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BOCCA SE NE VA, RESTANO I SERVI DEL NUOVO REGIME

Post n°209 pubblicato il 31 Dicembre 2011 da chinasky2006
 

Foto di chinasky2006

Se n’è andato Giorgio Bocca, una delle ultime penne fieramente al vetriolo, in quest’epoca di servi. Perché Bruno Vespa, usando le sue parole, “non è un giornalista, ma un servo di regime”. Gli scritti ultimi rimangono una specie di amaro e tagliente dileggio dell’orrido pollaio cui si era ridotta l’attuale politica. Lui che di politica (quella vera) si era occupato per anni. Persino il ventennio “lungo”, al cospetto di quello “breve” costretti a sciropparci negli ultimi anni, doveva apparirgli dominato da fieri ideali. La tanto discussa adesione al “manifesto della razza”, in piena era fascista, prima che s'innamorasse della resistenza, poi del socialismo, infine del centro-sinistra. Colorazioni a parte, fa calare un velo di amarezza la scomparsa dell’ultimo grande giornalista dello scorso secolo, accompagnato da uno stridulo e commovente “Bella ciao”. Uno di quelli che non aveva paura a tirare sassi puntuti verso la casa del nuovo regime.
La morte non guarda in faccia nessuno, ma dopo Monicelli volato via lo scorso anno, il direttore storico del “Manifesto” Lucio Magri, andatosene a morire quando voleva lui, nella civile Svizzera, la scomparsa di Bocca in coda a questo 2011, lasciano quell’amaro retrogusto e l’innato fatalismo pessimista travestito da luogo comune, secondo cui se ne vanno solo le menti superiori. Fresche e lucide, malgrado i passati novant’anni. Poi, verso mezzodì del 31 dicembre appicci il televisore, ed ascolti finalmente la buona novella, tanto attesa. E’ crepato, schiattato d’infarto fulminante, Don Verzè. Eccolo il tanto agognato passo indietro del religioso miliardario amante delle lunghe nuotate nell'oro zecchino. Quello della benedizione berlusconiana. Del Silvio quasi santo e da beatificare. Il vegliardo pluri prescritto e pluri imputato per corruzione. Il prete megalomane che voleva la cupola del suo San Raffaele, svettare più in alto della “madunina”. Emerso, il religioso, come fulcro dell'indagine sul fallimento della sua creatura, struttura attorno alla quale gravitavano soldi sporchi, malavita, mafie, suicidi strani, bancarotte ed il solito, amicizia con l'immancabile (quando si tratta di illegalità) gnomo satiriaco incline alla delinquenza (il quasi anto). Uno, il Verzè, che, lo vado sempre ripetendolo, bastava guardare in faccia per catalogarlo nella fitta schiera dei criminali efferati. Non si aveva poi bisogno nemmeno di processi, carte e palesi amicizie con i peggiori affaristi e corruttori del paese, per capire quanto fosse marcio. Forse suicidato da qualcuno per evitare che, in un possibile sussulto di dignità, potesse rivelare i disgustosi retroscena dell’affare San Raffeale, o spirato in modo naturale. Ma chi se ne impipa. Chi se ne frega anche dell’umana pietà. Basta solo la dolce idea che non sarà più su questa terra e nemmeno nell’altra immaginaria, un simile essere ripugnante. Se ne andrà, presumibilmente, in una bara d'oro massiccio, tempestata di diamanti, diademi e zaffiri, condotta a braccia da schiavi negri, comunisti o poveri semplici, in cambio di un piatto di sbobba, avanzata ai suoi cani. Non passerà per la cruna di un ago, questo miliardario delinquente. Si spera solo in una trave ben assestata in altri orefizi.
Tralasciando queste inattese gioie, vorrei ritornare a Giorgio Bocca. Non sono mai stato un suo grande lettore, o estimatore. Succedeva, di tanto in tanto. Capitò lo scorso anno che, in pieno scandalo mignotte, qualcuno tirò fuori un vecchio articolo del giornalista partigiano, firmato nel 1988 o1986. Raccontava il Berlusconi ancora semplice imprenditore e di mezza età, cui l’idea di entrare in politica per sfasciare le fondamenta del paese non balenava nemmeno nei più lontani pensieri. Bastava Craxi a coprigli le flaccide terga. Il giornalista descrive un guitto semplice, che andava comprandosi Milano ed amava circondarsi di troie d’alto borgo, eminenze grigie dell’economia masso-fianziar-mafiosa. Puttaniere e ricco megalomane kitch ancora con una calvizie a donargli sembianze umane, e non ancora irreversibile vittima del delirio malato degli ultimi anni. Molti anni prima, Bocca narrava di un becero potente ignorante e stupido come una capra attorniato da ballerine di quinta. Di party in cui gravitavano finanzieri, uomini politici, porporati, delinquenti, grassatori. La gente bene della Milano da bere, da scopare e da vendere. L’immondo germoglio di letame che anni dopo avrebbe pervaso l’intero paese, grazie alle poderose gesta di quell’ominide pazzo, disceso in campo come terrificante caterpillar dell'orrore. E mai si poteva pensare, allora, che potesse succedere una simile catastrofe irreale al paese, nemmeno come il peggiore degli incubi.
Accennava soltanto, Bocca, con grande ironia, a quelle allegre festicciole prive del minimo buon gusto. Tutti dietro alle starlette che si concedevano all’anfitrione ed ai fortunati invitati, di rimando. Per gratitudine. Come raccontò uno sconvolto Chirac, sul tavolo d’ingresso era sapientemente stipato un catalogo patinato zeppo di attricette ignude, zizze e culi al vento. Alla domanda di uno sprovveduto ed ignaro su cosa ci facesse un simile giornale in quel posto ben visibile, lui si allargava in un sorriso compiaciuto, aggiustava il doppiopetto addentrandosi in racconti fiume: “Ah, quella me la feci nel 1983, quell’altra nel 1979 in un camerino, all’impiedi…sapesse! La bionda poi, la mandai storta per mesi, ah che fusto! Le donne mi amano, mio caro…”. Un drappello di attricette diventavano famose passando dal letto del miliardario impresario. In principio il “drive in”, trent’anni dopo, tutte le trasmissioni dell’etere. Mai però si poteva pensare che quel modo di reclutare ballerine, potesse essere utilizzato dallo stesso guitto capo-comico, nella scelta della classe dirigente, delle politiche, delle ministre.
Se non ti invitavano a quelle feste, contavi meno di zero. Meno di Costanzo, addirittura, sempre di casa in quegli impedibili appuntamenti ove riti massonici si mescolavano a chiappe al vento. Lui, Bocca, non c’era allora, non c’è stato nemmeno trentenni dopo. E se ne compiaceva, facendo finta di lamentarsene. Mai partecipato a quell’orrido cenacolo di potere marcito, girotondo di troie, nefandezze e caricatura di regime. Ma lo aveva già previsto, descritto, irriso e detestato, prima ancora della deflagrazione.

 

 

 
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