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DI CULTURA E DI POLITICA

Post n°2288 pubblicato il 15 Giugno 2012 da pierrde

Qualche settimana fa mi sono occupato delle dimissioni di Roberto Ottaviano da Bari in Jazz, riportando la notizia e le dichiarazioni del diretto interessato.

Ora sempre sul Corriere del Mezzogiorno leggo un interessante articolo di Fabrizio Versienti, che prendendo spunto dalle dimissioni di Ottaviano allarga l'analisi al rapporto tra cultura e politica nel nostro paese.

In poche righe Versienti traccia un ritratto quanto mai azzeccato di quanto avviene nel Bel Paese con una notevole sintonia rispetto a quanto ho scritto recentemente riguardo al "conformismo" dei nostrani cartelloni jazzistici estivi rispetto ad altre realtà europee.

Posto le note più interessanti rimandando al solito al link a fine pagine per la lettura integrale.


 

....Ottaviano fa dell’altro; la «butta in politica», prendendosela con quanti - Comune, Provincia, Regione - sono stati in questi anni interlocutori distratti o prepotenti. Al di là delle ragioni delle parti in causa, quello che a noi interessa è la parte «alta» del discorso. Senza entrare nel merito delle due vicende, è evidente che entrambe sono una spia di un malessere profondo che investe i rapporti tra la cultura e la politica.

In discussione è la funzione stessa degli eventi culturali, la loro ricaduta sulla collettività in termini di costi e benefici, oltre al corretto bilanciamento tra l’autonomia degli operatori e il potere di controllo e di indirizzo dei decisori pubblici. Non sono temi di poco conto, tanto più in tempi di crisi e di tagli cone gli attuali; negli ultimi anni in tanti hanno auspicato un abbandono dello spettacolo e della cultura a se stessi, al gioco delle libere forze del mercato, e chi ha più filo da tessere vada avanti.

Tutti ricordiamo le uscite «goebbelsiane» dell’ex ministro Brunetta (e di tanti altri), ma non ci dimentichiamo che anche Baricco lanciò provocatoriamente la tesi del totale disimpegno della mano pubblica rispetto alla lirica e al teatro, al cinema e all’editoria, assumendo che si dovesse rifondare tutto a partire dai luoghi di formazione della cultura popolare, ovvero dalla scuola e dalla televisione, unici settori che il «pubblico» avrebbe dovuto sostenere, e che il resto si arrangiasse. Oggi in Italia prende sempre più piede un malinteso «darwinismo» che ci allontana sempre più dal modello culturale europeo: pensiamo a quello che accade in Francia, Germania, Olanda, nel Nord Europa, dove la cultura è sostenuta generosamente dalla mano pubblica in favore di scelte di assoluta qualità artistica e progettuale.

E’ vero, in Italia spesso si fa il contrario: il «pubblico» sostiene volentieri solo i grandi eventi di richiamo, che magari sarebbero in grado di farcela da soli, perché ritenuti più «paganti» in termini di consenso (o di «giro d’affari»), con il risultato di favorire un’idea della cultura e dello spettacolo come ininterrotti passatempi da salotto o da piazza.

In questo scenario, qual è il senso di un festival oggi? Se parliamo di un autentico festival, e non di una delle mille rassegne estive gabellate per tali e realizzate in fotocopia con quello che passano le agenzie, dovremmo pensare a un luogo d’incontro per artisti e operatori, un’occasione di stimolanti e magari anche disturbanti scoperte per il pubblico, una piccola finestra su una fetta di mondo da esplorare fuori dai sentieri più battuti: che sia il jazz, il teatro, la musica classica o altro.

.....Pensiamo anche all’Europa Jazz Festival di Noci e poi al Talos Festival di Ruvo, che ne ereditò il ruolo negli anni Novanta, fondati e diretti entrambi dal musicista Pino Minafra: laboratori del nuovo aperti nei confronti delle «periferie», dall’Est Europa al Sud Africa, e del non ortodosso. Certo, parliamo di festival non propriamente popolari, magari guardati con sospetto dai «passeggiatori» estivi.

Ma sono realtà che proprio per la loro forte originalità hanno saputo guadagnarsi un profilo internazionale, e mantenerlo per un certo periodo. Potremmo fare molti altri esempi (le eccellenze non sono mancate nella vita culturale pugliese) ma non avrebbe senso; il discorso non cambia.

Identità e progettualità forti producono festival (stagioni, rassegne, eventi) che lasciano un segno e incidono sulla vita culturale di una comunità e anche oltre, su scala nazionale o internazionale. In caso contrario, si fa solo del buon intrattenimento.

Operatori e decisori dovrebbero su questo realizzare un patto di reciproco riconoscimento: delle rispettive sfere di autonomia, e del compito assegnato agli uni e agli altri. Produrre idee, arte, cultura nel primo caso, organizzare al meglio le condizioni del loro sviluppo nel secondo. In economia questo si chiama sistema misto, l’unico che esista in natura; il mercato puro o il comunismo li hanno inseguiti in tanti, ma nessuno li ha mai visti realizzati. ....

Link: 

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2012/4-giugno-2012/cultura-politica-chi-scettromal-dimissioni-puglia-201463205974.shtml

 
 
 
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