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Partito Comunista dei Lavoratori

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I QUATTRO PUNTI PER ADERIRE AL McPCL

 
I QUATTRO PUNTI PROGRAMMATICI DEL MOVIMENTO COSTITUTIVO DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

(23 giugno 2006)

Il Movimento costitutivo del Partito Comunista dei Lavoratori intende recuperare e attualizzare il patrimonio programmatico del marxismo rivoluzionario riscattandolo dalla lunga rimozione teorica e pratica di cui è stato oggetto da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo.
Questo recupero e attualizzazione si concentra su quattro assi di fondo che indichiamo come base politica di principio del nuovo movimento.

1 – RIVENDICHIAMO L’ INDIPENDENZA POLITICA DEL MOVIMENTO OPERAIO E DEI MOVIMENTI DI LOTTA DALLE FORZE DELLA BORGHESIA: dai suoi interessi, dai suoi partiti, dai suoi governi.
I marxisti rivoluzionari hanno sempre contrastato le politiche di collaborazione con le classi dominanti collocandosi all’ opposizione dei loro governi. Questo principio di indipendenza della classe lavoratrice dalla borghesia è, se possibile, ancor più attuale nell’odierna situazione storica. La crisi del capitalismo e il crollo dell’URSS hanno chiuso lo spazio storico del riformismo. Ogni coalizione di governo delle sinistre e dei “comunisti” con le forze della borghesia significa la loro corresponsabilizzazione alle politiche controriformatrici della classe dominante. Tutta l’ esperienza internazionale degli ultimi quindici anni lo riprova in forma inequivocabile: i governi di centrosinistra in Italia, il governo Jospin in Francia, il governo Lula in Brasile, hanno tutti amministrato e amministrano , in forme diverse, gli interessi della borghesia contro gli interessi dei lavoratori e delle grandi masse. Il nuovo governo Prodi-Padoa Schioppa, i suoi programmi annunciati in politica estera e politica sociale, si pongono sullo stesso terreno. Ed anzi riflettono una diretta investitura nel centrosinistra dei settori più significativi del grande padronato.
Intendiamo combattere questa politica nel nome di una linea alternativa. Siamo certo favorevoli all’ unità di classe dei lavoratori e dei movimenti di lotta delle classi subalterne, ma per una loro piena autonomia dalle forze avversarie e in funzione di un’alternativa vera. Solo l’ opposizione ai governi della borghesia può preparare le condizioni di un’ alternativa anticapitalistica. Solo l’ opposizione radicale ai governi della borghesia può strappare risultati concreti e conquiste parziali com’ è dimostrato dalla recente vittoria della rivolta sociale dei giovani e lavoratori francesi contro le misure di precarizzazione del lavoro.
Vogliamo dunque batterci per l’ unità di lotta di tutte le espressioni del movimento operaio e dei movimenti di massa attorno ad un autonomo polo di classe anticapitalistico.


 

I QUATTRO PUNTI

 
2 – CI BATTIAMO PER LA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO DA PARTE DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI, BASATO SULL’ AUTORGANIZZAZIONE DI MASSA, come leva della trasformazione socialista.
La prospettiva socialista è la ragione d’ essere del comunismo. I comunisti si battono contro un’ organizzazione capitalistica della società che concentra nelle mani di una piccola minoranza privilegiata tutte le leve decisive dell’ economia e il grosso della ricchezza sociale: un’ organizzazione capitalistica che si basa sullo sfruttamento del lavoro, sul saccheggio dell’ ambiente, sull’oppressione dei popoli; e che oggi conosce il prepotente ritorno delle politiche di potenza dell’ imperialismo e degli imperialismi per una nuova spartizione delle zone di influenza, per la conquista dei mercati, delle materie prime, della manodopera a basso costo. Solo il rovesciamento del capitalismo e dell’ imperialismo può liberare un futuro diverso per l’ umanità. Solo la proprietà sociale dei mezzi di produzione e delle leve della finanza può consentire la riorganizzazione radicale della società umana attorno al primato dei bisogni e delle esigenze collettive, e non del profitto di pochi.
La conquista del potere politico da parte delle classi lavoratrici è un passaggio decisivo di questa prospettiva di liberazione. Il potere dei lavoratori e delle lavoratrici non ha niente a che vedere né con la cosiddetta “democrazia partecipativa”, né con la dittatura burocratica di caste privilegiate. Esso si basa – come voleva Marx – sull’ autorganizzazione democratica dei lavoratori stessi, sulla revocabilità permanente degli eletti, sull’ assenza di ogni privilegio sociale degli eletti rispetto ai loro elettori come nei grandi esempi della Comune di Parigi e della rivoluzione russa delle origini. Contro l’ attuale dittatura degli industriali e dei banchieri – che si fa chiamare”democrazia” – si tratta di lottare per la democrazia autentica: il potere dei lavoratori e della maggioranza della società quale leva di riorganizzazione della società stessa.


 

I QUATTRO PUNTI

 
3 – RIVENDICHIAMO IL LEGAME NECESSARIO TRA GLI OBIETTIVI IMMEDIATI E GLI SCOPI FINALI.
Come scriveva Marx, i comunisti difendono nel presente il futuro del movimento operaio e della prospettiva socialista. La coesione coerente tra rivendicazioni immediate e conquista del potere politico è un carattere decisivo della politica rivoluzionaria: contro ogni separazione tra minimalismo dell’ azione quotidiana e propaganda astratta del socialismo. Questa connessione – che fu alla base dei partiti comunisti delle origini – è tanto più attuale nel contesto odierno della crisi del capitalismo e del riformismo, laddove ogni seria lotta di massa per le esigenze immediate dei lavoratori tende a cozzare con le compatibilità sempre più strette del regime capitalistico, e viceversa ogni rinuncia alla prospettiva anticapitalista conduce in un vicolo cieco le stesse lotte immediate.
La necessità di ricondurre gli obiettivi immediati ad una prospettiva anticapitalista non riguarda solamente le rivendicazioni sociali della classe lavoratrice ma tutte le domande di emancipazione e liberazione: le domande di tutela della natura e dell’ ambiente, le rivendicazioni “pacifiste”, le domande di liberazione della donna, le stesse rivendicazioni anticlericali e per i diritti civili. Ognuna di queste domande cozza, direttamente o indirettamente con un’organizzazione capitalistica della società che fa del profitto l’unica sua religione e che si basa sulla violenza quotidiana dell’oppressione, della segregazione, dell’ ipocrisia, verso la maggioranza dell’ umanità. Ognuna di queste domande esige una risposta anticapitalistica.
Per questi il Movimento del Partito Comunista dei Lavoratori si impegna nella classe operaia e in ogni movimento di lotta dei settori oppressi della società per sviluppare la coscienza delle masse in senso anticapitalistico, per ricondurre ogni loro obiettivo alla necessità di un’ alternativa di sistema.
 

I QUATTRO PUNTI

 
4 – RIVENDICHIAMO LA NECESSITA’ DI UN’ ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA DEI COMUNISTI.
Il movimento comunista nacque come movimento internazionale. Perché la prospettiva socialista è realizzabile compiutamente solo su scala internazionale, solo rovesciando la realtà internazionale del capitalismo e dell’ imperialismo.
Tanto più oggi il recupero di un’ organizzazione rivoluzionaria dell’avanguardia di classe internazionale è condizione indispensabile di un’ autentico rilancio di una prospettiva comunista. Tanto più oggi dopo il crollo dell’ UIRSS il quadro capitalistico è profondamente integrato sul piano mondiale. La realtà della cosiddetta “globalizzazione” capitalistica acuisce la concorrenza e le divisioni nella classe lavoratrice internazionale, tra diversi paesi e continenti. Ogni seria lotta di classe sul piano nazionale, persino al livello di singole categorie o grandi aziende, pone l’ esigenza di un raccordo internazionale con i lavoratori e le lotte degli altri paesi. Così ogni movimento di liberazione nazionale dei popoli oppressi contro l’ imperialismo – a partire dal popolo palestinese e dal popolo arabo in generale – indica l’ obiettiva necessità di una convergenza di lotta con la classe operaia dei paesi imperialisti: così come quest’ultima può e deve porsi nel proprio stesso interesse, l’ esigenza di un pieno e incondizionato sostegno ai movimenti di liberazione dei popoli oppressi, al loro diritto di autodeterminazione, alla loro azione di resistenza.
I comunisti, tanto più oggi, devono sviluppare in ogni lotta nazionale la consapevolezza della necessità di una prospettiva internazionale di liberazione. E al tempo stesso devono lavorare ad unire, su scala mondiale, tutte le rivendicazioni e domande delle classi oppresse per ricondurle ad una prospettiva socialista. Ciò implica il raggruppamento organizzato su scala internazionale dei comunisti rivoluzionari e dei settori più avanzati dell’ avanguardia di classe, al di là delle diverse provenienze e collocazioni attuali, sulle basi programmatiche e sui principi del marxismo.
Il Movimento Costitutivo per il Partito Comunista dei Lavoratori si impegna in questa direzione con tutte le proprie forze.
 

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Post N° 58

Post n°58 pubblicato il 25 Agosto 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

lettera aperta ai promotori dell' assemblea del 9 settembre

Cari compagni/e,
vi chiediamo le ragioni del mancato coinvolgimento del Partito Comunista dei Lavoratori nell’appello che avete promosso per l’assemblea del 9 Settembre. E di cui abbiamo appreso solamente da Il Manifesto.

Vi definite, nel testo stesso dell’appello, “organizzazioni e persone che hanno mantenuto un filo comune di dibattito e di mobilitazione in questi anni”. Bene. Sulla base di questo criterio, perchè la nostra esclusione?

Come tutti voi ben sapete, il PCL è stato parte organica e costante del fronte di opposizione al governo Prodi, del suo “dibattito”, della sua “mobilitazione”. Lo è stato sin dall’inizio, quando quel fronte era un po’ meno partecipato. Lo è stato sin dal Luglio 2006, nelle iniziative davanti al Parlamento, contro il primo rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan, poi sostenuto dal voto di fiducia di tutta la maggioranza parlamentare, senza eccezioni. Lo è stato come forza promotrice, tra le altre, della manifestazione nazionale contro la missione imperialista in Libano (30 Settembre 2006): di fronte non solo ai cantori della “missione umanitaria”, ma anche ai suoi sostenitori “critici” e dubbiosi. Lo è stato come una delle forze promotrici della manifestazione antisionista a Roma del Novembre 2006, quando altri preferirono sfilare a Milano con Fassino e col Centrosinistra. Lo è stato insomma quando un soggetto firmatario del vostro appello (Sinistra Critica) non solo non era partecipe di nessuna di quelle mobilitazioni, ma stava nella maggioranza del governo contro cui quelle manifestazioni si rivolgevano (votando ad esempio la finanziaria di 35 miliardi che aumentava le spese militari e di guerra).
Naturalmente l’ ingresso nelle manifestazioni antigovernative (9 Giugno 2007) di quel soggetto e la sua successiva ricollocazione all’opposizione nella fase terminale della legislatura è stato un fatto importante. Ma che oggi, tra “le organizzazioni che hanno mantenuto un filo comune di dibattito e di mobilitazione in questi anni” figuri Sinistra Critica e sia escluso il PCL ci pare, nel suo piccolo, una enormità grottesca. Oltre che un’offesa inaccettabile alla verità e alla storia di questi anni.
Non sappiamo chi ha proposto o praticato la nostra esclusione, chi l’ha subita, chi l’ha avallata, magari con indifferenza (anche se qualche idea l’abbiamo). Ma per quella correttezza elementare che dovrebbe ispirare i rapporti fra noi, e a cui in ogni caso noi ci atteniamo, chiediamo a ciascuno dei soggetti firmatari una spiegazione pubblica a fronte di una pubblica responsabilità: che, ad oggi, appare obiettivamente comune.

