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D'Alfonso e la sponsorizzazione de Il Centro

Post n°32 pubblicato il 09 Maggio 2011 da emidiobafile

Il Centro pubblica sempre con grande rilievo ampi resoconti delle iniziative di Luciano D’Alfonso e gli concede ampi spazi per interventi diretti.  La direzione di questo giornale persegue un vero e proprio disegno politico che individua nella persona dell’ex sindaco di Pescara l’uomo della provvidenza di un nuovo ciclo politico per l’Abruzzo così come lo fu, a giudizio di questo giornale Remo Gaspari.

Ho avuto modo, nei mesi passati, di polemizzare con una impostazione, facilmente ricavabile dai resoconti giornalistici, che sembrava riproporre lo stesso assetto quale era ai tempi della Dc, con Luciano al posto di Remo.

Malgrado il giornale si sia premurato di non pubblicare le mie considerazioni, esse, tramite face book, sono venute comunque a conoscenza di D’Alfonso e sono stati oggetto di un breve scambio di opinioni con un suo giovane sostenitore.

Con l’intervento odierno su Il Centro D’Alfonso chiarisce bene quali sono le sue posizioni politiche.

Prende le mosse da quello che sarà il nuovo assetto dell’Italia a compimento del processo federativo che lui rappresenta come una condizione di forte competizione a dimensione europea tra i territori.

 Invoca l’apertura di una vertenza alla cui testa mette la Regione e “l’ampia comunità degli eletti”  con il sostegno di “tutti i soggetti capaci di premura collettiva”per strappare al governo

il finanziamento di infrastrutture decisive per lo sviluppo della nostra regione. Ora siccome D’Alfonso non è persone distratta o disinformata, si tratta di capire come mai egli faccia finta di ignorare che la vertenza che lui propone è  già in essere da diverse settimane.

Allora la questione deve essere una altra e viene prontamente chiarita. Non il vecchio assetto di potere dei tempi democristiani, che si propone di restaurare, ma la rottura della relazione politica tra la rappresentanza nazionale e quella regionale. Conviene citare: “ la risolutezza della rappresentanza politica (leggi la difesa degli interessi regionali)  si è sacrificata sull’altare della corrispondenza politica a  filiera verticale, a scapito dei risultati concreti, forse a vantaggio delle aspettative di cooptazione individuale.”

 Quindi non più partiti nazionali, abolizione dell’art. 49 della Costituzione, la divisione del paese in piccole patrie. In ognuna delle quali si inalberano vessilli e insegne proprie. Insomma  un leghismo nostrano che dovrebbe affidare le sue sorti a un capo carismatico (leggi un grande sindaco come quello di Barcellona o di Tirana). Rientra in questa visione anche la lettura che lui da  delle macro aree concepite dall’impostazione comunitaria.  Siccome l’Abruzzo non avrebbe massa critica sufficiente per un confronto con regioni molto più forti, le macro aree diventano per lui macro regioni, realtà che, a suo avviso dovrebbero concordemente concorrere alla definizione non solo di  piattaforme programmatiche e rivendicative, ma tendere a configurarsi come nuova realtà istituzionale.

Non entro nel merito delle proposte programmatiche, poiché la loro succinta definizione non consente un esame di merito. In ogni caso gli obiettivi della Vertenza Abruzzo, quella già in atto, li ricomprende e d’altra parte non si tratta affatto di novità.

Il riferimento al sindaco di Barcellona è fatto non a caso, con un dettaglio non evidenziato: la Catalogna dispone di una autonomia che va ben oltre quella di cui disporranno le nostre regioni anche dopo il federalismo. A questo punto si potrebbe accusa re d’Alfonso di essere un astratto visionario se non fosse che la scelta politica che lui propone può avere qualche base di concretezza e uno sbocco di carattere elettoralistico con l’esito di una lista civica alle prossime elezioni regionali.

Anche qui Il Centro si da daffare con la rappresentazione esasperata ed assillante delle divisioni all’interno del Pd  che non potrebbe, ergo, garantire l’alternativa alla destra

 
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la democrazia cambierà il mondo.

