati, sono già lontani, quelli che ti vedono semplicemente per terra senza aver visto l'antefatto invece spostano immediatamente lo sguardo verso l'alto e ti scansano, come se avessero dei sensori automatici. Non sei più uno scemo che è inciampato ed è caduto, sei semplicemente uno che è per terra, seduto sul marciapiede. E le persone sedute sul marciapiede si guardano giusto quell'attimo che serve per prendere le misure e scansarli. E poi si tira dritto.

Se penso a me da bambino mi ricordo sempre molto silenzioso, tranquillo direi. Sempre a pensare, a fantasticare, e poco a parlare. E quindi nessuno ha mai immaginato quanto fossi in realtà bizzoso e testardo. Non piangevo, non urlavo, non battevo i piedi per terra, ma quando avevo preso una decisione, una strada, non c'era verso di farmi cambiare idea. Mai per capriccio però. Era sempre un motivo preciso che mi guidava, una convinzione elaborata con gli scarsi mezzi e la poca esperienza dell'età, ma ferma. Di granito non ci sono solo le montagne, ma anche i sassolini. Poi si cresce, molte cose cambiano, e la vita diventa una corrente che ti trascina chissà dove, senza lasciarti il tempo di capire, di decidere.

Tiro fuori un fazzolettino dalla tasca dei pantaloni, faticosamente perché sono ancora seduto per terra. Mi sputo sul palmo della mano ferita, dipingo di rosso il fazzoletto. Da quella posizione si vede un mondo diverso, le cose assumono una priorità differente, e forse è per questo motivo che ancora non mi sono rialzato. Forse perché il dolore mi ha fatto dimenticare per un momento dove stavo andando. O forse perché vedendo le cose da li, quel dove non è più così importante. Le cose importanti forse sono altre, e c'è tutto il tempo.

Dietro di me, un negozio di televisori. Gli schermi in vetrina diffondono tutti la stessa immagine di un uomo che canta, sorridendo.

"We have all the time in the world, 
just for love, 
nothing more, nothing less" 

 

 

 
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