Non siamo in presenza di un episodio nuovo o isolato. Un anno fa, nelle stesse identiche forme, fummo esclusi da un analogo appello pubblico alla mobilitazione contro il governo. Chiedemmo spiegazioni, ottenemmo un generale e imbarazzato silenzio. Salvo poi constatare che alcuni responsabili di quella immotivata esclusione andavano a dire in giro in tutta Italia che “il PCL si è tirato fuori in quanto settario e autocentrato”. E in tante occasioni locali si sono prodotti, a cascata, atteggiamenti analoghi e ipocrisie molto simili, sempre nel segno del rovesciamento delle responsabilità.

Sia chiaro allora una volta per tutte, e per tutti.
Per noi, autonomia politica del nostro partito e relazioni unitarie nell’azione di opposizione non solo non si contraddicono, ma si tengono insieme.
Siamo gelosi della costruzione autonoma del Partito Comunista dei Lavoratori, sulla base di una coerenza politica e di un progetto strategico che ci distinguono dalle altre forze della sinistra italiana. Portiamo da sempre nella battaglia di massa (e al pubblico confronto) una nostra specifica proposta programmatica e linea di intervento, tesi a ricondurre gli obiettivi immediati di lotta alla prospettiva anticapitalistica, fuori da ogni minimalismo ed economicismo. Rivendichiamo ovunque l’autonomia delle nostre scelte politico-elettorali, nazionali e locali, in alternativa alle forze riformiste e centriste: per esempio respingendo oggi la proposta avanzata da Sinistra Critica di una lista unitaria col PRC abruzzese, ipergovernista e compromesso in una giunta di malaffare travolta dagli scandali.

Ma al tempo stesso abbiamo sempre ricercato e ricercheremo sempre la più ampia unità d’azione nelle lotte e nei movimenti contro i partiti borghesi e i loro governi, nell’interesse generale del movimento operaio e dello sviluppo del movimento di massa. Con questa logica abbiamo lavorato negli anni passati per il più ampio fronte di lotta contro il governo Prodi. Con questa logica abbiamo oggi proposto una grande manifestazione unitaria della sinistra italiana contro il governo Berlusconi e il padronato, con una pubblica indicazione di data ( 11 ottobre ) e la richiesta di un comitato promotore unitario.
La nostra partecipazione all’assemblea del 9 settembre sta perfettamente in questo quadro più generale di iniziativa unitaria e di confronto aperto. Ancora una volta vi chiediamo: perché escludere il PCL dalla promozione dell’assemblea?

A meno che la nostra vera “ responsabilità “ sia, al fondo, quella di essere ciò che siamo: programmaticamente, politicamente, organizzativamente indipendenti; impegnati nella costruzione di un partito comunista e rivoluzionario; e per questo avversi a pateracchi politici ed elettorali senza principi.
Se questa è la “ colpa “, non c’è rimedio. Gradiremmo solo, nel caso, lo diceste con chiarezza , con un’assunzione di responsabilità politica e senza ricorrere a piccole furbizie.

In attesa di una vostra risposta vi inviamo

Fraterni saluti anticapitalisti

L’Esecutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

Milano 11/8/08

L’Esecutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

 
 
 

Post N° 57

Post n°57 pubblicato il 22 Agosto 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

IL PD A SETTIMO SI VUOLE PRESENTARE

GRAZIE MA GIA' VI CONOSCIAMO

Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto, come tutte le forze politiche presenti sul territorio settimese, una vostra lettera in cui  invitate ufficialmente tutti i rispettivi dirigenti dei vari partiti per presentare ed illustrare il “vostro nuovo soggetto politico formatosi anche qui a Settimo torinese“ il PD.

Questa lettera ha l’intento di precisare e motivare la nostra consapevole scelta nel declinare il vostro invito.

Intanto ci teniamo a ribadire che il Partito Comunista dei Lavoratori nasce da una lunga battaglia durata 15 anni all’interno del Prc e  conclude il suo percorso all’interno dello stesso nel momento in cui esso entra organicamente a far parte del governo Prodi , fu la sua compromissione la sua compartecipazione a interessi diversi da quelli della classe lavoratrice in cambio di sottosegretari e presidenza della camera che ci fece coerentemente conseguire quanto in  quegli anni furono le nostre battaglie all’interno del Prc stesso e cioè quella per cui non avremmo lasciato il paese privo di un opposizione comunista ai governi della borghesia e del grande capitale.

Intendiamo recuperare e attualizzare il patrimonio programmatico del marxismo rivoluzionario riscattandolo dalla lunga rimozione teorica e pratica di cui è stato oggetto da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo.

Questo recupero e attualizzazione si  concentra su quattro assi di fondo :

1.      rivendichiamo l’indipendenza politica del movimento operaio e dei movimenti di lotta dalle forze della borghesia, dai suoi interessi, dai suoi partiti, dai suoi governi. I marxisti rivoluzionari hanno sempre contrastato le politiche di collaborazione con le classi dominanti collocandosi all’ opposizione dei loro governi. Questo principio di indipendenza della classe lavoratrice dalla borghesia è, se possibile, ancor più attuale nell’odierna situazione storica.

2.      ci battiamo per la conquista del potere politico da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sull’autorganizzazione di massa, come leva della trasformazione socialista. Ci battiamo contro un’ organizzazione capitalistica della società che concentra nelle mani di una piccola minoranza privilegiata tutte le leve decisive dell’ economia e il grosso della ricchezza sociale: un’ organizzazione capitalistica che si basa sullo sfruttamento del lavoro, sul saccheggio dell’ ambiente, sull’oppressione dei popoli; e che oggi conosce il prepotente ritorno delle politiche di potenza dell’ imperialismo e degli imperialismi per una nuova spartizione delle zone di influenza, per la conquista dei mercati, delle materie prime, della manodopera a basso costo. Solo il rovesciamento del capitalismo e dell’ imperialismo può liberare un futuro diverso per l’ umanità. Solo la proprietà sociale dei mezzi di produzione e delle leve della finanza può consentire la riorganizzazione radicale della società umana attorno al primato dei bisogni e delle esigenze collettive, e non del profitto di pochi. La conquista del potere politico da parte delle classi lavoratrici è un passaggio decisivo di questa prospettiva di liberazione.

3.      rivendichiamo il legame necessario tra gli obbiettivi immediati e gli scopi finali.
Come scriveva Marx, i comunisti difendono nel presente il futuro del movimento operaio e della prospettiva socialista. La coesione coerente tra rivendicazioni immediate e conquista del potere politico è un carattere decisivo della politica rivoluzionaria: contro ogni separazione tra minimalismo dell’ azione quotidiana e propaganda astratta del socialismo. Ognuna di queste domande esige una risposta anticapitalistica.

4.      rivendichiamo la necessità di un organizzazione rivoluzionaria dei comunisti,la costruzione di una rifondazione della quarta internazionale : comunista
Il movimento comunista nacque come movimento internazionale. Perché la prospettiva socialista è realizzabile compiutamente solo su scala internazionale, solo rovesciando la realtà internazionale del capitalismo e dell’ imperialismo.
 Ogni seria lotta di classe sul piano nazionale, persino al livello di singole categorie o grandi aziende, pone l’ esigenza di un raccordo internazionale con i lavoratori e le lotte degli altri paesi. Così ogni movimento di liberazione nazionale dei popoli oppressi contro l’ imperialismo – a partire dal popolo palestinese e dal popolo arabo in generale – indica l’ obiettiva necessità di una convergenza di lotta con la classe operaia dei paesi imperialisti: così come quest’ultima può e deve porsi nel proprio stesso interesse, l’ esigenza di un pieno e incondizionato sostegno ai movimenti di liberazione dei popoli oppressi, al loro diritto di autodeterminazione, alla loro azione di resistenza.  

La nostra scelta di non procedere a questo incontro non vuole né rappresentare un’azione settaria né tanto meno un atto di presunzione ma di convinzione, convinzione e determinazione del nostro progetto e della convinzione della giustezza delle nostre idee. Non sentiamo la necessità di avere oggi un incontro di presentazione del Pd  perché già lo conosciamo, l’abbiamo conosciuto  in un anno e mezzo di governo Prodi – Padoa Scioppa, ( di cui siamo stati l’unica forza a sinistra a fargli opposizione ) dalle sue politiche di scippo del Tfr ai danni dei lavoratori a vantaggio di banche e finanziarie, dal mantenimento delle leggi di precarietà, dall’ennesima riforma delle pensioni, dal rifinanziamento delle missioni militari, al regalo del cuneo fiscale alla confindustria, al mantenimento dei Cpt, al proseguimento delle scellerate ed inutili opere  come la Tav  a vantaggio del grande capitale e dei poteri forti del paese. Anche a livello locale e cittadino vi conosciamo, conosciamo le vostre politiche, in consiglio comunale non ci siamo mai sottratti al confronto e coerentemente abbiamo sempre rimarcato le profonde differenze che ci dividono, del resto anche nel programma da voi redatto alle ultime elezioni politiche amministrative cittadine scrivevate che dalla sinistra estrema vi divideva il suo approccio ideologico e non costruttivo all’azione politica e ai programmi, e nel contempo stesso proponete politiche di cementificazione e di disastri ambientali quale la realizzazione di un inceneritore. Pensiamo che il progetto del Partito Democratico concluda oggi il percorso intrapreso alla Bolognina con lo scioglimento del PCI, in direzione di una rappresentanza diretta e centrale della borghesia italiana. La transizione alla seconda Repubblica ha trascinato questa progressiva mutazione del gruppo dirigente maggioritario della sinistra, e allo stesso tempo consideriamo che il vuoto di rappresentanza centrale della borghesia prodottosi con lo scioglimento della DC; la moltiplicazione dei ruoli di governo nazionale (e locale) maturati dalla metà degli anni 90, sino alla conquista della Presidenza del Consiglio (con l’esecutivo D’Alema) hanno rappresentato un fattore di accelerazione di questa dinamica: ampliando a dismisura le relazioni materiali dell’apparato DS e Margherita col mondo delle grandi imprese, delle banche, dei potentati locali e trasformandolo progressivamente in un canale diretto di rappresentanza borghese. La funzione storica cui si candida il PD  è quella di dotare la grande borghesia di quel partito di massa di cui è priva da 15 anni; uno strumento centrale per la sua egemonia sociale.

