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MUSICA

Almost Blue



Almost blue
Almost doing things we used to do
There's a girl here and she's almost you
Almost all the things that your eyes once promised
I see in hers too
Now your eyes are red from crying

Almost blue
Flirting with this disaster became me
It named me as the fool who only aimed to be

Almost blue
It's almost touching it will almost do
There's a part of me that's always true...always
Not all good things come to an end now it is only a chosen few
I've seen such an unhappy couple

Almost me
Almost you
Almost blue

 

 

« Signor maestro Giovanni ...Messaggio #8 »

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 21 Novembre 2005 da almostblu0

VIAGGIO   IN   EGITTO

 

 

 

Questa sindrome di cominciar fiabe con il “c’era una volta” ha da fini’!

Non c’era.

Non c’era, ma ce lo messo io, il protagonista di questa fiaba nel mondo reale.

Intanto siamo in Egitto, l’anno preciso non ve lo sto a dire, perché miei cari, di far conti proprio non mi va.

Siamo, più o meno, al tempo in cui dovrebbero aver finito le tre grandi piramidi di Giza.

Se osservate, attentamente, la bellezza del Nilo, al sorger del sole, vi accorgete che questo mondo sa esser anche paradiso.

Il silenzio domina, incontrastato, i fiori di loto appaiono, rasserenanti e fieri. L’acqua solo fa qualche tenue rumore.

Il buio cessa d’essere per l’aurora splendida che cammina lenta dentro gli occhi di chi guarda.

Insomma: du’ palle!

Da invidia, però.

Ai piedi della grande piramide di Cheope, ancora intatta (vandali carogne), immensa, c’è una vestale del tempio di Amon.

Vestita di bianco e con la pelle scura. Nera immagine d’ebano dentro veli bianchi. Lunghi capelli sollevati dal vento (eh.. un minimo di romanticismo ci va), le lunghe mani abbandonate sui fianchi.

Guarda il nascere del sole e la piramide.

Pensa e sogna giorni di infanzia, felici. Fugge dal presente di essere rinchiuso nel suo ruolo.

Pensa, però, anche alla domanda di dimissioni (in carta bollata e spedita direttamente al faraone, bontà sua, con quel che costano i postini a piedi), fatta da tempo, ormai.

Forse sta per essere accettata.

Anches (che sarebbe il nome della vestale, logico, no?) sorride, pensando che presto potrà andare a fare quel sospirato viaggio sulle Ande (che vi credete che gli antichi Egizi non sapessero un tubo?), esattamente sul Cerro Torre. Anticipando di secoli interi Cesare Maestri, convintissimo poi s’esser stato un mito nello scalarlo.

Comunque sia è stato bravissimo, ma Anches è arrivata prima, mi duole darne notizia.

Mentre la piccola vestale (si è pure piccola, beh? ..a quei tempi l’altezza media era piuttosto scarna, tipo bambino delle medie, anzi, per quel tempo lei era altissima..), pensa ai fatti suoi, arriva una persona.

Da lontano una figura bluastra (i vestiti, non era il mago Othelma!), si avvicina.

Anches pensa: chi è tanto stolto, oltre a me, di andare in giro, solo, per i piani di Giza a quest’ora?

“Ci vengo spesso, invece, e non ti ho mai vista.” Risponde lui, ormai a pochi passi.

Nome?

Pensa lei.

“Tutquelchevuol.” Dice lui.

Figo, pensa lei. Ma un diminutivo ce l’hai?

Chiamami Tut, pensa lui.

Ben, Tut, e che aria di Nilo ti spinge alla piramide e alla sfinge? Pensa, insistentemente lei.

Non ho sonno, pensa lui. Fregando alla grande Dario Argento, anzi, suggerendogli il titolo di un film d’orrore.

Era un bravo ragazzo, mi si è montato la testa, pensa di non dormire solo lui. Veh, che non dormivano anche in tempi passati!

Dormire troppo fa male alla salute e accorcia la vita, ma fate tutti secondo vostro uso e costume. Anche nudi, se vi piace dormire scoperti.

Tut a ‘sto punto di domande pensate ne ha abbastanza. La prende per mano e la porta nella piramide.

Ci so già stata, pensa lei, demotivata. Preferivo star fuori a guardare il sole e la piana.

Ma ti faccio vedere una cosa che non conosci, pensa lui.

Eh, immagina Anches, mo’ vediamo del granito nuovo di miniera!

Invece no!

Tut la porta prima nella stanza del re, poi la fa salire sopra, fra le volte dei piani sovrastanti. Quelli che servono ad alleggerire il peso della piramide sulla camera del re. Altrimenti, gli ingegneri lo sanno (eh Andrea?), sarebbe già crollata e addio foto turistiche!

Sali e sali arrivano all’ultimo piano. Ma siamo in luoghi stretti e angusti, tutt’altra cosa che una stanza al Ritz. E’ pieno di nulla.

Silenzio tombale, è il caso di dirlo, e uno scarabeo che si fa i fatti suoi in un angolo. Granito grigio scuro, perché la luce, qui, sta a limite piuttosto basso.

