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CONSIDERAZIONI A MARGINE: IL TRIONFO DI LEHMAN

Post n°3838 pubblicato il 26 Dicembre 2014 da pierrde

 

 

 

 

 

 

I numerosi referendum che tradizionalmente segnano la fine d’anno hanno sancito un indiscusso trionfo personale del sassofonista Steve Lehman. Non sto a elencare, troppo pedante, i numerosi link di riferimento dei moltissimi sondaggi, mi limito a ricordare il Top Jazz di Musica Jazz, il risultato dei critici interpellati dalla radio americana NPR e la classifica stilata dai redattori del blog olandese Free Jazz, un vero totem per tutti gli appassionati della musica più sperimentale.

Per l’ennesima volta ricordo ancora che questo genere di Critics Poll sostanzialmente è uno strumento di orientamento e confronto e non ha, o perlomeno non dovrebbe avere, nessun intento di oggettività. E infatti i pareri discordi non mancano mai, ma questa volta le perplessità più significative vengono da un protagonista del web che per storia, gusti personali e impostazione del sito internet teoricamente dovrebbe invece sostenere il plebiscito a favore di Lehman.

Si tratta di Stef Gijssels, il fondatore del blog Free Jazz, che negli ultimi due anni ha assunto carattere corale con l’ingresso di nuovi redattori. Ebbene, mentre la somma dei pareri dei collaboratori di Stef incorona Lehman, Gijssels si discosta con un post che riassumo nella sostanza e che, a prescindere dai pareri e dai gusti personali, trovo interessante nelle sue argomentazioni..

 

Il fatto che l’album di Steve Lehman  "Mise en Abîme "è stato così altamente apprezzato in molte classifiche di fine anno, anche su questo blog, e non solo, su NPR e alcune altre pubblicazioni jazz specializzate, classificando l'album come il numero uno dell’anno , è un po' sorprendente per me. L’album di Lehman è buono, senza dubbio. Il suo concetto è chiaro, l'esecuzione favolosa. 

Su " Travail, Transformation & Flow " album di Lehman del 2009, ho scritto quanto segue:" La complessità generale sembra avere un effetto soffocante sul suono liberatorio che mi aspetterei da una improvvisazione jazz, spingendo i musicisti in un tipo di pensiero concentrato che uccide la spontaneità emotiva. C'è, di conseguenza, fluidità insufficiente, e poco lirismo ", e potrei dire lo stesso di" Mise en Abîme ".

Sembra una critica dura, ma non lo è. Non si può non ammirare la complessità compositiva, tra cui i ritmi mutevoli, le modalità incisive e la post produzione. Non si può non ammirare la grande prestazione di tutti i musicisti, e di Tyshawn Sorey in particolare. Ma allora che cosa è che non convince ? L'arte è più che struttura abilmente organizzata. L'arte è più di esecuzione perfetta.

 Poi ascolto Daunik Lazro e Joëlle Léandre nell’album " Hasparren ", che è quasi l'immagine speculare di" Mise en Abîme ". E ho scelto questo album come il mio numero uno dell'anno. In questo album, ci sono due musicisti che improvvisano, senza un piano prestabilito. I suoni potrebbero andare in qualsiasi direzione. Eppure non è così.

I musicisti interagiscono liberamente, ma in modo mirato. Ti fanno sentire mondi dietro la musica. Offrono autenticità della voce, la profondità delle emozioni, spostando l'ascoltatore da momenti contemplativi a istanti di grande agitazione e nervosismo, e mi sono anche agitato a volte, costretto ad ascoltare cose che avrei voluto evitare, ma qui non hai scelta. Sei dentro. E sei parte della musica. Non hai scelta.  E 'vera musica. 

Lehman mantiene l'ascoltatore a distanza. Non c'è altro modo. Si è costretti a guardare il procedimento con le capacità cognitive. E  musica cerebrale. Sei stordito e perplesso per la complessità e per l'intelligenza di quello che si ascolta. Si è costretti ad ammirare le competenze tecniche e si è obbligati a riflettere su di esse, per tutto il tempo.Lehman sembra dire: 'guardate me, guardate a ciò che stiamo facendo'. L'ascoltatore viene tenuto a distanza. Egli non ha alcun ruolo da svolgere. Lazro e Léandre viceversa vi invitano dentro la musica . C'è anche un altro modo  per ascoltare questa musica, ed è con  la sfera emotiva. Come fanno le cose è irrilevante. L’importante è come ti tocca, come suona, la purezza insita. Perché hanno spogliato la musica di tutto quello che è irrilevante. E questo procedimento è stato applicato ai temi e alla struttura e così via. Fatto con tutto ciò che potrebbe ostacolare la libertà della loro espressione autentica, cruda, pura e sensibile. 