Per quanto ci riguarda noi ci porremmo sempre dalla parte dei lavoratori e dei loro interessi, ci poniamo e ci porremmo sempre contro chi rappresenta gli interessi della borghesia e dei poteri forti siano essi nazionali o locali, in conclusione noi da oggi ci dichiariamo alternativi al Partito Democratico e alle sue politiche e agli interessi che esso rappresenta tanto a livello nazionale quanto a livello locale sapendo che tra i due livelli non esistono distanze se non quelle che emergono dalle lotte interne che segnano già oggi scontro tra gruppi di potere e cordate politico-finanziarie come del resto accade in ogni partito borghese.

Queste sono le ragioni ,che oggi, in questa nostra lettera, ci spingono nella coerenza che ci contraddistingue a esprimere in modo franco e schietto le nostre ragioni sulla volontà e l’inutilità che abbiamo ritenuto rimarcare rispetto il vostro invito, e con quest’ottica che ribadiamo la nostra continua disponibilità a dibattere con tutti come forma di democrazia applicata che è nostro costume, certi di un vostro sincero riconoscimento ed apprezzamento per questa nostra onestà vi porgiamo i nostri saluti.

 

 

Per il Partito Comunista dei Lavoratori

Il portavoce  del nucleo di Settimo Torinese

Debetto Daniele

 
 
 

Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 06 Agosto 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

Prc: svolta a sinistra o trasformismo?

di Marco Ferrando - Portavoce nazionale del Pcl

(5 agosto 2008)

Il settimo Congresso del Prc, nella sua dinamica e nel suo esito, non può davvero essere ridotto a fatto interno di partito. Esso è parte di un processo più generale di ricomposizione della sinistra italiana, e per questo richiama, anche per il Partito comunista dei lavoratori, la responsabilità di un giudizio politico impegnativo.

Ho e abbiamo un rispetto profondo per i militanti e gli iscritti di Rifondazione comunista, ove ho militato per quindici anni. E ho ragione di credere che questo rispetto sia ricambiato. Proprio per questo voglio onorarlo col dono della sincerità - com'è dovere dei comunisti - fuori da ogni ipocrita diplomatismo.

No, non ho visto nell'esito del settimo congresso quella svolta strategica "a sinistra" che tanti tendono in questi giorni, per interessi opposti, ad esaltare o demonizzare. Ho visto piuttosto un altro fenomeno, sicuramente anch'esso "di svolta", ma di altra natura: un ricambio traumatico degli assetti dirigenti, nel segno di una guerra spietata per la leadership e di uno spregiudicato trasformismo.

Il cuore del vecchio gruppo dirigente "bertinottiano" ha perso non un congresso, ma un partito: più precisamente il "suo" partito, quello che per lungo tempo è stato il partito del segretario, e dei gruppi dirigenti che egli ha raccolto e selezionato attorno a sé sulla base della fedeltà alla linea. Quel gruppo dirigente - è bene riconoscerlo - non è stato travolto da un complotto interno, ma, in ultima analisi, dall'onda d'urto della disfatta di quell'intero corso politico che ha trascinato Rifondazione nel governo del grande capitale, e che per questo l'ha compromessa, contro i lavoratori, nei sacrifici sociali e nelle missioni di guerra.

Ma proprio qui sta, a me pare, il primo paradosso del congresso. La nuova leadership non solo non è stata l'esito di una battaglia interna contro quella lunga politica di compromissione, ma si è improvvisamente incarnata nell'unico "ministro comunista" del governo confindustriale di Prodi: ossia in chi, fino all'ultimo e senza incertezze, ha direttamente cogestito per due anni le politiche della borghesia (col plauso postumo di D'Alema); ha pubblicamente difeso il proprio voto ministeriale a tutte le scelte di fondo del governo (decreto antirumeni incluso); ha avuto persino un ruolo diretto nella repressione di quelle minoranze interne del Prc che, in fasi diverse e con diverse coerenze, contrastavano o disturbavano il governismo del partito. Non è un po' singolare?

Osservo questo, sia ben chiaro, non per contestare il diritto alla conversione politica anche la più repentina, che è un diritto democratico di chiunque, persino di un ex ministro, persino se avviene dopo la caduta del governo e alla vigilia di un congresso. Ma perché questo interroga la credibilità politica della "svolta a sinistra" che il congresso ha annunciato, e quindi la stessa natura del nuovo Prc nella sinistra italiana.

Dov'è il segno della "svolta strategica", nelle stesse pieghe del documento congressuale conclusivo?

Nel testo approvato dalla nuova maggioranza non vi è un solo rigo - uno solo - sulle responsabilità del Prc negli anni di Prodi contro i lavoratori e i movimenti (neppure sulle missioni di guerra). Si dice semplicemente che «è superata la collaborazione organica col Pd nella fallimentare esperienza dell'Unione». Ma questa non è né un'autocritica, né una svolta: è la banale constatazione postuma di un decesso.Nel testo si legge che «è sbagliato» riproporre oggi il centrosinistra «quando il Pd ha una linea neocentrista» e «i rapporti di forza esistenti» sono sfavorevoli. Dunque se un domani il Prc si rafforzasse e il Pd "riaprisse" al Prc, si potrebbe ritornare al governo col Pd di Calearo e Colaninno? Emblematico è il passo sulle giunte locali. Dove non c'è alcuna rettifica di linea generale. Si dice semplicemente che «andranno verificate» sui contenuti. Ma è quello che si ripete ritualmente da tredici anni; è quello che ha ritualmente ribadito persino il recente congresso del Pdci (!); è la frase canonica con cui si rimuove la verifica impietosa dei fatti, quelli che vedono assessori di Prc e Pdci in tutta Italia coinvolti da anni in amministrazioni sempre più impresentabili (inclusa la provincia di Milano, la Toscana, la Liguria, come ieri l'Abruzzo…). In base ad una linea nazionale spregiudicata che ha sempre usato la partecipazione alle giunte come canale di rapporto col centrosinistra nazionale, o come leva negoziale di pressione per ricomporre il centrosinistra. Il fatto che il primo atto del nuovo segretario del Prc sia stato quello di rassicurare il Pd sulla continuità delle giunte chiarisce ogni dubbio al riguardo. E' questa la "svolta a sinistra"?

Peraltro da quando è nato, il Prc celebra in ogni congresso una "svolta a sinistra". Fu chiamata "svolta a sinistra" l'opposizione al governo Dini nel '95: ma servì a preparare contrattualmente il primo accordo di governo con Romano Prodi ('96). Quello del voto al pacchetto Treu e ai Cpt. Fu chiamata "svolta a sinistra" quella del '98, poi ricelebrata nel 2002, sullo sfondo della stagione dei movimenti: ma servì a ricostruire la massa critica negoziale per ricomporre il secondo governo Prodi (2006), con tanto di sottosegretari, ministri, presidenze. L'attuale "svolta a sinistra" del Prc si muove in un contesto politico certo più problematico e con un partito notevolmente più debole: ma la sua immutata ambizione è quella di favorire il ritorno, in prospettiva, nel grande gioco del governo.

Del resto, se il "comunismo" rimane - per citare Ferrero - un puro "universo simbolico"; se dunque, al di là delle parole, tutto si riduce all'esistente (cioè al capitalismo reale), per quale ragione di principio si dovrebbe rinunciare ad un assessore oggi e a un ministro domani? Se tutto si riduce all'esistente, il governo dell'esistente diventa il tutto: cioè la meta della politica. E l'opposizione, anche la più gridata, diventa ogni volta l'anticamera del governo o della sua ricerca. Questa è stata la storia della socialdemocrazia e dello stalinismo nella lunga pagina del Novecento. Quella Rifondazione che avrebbe dovuto ripudiarla, l'ha invece riproposta, seppur in miniatura.

E qui osservo un secondo paradosso del settimo congresso. Meno appariscente del primo, ma forse ancora più clamoroso. Quello che ha visto la confluenza attorno a Ferrero, in una comune maggioranza politica, di quei gruppi dirigenti del terzo e quarto documento che avevano formalmente evocato, anche contro Ferrero, la necessità di una autentica Rifondazione. E' troppo vedere anche qui il segno triste del trasformismo? Il terzo e quarto documento avevano denunciato pubblicamente per mesi la "falsa alternativa" tra Ferrero e Vendola. Avevano raccolto il voto di migliaia di militanti comunisti del Prc attorno al rifiuto del bipolarismo interno. Avevano raccolto più in generale, su basi politiche diverse, una domanda reale di svolta strategica, comunista e classista, del partito.

Ma tutto questo patrimonio di quadri e militanti è stato portato in dote alla nuova leadership in sole 48 ore. La "svolta operaia" di Falce e Martello si è improvvisamente inchinata alla continuità degli assessori. La celebrazione retorica della Rivoluzione d'Ottobre si è sposata con "la ricerca della non violenza". Il comunismo più ideologico o formalmente "rivoluzionario" ha scoperto "la Sinistra europea". Il tutto in cambio di qualche pallidissima concessione letteraria (e della pubblica promessa di nuovi ruoli di gestione).
Questa è la vera vittoria di Paolo Ferrero. E la misura, se posso complimentarmi, della sua indubbia capacità. Non quella di aver sconfitto Vendola, con cui ha condiviso il corso politico governativo. Non quella di aver conquistato la leadership di quel campo di rovine che lui stesso ha concorso a produrre. Ma quella di aver assimilato e arruolato le sinistre interne. Come aveva fatto Bertinotti, proprio con Paolo Ferrero e la sua area, nel '95. Come Bertinotti e Ferrero avevano fatto con l'area di Bandiera Rossa (futura Sinistra Critica) nel '98-2003. Ogni volta le cosiddette "svolte a sinistra" hanno assimilato le sinistre interne claudicanti e disponibili, sgombrando la via alle successive svolte governiste. La storia si ripete, come si vede, immemore delle lezioni. Lasciando ogni volta sulla strada, purtroppo, migliaia di compagni disorientati, delusi, traditi.

Il Partito comunista dei lavoratori è nato da una lunga battaglia politica e morale, controcorrente, contro il trasformismo della sinistra italiana. Anche di quello che ha attraversato il Prc. Il bilancio del settimo congresso di Rifondazione ci consolida nelle nostre ragioni e nelle nostre scelte.

Naturalmente ci rapporteremo con attenzione al nuovo Prc di Paolo Ferrero. Ricercheremo ovunque possibile la più ampia unità d'azione nella lotta contro il padronato e Berlusconi: a partire da quella grande manifestazione unitaria d'autunno che proponiamo per l'11 Ottobre e che sarebbe ora di iniziare a preparare. Saremo disponibili a costruire col Prc e con tutti i suoi compagni e compagne, esperienze comuni di confronto e di iniziativa nelle quotidiane battaglie di classe, ambientaliste, antimperialiste, femministe. E speriamo anche, finalmente, anticlericali.

