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Mitologia Fenicia - La caduta (Capitolo 12)

Post n°43 pubblicato il 23 Marzo 2013 da nami.1991
Foto di nami.1991

Come manovra diversiva, i greci mossero la flotta verso la cinta di Tiro e attacorono con gli arieti. Il cozzo fu spaventoso.
Dall'alto delle mura, i tiri presero a versare sui greci enormi bacili d'olio bollente. Il liquido rovente colava tra le corezze e la carne dei greci: una sofferenza atroce! Incoraggiati dal primo successo, i fenici scagliarono pesanti travi munite di arpioni sulle navi nemiche. Il danno era ingentissimo...l'avanzata greca, però irresistibile.
E la diga s'allungava ormai alle porte di Tito!

APOLLO CI METTE LO ZAMPINO

Colmo della disgrazia, un magistrato della città aveva veduto Apollo in sogno...Il dio era in procinto di abbandonare la città. Quanto alla diga costruita dai greci, s'era mutata in un corridoio frondoso.
I tiri interpretarono il sogno come pessimo aupicio. Apollo era divinità onoratissima in città.
E ora l'abbandonava...Temendo il peggio, i fenici legarono la statua di Apollo con una catena d'oro e la fissarono all'altare di  Melqart. Dopo tutto, Melqart era la divinità tutelare di Tiro.
A furor di suppliche e preghiere, si sarebbe risolto a proteggere i suoi devoti...Per prudenza, i tiri avacuarono le donne e i bambini alla volta di Cartagine, città amica. Saggia decisione, giacchè la fine era incombente!

UNO SCONTRO ACERRIMO

L'esercito graco fu scaglionato sul molo, non lontano dalla grande porta che difendeva l'accesso di Tiro.
Il combattimento divampò con cruda violenza. I fenici preferivano la morte alla resa.
Ci si battè corpo a corpo, scudo contro scudo. Le lame cozzavano, le armi bronzee si opponevano.
L'olio bollente seguitava a piovere dall'alto delle mure. Ovunque regnava confusione...
Nel momento in cui più prosporo fu l'urto degli eserciti, Alessandro entrò in azione. In un batter d'occhi, fece accostare la gigantesca torre lignea.
Era alta quarantadue metri, come le mura di Tiro! Alessandro si precipitò ai piani superiori della torre.
Giunto al sommo, gettò un ponte di corda fin sui bastoni della città nemica. Rapido come l'aquila reale, Alessandro corse cul ponte seguito dagli scudieri e penetrò in città.
Fu una scena indescrivibile. I fenici gettarono a terra le armi. Dal campo greco, un urrà assordante salì in cielo.
Le porta della città si aprirono dall'interno. Al seguito del condottiero, i greci irruppero in Tiro onde vibrare ai fenici il colpo di grazia.
Accadde tutto con tanta frenesia che la resistenza fenicia s'afflosciò di colpo. Fu la disfatta. I tiri vennero uccisi a migliaia, i supertiti imprigionati e venduti come schiavi.
L'esercito greco sfilò in pompa magna per celebrare la vittoria. Risuonò lo squillo trionfante delle trombe...
Il profeta Ezechiele ha riportto la caduta di Tiro in un testo famoso: "Sei finita per sempre! Travolta di flutti, sprofondi nel mare, città altera (...) Eri come una nave d'alto mare, piena di molte ricchezze. I tuoi rematori ti hanno condotta in acque profonde, dove il vento dell'est ti ha trovata..."

CONCLUSIONE

Per Tiro, è la fine di una storia e l'inizio di un'altra. Storia simile ad altre delle Fenicia che, stretta fra il mare e i monti, sempre patirà la minaccia di potenti vicini: egizi o assiri, babilonesi o ittiti, greci o romani.
Tant'è: impregnandosi degli apporti culturali delle altre civiltà, i fenici sapranno serbare la propria originalità. Di più, daranno agli altri popoli lezioni d'ingegno e destrezza.
Questo il racconto della mitologia fenicia. Nelle sue belle storia antiche come la notte dei tempi, essa ci parla di quei marinai aperti e curiosi che hanno percorso continenti interi.
E tiene vivi i nostri sogni grazie ai viaggiatori e agli inventori di scrittura che hanno tracciato mille e una via per noi...
Mitologia fenicia significa memoria del favoloso destino di un popolo orientale

Fine Capitolo Dodici

E con questo capitolo la mitologia fenicia è terminata; i capitoli sono stati presi dal libro "La Mitologia Fenicia" di Karine Safa

La prossima mitologia sarà quella romana ma non la metterò subito.
Voglio dare del tempo alle persone che mi seguono di leggere con calma tutte le mitologie che ho messo finora; che sono:

-Mitologia Greca
-Mitologia Egizia
-Mitologia Giapponese
-Mitologia Celtica
-Mitologia Fenicia

Spero che le mitologie messe vi siano piaciute; per leggere tutte le mitologie dalla prima a quella appena terminata basta andare sullo spazio con scritto "cerca in questo blog" e scrivere la mitologia; esempio: Mitologia Greca (Capitolo1).
Spero che mi seguirete in molti anche nelle prossime mitologie. Alla prossima ciao.

