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Tasse e spesa pubblica: i componenti della bomba? di Eugenio Orso

Post n°5 pubblicato il 08 Gennaio 2013 da eugenioorso58

Tasse e spesa pubblica sono i due principali ingredienti del disastro neocapitalistico prossimo venturo? Forse, ma dipende da come i due ingredienti si combinano e dagli esiti sociopolitici del disastro annunciato.

Se le tasse aumentano e la spesa pubblica si abbassa drasticamente, spietatamente tagliata da “agende” criminali come quella euromontiana, allora si va verso il baratro fiscale, o fiscal cliff per gli anglofili, il temuto abisso macroeconomico che potrà inghiottire interi paesi un tempo “sviluppati”. L’economista e sociologo Luciano Gallino in un suo articolo pubblicato di recente da Repubblica, ha intravisto il baratro fiscale nella tanto celebrata ’”agenda Monti” e ha provato a fare un po’ di chiarezza, gettando uno sguardo nella voragine macroeconomica prossima ventura. Vero che le linee programmatiche di Monti hanno significato, e significheranno anche in futuro, + tasse e – spesa pubblica (anche se Monti nega in campagna elettorale, mentendo sapendo di mentire), innescando un’inarrestabile caduta a vite dell’economia nazionale, della produzione e dell’occupazione. Senza ombra di dubbio si tratta di politiche intrinsecamente e volutamente recessive. Vero che il debito pubblico italiano, cresciuto di qualche centinaio di miliardi di euro negli ultimi cinque anni, dagli 1,7 miliardi del 2008 agli oltre 2,0 miliardi dell’ottobre 2012, è impagabile, o meglio, si potrà ridurre significativamente solo al prezzo di condannare il paese alla miseria, quella vera, per decenni. A niente è valso aumentare la pressione fiscale, esplosa nei tredici mesi del direttorio Monti, perché la crescita del debito non si è arrestata, a fronte di continui tagli alla spesa sociale. La sola spesa per interessi che il ricatto del debito comporta, valuta da Gallino in circa 80 miliardi medi annui a un tasso del 4%, è tale da vanificare comportamenti neocapitalisticamente “virtuosi”, in aderenza al trattato-capestro sulla stabilità, coordinamento e governance europide del marzo 2012, per un rientro ventennale al 60% del rapporto fra debito e pil. Tutto vero, e anche i calcoli macroeconomici presentati da Gallino nel suo breve intervento sono convincenti. I 2.000 miliardi di debito attuali sono destinati a crescere, anche applicando pedissequi l’art. 4 del predetto trattato, perché, se andrà bene, il pil crescerà di un'inezia, ma se andrà male si ridurrà ulteriormente a fronte di un continuo aumento del debito, pareggio o non pareggio di bilancio in costituzione. Scrive Gallino che con il baratro fiscale di mezzo – cioè + tasse e – spesa pubblica – non si può sperare di ridurre il debito pubblico alla metà dell’attuale, debito che verso la fine del 2015 potrà crescere fino a 2.200 miliardi. Il disastro è annunciato, ma ciò non significa che non si seguirà quella strada infernale, che poi è quella seguita finora, costellata di drammi sociali e contrazioni continue della produzione, squisitamente euromontiana, tracciata in agenda dai referenti sopranazionali di Monti. Sì, perché lo scopo è proprio quello di “ridefinire” il ruolo dell’Italia, nel prossimo futuro, in un contesto economico-geopolitico globale e dentro i recinti dell’unione europoide. Un ruolo decisamente minore, da paese neopovero perfettamente inserito nel nuovo ordine neocapitalistico, che per Gallino corrisponde alla discesa dell’economia italiana in serie D. Il bello è che Bersani e Vendola, anche nel caso (non troppo probabile e non troppo gradito ai poteri esterni) di ampia vittoria elettorale e di governo del paese con le proprie e sole forze, senza dividere con Monti il governo, seguiranno nella sostanza e nelle linee politico-strategiche essenziali il percorso finora seguito da Mario Monti. Quindi non ci sarà scampo, e il declino dell’Italia, l’immiserimento di gran parte della popolazione, la perdita di rilevanza internazionale saranno cose fatte entro il decennio in corso. Questo è il vero disegno della classe neodominante globale, malcelato da vuoti slogan come il rigore nella crescita. A poco serviranno le piccole deviazioni “a sinistra” del programma – in presenza dei trattati europei vincolanti, del fiscal cliff incombente e del fiscal compact recepito in costituzione – agitate dai truffatori Bersani e Vendola, per imbonire un elettorato socialmente e politicamente imbecille, come la carota che fa muovere l’asinello.