Post n°31 pubblicato il 21 Marzo 2011 da emidiobafile

….non più nemici, sopra i confini rosse bandiere. Un verso di una vecchia cara canzone , l’annuncio di una utopia, l’anelito per un mondo futuro senza oppressi e senza oppressori. Guai a lasciar cadere questa ansia di giustizia, guai a lasciare spazio al cinismo della realpolitic, ma allora? Allora la POLITICA deve trovare gli spazi, le vie per far progredire gli ideali,per farne elementi di una nuova realtà. Le regole del gioco le detta la democrazia, in altre parole è il consenso che da forza e giustificazione, legittimazione alle decisioni. Bisogna tenere legati tra di loro i vari livelli del consenso, anche  se in questa fase, è particolarmente difficile. Ma sta qui la qualità della politica, si verifica in questo modo se una proposta politica è all’altezza delle vicende che scuotono il mondo. Oggi viviamo momenti drammatici ma anche eccezionali. Come a volte accade il mondo viene messo di fronte alla caduta di certezze e di equilibri che si credevano immutabili. Che si volevano far credere tali o che, per ignavia, si  accettavano come tali. Un onda di democrazia scuote assetti di potere nel Mediterraneo e nel Golfo persico e immediatamente il Mare nostrum torna ad essere l’epicentro del mondo, il luogo nel quale si confrontano e scontrano interessi vitali dei paesi emersi e di quelli emergenti, dell’occidente e dell’oriente. Tutti i rapporti di forza precedenti vengono sottoposti ad una tensione che potrebbe ridisegnarli in maniera molto rilevante. Ripeto questo accade a causa di un sussulto democratico di portata epocale. Siamo di fronte a fatti di grande portata che possono determinare uno sviluppo positivo delle relazioni tra i popoli e le nazioni, ma anche volgere verso nuove tensioni e nuovi pericoli. Le rivoluzioni si sa come cominciano, mai come finiscono.

Si fa notare (Caracciolo) che la Libia è diversa dalla Tunisia e dall’Egitto e che nella sollevazione del popolo libico interviene una componente tribale ancora fortemente presente in quel paese. È una affermazione che contiene una verità, ma non tutta la verità. Nella rivista da lui diretta si propongono analisi che vanno oltre la semplificazione di Caracciolo. Una spinta al cambiamento in Libia contiene sicuramente delle forti opzioni democratiche e, d’altra parte anche in Egitto e Tunisia o nei paesi del Golfo, alle istanze di democrazia si combinano rivendicazioni e interessi diversi. L’occidente, l’Europa e l’Italia debbono collegare a queste spinte la loro azione. In Libia l’appoggio politico e diplomatico non è stato sufficiente a fermare Gheddafi e la sua azione repressiva era sul punto di spegnere nel sangue il sommovimento popolare. Non si doveva intervenire militarmente? Caracciolo dice che in ogni caso l’Italia perderà e, obiettivamente, lascia aperta una sola possibilità che corrisponde pari pari alla prima posizione di Berlusconi che non voleva disturbare il dittatore. L’Italia poteva permettersi questa vergogna? La mia impressione che da parte di Caracciolo vi sia una caduta di stile e una buona dose di stizza come se gli stati e i partiti avrebbero dovuto uniformarsi alle sue analisi. Su una cosa però Caracciolo ha ragione, una volta iniziata questa operazione essa deve essere condotta fino alla sconfitta di Gheddafi. Che lo si debba o possa fare solo sul piano militare è cosa da vedere poiché, dal momento in cui il Rais dovesse essere ridotto all’impotenza, le vie politiche e diplomatiche possono recuperare uno spazio operativo e può accadere che nel paese gli orientamenti volgano definitivamente a favore di un cambiamento.

Dal momento che l’ONU ha varato la risoluzione 1973 e sono iniziate le operazioni militari hanno, con qualche tentennamento iniziale, ripreso vita le impostazioni che si definiscono “pacifiste”.

Il documento approvato da Sel, dopo una prima sia pur timida adesione di Vendola all’intervento della Nato, si può assumere come la sintesi di una serie di posizioni critiche presenti nei commenti e nelle prese di distanza che, ed è fatto da annotare sono venuti solo dopo l’inizio delle azioni militari e quando ormai da giorni si discuteva della realizzazione delle no-fly zone.

La prima argomentazione riguarda il rilievo che per decenni si è messa la sordina al fatto che tutti questi paesi che adesso si “ribellano”fossero retti da dittature e che le condizioni di vita fossero inaccettabili sul piano dei diritti civili e delle condizioni materiali di vita. Bene è una considerazione pertinente che, però trascura, per esempio,  il ruolo avuto da Mubarak nel contesto del conflitto Israele-Palestina , dimentica  la realtà delle tensioni relative al mondo arabo e alle minacce del fondamentalismo e del terrorismo. Si trascura anche che quasi tutta l’Europa, Italia compresa e buona parte dei paesi occidentali ed anche di paesi emergenti dipendono dalle risorse energetiche proprio dai paesi retti da dittature o oligarchie o con forti limiti democratici (v. Russia).