 
 
 

Mitologia Fenicia - L'assedio di Tiro (Capitolo 11)

Post n°42 pubblicato il 23 Marzo 2013 da nami.1991
Foto di nami.1991

Celebre è, nella storia, l'assedio che Alessandro Magno pose a Tiro. Si tratta del più lungo assedio intrapreso da Alessandro. E del più difficile.
Quante volte il conquistatore fu sul punto di toglierlo! Certo è che i fenici si batterono come leoni... Per capire l'"invidia" che Alessandro Magno nutrì per Tiro, è opportuno ricordare che Tiro era, dalla remota antichità, una città fiorentissima.

UNA CITTA' ANTICHISSIMA

Impressionato dalla bellezza del luogo, il faraone Amenofi III lo menzionava già come "terra di giardini".
Gli fa eco il profeta Ezachiele, che dice al re di Tiro:"Eri nell'Eden, ne giardino di Dio". La città aveva stretto eccllenti rapporti commerciali con i vicini, soprattutto egiziani. Poco dopo, nell'erà del ferro (1200-900 avanti Cristo), volgendo l'Egitto al declino, il regno d'Israele lo soppiantò. Le relazioni commerciali fra Tiro e Israele s'accrebbero durante l'edificazione del tempio di Salomone.

ACHAB E JEZABEL

Nel corso del IX secolo dell'evo antico, le case reali di Tiro e Israele si uniro per via di matrimonio. Re Achab sposò Izebel, figlia di Ittobaal, re di Tiro.
Disgraziatamente, l'unione di Achab e Izabel doveva volgere a male. Sposato Achab, Izabel introdusse in Israele i culti di Baal e Astarte.
La cosa non era vietata. prima di Achab, re Salomone aveva autorizzato il culto delle divinità straniere.
Izebel, però, si prodigiò tanto le divinità fenice soppiantarono alfine Yavé, unico dio si Israele. Ne scaturì una guerra tra fautori di Baal e fautori di Yahvé.
I conflitti religiosi gettarono lo Stato nel disordine. Il re Achab finì per perire in combattimenti. Izabel fu cacciata.
L'episodio non pregiudicò comnque l'ascesa di Tiro, che seguitò a prosperare e crescere in potenza, nonostante le cupigia dei vicini assiri e babilonesi.

ALESSANDRO MAGNO ALLA CONQUISTA DELLA FENICIA

Alessandro divenne re di Macedonia nel 336 avanti Cristo. Assoggettata la Grecia, intraprese la conquista dell'Asia Minore.
Vi riusì con successo. Quindi mostrò ai suoi generali, sulla carta del mondo, la Fenicia.
"Le città fenicie saranno parte del mio regno" disse. E aggiunse, con sguardo acceso:"Finalemente la mitica Tiro sarà mia".
Alessandro e il suo esercito giunsero in Fenicia nel 333 avanti Cristo. Il grande conquistatore era al colmo della gloria, e Tiro era la gemma che mancava alla sua corona.
Le città fenicie erano in fermento. Che fare? Resistere, a rischio di devastazione e saccheggio?  Scelsero infine la via della prudenza, e tutte diedero ad Alessandro.
Non così Tiro, che ebbe un sussulto d'orgoglio. Era concepibile l'onta dell'occupazione per una città tanto illustre, signora per lungo tempo del mare? No, si doveva resistere a ogni costo.
Ma i tiri non volvevano affrontare il comquistatore in battaglia. Doveva perciò escogitare uno stratagemma...

MOSSA AUDACE, MA...

I tiri inviarono ad Alessandro un delegazione. La si ricevette, carica di doni, a dordo di una delle possenti navi del re.
-Sii benvenuto in o mio re!- disse uno dei tiri. - La tua presenta onora noi tutti.
-Ne sono lieto- rispose Alessandro. -Voi però, o fenici, conoscerete la mia devozione per il vostro dio Meqart, chiamato Eracle in Grecia. Vorrei entrare nelle vostra cittò per onorarlo e colmarlo di offerte!
I fenici s'insospettirono. Era un inganno degno del conquistatore, simile al cavallo di Troia escogitato dai suoi avi. Astutamente i tiri risposero:
-Come rifiutare la tua richiesta, o mio re? Procederemo così: Melqart uscirà dalla cinta delle mura, e verrà deposto sul litorale. Là potrai adorarlo quanto vorrai...
I fenici non potevano concedere ad Alessandro accesso alla cinta di Tiro.
Quale affronto, per Alessandro! Le parole dei tiri suonavano peggio di una dichiarazione di guerra. Furibondo, egli ribattè di scatto:
-La posizione della vostra città va dà la testa, o tiri! Vivendo su un'isola, sottovalutate il mio esrcito di fanti. Ebbene, presto vi accorgerete di essre in terraferma...