Ma lo faremo orgogliosi della nostra costruzione indipendente e della nostra identità: quella dell'unico partito della sinistra italiana che non si è inginocchiato di fronte alla borghesia; che non si è compromesso, né in tutto, né "criticamente", nella disfatta di questi anni; che ha fatto e fa dell'indipendenza di classe del movimento operaio, e quindi della rottura col Pd confindustriale (ieri, oggi e domani), l'asse strategico della propria proposta politica nella prospettiva di un'alternativa anticapitalista. L'unico partito, insomma, che considera il comunismo non un simbolo da riverire, ma un programma da realizzare: quello della rivoluzione sociale e del governo dei lavoratori.

 
 
 

Post N° 55

Post n°55 pubblicato il 03 Agosto 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

IL NUOVO RIFORMISMO DI PAOLO FERRERO

        E LA POLITICA DEI RIVOLUZIONARI

L’esito del settimo congresso nazionale del PRC, con l’avvento della segreteria Ferrero e di una nuova maggioranza politica, non è un semplice episodio congressuale interno del PRC, ma è parte del più ampio processo di ricomposizione degli assetti della sinistra italiana.

Tanto più dunque è importante una prima analisi dell’accaduto, e una prima definizione dell’orientamento, al riguardo, dei marxisti rivoluzionari.

Il tracollo della componente bertinottiana

Il settimo congresso del PRC ha innanzitutto sancito la sconfitta definitiva della componente strettamente bertinottiana del partito: quella componente più organicamente “socialdemocratico-governativa” che aveva lavorato per la liquidazione organizzativa del PRC entro la costituente di una più ampia sinistra socialdemocratica, quale sinistra del centrosinistra.

Questo progetto – inizialmente concordato da Bertinotti coi vertici del PD – è stato prima minato nella sua credibilità dalla traumatica esperienza Prodi e dal suo fallimento; poi è stato dissestato dal nuovo corso veltroniano; poi ancora è stato colpito nel profondo dalla disfatta elettorale dell’Arcobaleno e dall’estromissione dal Parlamento; infine è stato sconfitto impietosamente nel congresso del partito.

La sconfitta congressuale di Bertinotti-Vendola-Giordano va ben al di là dei suoi numeri percentuali: la componente bertinottiana ha perso il controllo di quel partito su cui pensava sino al’ultimo di detenere un diritto divino di comando. La caduta rovinosa di Bertinotti, a seguito del voto del 13-14 Aprile, ha trascinato con sé il grosso di quel gruppo dirigente diffuso che Bertinotti stesso, per dieci anni, aveva selezionato e promosso attorno a sé. Senza l‘autorevolezza di un Bertinotti ormai defilato, e sullo sfondo della disfatta elettorale, quel gruppo dirigente si è rivelato profondamente debole: capace di usare la leva dei propri ruoli istituzionali ai fini del controllo clientelare di settori del PRC e del suo tesseramento (in particolare nel Sud) ma incapace di costruire egemonia politica sul corpo complessivo del partito.

La leva vendoliana dei giovani dirigenti “poeti”, capaci di slanci lirici nella denuncia dei mali del mondo, ma incapaci di un’argomentazione razionale di analisi e di linea, poteva reggere nel momento della “vittoria”, quando si trattava di celebrare “il capo” (Bertinotti); ma ha mostrato tutta la sua inconsistenza e impotenza nel momento della sconfitta, che ha coinciso non a caso col suo tracollo.

La minoranza Vendola-Giordano non rinuncerà al proprio progetto politico di costituente di sinistra, seppur oggi disponendo di una forza molto minore e trovandosi su un terreno ben più accidentato (polverizzazione della “sinistra radicale”; concorrenza di Sinistra Democratica e ambienti PD; incognita della legge elettorale). Ma lo persegue da soggetto prevalentemente esterno al PRC, in veste di sua “frazione pubblica”. Se dunque la scissione ancora non c’è, la dinamica probabile pare quella della scissione. Ciò che da un lato misura la piena consapevolezza da parte della minoranza del carattere irreversibile della sconfitta interna subita, dall’altro la espone a emorragie di ritorno in direzione della nuova maggioranza del partito.

La natura trasformista della nuova maggioranza

La nuova maggioranza dirigente del PRC è il prodotto di una spregiudicata operazione trasformista, promossa e diretta da Paolo Ferrero.

Bisogna dare alle cose il loro nome. L’ex ministro del PRC è stato, in quanto tale, fino a ieri, il più diretto corresponsabile, nel partito, delle politiche di sacrifici sociali e di guerra del governo confindustriale di Prodi. Durante l’intera esperienza di governo, non solo non ha mai posto in discussione, neppure per ipotesi, la permanenza del PRC nell’esecutivo, ma si è segnalato sino al’ultimo come il più convinto sostenitore…del proprio ruolo di ministro. Sino a difendere pubblicamente il proprio voto favorevole nel Consiglio dei Ministri al decreto razzista antirumeni dopo il caso Reggiani. Peraltro fu proprio Paolo Ferrero a mostrare la maggiore durezza nella repressione burocratica delle minoranze di sinistra del PRC: nel primo caso contro Progetto Comunista, in occasione del cosiddetto “caso Ferrando” (2006); in secondo luogo nei confronti di Franco Turigliatto e di Sinistra Critica. Da ogni punto di vista, insomma, il governismo di Ferrero è stato davvero di ferro.

Ma, dopo il tracollo del governo e la disfatta elettorale, e alla vigilia del congresso, Paolo Ferrero ha improvvisamente impugnato la bandiera della “svolta a sinistra” al fine di capitalizzare il malcontento interno e usarlo come leva del suo vero e unico obiettivo strategico: non la rifondazione del comunismo, ma la conquista…. della segreteria del partito. Un obiettivo che Ferrero perseguiva dal 2005, da quando si aprì la lotta interna al campo bertinottiano sulla successione a Bertinotti.

Peraltro la biografia politica di Ferrero nel PRC dimostra che le brusche svolte non sono insolite per lui. Né mai sono state innocenti. Ne ’94, in occasione del secondo congresso del PRC, Ferrero concorse alla formazione della seconda mozione, che contestava la disponibilità del PRC a entrare nel governo del vagheggiato “polo progressista”: e grazie al risultato lusinghiero di quella mozione (20 %), Ferrero entrò con altri cinque compagni nella direzione nazionale del partito in rappresentanza della minoranza. Ma passarono appena sei mesi, e Ferrero scoprì improvvisamente il fascino irresistibile di Fausto Bertinotti: scaricò in fretta e furia la minoranza che lo aveva eletto in cambio dell’ingresso premio nella segreteria nazionale. E dopo un anno diventò il più convinto alfiere del primo accordo di governo col centrosinistra: quello che impegnò il PRC per due anni (Bertinotti, Cossutta e Ferrero fianco a fianco) nel voto al pacchetto Treu, alle finanziarie lacrime e sangue, ai CPT per gli immigrati. E fu proprio Paolo Ferrero a battersi in prima linea a difesa della scelta di governo contro la vecchia sinistra interna: la conquista di un posto in segreteria valeva bene la folgorazione governista.

Così oggi, la scalata al ruolo di segretario val bene la recita della “svolta a sinistra”. Il segno politico è diverso, ma la spregiudicatezza è la stessa. In questo caso la grande capacità di Ferrero è stata quella di costruire attorno al proprio progetto di leadership e al suo rivestimento ideologico una coalizione eterogenea di forze interne, anche tra loro tradizionalmente avversarie. Prima costruendo l’aggregazione della 1° mozione congressuale con la componente togliattiana di Claudio Grassi (Essere Comunisti) e ottenendo la propria egemonia in quella aggregazione. Poi, in sede di congresso nazionale, riuscendo a raccogliere e usare, a proprio vantaggio, le disponibilità dei dirigenti del terzo documento (Ernesto, Area fiorentina, Oltre, Controcorrente) e dei dirigenti del quarto documento (Falce e Martello), che gli hanno portato in dote i propri delegati in cambio di qualche timida concessione letteraria nel testo politico, e soprattutto di qualche ruolo dirigente nella gestione del partito.

Questa è la nuova maggioranza politica del PRC. Una maggioranza certo risicata nei numeri, costretta a fronteggiare una gravissima crisi, segnata da contraddizioni interne, politiche e culturali, profonde. E tuttavia una maggioranza apparentemente determinata a reggere la prova e cementata dall’ebbrezza della conquista di nuovi ruoli. Se riuscirà a tenere nella prossima fase – come è probabile – potrà avvalersi di fisiologici ritorni sul carro del vincitore di settori bertinottiani in disarmo e non più “garantiti”: questo accentuerà ulteriormente i caratteri trasformistici della maggioranza, ma allargherà anche il suo spazio di manovra e di tenuta. Inoltre, l’autonomizzazione della componente vendoliana come frazione pubblica, se da un lato può aggravare per alcuni aspetti la crisi di immagine del partito, dal’altro può favorire, per reazione autodifensiva, il consolidamento della nuova gestione del PRC.

Con tutte le dovute cautele nell’analisi, è dunque possibile prevedere la stabilizzazione di fase di un “nuovo PRC”, sotto l’egemonia del vecchio gruppo dirigente di DP e dell’ala togliattiana del partito. Non sarà il ritorno a DP, fosse pure allargata, ma neanche necessariamente la semplice continuità, in piccolo, del PRC bertinottiano.

“Svolta a sinistra” o bertinottismo “d’antan”?

La cosiddetta “svolta a sinistra” del nuovo PRC – tanto enfatizzata per ragioni diverse sia dalla nuova maggioranza, sia dai vendoliani, dal PD, dalla stampa borghese – ha in realtà una portata molto limitata e contraddittoria. I maggiori accenti letterari sull’impegno sociale e sulla critica al PD, convivono infatti con tutti i tratti di continuità della politica riformista. Anche sul terreno, ove possibile, della diretta collaborazione di classe e della prospettiva di una ricomposizione col PD.