 I mortificanti comportamenti di Berlusconi, il suo modo pecoreccio di interpretare il ruolo internazionale  del nostro paese non può fare da velo ai dati di fatto.  Si finge, si dimentica che non esistevano spazi e condizioni vere per intervenire a meno di pensare a scenari apocalittici o ha impossibili opzioni autarchiche. Ed è, soprattutto vero che i “pacifisti” che adesso si risvegliano hanno, non diversamente da altri taciuto su queste realtà.

Altro argomento che Sel sostiene e che, in luogo dell’attuale intervento si sarebbe potuto optare per una forza di interposizione tra i ribelli e Gheddafi. E come con una occupazione militare sul territorio?  Con un accordo tra le parti in conflitto e quindi con il consenso del rais? E poi quali sono le possibili forze con sufficiente peso internazionale e non direttamente interessate alle risorse energetiche della Libia? Pura follia, mistificante rappresentazione delle condizioni politiche e militari reali.

E poi torna la lettura distorta e parziale della Costituzione, si legge solo la prima parte dell’art, 11 e si cancella il fatto che la Costituzione implicitamente ammette la liceità delle guerre intraprese per resistere ad una aggressione ed in genere a quelle difensive. Cosi come ribadisce l’adesione ai vincoli derivanti da accordi internazionale ed anche l’accettazione delle limitazioni alla sovranità nazionale ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. A riprova di questi orientamenti che la nostra Costituzione sancisce si può leggere l’art. 78: Le camere deliberano lo stato di guerra e con feriscono al governo i necessari poteri. E l’art, 83, al capoverso 9: Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle camere. Si smetta di usare la Costituzione secondo i propri comodi e per cercare di dare dignità e fondamento a demagogiche  posizioni.

Si è aperta una colossale partita di dimensione mondiale nella quale intervengono tutti i protagonisti globali e dove nessuno dei paesi che hanno un minimo peso si può dire non interessato. L’Italia ha interessi di vasta portata nel Mediterraneo e in Libia  in particolare (si veda Limes n°1 2011, pag.35). La presenza nel Mediterraneo, il rafforzamento della presenza dell’Italia e degli altri paesi rivieraschi della UE è una opzione strategica decisiva per il nostro paese e per il meridione dell’Europa in particolare, ma anche dell’Europa nel suo insieme in un quadro che riequilibri i rapporti nord-sud. Un dato obiettivo che però ha espresso iniziativa politica non adeguata, penalizzata dagli interessi divaricanti presenti nella UE, da un ritardo dell’iniziativa internazionale dell’Italia. Ora è il momento che bisogna compiere un salto di qualità, tracciare le linee affinché l’intervento militare in Libia  determini un quadro politico in grado di fronteggiare i pericoli che sono presenti, nella misura e nella intensità pari a quella delle opportunità.

Il Pd ha uno spazio d’iniziativa straordinaria, può attingere ad un patrimonio di esperienze e di tradizioni di grande valore, può prendere la testa di una iniziativa di riqualificazione del ruolo internazionale dell’Italia. L’iniziativa nel parlamento è essenziale come lo è quella verso UE, ma ancora di più lo è quella nel paese, sul territorio. L’Italia si assume responsabilità e rischi rilevanti, subisce un flusso senza precedenti di immigrati che raggiungono le nostre coste creano paura e alimentano insicurezza e paure. Un governo sul quale ormai nessuno più scommette rende la situazione drammatica da ogni punto di vista. E come se non bastasse, anche in questa occasione una forte componente massimalista e demagogica, si è manifestata a destra e a “sinistra”dimostrando che alcune forze sono pronte a fare strame degli interessi nazionali pur di lucrare qualche voto in più.

 

 

 

 

 

 

 
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Sulla Sevel e non solo

Post n°30 pubblicato il 01 Marzo 2011 da emidiobafile

 

Prima di riprendere ed aggiornare un discorso in parte già fatto è bene fare alcune considerazioni di premessa.