INIZI DI UN LUNGO ASSEDIO

Che cosa significavano, le parole di Alessandro? Era innegabile che Tiro sorgesse su un'isola, e ne fortificata.
Le mura alte e spesse ne facevano una città impenetrabile. Ma Alessandro non si fermava davanti a nulla.
Per avvicinare alla terraferma l'illustre città fenicia, avrebbe fatto costruire dai suoi uomini una lunga diga di pietre e di terra poggiata su palafitte. Sfidando l'africo, il terribile vento che spira su Tiro quasi a scoraggiare i nemici.
Da ambo le parti, i preparativi di battaglia incalzavano frenetici. Alessandro spronava l'esercito a iniziare i lavoro per la costruzione della diga.
Serviva un'ernorme quantità di macigni e di alberi d'alto fusto. Era un lavoro titanico.
I tiri, dal canto loro, approntavano i ramponi, possenti artigli di ferro da usare contro le navi nemiche in caso di battaglia. E preparavano bacili d'olio bollente, per gettarli dall'alto delle mura.

DI PRESAGIO IN PRESAGIO

-Dove troveremo le tonnellate di pietre e legno necerrasie per costruire la diga?- chiesero i soldati scortati.
-Animo, soldati miei, vincitori di mille battaglie!- rispose Alessandro. -La prossima non sarà più facile, ma la vittoria è certa...
I soldati intrapresero i lavori d'assedio di buona lena. Posero mano alla costruzione dei tre chilometri di palafittata.
I tiri si avvicinavano nelle loro barche e li punzecchiavano con sarcarmo:
- Ecco qua gli illustri guerrieri, carichi come somari! Il loro comandante si crede Nettuno! S'illude di domare il mare...
A suon di provocazioni, i greci raddoppiarono l'ardore. Poche settimane e la palafittata si profilò a fior d'acqua.
L'isola andava piano piano avvicinandosi. Giorno dopo giorno si rosicchiava qualcosa al mare...
Poi venne una furiosa tempesta, e abbatté sulla diga i suoi flutti veementi, facendola crollare in un frastuono da fine mondo. Alessandro, uscendo dalla sua tenda non trovò più la traccia dell'imponente costruzione.
Il conquistatore greco pensò seriamente di lasciar perdere i diabolice fenici...Ilavori per la diga, che pareva irrealizzabile, si protraevano da troppi mesi. Da canto loro, nei soldati affiorava la speranza che il condottiero togliesse l'assedio. Così sarabbero tornati tutti a casa.

"TIRO SARA' MIA"

Quella notte, Alessandro fece un sogno strano: giocava a nascondico con un satiro. Preva che questi ci prendesse gusto a prendere in giro il conquistatore con motti e smorfie. E, benchè Alessandro tentasse d'acciuffarlo, gli sfuggiva; finchè in ultimo cadde tra le mani.
Quando l'ebbe legato stretto stretto, Alessandro intuì il senso della vicenda. Egli aveva acciuffato un "satiro", parola che, in greco, suona uguale a "tua sarà Tiro!".
Destandosi nel cuore della notte, Alessandro sentì rinascere la speranza. Capiva nell'intimo di essere destinato alla vittoria.
Il mattino dopo, Alessandro spronò le truppe più vigorosamente che mai. Gli uomini posero mano alla ricostruzione della diga, sicuri che sarebbe stata la volta buona.
Dal canto suo, Alessandro ebbe un'idea geniale. Perchè non costruire una ptrre di legno e battere il nemico con la sorpresa?
A condizione di fabbricarla altissima, la macchia poteva dare accesso alla città nel momento cruciale. Per attuare il piano, bisognava però sveltire l'allestimento della diga.
La torre doveva poggiare sulla terraferma e avvicinarsi il più possibile alle mura di Tiro. Alessandro principiò le costruzione della torre nel massimo segreto. Il nemico non doveva sospettare nulla.

Fine Capitolo Undici

 
 
 

Mitologia Fenicia - Le imprese di Elissa (Capitolo 10)

Post n°41 pubblicato il 22 Marzo 2013 da nami.1991
Foto di nami.1991

Europa e Cadmo, principi fenici originari di Tiro, hanno diffuso il genio del loro popolo in cntrade remote. Ne seguirà l'esempio, dopo alcuni secoli (verso l'850 avanti Cristo), Elissa, principessa di Tiro. Anche'essa destinata a grandi imprese.
I romani la chiamarono "Didone", che in latino significa l"Errabonda". Il nome allude a un destino avventuroso.
A lei, costretta a fuggire la città natale e cercare rifugio altrove, si deve la fondazione di un immenso impero. Ma come potè giungere a tanto una principessa baciata dalla fortuna, nel cui futuro parevano esistere solo giorni lieti?

IL DELITTO DI PIGMALIONE

Elissa aveva sposato Asherbas, che amava più d'ogni cosa al mondo. Asherbas era sacerdote di Melqart. Era un uomo ricchissimo.
In quel tempo, Pigmalione, fratello di Elissa, regnava su Tiro. Anzichè rallegrarsi del superbo matrimonio della sorella, nel cuore del re divampava la cupidigia.
Ma celatamente. Fino al giorno in cui, nel massimo segreto, decise di assassinare il sacerdote di Melqart e d'impadronirsi delle sue ricchezze...
Una sera Elissa giocava con le compagne nel suo palazzo in attesa del ritorno di Asherbas dalla caccia. Passarono i minuti e poi le ore.
Asherbas non rincasava. Straziata dell'inquietudine, Elissa consultò la sorella Anna. Costeri la rincuorò, dicendo: -Non inquietarti, sorella. Non scordare che Asherbas è il sacerdote di Melqart. Senz'altro una città vicina l'ha mandato a chiamare per un sacrificio urgente.
Elissa andò a letto com la morte ne cuore.