Lo stesso testo fondativo della nuova maggioranza del PRC, è sotto questo profilo esemplare.

a) Il vantato bilancio “autocritico” dell’esperienza Prodi è ridotto ad “un errore d’analisi dei rapporti di forza esistenti” e alla conseguente assenza di risultati per i lavoratori; tacendo così, totalmente, sui…risultati assicurati per due anni alla borghesia, e cioè sul crimine compiuto contro i lavoratori votando la continuità della legge 30, il regalo di dieci miliardi a grandi imprese e banche, la continuità delle missioni di guerra, in cambio di ruoli ministeriali e istituzionali. Non è un silenzio casuale: tacere su quel crimine era ed è la condizione stessa per incoronare a segretario il ministro corresponsabile di quel crimine.

b) Il testo della nuova maggioranza non parla affatto di “rottura col PD”. Si dice un’altra cosa: <>. Ma questa più che la “svolta a sinistra”, è la pura constatazione postuma di un decesso! E poi:<>. Dunque con altri futuri “rapporti di forza” sarà possibile un blocco di governo con il partito di Calearo-Colaninno? E ancora:<> rende <>. Significa che si può riproporre il centrosinistra quando il PD…deciderà di reimbarcare Rifondazione? La verità è che il testo congressuale rimuove ogni analisi della natura di classe del PD, proprio per lasciare aperta la via di future ricomposizioni negoziali con quel partito. Semplicemente considera il rilancio del PRC (politico ed elettorale) come la condizione contrattuale necessaria per il recupero del centrosinistra e del governo. Ma non è stata esattamente questa la politica di Bertinotti (e Ferrero) dopo la caduta del primo governo Prodi (’98) in attesa di ricomporre il secondo governo Prodi (2006)?

c) Il testo della nuova maggioranza non rivendica affatto l’uscita dalle giunte di centrosinistra. Il testo dice che: <>. Il che, a prescindere da ogni altra considerazione, significa ignorare la verifica dei fatti, già realizzata in ben tredici anni di governi locali di centrosinistra, e dunque legittimare la continuità di quelle esperienze, magari con qualche ritocco. Non a caso la prima dichiarazione pubblica di Ferrero, dopo la sua elezione a segretario, è stata quella di rassicurare il PD sulla continuità delle amministrazioni locali. Nelle quali siedono, è bene ricordarlo, tanti assessori del PRC legati proprio alla nuova maggioranza del partito: come nel caso della giunta paraleghista di Penati nella provincia di Milano (assessore Barzaghi); nella giunta iperliberista di Martini in Toscana (assessore Baronti); nella giunta regionale iperprivatizzatrice di Burlando in Liguria (assessore Zunino); così come fino a ieri nella giunta del malaffare abruzzese (assessora Betty Mura). Significa dunque che non vi sarà nessun caso di possibile rottura di singoli accordi locali? No, non è escluso (come del resto accadde occasionalmente anche in epoca bertinottiana, ad esempio nel comune di Firenze). Ma certo la linea generale è un’altra, ed è quella di sempre: tenere ben salde, ovunque possibile, le proprie radici nelle giunte locali di centrosinistra ai fini del possibile rilancio negoziale di un accordo nazionale di centrosinistra. Ma non è questa esattamente la riproposizione dell’impostazione bertinottiana del ’94-’95 e del ’98-2006?

d) Il testo della nuova maggioranza, generalmente presentato come atto di rilancio dell’identità comunista del partito, rimuove totalmente proprio la tematica del comunismo come programma anticapitalista. Il richiamo al comunismo, come in tutta la tradizione del PRC, resta un riferimento simbolico. Per citare Paolo Ferrero, nel suo intervento al congresso, “Il comunismo è un universo simbolico”; cioè una bandiera, una falce e martello, una storia, una critica del capitalismo, tutto ciò che si vuole, tranne che un concreto programma di “abolizione dello stato di cose presenti” (Marx). E proprio perché astratto, questo universo simbolico del comunismo può abbracciare con la massima disinvoltura tutto e il suo contrario, come per l’appunto nel testo di maggioranza del PRC: dalla “ricerca sul tema della non violenza” (sic) alla citazione dei “movimenti rivoluzionari” (?); dal riferimento al partito della Sinistra europea (neosocialdemocratica) al riferimento ai “partiti comunisti” stalinisti (incluso, secondo l’Ernesto, il PC cinese e il PC coreano, sempre a proposito…di non violenza). Peraltro, proprio perché ridotto a puro universo simbolico, il “comunismo” di Ferrero non comporta alcuna ricaduta sull’impostazione rivendicativa, politica e programmatica, nel presente. E infatti convive, nel testo di maggioranza, con un programma esclusivamente immediato e minimale. “Diritti sociali, civili, ambientali, sono per noi le diverse facce di uno stesso progetto: l’alternativa di società”, afferma il testo. Ma siccome nulla si dice su cosa sia l’alternativa di società, dal punto di vista dei rapporti di produzione, di proprietà, di potere, resta solo la rivendicazione dei diritti, magari nella forma – afferma il testo – di “una stagione referendaria sulle questioni della precarietà, della democrazia nei luoghi di lavoro, dell’antiproibizionismo…”. Naturalmente, non siamo contrari per principio al ricorso a iniziative referendarie su temi sociali o civili (a differenza di Falce e Martello che ora, come si vede, si è rapidamente convertito). Ma è possibile ridurre l’anticapitalismo comunista alla campagna referendaria sui diritti (in vecchio stile DP), senza oltretutto selezionare nessuna proposta concreta di impostazione politica, di parole d’ordine, di linea di massa, neppure sull’opposizione di classe in autunno contro il governo e il padronato?

Ancora una volta, sotto il vestito niente. E del resto: se la prospettiva politica reale resta quella di una futura ricomposizione negoziale col PD, a partire dalla continuità delle giunte locali di centrosinistra, come può dispiegarsi in quel quadro una svolta reale sul terreno dell’azione di massa e dell’elaborazione programmatica anticapitalistica?

 

 

La capitolazione delle sinistre interne

I gruppi dirigenti delle mozioni interne di sinistra (terzo e quarto documento) hanno sorretto l’operazione trasformista dell’ex ministro Ferrero con il proprio trasformismo.

Dopo aver condotto una campagna congressuale mirata formalmente a denunciare la “falsa alternativa” del documento Ferrero rispetto alla mozione Vendola, hanno usato le migliaia di voti raccolti per votare Ferrero segretario e promuovere una maggioranza politica con Ferrero. Migliaia di militanti di base del PRC che nei propri congressi di circolo avevano espresso, in forme diverse, la domanda di una svolta coerente, comunista e classista, si trovano prigionieri di una maggioranza guidata dall’ex ministro di un governo di guerra, attorno a un indirizzo politico subalterno.

Tutti gli argomenti tesi a giustificare il sostegno politico a Ferrero (“Non potevamo far altro”, “La dinamica che si è aperta sposterà Ferrero a sinistra”, “Bisogna stare nei processi”) sono solo l’eterna ripetizione degli argomenti che tutte le varie sinistre centriste del PRC hanno opposto per quindici anni alla battaglia indipendente dell’opposizione marxista rivoluzionaria in quel partito (’91-2006): come nel ’95 (in occasione del contrasto tra Bertinotti-Cossutta e l’opposizione di destra di Magri e Crucianelli); come nel ’98 (in occasione della rottura tra Bertinotti e Cossutta); come nel 2002 (in occasione del contrasto tra Bertinotti e Grassi sullo sfondo della stagione dei movimenti). Ogni volta le varie sinistre centriste motivavano l’accordo politico con Bertinotti contro la destra interna, in nome della “dinamica”, del “processo reale”, dello “stare nei processi”. E ogni volta i marxisti rivoluzionari – che sempre combinarono la battaglia contro le destre interne con la rigorosa indipendenza politica dal bertinottismo – furono accusati di astrattezza, rigidità ideologica, incomprensione della realtà. Salvo vedere confermate tutte le proprie ragioni e previsioni.

La storia si ripete oggi in rapporto a Paolo Ferrero e in un contesto nuovo. I gruppi dirigenti del terzo e quarto documento si sono rivelati clamorosamente incapaci di difendere e sviluppare l’indipendenza politica delle proprie ragioni dalle pressioni delle componenti riformiste (demoproletarie e grassiane) e del bipolarismo interno al PRC. E’ la riprova che senza un progetto di costruzione di un partito indipendente, comunista e rivoluzionario, ogni opposizione interna al PRC è destinata, in un modo o nell’altro, alla subalternità politica.

E questa subalternità non solo oggi si è espressa nel voto congressuale a un documento riformista, ma si manifesta sin dalle prime ore dopo il congresso nell’adattamento alle compatibilità interne della nuova maggioranza. Persino sul terreno discriminante delle giunte locali. Laddove, ad esempio, Claudio Bellotti (quarto documento) che sino a due giorni prima chiedeva l’uscita dalle giunte, ora dichiara su Liberazione che “Va data facoltà ai territori di decidere a partire dai contenuti” (Lib, 29 Luglio). Che è esattamente la foglia di fico universale della continuità decennale delle giunte di centrosinistra. Chiediamo: è questo che avevano votato, nei congressi, i compagni del quarto documento?

Il PCL e la “nuova Rifondazione”

Il Partito Comunista dei Lavoratori è nato da una lunga battaglia politica e morale, controcorrente, contro il trasformismo della sinistra italiana. Anche di quello che ha attraversato il PRC. Il bilancio del settimo congresso del PRC ci consolida nelle nostre ragioni e nelle nostre scelte.


Naturalmente ci rapporteremo con attenzione al nuovo PRC di Paolo Ferrero. Ricercheremo ovunque possibile la più ampia unità d'azione nella lotta contro il padronato e Berlusconi: a partire da quella grande manifestazione unitaria d'autunno che proponiamo per l'11 Ottobre e che sarebbe ora di iniziare a preparare. Saremo disponibili a costruire col PRC e con tutti i suoi compagni e compagne, esperienze comuni di confronto e di iniziativa nelle quotidiane battaglie di classe, ambientaliste, antimperialiste, femministe. E speriamo anche, finalmente, anticlericali.
Ma lo faremo orgogliosi della nostra costruzione indipendente e della nostra identità: quella dell'unico partito della sinistra italiana che non si è inginocchiato di fronte alla borghesia; che non si è compromesso, né in tutto, né "criticamente", nella disfatta di questi anni; che ha fatto e fa dell'indipendenza di classe del movimento
operaio, e quindi della rottura col PD confindustriale (ieri, oggi e domani), l'asse strategico della propria proposta politica nella prospettiva di un'alternativa anticapitalista. L'unico partito, insomma, che considera il comunismo non un simbolo da riverire, ma un programma da realizzare: quello della rivoluzione sociale e del governo dei lavoratori.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Post N° 54

Post n°54 pubblicato il 28 Luglio 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

BASTA    CON     I    PAROLAI      COSTRUIAMO    IL   PARTITO     DEGLI      OPERAI

Il 14 dicembre del 2007 la Stampa borghese dichiarava : “Finalmente c’è l’intesa per i 17 turni alla Powertrain di Mirafiori; la sigla del voluminoso testo, 19 pagine, è arrivata ieri dopo mesi di trattativa.”, per quanto ci riguarda l’ennesima dimostrazione che  la burocrazia sindacale é parte integrante di quella concertazione che tanto danno ha prodotto sulla pelle dei lavoratori e che tanto  produrrà nuovamente con il nuovo modello della contrattazione aggravando ulteriormente la condizione operaia.