Però Tut estrae dalla tunica (che volevate che avesse i jeans?), una pila. Seee, see, gli egizi avevano pile, e allora?

Nella mia fiaba le avevano. E comunque le avevano, grosse, artigianali, molto artistiche e poco luminose confrontate alle nostre, ma le avevano.

Con questa pila rischiara la stanza. La appoggia al pavimento e si siede, Anches si siede pure lei.

Si appoggia al muro.

Pensano senza parlare.

Anches si fumerebbe anche lo scarabeo, ha lasciato a casa la pipa del nonno. Una voglia di fumare che non vi dico (Sirchia, manco gli antichi Egizi ti comprendono!), ma poi passa.

Tanto quando esco di qui, pensa, mi fumo sette pipe e un narghilé intero.

Adesso però pensano.

Lei appoggiata al fianco destro alla parete, lui seduto di fronte a lei, a gambe incrociate.

Pensano e pensano, tutto non si può dire.

E’ per via della legge sulla privacy (unico caso noto in cui sia servita), non posso narrarvi tutti i pensieri dei due giovani.

Lei pensa: e mo’?

Lui: ma stai zitta!

Scherzavo, immagina lei, sempre teso come le corde di mandolino (see, see, avevano pure il mandolino!).

Non è che se ti tocco ti incavoli, pensa lui.

Si, mi incappuccio proprio! Pensa lei.

Ok, stiamo così allora, rimugina lui.

Perché vuoi toccarmi? Medita lei.

Perché sembri eterea come le farfalle che volano sul Nilo, asserisce lui. Sei diafana, eppure vera, sei dolce e un poco schiva. Lontana e presente. Mia e non mia. Qui e non qui.

“A due passi dal Nilo ti ho incontrato, appoggiata ad un muro ti ascolto. Il tempo passa e so, di te, quello che non dici, l’aria si svela e anche il tuo sorriso. Non so nulla, ma vorrei restare qui, e sempre. Non so perché e ti vorrei con me, ancora. Forse in questo luogo non ci troveranno, forse qui possiamo restare. Non lo so. Ma vorrei uscire, anche, da qui e portarti a spasso sul Nilo. Un viaggio lungo quanto sette vite e un solo navigare quieto. Come le farfalle che volteggiano sul fiume.”  Disse lei, e fu tutto.

Senza dire altro uscirono, lo scarabeo si sentì un po’ più solo.

La luce abbandonò la camera nera. E la piramide ebbe un sussulto che i secoli non comprenderanno.

Come se fosse sogno, all’uscita lei camminò verso il tempio, senza voltarsi mai.

Lui verso la reggia.

Ogni tanto, sempre meno spesso, andarono ancora nella piramide.

Senza dire nulla prima, come se sapessero sempre quando l’altro era presente.

Avrebbero potuto uscire, gridare a tutti che partivano per le Ande, per un porto, per una sola spiaggia, non lo fecero mai.

 

Adesso sono morti.

Tut giace nel suo sarcofago dorato, anzi, giaceva. Figurati se lo hanno lasciato in pace. Profanato anche lui, poi si seccano dei profanatori moderni. Ad avere scuse di scoperte, di capire il passato, si può osare qualunque profanazione?

Tanto è morto, per quanto sia ben imbalsamato non lo potete portare in vita e parlare di lui non serve, se non per raccontare una storia antica.

Giace, immobile nel tempo passato.

Anches è morta pure lei, ma le ha detto meglio. L’ha ritrovata un ingegnere prussiano, invece di profanarne l’immagine e di scandagliarne le bende, la tiene in casa sua.

Chiusa in una cantina ventilata, a giusta temperatura stile egiziano. Le ha messo un po’ di sabbia attorno e uno scarabeo in un angolo.

Di notte, quando nessuno fa rumore, lui va da lei.

Di notte, quando nessuno sa, lui la abbraccia forte. Lei si risveglia, vivissima, eterea e semplice come era allora.

Fanno l’amore e parlano, fanno l’amore e ridono, fanno l’amore e basta.

Chiusi in uno strano locale tondo, anacronistico, fanno l’amore e si mandano messaggi. Immagini e poesie, lucidi riflessi di luce.

Lei gli racconta del Nilo e delle piramidi, lui del tempo presente. Lei di strane immagini antiche e lui di computer.

Ma non pensate male, che a far volare la fantasia troppo ci si perde nel nulla. State a quel che vi dico: per far l’amore, a volte, basta una parola. Non vi fissate sul sesso.

Ci siete un po’ fissi, eh?

Ma, si, è anche a forza di guardare Beatiful, Sharon Stone e Leonardo di Caprio. A forza di cassette porno e di Melisse.

Mah, a dir cazzate nel mondo moderno, come in quelli antichi, ci si guadagna.

Sfissatevi da queste illusioni, sono inganni e mele sfiorite.

Loro comunque, Anches e l’ingegnere senza nome (non me lo hanno detto), fanno l’amore e se è poco per voi, pazienza.

 

 Patrizia P. (da Fiabe modernissime).

 

 

 

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