IL SOGNO DI ELISSA

Quella notte, Elissa dormì sogni agitati. Prima di coricarsi aveva acceso un cero, invocando il nome di Baal onnipotente: "O Baal, cui nulla è impossibile, fà che il mio sposo ritorni!".
Ciò non le risparmiò un lugubre sogno: vide Asherbas pallido, macilento e spaventevole. Sul capo portva una corona di mirto. D'un tratto prese a parlare con voce roca: "Fuggi subito di qua, Elissa, prima che sia troppo tardi! Tuo fratello, scellerato!, mi ha ucciso.  Mi ha attirato a palazzo, con pretesto di chiedere consiglio. Le sue guardie mi sono piombate addosso come avvoltoi!.
Lui vuole il mio tesoro! Tu sola sai dove si trova. Sii mia degna erede. Corri a prenderlo, raduna pochi fidi e fuggi torsto e lontano...".
Elissa si risvegliò di colpo. Emise alti gemiti, prese a battersi il petto. L'amatissimo sposo era morto.
A che pro sopravvivere, sola contro tutti? Alfine il coraggio della principessa ebbe il sopravvento.
Quando si riscosse, la decisione era presa. Per sfuggire alle grinfie dell'infido fratello, non avrebbe lasciato nulla d'intentato.
Raccolti intorno a sé i fedeli, nascosto il tesoro, sarebbe fuggita lontano.

LA FUGA

Tosto Elissa di dispose a escogitare un piano di fuga. Sapeva che non c'erà un minuto da perdere. Pigmalione era pericoloso. Puri di agguantare il tesoro, era disposto a tutto.
Con lui si doveva giocare d'astuzia. Il senso di pericolo incombete mise le ali a Elissa.
La principessa escogitò uno stratagemma degno degli avi fenici! Era un piano da eseguire nottetempo.
Convocò uomini fidi cui impartire gli ordini: Asdrubale, Amilcare, Maarbale e Achab.
-Fate attenzione- disse Elissa- il tempo stringe. Dobbiamo lasciare Tiro appena possibile. Caduta la notte, nasconderemo il tesoro di Asherbas nella stiva della mia nave. Sul ponte troverete dei sacchi di farina...
-Sacchi di farina?- esclamò Maarbale.
-Niente domande, vi supplico...Al momento opportuno, capirete tutto! Per quel che mi riguarda, ancrò da Pigmalione e lo implorerò di concedermi un pò di riposo su un'isola vicina.
Bisogna pur spiegare la partenza della flotta...E adesso, al lavoro!
Gli uomini di Elissa avevano imbarcato il tesoro e i sacchi di farina, secondo le istruzioni. Al sorgere del sole, tutto era disposto per la partenza.
I soldati di Pigmalione erano già là. Armati fino ai denti.
Il loro signore li aveva incaricati di sorvegliare attentamente la principessa e avvertirlo del minimo gesto sospetto.
Un corno da nebbia lanciò il suo lungo richiamo. Gli ormeggi furono tolti. La nave salpò a vele spiegate.
Quando la città di Tiro fu ridotta a un puntino sull'orizzonte, Elisse decise di attuare il suo stratagemma. Sorse sul ponte di prua.
Quindi, lanciando grida strazianti, prese a mattersi il petto e dire:-Asherbas, sposo mio amatissimo, a che mi giova tutto quest'oro senza te? Addio perle, diaspri, corniole..D'ora in poi voglio essere povera!
In quella i suoi uomini, che attendevano giusto il segnale, si diedero a gettare in mare i sacchi di farina. I soltadi di Pigmalione con ebbero tempo di fiatare: già l'ultimo sacchi colava a picco.
S'erano fatti giocare come dei bambini. I sacche, che gli erano stati spaccati per vettovaglie, racchiudevano dunque il famoso tesoro! O così credevano...Come confessare al re il tranello di cui erano stati vittime?
Ci avrebbeo rimesso senz'altro la testa. Meglio perciò accordarsi con la donna. Benchè giudicasseso folle.
Tanto si dicevano i soldati di Pigmalione, paralizzati del terrore, mentre Elissa e i suoi tripudiavano.
L'astuzia della principessa era riuscita di là di ogni speranza. Non soltanto erano fuggiti dalla città di Tiro, ma col tesoro intetto.
Nella mente di Elissa di accavallavano i progetti sul futuro...