 

Ma l’accordo voluto fortemente dalla Fiat e concordato dai vertici burocratici delle organizzazioni sindacali confederali al giudizio dei lavoratori tramite referendum viene bocciato.

Un NO importante che riporta al centro i lavoratori e i loro bisogni e che riporta nelle loro mani il diritto a scegliere sul proprio futuro, un no che rivendica e ribadisce un concetto semplice e lampante questo accordo non è altro che un aumento dello sfruttamento operaio.

 

I lavoratori e alcuni delegati hanno respinto l’accordo consapevoli che tutto questo rappresentava e rappresenta nei fatti nient’altro che un maggior sfruttamento, che significava e significa ancor di più oggi un intensificazione dei ritmi di lavoro: altro che tempo di lavoro liberato! Che fine ha fatto tutta la demagogia dei burocrati sulla riduzione dell’orario di lavoro? Che fine ha fatto la grande discussione politico-culturale del tempo liberato dal lavoro per mezzo delle 35ore?

I Sindacati Confederali, in nome della concertazione, (non considerando  l’esito del referendum con cui i lavoratori bocciavano l’accordo, anzi denigrando quel risultato), vergognosamente trattano nuovamente e siglano l’accordo in barba a tutti su un prolungamento dei turni di lavoro, acconsentendo i 17 turni, accettando in questo modo la saturazione degli impianti, il dover far lavorare il sabato mattina, i giorni festivi, iniziando il turno successivo la domenica notte (e nel frattempo la Fiat per questo anno comunica settimane di cassa integrazione ogni mese) significa nei fatti  rigettare nel cestino la risposta e il giudizio di tale accordo da parte dei lavoratori, come se quella risposta non contasse assolutamente nulla facendo rientrare dalla finestra ciò che i lavoratori avevano rigettato fuori dalla porta. Intanto ogni giorno i morti sul posto di lavoro non diminuiscono anzi aumentano,sono le turnazioni, gli straordinari, gli aumenti dei carichi di lavoro, la riduzione degli organici i responsabili di tali tragedie . In realtà la classe operaia continua a produrre con il suo lavoro ricchezza che le viene estorta dai profitti in crescita esponenziale: soffre di uno sfruttamento e di una intensità di lavoro anche superiore al passato. In cambio riceve bassi salari e paga i suoi sacrifici con migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti l’anno.

I delegati di fabbrica devono rispondere alle esigenze e ai bisogni dei lavoratori e non ai vertici delle burocrazie sindacali e devono essere revocabili in qualsiasi momento su richiesta dei lavoratori stessi.

BASTA CON I PAROLAI, COSTRUIAMO IL PARTITO DEGLI OPERAI

Per combattere questa realtà è necessario un programma anticapitalista che implichi l’instaurazione del controllo operaio su tutti gli aspetti della vita in fabbrica.

Occorre aprire una vertenza generale per il recupero del salario dall’inflazione-vedi ripristino della scala mobile-, occorre abolire la legge 30 e la legge Treu: ci servono forti aumenti salariali uguali per tutti di 300 euro, bisogna batterci per eliminare il supersfruttamento delle cosiddette Cooperative o delle piccole imprese appaltatrici definendo un salario minimo intercategoriale di almeno 1300 euro netti al mese.

Basta con le intese e gli accordi sulla testa dei lavoratori.

Uniamoci nelle lotte contro le burocrazie sindacali e padronato insieme rilanciamo e rivendichiamo l’indipendenza del movimento operaio e la sua conquista del potere;  diciamo basta ai parolai, costruiamo insieme il Partito degli operai, costruiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori.

 
 
 

Post N° 53

Post n°53 pubblicato il 24 Luglio 2008 da danieledebetto

i



























IL PD SI VUOLE PRESENTARE..................................................GIA' VI CONOSCIAMO


Al Segretario cittadino
della città di Settimo Torinese
del Partito Democratico



Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto, come tutte le forze politiche presenti sul territorio settimese, una vostra lettera in cui invitate ufficialmente tutti i rispettivi dirigenti dei vari partiti per presentare ed illustrare il “vostro nuovo soggetto politico formatosi anche qui a Settimo torinese“ il PD.
Questa lettera ha l’intento di precisare e motivare la nostra consapevole scelta nel declinare il vostro invito.
Intanto ci teniamo a ribadire che il Partito Comunista dei Lavoratori nasce da una lunga battaglia durata 15 anni all’interno del Prc e conclude il suo percorso all’interno dello stesso nel momento in cui esso entra organicamente a far parte del governo Prodi , fu la sua compromissione la sua compartecipazione a interessi diversi da quelli della classe lavoratrice in cambio di sottosegretari e presidenza della camera che ci fece coerentemente conseguire quanto in quegli anni furono le nostre battaglie all’interno del Prc stesso e cioè quella per cui non avremmo lasciato il paese privo di un opposizione comunista ai governi della borghesia e del grande capitale.
Intendiamo recuperare e attualizzare il patrimonio programmatico del marxismo rivoluzionario riscattandolo dalla lunga rimozione teorica e pratica di cui è stato oggetto da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo.
Questo recupero e attualizzazione si concentra su quattro assi di fondo :
1. rivendichiamo l’indipendenza politica del movimento operaio e dei movimenti di lotta dalle forze della borghesia, dai suoi interessi, dai suoi partiti, dai suoi governi. I marxisti rivoluzionari hanno sempre contrastato le politiche di collaborazione con le classi dominanti collocandosi all’ opposizione dei loro governi. Questo principio di indipendenza della classe lavoratrice dalla borghesia è, se possibile, ancor più attuale nell’odierna situazione storica.
2. ci battiamo per la conquista del potere politico da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sull’autorganizzazione di massa, come leva della trasformazione socialista. Ci battiamo contro un’ organizzazione capitalistica della società che concentra nelle mani di una piccola minoranza privilegiata tutte le leve decisive dell’ economia e il grosso della ricchezza sociale: un’ organizzazione capitalistica che si basa sullo sfruttamento del lavoro, sul saccheggio dell’ ambiente, sull’oppressione dei popoli; e che oggi conosce il prepotente ritorno delle politiche di potenza dell’ imperialismo e degli imperialismi per una nuova spartizione delle zone di influenza, per la conquista dei mercati, delle materie prime, della manodopera a basso costo. Solo il rovesciamento del capitalismo e dell’ imperialismo può liberare un futuro diverso per l’ umanità. Solo la proprietà sociale dei mezzi di produzione e delle leve della finanza può consentire la riorganizzazione radicale della società umana attorno al primato dei bisogni e delle esigenze collettive, e non del profitto di pochi. La conquista del potere politico da parte delle classi lavoratrici è un passaggio decisivo di questa prospettiva di liberazione.
3. rivendichiamo il legame necessario tra gli obbiettivi immediati e gli scopi finali.
Come scriveva Marx, i comunisti difendono nel presente il futuro del movimento operaio e della prospettiva socialista. La coesione coerente tra rivendicazioni immediate e conquista del potere politico è un carattere decisivo della politica rivoluzionaria: contro ogni separazione tra minimalismo dell’ azione quotidiana e propaganda astratta del socialismo. Ognuna di queste domande esige una risposta anticapitalistica.
4. rivendichiamo la necessità di un organizzazione rivoluzionaria dei comunisti,la costruzione di una rifondazione della quarta internazionale : comunista
Il movimento comunista nacque come movimento internazionale. Perché la prospettiva socialista è realizzabile compiutamente solo su scala internazionale, solo rovesciando la realtà internazionale del capitalismo e dell’ imperialismo. Ogni seria lotta di classe sul piano nazionale, persino al livello di singole categorie o grandi aziende, pone l’ esigenza di un raccordo internazionale con i lavoratori e le lotte degli altri paesi. Così ogni movimento di liberazione nazionale dei popoli oppressi contro l’ imperialismo – a partire dal popolo palestinese e dal popolo arabo in generale – indica l’ obiettiva necessità di una convergenza di lotta con la classe operaia dei paesi imperialisti: così come quest’ultima può e deve porsi nel proprio stesso interesse, l’ esigenza di un pieno e incondizionato sostegno ai movimenti di liberazione dei popoli oppressi, al loro diritto di autodeterminazione, alla loro azione di resistenza.
La nostra scelta di non procedere a questo incontro non vuole ne rappresentare un’azione settaria ne tanto meno un atto di presunzione ma di convinzione, convinzione e determinazione del nostro progetto e della convinzione della giustezza delle nostre idee. Non sentiamo la necessità di avere oggi un incontro di presentazione del Pd perché già lo conosciamo, l’abbiamo conosciuto in un anno e mezzo di governo Prodi – Padoa Scioppa, ( di cui siamo stati l’unica forza a sinistra a fargli opposizione ) dalle sue politiche di scippo del Tfr ai danni dei lavoratori a vantaggio di banche e finanziarie, dal mantenimento delle leggi di precarietà, dall’ennesima riforma delle pensioni, dal rifinanziamento delle missioni militari, al regalo del cuneo fiscale alla confindustria, al mantenimento dei Cpt, al proseguimento delle scellerate ed inutili opere come la Tav a vantaggio del grande capitale e dei poteri forti del paese. Anche a livello locale e cittadino vi conosciamo, conosciamo le vostre politiche, in consiglio comunale non ci siamo mai sottratti al confronto e coerentemente abbiamo sempre rimarcato le profonde differenze che ci dividono, del resto anche nel programma da voi redatto alle ultime elezioni politiche amministrative cittadine scrivevate che dalla sinistra estrema vi divideva il suo approccio ideologico e non costruttivo all’azione politica e ai programmi, e nel contempo stesso proponete politiche di cementificazione e di disastri ambientali quale la realizzazione di un inceneritore. Pensiamo che il progetto del Partito Democratico concluda oggi il percorso intrapreso alla Bolognina con lo scioglimento del PCI, in direzione di una rappresentanza diretta e centrale della borghesia italiana. La transizione alla seconda Repubblica ha trascinato questa progressiva mutazione del gruppo dirigente maggioritario della sinistra, e allo stesso tempo consideriamo che il vuoto di rappresentanza centrale della borghesia prodottosi con lo scioglimento della DC; la moltiplicazione dei ruoli di governo nazionale (e locale) maturati dalla metà degli anni 90, sino alla conquista della Presidenza del Consiglio (con l’esecutivo D’Alema) hanno rappresentato un fattore di accelerazione di questa dinamica: ampliando a dismisura le relazioni materiali dell’apparato DS e Margherita col mondo delle grandi imprese, delle banche, dei potentati locali e trasformandolo progressivamente in un canale diretto di rappresentanza borghese. La funzione storica cui si candida il PD è quella di dotare la grande borghesia di quel partito di massa di cui è priva da 15 anni; uno strumento centrale per la sua egemonia sociale.
Per quanto ci riguarda noi ci porremmo sempre dalla parte dei lavoratori e dei loro interessi, ci poniamo e ci porremmo sempre contro chi rappresenta gli interessi della borghesia e dei poteri forti siano essi nazionali o locali, in conclusione noi da oggi ci dichiariamo alternativi al Partito Democratico e alle sue politiche e agli interessi che esso rappresenta tanto a livello nazionale quanto a livello locale sapendo che tra i due livelli non esistono distanze se non quelle che emergono dalle lotte interne che segnano già oggi scontro tra gruppi di potere e cordate politico-finanziarie come del resto accade in ogni partito borghese.
Queste sono le ragioni ,che oggi, in questa nostra lettera, ci spingono nella coerenza che ci contraddistingue a esprimere in modo franco e schietto le nostre ragioni sulla volontà e l’inutilità che abbiamo ritenuto rimarcare rispetto il vostro invito, certi di un vostro sincero riconoscimento ed apprezzamento per questa nostra onestà vi porgiamo i nostri saluti.