La globalizzazione ha rotto il rapporto di interdipendenza tra lavoro e capitale cosi come si configurava nell’ambito dello stato nazionale. Il capitale è nella condizione di de localizzare le attività produttive, il lavoro perde parte rilevante della possibilità di contrattare salari e condizioni di lavoro nella  fabbrica se questa è parte di una azienda “globale” come è il caso della Fiat. Naturalmente  questa valutazione generale incontra, sul terreno concreto,  una serie di complicazioni, di contro indicazioni ed anche delle diseconomie.

Comunque i dati di fondo non cambiano e comportano che la tutela degli interessi nazionali o quelli più immediati dei lavoratori trovino altre strade e condizioni per affermarsi. Non ha nessun senso, anzi è una manifestazione di debolezza, insistere sul fatto che la Fiat non chiarisce a sufficienza quali sono, nell’ambito delle sue prospettive globali, il ruolo che assegna all’attività produttiva nel nostro paese. Le dichiarazioni rese da Marchionne in Parlamento danno delle rassicurazioni, ma giustamente queste non possono considerarsi soddisfacenti e rassicuranti. Non si tratta di accettare o mettere in dubbio la buona fede di Marchionne, ma di considerare che le varianti e le dinamiche economiche e finanziarie del mondo globale possono rimettere in discussione anche reali e radicati convincimenti. Allora la questione che si pone è quella di valutare, non diversamente da come si fa per altri settori produttivi, se in Italia vi sono giacimenti di competenza, qualità, innovazione che possono costituire un vincolo per la localizzazione produttiva di comparti specifici di questo settore.

In altre parole, se il sistema Italia, entro il quale vi è il giacimento della realtà Fiat e di tutte le sue componenti (designing, ricerca, maestria, qualità dell’indotto, ecc,ecc.) è tale da rendere conveniente per la Fiat restare in Italia e magari investire per potenziare qualità e quantità della sua produzione. E ancora di  porre in essere quelle politiche industriali che possono ancor di più rendere conveniente il suo permanere. Stabilito che il terreno di confronto e d’iniziativa è eminentemente politico ed è comune per il sindacato, i partiti e il governo in primo luogo, la cosa che salta subito agli occhi è il ritardo con il quale, proprio su questo terreno si sono valutate ed affrontate questioni. Ha ragione Draghi: l’Italia è ferma da 15 anni. Campeggia e deborda la responsabilità di Berlusconi e con lui, quella dell’insieme di quelli che si chiamano “poteri forti”che continuano a sostenerlo, in primis le organizzazioni padronali,  ma anche i partiti, adesso all’opposizione, ma che, a loro volta, hanno avuto responsabilità di governo, ed anche i sindacati. La ricostruzione degli errori e delle deficienze ci porterebbe lontano e non condurrebbe, per l’immediato ad alcun approdo utile.

Una cosa è certa, lampante la permanenza di Berlusconi al governo del paese è disastrosa per gli interessi nazionali nel loro insieme e per ogni settore della società. Ciononostante la sua caduta non appare immediata e tanto meno scontata. Non si è ancora formata la massa critica che ne determini la caduta, per questo è importante che chi persegue questo obiettivo non sbagli nessuna mossa.

Ma veniamo all’Abruzzo. voglio partire dalla iniziativa unitaria che tutte le parti sociali, tutte le organizzazioni  sindacali dei lavoratori e le associazioni di categoria datoriali della nostra regione hanno assunto, nell’ottobre dello scorso anno, indirizzando una lettera  al Presidente della Giunta regionale avanzando una serie di richieste e aprendo nei confronti del governo una Vertenza Abruzzo.

Non entro nel merito dei contenuti, voglio sottolineare la frase finale del documento perché questa torna utile per valutare le cose allo stato attuale:  - Le parti sociali,consapevoli della gravità del momento, auspicano l’avvio di una fase di forte coesione e chiedono che le Istituzioni e le parti politiche della regione di maggioranza e opposizione, con altrettanto senso di responsabilità e spirito costruttivo, si facciano parte attiva del necessario processo di rinnovamento accogliendo le richieste evidenziate, favorendone la soluzione e ricercando unitariamente il conseguimento degli obiettivi di rilancio economico e sociale della regione.

La Sevel dunque, non torno sulle cose dette in precedenza che si possono leggere sul mio blog, Come era prevedibile, la Fiom con la proclamazione degli scioperi si sta cacciando in un vicolo cieco. Non vi è alcuna possibilità, visti anche gli scarsi effetti  dell’agitazione di ottenere qualche risultato positivo. Di contro la frattura con le altre organizzazioni sindacali, anche per il tono esasperato della polemica e per le accuse ingiustificate da parte della Fiom, si fa sempre più profonda.

