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« SENTINELLE SILENZIOSELA DIGA DI QUARAZZA »

L'ULTIMO ABITANTE DI QUARAZZA, ANGELO IACCHINI

Post n°3 pubblicato il 01 Luglio 2010 da paesesommerso

Quanti ricordi, quante immagini del passato riaffiorano nella mente di Angelo, mentre parla della sua Quarazza.

Ripensa a quando venne costruita la diga, nel 1952.  Quando vennero quei signori dalle belle maniere, dai modi gentili, che comunicarono agli abitanti che le case sarebbero state sommerse dalle acque del bacino. Certo, ricorda anche che vennero dati dei soldi, ma non troppi. A chi ne faceva richiesta venivano dati appezzamenti di terreno in altri luoghi. Ma è rimasto comunque il detto che per quelle case è stata data solo una “zucca di latte” , poco per il valore affettivo del frutto di una vita di sacrifici…

Che bella che era Quarazza, alla sera ci si riuniva tutti per la recita del rosario e spesso c’era chi cominciava a raccontare storie di streghe ai bambini che erano costretti “ad alzare i piedi e a tirarsi insieme” dalla paura.  Vi era una donna, ricorda Angelo, che terminava le orazioni con una preghiera che, tradotta, suona più o meno così:

“O Madonna, o Signor, preservami dal fulmine, dal tuono e dal Pinscimun”  Ma chi mai sarà stato questo Pinscimun? Un uomo, un carrettiere che entrava in Val Quarazza e, forse un po’ birichino, faceva tribolare le donne, tanto da entrare persino in una preghiera.

Ma la vita in Quarazza era dura come in tutti i villaggi Walser. Lanti Emiliano, ultimo pastore che possedeva una ventina tra capre e pecore, lo sapeva bene e lo andava cantando mentre scendeva o saliva per il sentiero verso Borca:

“Se vuoi provare le pene dell’inferno, vieni in Quarazza d’inverno”

Quando l’invaso sommerse il paese lui costruì una casetta in legno, era come un’arca di Noè, con tutte le bestie: capre, mucche, pecore, galline, c’era perfino un cervo. A lui bastava una stanza e una cucina.

Fino al 1947 in Quarazza non arrivava neppure l’energia elettrica, si stava a lume di candela o con il carburo. In quell’anno però il comune di Macugnaga diede il permesso di tagliare le piante per realizzare i pali sui quali la Società Dinamo avrebbe fatto passare i fili della corrente.  Tutto il lavoro venne svolto dagli uomini di Quarazza, agli operai della Dinamo non restò altro che posizionare i fili e i contatori. Le lampadine erano di solo 5 candele, ma erano talmente potenti per gli abitanti non  abituati, i quali furono costretti per giorni a strofinarsi gli occhi. Quando si accese la luce per la prima volta si fece una grande festa: le ragazze avevano fatto i tortelli e cotto le castagne, i ragazzi avevano portato una damigiana di vino e qualcuno suonava un organetto. Tutti si divertivano. Un divertimento da poco, ma un divertimento sano, che faceva dimenticare le fatiche della giornata.

Ma lo sapete perché il Lago delle Fate si chiama così? Perché quando oramai l’invaso si stava riempiendo, in un’abitazione viveva ancora una donna, Orsola Rabbogliati. Era molto alta e magra e tutto il giorno girava intorno al lago con lo sguardo fisso a quell’acqua che stava salendo inesorabile. I turisti che passavano di là la scambiarono per una fata uscita dal bosco e perciò da allora il lago è conosciuto con questo nome così suggestivo.

Più triste invece è la storia della protagonista che, dopo essere stata portata a Borca, lontana dalla sua casa, resistette solo un paio di mesi.

Ancora tanti pensieri, uno agli abitanti di Quarazza emigrati lontani nel mondo, il cui ricordo resta indelebile nelle croci appese sul muro della chiesetta, dedicata a San Nicola.

Che bella festa si svolgeva il 16 agosto in quella cappelletta, il signor Iacchini se lo ricorda bene. La processione saliva dalla frazione Motta, sottostante Quarazza.

Della chiesetta originale le colonne, l’elemosiniere e l’acquasantiera sono state inglobate nel nuovo edificio ricostruito più a monte.

E per il giorno di festa si mangiava il formaggio, il pane cotto a ottobre, con la croce beneaugurale, nel forno comunitario e ritirato per tutto l’inverno, la carne secca cotta nel brodo. Che profumi uscivano dalle cucine!

Certo però che a Quarazza non era mai mancato il cibo, Angelo si sente ancora i brividi addosso a rammentare i “pumitt”, piccolissime mele che arrivavano dal fondovalle. Erano molto acerbe, al tempo stesso profumatissime.

E proprio dal fondovalle arrivavano anche fichi, uva e ancora i mestoli e le scodelle in legno dalla Val Strona.

Ma i bambini a Quarazza giocavano? Andavano a scuola ?  Certo giocavano al cerchio da far rotolare, a correre, a nascondino, ma soprattutto giocavano a diventare grandi, curando i fratellini e le sorelline, aiutando la mamma con gli animali o il formaggio

Per andare a scuola dovevano scendere fino a Borca, per le 9 tutti in classe, poi a mezzogiorno tornavano a casa per il pranzo e alle 14 il rientro pomeridiano. Ma non c’era lo scuolabus che li portava belli comodi, tutta a piedi dovevano farsela… E quando in inverno c’era la neve usavano le racchette, ma mai mancavano all’appello.

Vita dura in Quarazza, i Walser non si sono mai visti in luoghi dove è facile vivere.

Il signor Iacchini   ne sa qualcosa,  sul suo viso passa una nuvola nera, ma è solo un’espressione, un attimo di tristezza.

Il suo villaggio è stato immolato, come tanti altri, sull’altare del progresso.

Questo sia da ricordo eterno.

 

 
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Commenti al Post:
ciccilba
ciccilba il 17/05/11 alle 22:34 via WEB
Molto bella anche questa descrizione,mi rammento sopratutti i giochi dei bambini, non i giochi di adesso ,quelli singoli, a quei tempi si giocava in gruppo,si socializzava e nelle avversita tutti si aiutavano ecco cosa č rimasto impresso nel viso del signor angelo di Quarazza.
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