Per il Partito Comunista dei Lavoratori
Il portavoce del nucleo di Settimo Torinese
Debetto Daniele

 
 
 

Post N° 52

Post n°52 pubblicato il 24 Luglio 2008 da danieledebetto












IL PD VUOLE PRESENTARSI..........GIA' VI CONOSCIAMO !!!



Al Segretario cittadino



della città di Settimo
Torinese



del Partito Democratico



 



 



 



Nei giorni scorsi abbiamo
ricevuto, come tutte le forze politiche presenti sul territorio settimese, una
vostra lettera in cui invitate ufficialmente
tutti i rispettivi dirigenti dei vari partiti per presentare ed illustrare il “vostro
nuovo soggetto politico formatosi anche qui a Settimo torinese“ il PD.



Questa lettera ha l’intento di
precisare e motivare la nostra consapevole scelta nel declinare il vostro
invito.



Intanto ci teniamo a ribadire che
il Partito Comunista dei Lavoratori nasce da una
lunga battaglia durata 15 anni all’interno del Prc e  conclude il suo percorso all’interno dello
stesso nel momento in cui esso entra organicamente a far parte del governo
Prodi , fu la sua compromissione la sua compartecipazione a interessi diversi
da quelli della classe lavoratrice in cambio di sottosegretari e presidenza
della camera che ci fece coerentemente conseguire quanto in  quegli anni furono le nostre battaglie
all’interno del Prc stesso e cioè quella per cui non avremmo lasciato il paese
privo di un opposizione comunista ai governi della borghesia e del grande
capitale.



Intendiamo
recuperare e attualizzare il patrimonio programmatico del marxismo
rivoluzionario riscattandolo dalla lunga rimozione teorica e pratica di cui è
stato oggetto da parte della socialdemocrazia e dello stalinismo.



Questo
recupero e attualizzazione si concentra
su quattro assi di fondo :



1. rivendichiamo l’indipendenza politica del movimento operaio
e dei movimenti di lotta dalle forze della borghesia, dai suoi interessi, dai
suoi partiti, dai suoi governi.
I marxisti
rivoluzionari hanno sempre contrastato le politiche di collaborazione con le
classi dominanti collocandosi all’ opposizione dei loro governi. Questo
principio di indipendenza della classe lavoratrice dalla borghesia è, se
possibile, ancor più attuale nell’odierna situazione storica.



2. ci battiamo
per la conquista del potere politico da parte dei lavoratori e delle
lavoratrici, basato sull’autorganizzazione di massa, come leva della
trasformazione socialista.
 Ci battiamo contro un’ organizzazione capitalistica della
società che concentra nelle mani di una piccola minoranza privilegiata tutte le
leve decisive dell’ economia e il grosso della ricchezza sociale: un’
organizzazione capitalistica che si basa sullo sfruttamento del lavoro, sul
saccheggio dell’ ambiente, sull’oppressione dei popoli; e che oggi conosce il
prepotente ritorno delle politiche di potenza dell’ imperialismo e degli
imperialismi per una nuova spartizione delle zone di influenza, per la
conquista dei mercati, delle materie prime, della manodopera a basso costo.
Solo il rovesciamento del capitalismo e dell’ imperialismo può liberare un
futuro diverso per l’ umanità. Solo la proprietà sociale dei mezzi di
produzione e delle leve della finanza può consentire la riorganizzazione
radicale della società umana attorno al primato dei bisogni e delle esigenze
collettive, e non del profitto di pochi. La conquista del potere politico da
parte delle classi lavoratrici è un passaggio decisivo di questa prospettiva di
liberazione.



3. rivendichiamo
il legame necessario tra gli obbiettivi immediati e gli scopi finali.


Come scriveva Marx, i comunisti difendono
nel presente il futuro del movimento operaio e della prospettiva socialista. La
coesione coerente tra rivendicazioni immediate e conquista del potere politico
è un carattere decisivo della politica rivoluzionaria: contro ogni separazione
tra minimalismo dell’ azione quotidiana e propaganda astratta del socialismo.
Ognuna di queste domande esige una risposta anticapitalistica.



4. rivendichiamo la necessità di un organizzazione
rivoluzionaria dei comunisti
,la costruzione di una rifondazione della
quarta internazionale : comunista


Il movimento comunista nacque come movimento internazionale. Perché la
prospettiva socialista è realizzabile compiutamente solo su scala
internazionale, solo rovesciando la realtà internazionale del capitalismo e
dell’ imperialismo.
 Ogni seria lotta di classe sul piano nazionale, persino al
livello di singole categorie o grandi aziende, pone l’ esigenza di un raccordo
internazionale con i lavoratori e le lotte degli altri paesi. Così ogni
movimento di liberazione nazionale dei popoli oppressi contro l’ imperialismo –
a partire dal popolo palestinese e dal popolo arabo in generale – indica l’
obiettiva necessità di una convergenza di lotta con la classe operaia dei paesi
imperialisti: così come quest’ultima può e deve porsi nel proprio stesso interesse,
l’ esigenza di un pieno e incondizionato sostegno ai movimenti di liberazione
dei popoli oppressi, al loro diritto di autodeterminazione, alla loro azione di
resistenza.  



La nostra scelta di non procedere
a questo incontro non vuole ne rappresentare un’azione settaria ne tanto meno
un atto di presunzione ma di convinzione, convinzione e determinazione del
nostro progetto e della convinzione della giustezza delle nostre idee. Non
sentiamo la necessità di avere oggi un incontro di presentazione del Pd  perché già lo conosciamo, l’abbiamo conosciuto
 in un anno e mezzo di governo Prodi –
Padoa Scioppa, ( di cui siamo stati l’unica forza a sinistra a fargli
opposizione ) dalle sue politiche di scippo del Tfr ai danni dei lavoratori a
vantaggio di banche e finanziarie, dal mantenimento delle leggi di precarietà,
dall’ennesima riforma delle pensioni, dal rifinanziamento delle missioni
militari, al regalo del cuneo fiscale alla confindustria, al mantenimento dei
Cpt, al proseguimento delle scellerate ed inutili opere  come la
Tav  a vantaggio del
grande capitale e dei poteri forti del paese. Anche a livello locale e
cittadino vi conosciamo, conosciamo le vostre politiche, in consiglio comunale
non ci siamo mai sottratti al confronto e coerentemente abbiamo sempre
rimarcato le profonde differenze che ci dividono, del resto anche nel programma
da voi redatto alle ultime elezioni politiche amministrative cittadine
scrivevate che dalla sinistra estrema vi divideva il suo approccio ideologico e
non costruttivo all’azione politica e ai programmi, e nel contempo stesso
proponete politiche di cementificazione e di disastri ambientali quale la
realizzazione di un inceneritore. Pensiamo che il progetto del Partito
Democratico concluda oggi il percorso intrapreso alla Bolognina con lo
scioglimento del PCI, in direzione di una rappresentanza diretta e centrale
della borghesia italiana. La transizione alla seconda Repubblica ha trascinato
questa progressiva mutazione del gruppo dirigente maggioritario della sinistra,
e allo stesso tempo consideriamo che il vuoto di rappresentanza centrale della
borghesia prodottosi con lo scioglimento della DC; la moltiplicazione dei ruoli
di governo nazionale (e locale) maturati dalla metà degli anni 90, sino alla
conquista della Presidenza del Consiglio (con l’esecutivo D’Alema) hanno
rappresentato un fattore di accelerazione di questa dinamica: ampliando a
dismisura le relazioni materiali dell’apparato DS e Margherita col mondo delle
grandi imprese, delle banche, dei potentati locali e trasformandolo
progressivamente in un canale diretto di rappresentanza borghese. La funzione
storica cui si candida il PD  è quella di
dotare la grande borghesia di quel partito di massa di cui è priva da 15 anni;
uno strumento centrale per la sua egemonia sociale.



Per quanto ci riguarda noi ci
porremmo sempre dalla parte dei lavoratori e dei loro interessi, ci poniamo e
ci porremmo sempre contro chi rappresenta gli interessi della borghesia e dei
poteri forti siano essi nazionali o locali, in conclusione noi da oggi ci
dichiariamo alternativi al Partito Democratico e alle sue politiche e agli
interessi che esso rappresenta tanto a livello nazionale quanto a livello
locale sapendo che tra i due livelli non esistono distanze se non quelle che
emergono dalle lotte interne che segnano già oggi scontro tra gruppi di potere
e cordate politico-finanziarie come del resto accade in ogni partito borghese.



Queste sono le ragioni ,che oggi,
in questa nostra lettera, ci spingono nella coerenza che ci contraddistingue a
esprimere in modo franco e schietto le nostre ragioni sulla volontà e
l’inutilità che abbiamo ritenuto rimarcare rispetto il vostro invito, certi di
un vostro sincero riconoscimento ed apprezzamento per questa nostra onestà vi
porgiamo i nostri saluti.



 



 



Per il Partito
Comunista dei Lavoratori



Il portavoce del nucleo di Settimo Torinese



Debetto Daniele

 
 
 

Post N° 51

Post n°51 pubblicato il 24 Luglio 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

Marco Ferrando su Congresso PdCI

(20 luglio 2008)

ANSA) - ROMA - «L'unità dei comunisti per contrattare col Pd, come ha dichiarato testualmente Oliviero Diliberto nella sua replica congressuale, non interessa il Partito Comunista dei Lavoratori». Lo afferma il leader del PCL, Marco Ferrando, secondo cui tale invito «sarebbe infatti la continuità, in altre forme, della politica della disfatta: quella ha subordinato 'unitariamente' le sinistre, per due anni, al governo Prodi, alle sue missioni militari, ai sacrifici sociali, e che spianato la strada al peggiore ritorno di Berlusconi. È la linea che tutt'ora le subordina alle giunte di centrosinistra in tutta Italia, incluse quelle del malaffare e coinvolte negli scandali, come in Abruzzo o in Calabria».