La difficoltà va oltre il confronto. Questo può essere fatto solo dai musicisti più talentuosi. Devi essere il tuo strumento, per così dire, o il tuo strumento che diventa te. E poi c’è il dialogo, dove si interagisce, ci si sfida, il cambiamento è andare più in profondità. E se questo è fatto bene, risuona con l'ascoltatore ad una profondità che è oltre la musica, che è oltre le parole. Chiamatelo un'esperienza estetica, mistica o anche magica, ma è in ogni caso un avvenimento non cognitivo. Il tuo cervello, la tua conoscenza e il tuo apprezzamento cognitivo non hanno nulla a che fare con esso. 

Lehman mette la musica di nuovo in un ambito ristretto, una camicia di forza soffocante. Lazro e Léandre fanno respirare, danno la libertà, liberano l'ascoltatore. Non fraintendetemi. Lehman fa una grande cosa: sta cercando nuove forme. Sta cercando nuove strade. E questo di per sé merita applausi. Non ha paura di avventurarsi in nuovi spazi. Eppure rimane all'interno del linguaggio del jazz degli anni cinquanta e in questo caso volutamente. Il jazz di Ornette Coleman e Albert Ayler e John Coltrane voleva invece allontanarsi da tutto quanto ascoltato prima. La loro aspirazione era quella di ottenere musica fuori dai confini della forma, e dall’intrattenimento, e liberarla, espanderla in forma maestosa e spirituale ... e trasformarla in vera arte, così come Lazro & Léandre. 

 