IL LAMPO DI GENIO DI ELISSA

La nave viaggiava ormai da molti giorni quando la vedetta gridò:"Terra!".
Elissa e i suoi videro in lontananza una distesa di terra a perdita d'occhio: era l'Africa. Accostarono e sbarcarono il carico: cavalli, vesti, vettovaglie e...il tesoro.
Ordinati in lunga carovana, i tiri intrapresero la marcia, in cerca di un luogo ospitale ove insediarsi. Quella terra, però, pareva già occupata.
Strada facendo, s'imbatterono in un indigeno. Disse che la regione era governata da re Iarba. Elissa gli chiese decisa: -Posso incontrare il tuo re, mio nobile straniero?
-Seguitemi, vi porterò da lui. Quando saprà chi siete, vi darà certo udienza.
Il re Iarba era persona malvagia e spregevole. Aveva barba aguzza e occhi che sprizzavano malizia e inganno.
Fece entrare Elissa nella sua tenda. I compagni, ansiosi, attendevano fuori. La principessa non si perse in preamboli.
Chiese direttamente al re il permesso d'insediarsi coi suoi in terra d'Africa. Il re diflettè, carezzandosi la barba. Acconsentì, ma chiese in cambio una somma esorbitante. Tanto valeva un rifiuto!
La principessa impallidì. L'intero tesoro di Asherbas non bastava a pagare la somma richiesta dal re! Cogliendo lo scorcerto, Iarba studiò di trarre il massimo partito della situazione.
L'arrivo dei tiri, che avevano fma di eccelenti lavoratori, poteva giovare non poco al regno.
Nel contempo, egli diffidava per istinto dei fenici, che avevano la fama d'astuzia e risolutezza. La loro potenza sarebbe cresciuta in fretta, fino a rivoltarglisi contro. Perchè non rinchuiderli allora in una specie di prigione? Così li avrebbe avuti alla sua mercé...
Il re di rivolse a Elissa e le disse in tono mellifluo: -Un accordo tra noi è possibile. Ascoltami bene. La generosità di re Iarba è sconfinata. Io ti darò la terra che mi chiedi. In cambio, non voglio neppure un pezzo d'oro. Bada, però: te ne concederò tanta quanta riuscirai a coprirne con una pelle di bue. Nè più nè meno.
Dopo aver così parlato, scoppiò a ridere, lieto di aver giocato un brutto tiro ai fenici.
La principessa disse fra sé: "La terra racchiusa in una pelle di bue? Ma è minuscola!
Il re si fa beffe di me".
Elissa spofondò nei suoi pensieri. Riandò agli avi fenici, celebri per abilità ed astuzia. Avrebbe dovuto imitarli, per mandare a vuoto la trappola. Ma come fare, per Melqart onnipotente?
Un'idea luminosa la balenò d'un tratto, Si girò verso il re e gli ribattè altera: -Accetto l'offerta!
Il re sghignazzò di gusto. Sbadigliava, però, a non diffare della bella Fenicia.
Ella aveva capovolto i termini della fraudolenta offerta. Senza che Iarba se n'avvedesse, aveva posto le basi della futura Cartagine.
E si era dunque imposta come indubbia regina del futuro regno. Qual era dunque l'astuzia di Elissa? Come sperava di ottenere, con un'unica pelle di bue, la terra che vagheggiava?
L'idea era semplice. Anzitutto, ci si doveva procurare  la più grande pelle di bue possibile. Quindi la si doveva far tagliare da un abile artigiano in una strisciolina lunga e sottile che, una volta stesa a terra, avrebbe tracciato il perimetro di un territorio immenso!
Elissa avvisò all'istante i comagni e spiegò loro l'astuzia. Ebbri di gioia, portarono a braccia la principessa.
Aveva proprio dimostrato la stoffa della regina. Per tutta la notte discussero sull'indomani. S'inebriarono al punto di dare nome allla nuova città che avrebbero fondato.
Sarebbe stata Byrsa, in ricordo del lampo di genio delle principessa (in fenicio, byrsa significa "pelle di bue". Più tardi di chiamerà Qart-Hadasht, città nuova).

LA FONDAZIONE DI CARTAGINE

La fondazione di Cartagine viene datata all'814 avanti Cristom Sita su un promontorio che si allunga ne Mediterraneo per sedici chilomentri, la città si trova a nord-est dell'odierna Tunisi.
Cartilagine è uno di quei nomi magici che fanno sognare. Secondo la leggenda, per determinare il territorio, Elissa potè contare solo su una pelle di bue.
Con tenacia e coraggio, riuscì a fondare uno dei più potenti imperi dell'antichità.
Descrivendo le imprese dei punici (questo il nome dei fenici in Cartilagine), Virgilio non seppe trattenere l'ammirazione:"E' stata una donna a far tutto questo!" esclamò. Elissa fu per lui un "modello di bellezza vittoriosa". Il popolo dal canto suo, le obbediva con passione. I tiri credevano nel futuro della loro città.
D'altro canto, avanti la posa della prima pietra, il sacerdote incaricato di scrutare gli auspici aveva predetto a Cartagine un destino prodigioso.
Per proteggersi, i fenici avevano circondato la città di una cinta imponente. In certi punti, essa giungeva a quindici metri d'altezza e dieci di spessore.
Si aggiungevano a ciò l'appoggio di una poderosa flotta e numerosi porti. Una delle massime realizzazioni di Elissa fu l'idea di una costituzione che destava l'ammirazione degli antichi.
In effetti, la costituzione di Cartilagine equilibrava mirabilmente i poteri dei magistrati, dei nobili e del popolo. Essa sopravvisse a Elissa per più di sette secoli.