Tuttavia, ci può essere una traccia di speranza nello sfacelo annunciato. Tasse in aumento e spesa pubblica in diminuzione, all’origine del baratro fiscale, rappresenteranno i componenti di una bomba, sociale e geopolitica, pronta a detonare nel decennio in corso. Un “terrorista” in pectore e un dinamitardo potenziale come lo scrivente non può esimersi dal cogliere l’opportunità rivoluzionaria che un simile disastro sottende. O meglio, l’opportunità “sfascista” che potrà dare una chance alla via rivoluzionaria per l’uscita dalla trappola elitista dell’euro e dal neocapitalismo ultraliberista finanziarizzato. Non tutto il male viene per nuocere, si suol dire, e forse sarà così anche per noi. Spingendo troppo l’acceleratore sulle politiche recessive – come è accaduto in Italia con Monti e come potrà accadere nel prossimo futuro, dopo le elezioni – si rischia di cadere in una spirale incontrollabile, fatta di tasse in aumento, spesa pubblica in diminuzione e pil in crollo, nella persistenza del ricatto del debito. Ciò comporterà l’innesco della bomba sociale e geopolitica con effetti distruttivi ben oltre i confini dei paesi in recessione. Se ciò accadrà in Italia, in conseguenza dell’applicazione testarda, negli anni a venire, dell’”agenda” euromontiana originale o della sua copia bersanian-vendoliana, è probabile che si raggiungeranno e si valicheranno i limiti di sopportazione sociale, umana e psicologica in conseguenza dell’applicazione di tali politiche, volutamente recessive. Non potranno non esserci reazioni diffuse, in tal caso, perché la compressione dei dominati non potrà procede all’infinito, come invece “è in agenda”. Non si potrà tollerare una disoccupazione al 50%, con annessa distruzione della metà del tessuto produttivo nazionale. Particolare non secondario, l’Italia è ancora un gigante manifatturiero ben più importante della Grecia, o della Spagna, e la sua destabilizzazione peserà come un macigno sia all’interno dell’unione monetaria sia negli altri circuiti dell’economia globale. La contraddizione fra l’illimitatezza neocapitalistica, nella creazione del valore e negli espropri di ricchezza e di diritti, e i limiti dell’elemento umano, pur manipolato, sottomesso e idiotizzato, esploderà come una bomba grazie alle politiche recessive in difesa dell’euro (e di un’idea dell’Europa che non ha nulla che vedere con i popoli), grazie al pareggio di bilancio imposto e all’approssimarsi del baratro fiscale. Sembra che ciò sarà inevitabile, perché strutturalmente questo capitalismo non può reggersi senza velocizzare la creazione finanziaria del valore, oltre i limiti di sopportazione sociale e dell’economia reale, e senza i continui espropri di risorse e di diritti nei confronti delle masse e del patrimonio pubblico. I segnali di ulteriori peggioramenti della situazione concreta non mancano, anche in questi giorni. Oggi l’Ansa riporta la notizia che la disoccupazione giovanile, in novembre 2012, ha raggiunto il 37,1%, secondo i dati Istat, mentre i disoccupati nel paese, giovani e meno giovani, sono sempre 2,9 milioni, come nel mese di ottobre. Nell’eurozona, secondo i dati Eurostat ripresi dall’Ansa, il tasso di disoccupazione a novembre 2012 è quasi del 12%, pesando situazioni come quella spagnola e quella greca, indubbiamente più compromesse di quella italiana. E’ chiaro che gli indicatori macroeconomici e occupazionali non la smetteranno di volgere al brutto, nei prossimi mesi, in Italia e altrove in Europa, non esclusa l’apparentemente solida Germania. Per quanto possano creare, con l’uso dei media, una realtà parallela per imprigionare la nuova classe povera, la realtà, quella vera, fatta di disoccupazione e disperazione, di decadimento dei livelli di vita e di dissoluzione culturale, non potrà che riemergere in tutta la sua crudezza, una volta raggiunto il baratro. Davanti al precipizio, non basteranno più la paura indotta dal sistema in funzione di ricatto, le menzogne sullo spread, le richieste sempre più immotivate di rigore, lacrime e sangue, le stesse “cariche di alleggerimento” degli sbirri durante le manifestazioni, e si scateneranno forze sociali del tutto impreviste, destinate a modificare il corso della storia. Il disastro prossimo venturo, riassunto nella suggestiva espressione “baratro fiscale”, ci renderà qualche speranza, nonostante i danni cagionati dall’esplosione della bomba e le vittime innumerevoli rimaste sul terreno.

In fede

Eugenio Orso

 
 
 
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