La Sevel  era partita con la richiesta del tutto immotivata di introduzione la cosiddetta clausola di esigibilità  proposta per piaggeria e non per corrispondere a reali esigenze di produttività o  (come dice Marchionne per ragioni di governabilità degli stabilimenti) e quindi solo per  mortificare diritti dei lavoratori, ma era stata sconfitta dal  rifiuto unanime di tutte le sigle sindacali. Oggi recupera uno spazio che potrebbe rivelarsi pericoloso e, intanto, il presidente della Confindustria prende il destro per assumere una posizione che va oltre la critica alla Fiom.  Porta un attacco più generale alla naturale controparte, ma  anche a quanti, in maniera del tutto lecita, assumano posizioni critiche rispetto ad alcuni investimenti ed ai partiti che ne considerano le ragioni. La posizione di Primavera suona come un ricatto inaccettabile e del tutto strumentale, e come tale va respinta., come giustamente fa la Uil per bocca del suo segretario regionale.

Ma a questo punto una domanda si impone, che fine ha fatto l’impegno per una fase di forte coesione? Nessuno dei sottoscrittori di quell’impegno può far finta di non averlo sotto scritto. È giusto chiedere una risposta, in primo luogo, alla Fiom e alla Cgil, ma anche dire  al rappresentante degli industriali  che l’emergenza e la esigenza di unità non è venuta meno e che si litiga sempre in due. Semmai le ragioni per rilanciare quell’accordo sono divenute più pressanti e la polemica va fatta per rinsaldare l’unità e non per motivare le rotture.

 
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Vendola e il Pd

Post n°29 pubblicato il 28 Febbraio 2011 da emidiobafile

Un compagno a cui mi unisce parte della comune militanza nel Pci e delle formazioni nate dopo il suo scioglimento, che non ha aderito al Pd, dopo il comizio di Vendola a Roma  mi ha detto che, a suo giudizio non vedeva cosa potesse fare da ostacolo a l’unità  tra il Pd  e Sel. Mi ha chiesto se ero dello stesso avviso e, se no, per quale ragione.

 Ho cercato una risposta e, alla fine l’ho formulata in questi termini.

Credo anche io che l’unità sia una cosa necessaria e possibile, ma non ancora matura. Ad essa si frappongono ostacoli che devono ancora essere superati. Ostacoli che nascono  dalle posizioni che il Sel assume non su questioni di merito, di programma per intendersi, ma per il giudizio che da del Pd al quale attribuisce un deficit di vocazione o di ambizione politica, qualcosa che lo renderebbe, come partito, ma anche e soprattutto nella figura del suo segretario, inadeguato alla portata delle operazioni politiche da compiere.

Vendola dice a L’Unità: - …andrò avanti ponendo al centrosinistra i temi che per me sono essenziali. Il mio obiettivo è ricostruire la sinistra, il centrosinistra e l’Italia. Lo dico a Bersani con rispetto.; la sinistra si è inaridita per l’incapacità di alzare gli occhi dal Palazzo, l’assenza di guizzi è un rischio mortale. Non ci si può presentare come buoni amministratori di condominio:  evocare il cambiamento non è una favoletta per bambini-.

Evocare o costruire il cambiamento, non sono la stessa cosa. Sono perfettamente consapevole che per aprire la strada a cambiamenti profondi bisogna far leva anche sui sentimenti, conquistare sul piano ideale, in particolare i giovani o quelli scoraggiati e delusi, ma questo, se non vogliamo cadere nella demagogia, deve poggiare su risposte concrete e praticabili. Insomma per dirla con Gramsci:  ottimismo della volontà e pessimismo della ragione.

 Ai guizzi preferisco la consapevolezza della portata storica, della dimensione e carattere delle cose da fare. Per dirla con Bersani: superare un tornante della storia determinando una riforma democratica e la rimessa in moto della nostra economia. Va ben oltre, la qualità certo affatto disprezzabile, di buoni amministratori di condominio,  il profilo che emerge dal merito e dalla levatura delle proposte del Pd. Proposte frutto di  sintesi di un dibattito ricco, di una grande impegno di unità di cui Bersani è l’artefice e il garante.