CARTILAGINE E ROMA

Ma la prosperità, la forza espansionica di Cartilsgine non potevano piacere ai suoi vicini greci e, soprattutto, romani. Nel descrivere la regione, Diodoro di entusiasmava dei "giardini e laberi da frutta", come della "successione di case tutte riccamente edificate e imbiancate di calce".
Le ville traboccavano di tutto ciò che incremente i piaceri della vita". La città africana metteva a repentaglio il disegno egemonico di Roma.
Perciò i romani iniziarono le famose guerre puniche. Esse sarebbero durate più di un secolo, dal 265 al 146 avanti Cristo, e si sarebbero concluse con la distruzione totale di Cartilagine.
Non soddisfatti d'indebolire il nemico, i romani giudicavano così nefasta la prosperità economica e politica della città africana da volerla cancellare dalla carta del mondo. Sradicarda dalla memoria. Quanto ad Annibale, il grande condottiero dartaginese, il suo genio militare incuteva timore e ammirazione.
Egli rappesentava per i romani un serio ostacolo all'espansione dell'impero. Il grido di guerra del condottiero rimani Scipione l'Africano è rimasto celebre: "Delenda est Carthago!", "Cartilagine va cancellata!".
Dopo la distruzione della città, fu ordinato di ricoprire interamente il suolo con il sale. Là non sarebbe più dovuta apparire alcuta traccia di vita.

Fine Capitolo Dieci

 
 
 

Mitologia Fenicia - Il favoloso destino di Cadmo (Capitolo 9)

Post n°40 pubblicato il 22 Marzo 2013 da nami.1991
Foto di nami.1991

Quando venne a sapere del rapimento della figlia, re Agenone sentì la terra mancare sotto i piedi. Da autentico re, si dece forza e chiese a Cadmo di inizare il lungo viaggio alla ricerca della sorella Europa.
Cadmo, raccolti pochi compagni d'armi, partì all'istante. Procedette per molti giorni e notti; giunse alla Ioni; attraversò il deserto  della Libia.
Dovunque interrogava gli indigeni. Di Europa nessuno aveva mai sentito nulla. Cadmi si spinse fin sull'Olimpo, terra sacra agli dei.
Senza risutato. Quando giunse a Rodi, patria del famoso colosso, erano passate lunghe settimane dai giorno della partenza di Tiro. Cadmo e ri compagni caddero nello sconforto.

LA PROFEZIA DELL'ORACOLO DI DELFI

Nel cuore della notte, il principe di Tiro fu colto da un'ispirazione improvvisa. "La pizia di Delfi! Perchè non consultarla? Il futuro, per lei, non ha segreti!"
Giunto a Delfi insieme ai compagni, Cadmo venne introdotto da un sacerdote nel santuario dell'oracolo. La Pizia non avrebbe tardato.
Il cuore di Cadmo martellava in petto. Stava per conoscere la verità.
Il sipario che sottraeva la Pizia allo sguardo si alzò. Cadmo restò incredulo dinanzi alla bellezza della sacerdotessa di Apollo.
La lunga capigliatura della donna ricadeva in boccoli scuri sulla tunica bianca. Per interrogare l'oracolo, la Pizia inalò gli effluvi dell'alloro bruciato.
D'un tratto, pronunciò le parole a lungo attese:

Guardati, o Cadmo, 
dal dio della bianca folgore,
fuggi da Zeus, vago d'amore.
Il tuo destino non è più quello di Europa.
Và, segui la prima vacca sacra. 
Dove si fermerà, ti fermerai anche tu. 
Sappi che là ti toccherà fondare una città.

                               
Così l'oracolo aveva sentenziato. Per Cadmo iniziò una seconda vita.
In quel tempo stesso, Europa si trovava a Creta. Il pensiero che il suo ratto avrebbe dato il nome dei continenti del globo neppura la sfiorava.

LA LOTTA CONTRO IL DRAGO

Per incanto, Cadmo uscì dal tempio e s'imbatte in una vacca. Essa guidò lui e i compagni fino alle porte di una città che pareva morta.
Cadmo vi penetrò. I compagni l'avevano preceduto per altro via. D'improvviso, Cadmo udì grida agghiaccianti.
Sconvolto si gettò nel punto donde venivano e vide i compagni alle prese con un drago alto come una vecchia quercia. La bestia ficcò gli artigli in petto al primo e squarciò la gola a un altro, continuando a sprigionare il suo veleno mortale.
In breve, il principe di Tiro restò solo dinanzi al drago. Un tremido gli scuoteva le membra.
Lo scontro era impari. In quella, Cadmo udì la voce di Atena. Egli gli induse nuovo coreggio, consigliandolo come agire.
Cadmo raccolse le forze, sollevò da terra un masso con un tremendo sforzo e lo scagliò contro la testa del dreago. Le ossa cedettero di schianto.
Cadmo estrasse allora la spada affilata e recise la testa dal corpo della bestia. Il drago era vinto...

