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INZAGHI, E QUELL'ORGASMO LUNGO UN GOAL

Post n°229 pubblicato il 14 Maggio 2012 da chinasky2006
 

Foto di chinasky2006

La folla, le masse che si coalizzano come un tutt’uno demente. Ed acuiscono un “milanismo” ormai annacquato. La più grande delusione, in quel 3-0 gettato in pasto ai demoni del Bosforo, e la rivincita contro gli stessi inglesi sbeffeggianti. Poi la storia già scritta in vangeli pagani del calcio, con le due perle del magnifico ed irrazionale centravanti nella città degli Dei Greci. La sfera che dopo una beffarda carambola sul totemico centrattacco smilzo devoto del gol, lemme lemme, ricade in rete. O il lento ed ansiogeno aggiramento del portiere, nei cinque apprensivi secondi che sembrano cinque ore, per il goal della sicurezza.
L’irrazionale normalità di Pippo Inzaghi, senza i piedi e la classe del cigno di Utrecht divinità rossonera di riferimento. Non ha il fisico da marcantonio che ti attendi dal centrattacco di sfondamento tipo John Charles, ma un po’ di pelle attaccata alle ossa, ricoperte da fasci di nervi e muscoli saettanti. E guizza tra le linee come un totano esagitato.
Contro ogni bibbia del calcio e credenze antiche, questo ragazzo dal fisico normale ha amoreggiato per anni col goal. Senza la lascivia languidezza del preliminare, ma con un virile sussulto da amplesso animalesco. Vivido, implacabile. Quello tra Inzaghi, il pallone, la linea del fuorigioco e la rete che complice amante si gonfia, è stata un’orgia simbiotica. Compulsivo orgasmo che quasi si prende beffe del calcio raccontato da scienziati giornalai con l’edonismo sbottante dalle loro cataratte. Un rapporto morboso, magico, delirante. Come un impeto folle, che con la mente annebbiata altro non gli fa vedere se non quei tre legni e la rete scossa dal vento, col quasi erotico tarlo-desiderio di gonfiarla. Sempre e comunque. In Inzaghi tutto è stato emozione e frenesia. Elettrica intuizione superiore. Perché non aveva mica il velluto dentro le scarpe di un Van Basten, Pippo. Solo due piedi sbilenchi e una tecnica approssimativa o normale, al più. Ma dove non arrivi con i mirabolanti tecnicismi che tanto fanno erigere gli animi degli esteti, puoi comunque abbrancarlo con qualcos’altro. Uno straccio di esaltata furia che raccogli dove nemmeno si capisce.
Talvolta esasperante, persino affascinante nella cruda e tremendamente umana passione che trasecola nel morbo: Pippo vive per il goal. Ed il goal si lascia sedurre, abbandonando ogni riserva di virginale difesa. Un rapporto forse unico, simile all’amore primordiale. Vedi un match, ed osservi, incuriosito, i frenetici movimenti di questo ragazzo. Te ne accorgi subito che è lui. Non sta mai fermo, una zanzara folle che si muove sulla linea magineaux del fuorigioco. Eccola la faina appostata, all'ombra dei due colossi di difesa, pronta a colpire di banditesca rapina. Sguscia via come un satrapo, tutto nervi elettrizzati. Scuote la zazzera, chiama la palla, quasi la invoca intimamente, e quella, manco a dirlo, gli arriva sul piede. Anzi è il ginocchio, forse rotula, o magari tibia, petto, e lui la spinge di solo istinto e senza nemmeno saper come, nel rettangolo magico
.
Pippo juventino, Pippo milanista o Pippo ragazzino nel Piacenza. Le liti con Del Piero (paradossalmente uniti anche in questo addio, i gemelli diversi), l’egoista, scarso tecnicamente, quello dei “goal alla Inzaghi” ad indicare una specie di fortuna, laddove invece la fortuna, corteggiata, soccombeva di fronte alla tenacia e furbizia di chi vuole solo buttarla dentro, come non importa.  Scudetti, Champions, Mundial, Coppe Intercontinentali, ma più di tutto è il goal ad appartenere come una seconda pelle a questo centravanti bandito. Perché se non segnava, la vittoria piaceva meno. E lui segnava, sempre.
Te ne accorgi ieri, che quello con la rete è stato un rapporto che va oltre il razionale. Il mister, una specie di Big Jim rachitico e con pochi capelli, gli concede gli ultimi 10/15 minuti di passerella. Non sta mica bene Inzaghi, è quasi zoppo. Eppure ha lavorato sodo negli ultimi giorni per poter esserci. Ma non basta esserci, occorre fare qualche minuto in modo dignitoso. Entra e si piazza sulla quella linea vitale dove ha svernato per vent’anni, la sua. Sta lì, invoca la sfera e ancora una volta gli dei, affascinati da tanto maniacale ardore sciancato, gliela calamitano addosso. Lui non crede ai suoi spiritati occhi, si porta la sfera all’esterno e poi ad occhi chiusi nella porta sguarnita, per quella che è la degna conclusione di una affascinante storia al limite dell'incomprensibile. Prima dell’ennesima corsa d'esultanza, con le tante cicatrici a segnare un volto da vecchio ragazzino che veleggia verso i trentanove anni. Tradito ed abbandonato amante, che rifiutò persino uno sterile flirt in provincia, pochi mesi fa.
Piaceva Inzaghi, anche a chi ha fatto del talento un credo imprescindibile. Piaceva e piace perché rappresentava la normalità che diviene eccellenza, grazie ad un patto divino o demoniaco con gli dei del calcio. Lo ammiravi perché donava la chiara sensazione di vivere per questo sport, di amare visceralmente il calcio e quella sturbante sensazione del goal. Un brivido d’orgasmo lungo quei secondi di folle esultanza a bocca spalancata. Piace ancora di più a chi come me ha smesso di seguire questo sport ormai offensivo e crudele, quella sera del 2007, quando il cerchio si chiuse e Pippo mi aiutò ad ammazzare il tarlo. L’incuranza verso il calcio si rafforza osservando le tristi immagini di addii indotti. Inzaghi come Del Piero, quasi umiliati dallo sterile conteggio dei ragionieri con la gotta o inetti allenatori fantocci della Standa. Dove non c'è più spazio per il sentimento. Del Piero come Inzaghi, fino alla fine. Cancellati nella loro voglia di continuare ancora, in uno calcio che non esiste più da quando il cerchio si chiuse magnificamente. Dal 2007, grazie a Pippo.

 
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