 Questa solidità programmatica, la tensione ideale e morale che Bersani comunica in maniera pacata, con quella serenità rassicurante lo rende credibile come candidato  Presidente del Consiglio dei Ministri. E l’Italia ha bisogno di questo.

Sicuramente dobbiamo liberarci di qualcosa che è penetrato in profondità nella cultura e nell’immaginario collettivo che fa si, che quando si parla di “leader” si ricerca quello che si chiama carisma: Dovremmo adottare il rigore critico magiore per rimuovere  un luogo comune che collega strettamente carisma a credibilità di un capo di governo. Non è forse questo superficiale  binomio che ha reso Berlusconi credibile? I soggetti che esercitano una forte influenza che  sui propri simili  non è detto che siano brave persone o politici di valore o uomini di stato.

Per essere veramente unitari bisogna attenersi a rigorosa serietà, evitando di affermare, per esempio, che vi è bisogno di Draghi per dire le cose più di sinistra. E’ certamente importante che Draghi dica certe cose, ma ancora più importante valutare se le proposte che il Pd avanza per scuola sono valide e non far finta che non esistono. E Poi, posto che si voglia  restare al valore nominalistico di “sinistra”, possono essere di sinistra o meno le cose che si fanno: a dirle siamo tutti capaci. Inoltre e  per concludere, se il Sel e Vendola continuano a ritenere di crescere a discapito di quello che dicono essere l’alleato naturale, rendono l’unità più difficile e poco credibile la loro vocazione. Insomma Vendola si tiri fuori dal coro dei denigratori del Pd e di Bersani e consideri che, primarie o meno, l’apporto di Sel, che non ho difficoltà a considerare prezioso, acquisisce valore aggiunto che poggia sulla affidabilità di Bersani..

 

 

 
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Il cattivo esmpio di Sel

Post n°28 pubblicato il 26 Febbraio 2011 da emidiobafile

Le argomentazioni di Caramanico sono veramente risibili e false, al punto che sarebbe offensivo per l’intelligenza di chi legge polemizzarvi. Chi merita invece un commento è Melilla. Ho sottolineato una sua dichiarazione:….- non mi tirerete fuori neanche una parola contro il Pd -.

 Parole no, ma fatti, tipo alimentare le ambizioni elettoralistiche e provocare divisioni nel Pd, questo si.  Secondo la concezione che Melilla ha dei rapporti unitari si può fare. Infatti il suo ragionamento è il seguente: siccome l’unità tra Pd e Sel è inevitabile, qualunque sgarro verrà fatto al Pd adesso, dovrà poi essere ingoiato. Scommetto che Melilla va anche fiero di questa che lui scambia per capacità politica. Inoltre si sente rassicurato, questa capacità non gli ha forse assicurato fin’ora un percorso vincente? Cavalcare la demagogia e il populismo, prendere il potere e conservarlo, anche per interposta persona, occupare posizioni in Comune, alla Regione, al Parlamento e nel partito è stata indubbiamente una sua capacità a prescindere da quanto questo possa servire od essere servito al popolo abruzzese o al partito di appartenenza. La figura di Melilla è riconducibile dal punto di vista culturale e politico alla peggiore tradizione del trasformismo meridionale. Un fenomeno antico che ha ripreso vigore dopo la crisi dei grandi partiti e come conseguenza dello scadimento del livello della vita politica. Si tratta di vocazioni non nuove che, per esempio nel Pci, venivano emarginate, ma oggi si ripropongono aiutate anche da fenomeni obiettivi. La frammentazione dei partiti ha abbassato i quorum elettorali (in abruzzo siamo arrivati ad eleggere in parlamento candidati con poco più di mille voti)  questo premia  ambizioni personali, ma anche spinte localistiche e campaniliste, la contrapposizione di territori e la frammentazione dei riferimenti elettorali.

 La possibilità che certe realtà, anche di piccola dimensione, possano eleggere un consigliere regionale od anche un parlamentare non è un male in se, lo diventa quando questo porta ad una esasperazione localistica. L’entrata in scena di  Rifondazione Comunista, di IdV, della Margherita e di altri partitini hanno moltiplicato i fenomeni di migrazione elettorale. A farne le spese sono sempre le formazioni più consistenti, ma le conseguenze vanno ben oltre il ridimensionamento di questi partiti.