LA FONDAZIONE DI TEBE

La voce di Atena non smise di parlare a Cadmo. Gli disse di raccogliere i denti del drago e piantarli nella terra arida.
Cadmo obbedì all'insolito volere della dea. Quindi irrorò con fervore la terra appena semitata. In quella, decine e decine di guerrieri spuntarono dal suolo.
Erano i nuovi compagni di Cadmo. L'avrebbero aiutato a fondare quella che diverrà l'illustre città di Tebe.
Le sorgenti di Tebe, liberata dal drago, presero a spillare abbondanti. Alberi e fiori germogliavano ancora.
La terra tornò a essere fertile. Uccelli e greggi furono attratti dalla verzura. Gli uomini, dal canto loro, sotto il comando di Cadmo, eresseo templi e statue, dando prova d'operositò e talento tipicamente fenici.
Ma sarà l'alfabeto fenicio, affidato al mondo per il tramite dei greci, a primeggiare come l'opersa più insigne.

L'INVENZIONE DELL'ALFABETO

Inventato tremila anni fa, l'alfabeto fenicio è l'antenato dei molti alfabeti del mondo: quello greco, quello latino, quello abraico, quello arabo.
La leggenda di Europa ci racconta come fu diffuso l'alfabeto fenicio. Partito da Tiro in cerca della sorella, Cadmo si trovò al centro di un destino eccezionale.
Nel corso del periplo di Grecia, insegnò agli indigeni le famose lettere fenicie. Come spesso accade, leggenda o realtà storica non differiscono molto.
Narra Erodoto, lo storico greco:"I fenici giunti insieme a Cadmo in Grecia vi introdussero l'alfabeto, che i greci ancora non possedevano".
La stessa introdizione compare nell'erudito romano Plinio: "Al popolo fenicio spetta l'insigne onore di aver intentato l'alfabeto".
Inventato a Biblo, diffusosi da Tito per merito di Cadmo, l'alfabeto fenicio dimostra come un piccolo popolo di marinai abbia regalato al mondo una delle cose più grandi scoperte!

LA MALEDIZIONE DI AHIRAM, RE BIBLO

La prima vera iscrizione fenicia si trova sul sarcofago di Ahiram, re di Biblo verso l'anno 1000 avanti Cristo. In essa compaiono diciannove delle ventidue lettere dell'alfabeto.
Le folgori del cielo sono invocate contro colui che avrà la svenutra di profanare la tompa del re: "E se uno dei re (...) ascenderà a Gybel (Biblo) e aprirà il sarcofago, che lo scettro del potere sia infamato, che il suo trono regale sia roveciato, che la pace scompaia da Gybel..."
Oggi il sarcofago riposa nel Museo Nazionele di Beirut. Per dimensioni e antichità, è davvero impressionante.
L'urna poggia su quattro leoni; ai lati è rappresentato un banchetto funebre. Il re, seduto in trono, riceve offerte; le donne si strappano capelli e vestiti.

VECCHIAIA DI CADMO

Una volta compiuta la missione, che ne è stato del principe di Tiro? Potrà gosersi il riposo, al termine di una vita eroica e movimentata? In verità, la profezia della Pizia di Delfi, che vedeva in Cadmo un essere immortale, non mancò a realizzarsi. Ecco come.
Divenuto re della città di Tebe, Cadmo prese la determinazione di sposarsi. Zeus gli diede allora in moglie la figlia di Ares e Afrodite, la divina Armonia.
Armonia era la più dolce tra le donne. Essa amò Cadmo di un amore appassionato e visse al suo fianco sino alla vecchiaia.
Un giorno, mentre Cadmo evocava con la moglie ricordi di gioventù e passate imprese, di trovò a dire:
-Sai, Armonia, talvolta mi pento di aver ucciso il serpente...
-Ma Cadmo, per liberare Tebe gloriosa non ne potevi fare a meno!
-Lo so bene, Armonia... Non scordare però che il serpente, presso i nostri avi fenici, è simbolo di saggezza e pefezione.
Non finì di dirlo che prese a trasformarsi: il ventre si allungò, le gembe divennero una cosa, la pelle si copri di squame. Cadmo capì quel che gli accadeva.
Aveva qualcosa ancora da dire ad Armonia, ma le labbra non emettevano più sibili.
Terrorizzata, Armonia esclamò: -O onnipotenti, seè destino che il mio sposo divenga in serpente, fate che lo divenga anch'io!
Il desiderio fu prontamente esaudito. Così gli dei hanno inteso siparare Cadmo e renderlo immortale.
La Pizia di Delfi non s'era ingannata. Perchè ella aveva detto: "Giacchè tu, felice Cadmo, sarai per sempre rinomato tra gli uomini, accedendo alle regioni immortali".

NATO DALLA COSCIA DI ZEUS

Dell'unione di Cadmo e Armonia nacquero quattro figlie e un figlio.
Semele era la più bella delle figlie di Cadmo. Zeus cedette al suo fascino e le diede un figlio.
Mentre però era incinta, Semele fu vittima di un incendio. Il bimbo che portava in gembo non aveva ancora quattro mesi. Morendo, espulse il frutto imcompiuto delle sue viscere.
Zeus lo raccolse, s'incise una coscia e lo lo ripose fino al tempo della nascita. Così nacque Dioniso.
Oggigiorno, l'espessione "nato dalla coscia di Zeus" indica un'origine illustre.