http://www.freejazzblog.org/

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 27/12/14 alle 12:12 via WEB
premesso che il disco di Lehman è parso anche a me molto buono e tenendo conto che non ho ascoltato il termine di paragone musicale proposto da Stef Gijssels e quindi non posso metterci becco, trovo da tempo l'osservazione sulla complessità strutturale eccessiva in ambito jazzistico un problema mal posto, o meglio un pre-giudizio in tale ambito non estendibile a qualsiasi proposta come invece vedo da troppo tempo fare. Fondamentalmente lo trovo criterio di valutazione che si può rivelare distorcente. In assoluto non è detto che la complessità formale sia un valore. Bisogna vedere di cosa e chi stiamo parlando, perché ci sono migliaia di esempi nel jazz e nella sua storia che confutano molto facilmente una tale convinzione che secondo me di fondo sta poco in piedi. Se ne può discutere. Quindi l'osservazione che leggo dell'olandese, al di là dell'essere d'accordo o meno, per quel che mi riguarda assomiglia molto alla scoperta dell'acqua calda...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 27/12/14 alle 12:34 via WEB
che poi il jazz di Coleman, Coltrane e Albert Ayler volesse allontanarsi da ciò che si era ascoltato prima, anche lì ci sarebbe da discutere...Quale Coleman, quale Coltrane?
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 27/12/14 alle 12:37 via WEB
e della distinzione che leggo tra arte e intrattenimento che fa l'olandese in ambito jazzistico, vogliamo dirne qualcosa? Mah...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 28/12/14 alle 11:25 via WEB
Concordo pienamente. Stef Gijssels fa considerazioni culturalmente dilettantesche (il suo blog è una ridotta di dinosauri imborghesiti che lottano disperatamente contro il tempo che passa: nella loro pia illusione di essere una congrega di sofisticati pensatori all'avanguardia, si rivelano per dei conservatori simpatici ma bolsi e incapaci di scrollarsi le ragnatele di dosso), con una scrittura che evoca fantasmi romantici e un'autoreferenzialità da collezionista di "momenti" (di passione, di verità, di "musica vera", di "vera arte" [???!!!] e altre amenità da Bacio Perugina): alla fin fine, questi signori scrivono null'altro che una versione più aggiornata dei romanzi di Georgette Heyer, per così dire "a forti tinte". L'ultimo paragrafo dello scritto, poi, è quasi sublime nel suo essere contraddittorio e impreciso, con tutte le fisime e le corbellerie di un eurocentrismo rimasto culturalmente a Puccini. Quanto all'oggetto del contendere, direi che quanto lamentato nei confronti di Lehman è proprio quello che più dovrebbe farlo apprezzare, pur in un clima di sopravvalutanti osanna.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
negrodeath il 28/12/14 alle 11:43 via WEB
Provocazione/spunto/stronzata: secondo me sarà "Black Messiah" di D'Angelo a influenzare il corso del jazz nell'immediato. O almeno, di quel jazz che preferisco.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 28/12/14 alle 14:19 via WEB
poi ci sarebbe da ridire anche su quella frase: "Eppure rimane all'interno del linguaggio del jazz degli anni cinquanta e in questo caso volutamente..." come se Lehman fosse preso da una sorta di ebola jazzistica nel attingere il jazz degli anni '50...francamente è una barzelletta che dura da troppo tempo e che sarebbe ora di smascherare. Allora, sgombriamo il campo da fraintendimenti che da troppo tempo circolano in materia perché, oggi, col 2015 ormai alle porte dedicare un blog in modo esclusivo al Free jazz, musica ormai ultra cinquantenne entrata a far parte della tradizione come tutto il resto è esattamente conservatore e tradizionalista come intitolarlo al be-bop piuttosto che al dixielamd. Il Free e certa improvvisazione radicale, tale e quale è musica con la polvere sulle spalle da un pezzo, ormai superata e vecchia tanto quanto potrebbe essere considerata da quelli di quel blog olandese il jazz degli anni '50 o il dixieland. Altro che "appassiuonati di musica più sperimentale".Per lo più si tratta di vecchi bolsi intellettualmente statici e indisponibili a mettersi in discussione. Certo sedicente sperimentalismo ha da tempo imboccato un vicolo cieco e da quel che sono i miei riscontri piace a gente estremamente conservatrice musicalmente parlando e non solo, che si abbarbica ad un periodo musicale che non esiste più e che ha fatto il suo tempo e il fatto che non se ne rendano conto pensando di essere dal pensiero post moderno è solo un loro problema. Prendersela con Lehman che con questo ottimo disco se ne esce da certo sperimentalismo radicale facendogliene implicitamente quasi una colpa è ridicolo e patetico. bene ha fatto dimostrando di essere molto migliore e più avanzato di certi suoi maestri, considerati dei totem a sproposito e allo stesso tempo un musicista jazzisticamente preparato, che guarda avanti senza dimenticare di guardarsi indietro, perché il jazz è sempre progredito in questo modo. Considerare la fase del Free jazz ancora oggi come uno spartiacque e un muro invalicabile tra tradizione e avanguardia,tra ciò che c'era prima e non tornerà mai più e ciò che si fa oggi, tra l'intrattenimento musicale e la "vera arte" (?) è solo una gigantesca sciocchezza che non ha riscontri nella storia di questa musica ed è più che altro un'operazione ad immagine e somiglianza di chi pensa in un certo modo peraltro dimostrando di conoscere molto poco ciò che crede di apprezzare, o più semplicemente di averci capito poco o nulla, magari dopo cinquant'anni passati a rimestare sempre in un supposto avanguardismo o sperimentalismo che ormai puzza di cadavere da un pezzo. Il jazz e la musica tutta sta andando in altre direzioni da un pezzo e un musicista intelligente che guarda davvero in avanti come Lehman ( e moltissimi altri...) dimostra sufficiente intelligenza per rendersene conto e può certo rallegrarsi di ricevere certe osservazioni critiche vivendole viceversa come attestati di implicita di valenza musicale ed artistica.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
LC il 04/01/15 alle 12:44 via WEB
Che poi, l'idea che un'opera d'arte debba per forza accogliere dentro di sé il suo "utente" per essere significativa, mi pare una pretesa talmente improbabile da cadere a capofitto nel ridicolo. È una richiesta che può andar bene per un bed & breakfast, magari. Ci sono libri, per esempio, che per funzionare richiedono l'intervento del lettore (da Queneau a Perec, passando per "Il grande orologio" di Kenneth Fearing), e migliaia di altri che del lettore se ne fregano tranquillamente ma non per questo sono meno significativi. Lo stesso vale per la musica. Ricorrere ancora alla favole tra di un'arte "partecipativa" o "comunicativa" mi pare un relitto estetico di un tempo che fu. Ci sono tanti artisti (scrittori, musicisti eccetera) che non "comunicano" un tubo e tengono il fruitore a debita distanza, e non per questo sono meno interessanti
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
LC il 04/01/15 alle 12:55 via WEB
Per riprendere l'esempio di Gianni, certo, Georgette Heyer "comunicava" eccome, ai suoi tempi. PG Wodehouse, invece, non ha mai voluto "comunicare" un bel nulla. Eppure Heyer non la legge più nessuno da quel dì, Wodehouse ha ancora tutti i suoi libri in catalogo e nessuno ha il minimo dubbio su chi dei due abbia meglio resistito al tempo (faccio questo esempio perché i due erano contemporanei).
 
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