 Si è avuta la frammentazione della rappresentanze  nelle istituzioni ad ogni livello (si arriva ad avere in un Consiglio Comunale di 40 consiglieri oltre 20 gruppi consiliari e consiglieri eletti con una media di 200 voti di preferenza con il moltiplicarsi delle liste, vere o di appoggio); si è determinato un rallentamento del ricambio degli eletti (vi è un consigliere regionale che è entrato in carica nella prima metà degli anni ottanta (eletto nel Pci), vi è tornato nella V legislatura con Rifondazione Comunista, ed è ancora li, dopo un passaggio  in parlamento).

 Diversi sono i casi nei quali tra Consiglio regionale e parlamento la rappresentanza è rimasta bloccata per venti anni ed oltre. Non è la lunghezza della permanenza il problema vero, questo avveniva anche prima, ma era frutto di una dura selezione ed, in ogni caso, consentiva il ricambio generazionale, esprimeva una rappresentanza unitaria dei territori, non ingessava la relazione tra eletti ed elettori e non incoraggiava i fenomeni di notabilato.

I cambi di casacca si verificavano anche prima, molto di meno, e normalmente a fine mandato. Non  come ha fatto Caramanico. Inoltre il suo non sarà l’unico caso, infatti  credo che  Sel intenda proseguire con la campagna acquisti e, come è chiaro, l’occasione delle elezioni amministrative si presta bene.

 

Ho già avuto modo di denunciare il pericolo che il costituirsi di Associazioni da parte di esponenti del Pd e forse anche di altri partiti, se queste formazioni dovessero diventare strumento di pressione per mercanteggiare una candidatura o, anche per creare le condizioni di ulteriori frammentazioni, magari con liste civiche. Al di la delle risibili argomentazioni di Caramanico è sotto l’occhio di tutti l’attivismo frenetico di Luciano D’Alfonso (anche di questo ho avuto a che dire sul mio blog) che potrebbe sfociare in un altro episodio di trasformismo.

Ometto di parlare di quanto sta avvenendo nel parlamento per restare alla nostra situazione regionale. La prima considerazione è che i cattivi esempi sono destinati ad essere imitati e nessuna formazione politica si può dire al riparo da certi pericoli. La situazione del Pd, come è stata rappresentata  su Il Centro non è molto lontana dal vero. In tutte le situazioni in cui si è reso necessario la nomina di un commissario si è dovuto registrare l’incapacità del gruppo dirigente locale di salvaguardare l’unità del partito. E quello che è più preoccupante che in qualche caso si fatica a fare acquisire questo dato come punto di chiarezza e di consapevolezza critica da cui ripartire. Detto questo, che fare?

Le forze che si dicono progressiste, riformiste continuano a ritagliarsi i loro piccoli o meno piccoli spazi? Le ambizioni dei singoli, giovani o vecchi che siano, si pongono sul piano della visione e delle risposte che bisogna dare ai problemi della nostra regione e più in generale a quelli del Paese? La bandiera dell’unità che Sel, Idv  inalberano in continuazione, ha valore  se serve a combattere  il trasformismo e il localismo, a scoraggiare la pochezza e la meschinità di certe ambizioni. Questa bandiera no si onora con  lo scetticismo e il cinismo morale.

 La leale concorrenza  in politica è del tutto legittima quanto si sperimenta sul terreno dell’emulazione, delle proposte programmatiche.

L’unità è cosa sacrosanta quanto serve a fare massa critica per la soluzione dei problemi delle comunità che si vogliono governare, altrimenti non è  credibile, e con buona pace di Melilla, di Vendola e Di Pietro, è molto meglio non farla.

Seguendo il dibattito, sulle poche sedi dove questo avviene in libertà e non filtrato dai media, che non mancano mai di mettere zeppa, ci si accorge di quale  domanda di chiarezza vi è, quante sono le risposte che si chiedono. E si chiedono a chi, se non ai tanti bistrattati partiti? Malgrado tutto l’uomo solo al comando è una idea che comincia a tramontare. In verità  questa tentazione non è nuova. , non è stata inventata da Berlusconi e, ai tempi in cui Gaspari ancora imperava, in Abruzzo anche nel Pci qualcuno si gingillava nel teorizzare che, anche a sinistra, si dovesse avere una figura di quel tipo. Uso clientelare del potere, pratica mortificatrice dei diritti, promossa a “virtuosismo” di governo, e questo prima che questo vergognoso concetto fosse assunto da Il Centro, per spiegare lo sviluppo della regione.

 
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