Fine Capitolo Nove

 
 
 

Mitologia Fenicia - La leggenda di Europa (Capitolo 8)

Post n°39 pubblicato il 21 Marzo 2013 da nami.1991
Foto di nami.1991

Nelle figure della mitologia fenicia, nelle loro invenzioni e peregrinazioni, il genio di un popolo appare nel suo fulgore. Genio che in verità s'era già imposto a tutti i popolo dell'antichità.
Furono, i greci, infatti, a dar forma scritta alla mitologia fenicia. Non è sorprendente, considerando la differenza e persino l'ostilità dei greci verso i fenici? Fu più forte di loro. Non potevano scordare il debito nei confronti di quella civiltà.

I CAPRICCI DELLE PRINCIPESSA E DEL DIO

Europa è una principessa fenicia. Essa ha ceduto il nome al vecchio mondo.
Pochi oggi sanno che "Europa" è un'antiche parola fenicia. Ma per quale complicato gioco di prestigio le vicende di una principessa di Tiro s'intrecciarono con quelle di un continente?
In realtà, la "colpa" è di Zeus. Zeus, lo sapete, era il padre degli dei.
Perciò di tanto in tanto gli capitava di montarsi la testa e credere che tutto gli fosse permesso. Aveva sempre avuto un debole per le donne, ovviamente carine.
Per un pezzo, sedurle fu il suo passatempo preferito. Nè lasciò in merito qualcosa d'intentato.
Per stupire la bella Alcmena, si trasformò in pioggia dorata.
Ovvero in cigno, per sedurre Leda. Più anziano, i furori sbollirono.
Ma, un bel giorno, come un vecchio prurito, le smanie tornarono. Il dio capriccioso si trovava allora nella città fenicia di Tiro.
Là s'imbattè per caso in un corteo regale. La principessa Europa, figlia di re Agenore, cavalcava splendida sopra un bianco cavallo. Montava all'amazzone.
A dispetto del velo che ne copriva il viso, Zeus vide che era bella, anzi bellissima.
Giurò all'istante che l'avrebbe avuta. Il corteo procedette ancora.
L'occhio di Zeus non lo perdette di vista. Che cosa escogitare stavolta, per sedurre Europa?
Incontrarla e confessare apertamente la passione? No, Zeus stava invecchiando e rischiava d'incassare un rifiuto. Trasformarsi in cuculo, come aveva fatto con Era? C'era caso di sgolarsi senza che lei lo degnasse di uno sguardo.
Perchè allora non trasformarsi in...Zeus aveva avuto un'idea...divina! L'indomani avrebbe portato a termine la cosa.
Dopodichè avrebbe annunciato agli dei dell'Olimpo di avere una nuova donna. E se quelli gli avessero detto, come l'ultima volta:"Un'altra?, egli avrebbe ribattuto:"Questa è la volta buona!".
E se avessero replicato in coro: "Dici sempre così", avrebbe intimato cortese di badare ai casi loro. Era o non era Zeus, in fin dei conti, il re degli dei?

LA METAMORFOSI DI ZEUS

Europa soleva raccogliere le conchiglie sulla spiaggia di Tiro. Quel giorno, i compagni di gioco l'attendevano sul bordo della battiglia.
Anzicheè raggiungerli, Europa volle deviare per il bosco. Il profumo di fiori selvatici l'attraeva in quel luogo.
Si mise a raccogliere giacinti e fiordalisi, le sorrideva l'idea di comporre uno splendido mazzolino. D'un tratto, al margine del bosco, vide un toro più bianco della neve.
La bellezza dell'animale la ammaliò. Tutto invitava ad avvicinarlo.
A dispetto della paura, Europa fece così. Quando fu vicinissima, ne ammirò le corna.
Somigliavano a falci di luna nuova. L'animale muggì con tale dolcezza che Europa gli si fece più vicina e posò la mano sul petto immacolato.
Le membra del toro tremavano tutte. Non poteva certo essere cattivo! Europa prese allora qualche fiore del mazzolino e gli infilò al collo  un piccola ghirlanda.
Povera principessa! Se avesse saputo che Zeus in personsa s'era trasformato così per attrarla a sé...

IL RATTO DI EUROPA

Nell'illusione del gioco, Europa si lasciò prendere in groppa dall'animale. Un passo dopo l'altro, il toro la condusse fuori del boschetto.
Le acque erano ormai vicine. Scorgendo il lontananza i compagni, Europa vece ampi cenni con il fazzoletto.
Troppo tardi, ahimè! Il toro spiegò due bianche ali e trasse con sè Europa in mezzo al mare.
Terrorizzata, lei si afferrò alle corna e gli si strinse addosso. Il cuore le picchiava nel petto. Che cosa aveva fatto? Che le sarebbe toccato? Vide in un lampo re Agenone, suo padre, ammutolito dal dolore, sul trono; vide il fratello Cadmo, disperato, cercarla ovunque...La principessa Di tiro non rivedrà più il suolo natale!

Fine Capitolo Otto

 
 
 
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