«Il Pcl vuole invece - prosegue Ferrando - unificare i Comunisti su principi chiari, nella più totale autonomia e alternatività al Pd e al centrosinistra. Siamo naturalmente disponibili alla più larga unità d'azione tra le sinistre sul terreno della lotta contro Berlusconi e il padronato: e in questo senso sosteniamo la proposta di una manifestazione unitaria e autonoma della sinistra in autunno. Ma continueremo a contrastare l'uso delle lotte e dei movimenti come pedina negoziale per un accordo coi loro avversari 'democratici'».

 
 
 

Post N° 50

Post n°50 pubblicato il 02 Giugno 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

DICIAMO NO AL  DOCUMENTO CGIL CISL UIL SULLA RIFORMA DEL MODELLO CONTRATTUALE

PREPARARSI ALLO SCONTRO, NON A NUOVE CONCESSIONI !

In questi giorni in tutte le fabbriche si convocano assemblee per illustrare l’ennesima truffa ai danni dei lavoratori,infatti nelle prossime assemblee CGIL,CISL e UIL presenteranno ai lavoratori il documento redatto dalle burocrazie sindacali  sulla riforma della contrattazione.

Dopo 15 anni di sacrifici , di fronte alla catastrofica situazione dei bassi  salari dei lavoratori, invece di mettere in discussione la causa e cioè una politica di concertazione e moderazione salariale si ripropone l’ennesima minestra riscaldata ,l’ennesima richiesta di sacrificio.

Il documento dichiara che per migliorare le condizioni di reddito, di sicurezza e qualità del lavoro è necessaria la crescita della qualità,della competitività e della produttività : prima la produttività poi i soldi.

Non si parla mai di redistribuzione della ricchezza prodotta, che va sempre di più tutta a vantaggio del profitto. In altri termini il concetto è: se vuoi guadagnare di più devi lavorare di più.

Il documento limita l’aumento salariale da contrattare nazionalmente all’inflazione “realisticamente prevedibile”, che verrà misurata con un nuovo paniere. Nei fatti le richieste dei contratti nazionali verranno preventivamente vincolate a quanto concordato a livello centrale tra confederazioni e controparti. Il riferimento al “sostegno e alla valorizzazione del potere d’acquisto”o meglio il “realisticamente prevedibile “ significa : chiamare con un altro nome quell’inflazione programmata che ha distrutto nei contratti il potere d’acquisto dei salari. Infine, si allunga di tre anni la durata dei contratti, diluendo ancor di più nel tempo gli scarsi aumenti salariali degli accordi nazionali.

Si sostiene che per “accrescere” i salari la sede è la contrattazione di secondo livello ( quella fatta all’interno delle aziende ). Tutte le regole della contrattazione di secondo livello verranno di nuovo ridefinite con i rinnovi dei contratti nazionali. In sintesi, quando si concorderanno gli aumenti dei contratti nazionali si definirà anche lo spazio per la contrattazione aziendale o territoriale.

Bisogna invece rafforzare il contratto nazionale per tutelare i salari, pensioni e ridistribuire la ricchezza, spostare il prelievo fiscale su profitti e rendite riducendo la tassazione di salario e pensione, va ripristinato il controllo effettivo dei prezzi e vanno migliorate le prestazioni dei servizi pubblici. Cioè si deve tassare la ricchezza accumulata in questi anni, per superare la frantumazione delle aziende e la precarizzazione, il ricatto del posto di lavoro e l’attacco continuo ai diritti. Il documento Cgil, Cisl, Uil va esattamente nella direzione opposta e indebolisce proprio il principale strumento di forza dei lavoratori: il contratto nazionale. Lo fa sulla base di un’idea : quella che le retribuzioni in questi anni non sarebbero aumentate per troppo contratto nazionale. In realtà è proprio l’esatto contrario . L’accordo del luglio del 1993,la concertazione, già poneva dei vincoli al contratto nazionale, legandolo all’inflazione programmata con il chiaro risultato dell'abbattimento del costo del lavoro e la eliminazione di qualsiasi rapporto diretto fra salario e suo effettivo potere d'acquisto, e produceva in azienda  con il contratto di secondo livello un rapporto tra salario e produttività a svantaggio dei lavoratori.

La Confindustria vuole smantellare il contratto nazionale per poter distribuire soldi in maniera discriminatoria tra le lavoratrici e i lavoratori l’esempio della detassazione degli straordinari ne è l’esempio lampante .

Basta con la concertazione il cui unico risultato sono stati la diminuzione di salari e pensioni, la precarietà di lavoro per milioni di giovani, il peggioramento delle condizioni di lavoro attraverso la diminuzione degli organici e l’aumento dei ritmi.

È necessaria una consultazione tra tutti i lavoratori per definire una piattaforma rivendicativa che apra una vertenza generale per il recupero salariale dell'inflazione (vedi ripristino della scala mobile), abolire la legge 30 e la legge Treu, ci servono forti aumenti salariali uguali per tutti, bisogna batterci per eliminare il supersfruttamento definendo un salario minimo intercategoriale di almeno 1300 euro netti al mese.

Su questo terreno il Partito Comunista dei Lavoratori,  è pronto a costruire, nella chiarezza delle differenti prospettive strategiche,  un'alleanza politico-sociale comune, con le altre forze della sinistra politica e sindacale.

Indipendentemente da ciò noi continueremo comunque la nostra battaglia politica in difesa degli interessi immediati e generali del mondo del lavoro  per lo sviluppo da ora e dal basso dei diritti e del potere della classe lavoratrice.

 
 
 

Post N° 49

Post n°49 pubblicato il 28 Maggio 2008 da danieledebetto
Foto di danieledebetto

Un parlamento dei lavoratori per i lavoratori

Le Sinistre fuori dal Parlamento? Costituiamo allora, a partire dalle lotte, un parlamento delle sinistre, a base operaia e popolare, da contrapporre al governo Berlusconi e al «suo» parlamento addomesticato, che sia espressione unificante delle mobilitazioni, luogo pubblico di confronto tra posizioni e proposte diverse oggi presenti nel movimento operaio, e al tempo stesso sede democratica di organizzazione e unificazione dell'iniziativa di massa. Peraltro: se la Lega Nord inventò il Parlamento della Padania come simulazione di un contropotere secessionista, per quale ragione il movimento operaio non potrebbe dar vita a un proprio Parlamento come espressione reale di un'alternativa istituzionale di classe?
Partiamo da un principio di realtà. Due anni di subordinazione clamorosa al governo Prodi da parte degli stati maggiori della sinistra italiana - in una maggioranza di governo che per oltre un anno andava da Mastella a Turigliatto - hanno spinto alcuni milioni di lavoratori all'astensione e altri milioni, a parità di condizione, verso il «voto utile» al Pd contro Berlusconi. Così i dirigenti Arcobaleno non solo hanno regalato l'Italia a Berlusconi dopo aver votato per due anni le stesse politiche di Berlusconi (il peggio del peggio); non solo hanno regalato a Bossi settori operai e popolari facile preda di suggestioni xenofobe proprio perché privati di ogni difesa sociale (e anzi colpiti dal centrosinistra per conto della grande industria e delle banche); ma hanno regalato a industria e banche la totale rappresentanza dell'attuale Parlamento. O vogliamo ignorare la precisa documentazione disponibile circa il regolare finanziamento dei principali partiti di governo, di centrodestra e centrosinistra, da parte dei potentati della finanza, dei grandi petrolieri, dell'industria farmaceutica, ecc.?
Basterebbe citare il libro di Stella «La casta» nell'unica parte omessa (non a caso), dai media.
L'attuale Parlamento, occupato all'80% da Pdl e Pd, spartito cioè tra Berlusconi-Fininvest e Veltroni-Colaninno-Banca Intesa (con un 5% a Casini-Caltagirone) è persino nella sua rappresentanza politica, l'espressione diretta e/o indiretta del grande capitale. Di una piccola minoranza privilegiata che grazie ai propri partiti, distinti ma complementari, riesce a assoggettare a sé la maggioranza della società, nel finto gioco di un'alternanza tra élite che si spaccia spudoratamente per «democrazia». Ecco, l'attuale Parlamento è la più clamorosa confessione della democrazia borghese: di quell'«inganno per i poveri» di cui parlava Lenin un secolo fa e che oggi è persino più ipocrita e volgare di un tempo.
Ma allora perché non contrapporre al governo Berlusconi e all'attuale Parlamento l'embrione di una democrazia vera, di una democrazia dei lavoratori per i lavoratori? La logica che accompagnava la proposta di Gramsci dell' «Antiparlamento» , o la grande tradizione del consiliarismo italiano, non sono proprio oggi spunti preziosi da rielaborare e riattualizzare? Questo è il senso della nostra proposta.
Come Pcl siamo impegnati più che mai nella costruzione del nostro partito, l'unico che non si è compromesso, né in tutto né in parte, col centrosinistra e il suo disastro. Ma non contrapponiamo la costruzione del Pcl all'esigenza di un vasto fronte unico di lotta contro il governo Berlusconi e l'aggressione confindustriale. Un Parlamento popolare eletto direttamente dal popolo della sinistra a partire dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro, dal territorio, con delegati permanentemente revocabili e privi di ogni privilegio sociale, con un criterio di rappresentanza integralmente proporzionale tra le diverse posizioni, organizzazioni, partiti, sarebbe una grande espressione democratica di unità e di forza. E al tempo stesso uno straordinario laboratorio di autorganizzazione di massa. Sarebbe la sede pubblica di organizzazione della mobilitazione popolare contro il governo, di controinformazione e denuncia delle sue politiche, di confronto libero e aperto tra i lavoratori, in una grande casa di vetro, sulla costruzione di un'alternativa di società e di potere, fuori da un puro dibattito accademico separato dalle lotte.
Insomma, di fronte al volto corrotto e lontano della politica dominante e del suo parlamentarismo, un Parlamento popolare sotto il controllo dei lavoratori potrebbe divenire il riferimento di vasti settori di classe, un fattore di coinvolgimento progressivo di strati popolari oggi sfiduciati e passivi, di settori popolari antiberlusconiani oggi immobilizzati dal Pd, e persino di strati operai che hanno ripiegato a destra ma che presto saranno sotto i colpi del governo che hanno votato e potranno cercare nuove strade.
Questa proposta ha una sola implicazione, non sufficiente ma necessaria: la prospettiva di un'opposizione radicale, di sistema, al governo delle destre e alle classi dirigenti del paese, fuori da ogni ipotesi di ricomposizione, per l'oggi e per il domani, col Partito democratico di Veltroni e con la vecchia logica dell'alternanza.
Per questo dubitiamo, realisticamente, che la proposta del «Parlamento popolare» possa interessare gli stati maggiori delle sinistre Arcobaleno, tanto più nel momento in cui sono avvitati in una guerra intestina senza ritorno. Ci auguriamo invece possa interessare dal basso tutte le forze e energie disponibili a ricostruire unitariamente, dalle attuali macerie, una prospettiva di riscatto per i lavoratori. Che faccia finalmente piazza pulita di ogni vecchio trasformismo.

 
 
 
 
 

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