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Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 18 Settembre 2008 da parolaxparola

Ma ad ogni stazione del ricordo il puntiglio serve a poco, forse soltanto all'ordinata ricapitolazione dei torti e delle colpe e ai depennamenti obbligati.

Le dita scorrono i rosari, grano a grano, giorno per giorno, testardamente.

Una fermata alla mia porta chiusa, alla mia voce inerte, come inerte era il mio corpo su te ed io ormai assente.

Una alle pieghe terribili sui fianchi (per ogni segno una lacrima, quante lacrime vuoi per cancellarmi?), e sotto il mio seno senza fantasia.

Una agli occhi offuscati, inutili per i colori spenti di quegli anni sgangherati, una alla mia allegria per le tue spalle di padre, una alla forza che non hai condiviso, una alle chiavi sbagliate del tuo schifoso paradiso di promesse, una per il nostro incompiuto viaggio a ritroso, una per l'addio che sapevamo di non esserci mai detti.

Tra poco non parlerò più amore, ma dammi ancora tempo, ancora un pugno di tempo.

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 14 Settembre 2008 da parolaxparola

Ma poi quante parole hai trattenuto, di quante sono stata derubata?

Forse non avrebbero cambiato nulla, forse non avrei comunque capito le tue ragioni, forse il lavorìo sui significati, le mie illecite proiezioni e gli scambi di ruolo, mi avrebbero in ogni caso confusa fino al punto di riaffidarti le mani e i miei occhi chiusi.

Ma questo (lo so che me l'avresti subito contestato)non è altro che un modo inutilmente complesso, senza riuscire elegante, di chiederti perché te ne fossi andato così.

Càpita milioni di volte sotto milioni di cieli indifferenti, e càpita perché càpita, a prezzo vile, per l'ineluttabilità delle cose, per mere reazioni atomiche (quando giocavi al Demiurgo con il cappello calato sul volto, alla Oppenheimer, e ti dicevi certo dell'Esplosione, un buon motivo per fare l'amore ovunque ci trovassimo...) per pura necessità impersonale.

Le invidiavo soltanto la capacità di non conoscere fino in fondo il peso della tua solitudine, non quella che distribuivi ai  rassegnati spettatori del Grand Guignol sentimentale, no, l'altra, quella vera, interamente tua, quella che non rivelavi a nessuno e che come un'acqua morta soffocava le tue tenerissime paure.

Lei e noi. Ma l'ordine me lo sono costruito da me, come una prigione.

 
 
 

Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 10 Settembre 2008 da parolaxparola

La tua stagione migliore era l'inverno, la speculare immagine del tuo ghiaccio interiore.

Ma c'eri, c'eri anche se la neve soffocava ogni impulso; c'eri anche se il telefono taceva, anche se le notti solitarie si susseguivano senza posa, intervallate da una parodia di giorno che mi moriva fra le mani arrossate.

C'eri anche quando lui mi chiese di abbracciarlo ed io lo feci, non perché aveva parlato di te, non perché ti aveva seguito, né perché usava le tue parole, neppure per il suo spudorato assomigliarti.

Sapevo che ovunque tu fossi stato, qualcosa di quel mio abbandono ti sarebbe arrivata, e forse avresti sofferto davvero e, per la prima volta, per me.

Lo guardavo negli occhi per sfidare me stessa, per non permettermi il gioco delle rappresentazioni: ero proprio fra le sue braccia, le sue, così diverse e forti, così piene di buon senso, così da uomo da rendermele quasi dolorosamente piacevoli.

Fu allora che vide le lacrime scendere e si fermò spaventato e confuso, come se all'improvviso si fosse reso conto che mi ero allontanata e avevo lasciato a lui solo quella scia cristallina su un viso che non gli avrebbe più regalato nulla.

 
 
 

Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 09 Settembre 2008 da parolaxparola

Conoscevi l'arte della provocazione, quella capacità di accendere qualsiasi fuoco emotivo con una parola o un gesto silenzioso.

Ti tradiva subito dopo l'abitudine alla misura; ogni attacco sembrava sempre un po' troppo studiato, programmato fino al punto da diventare una didascalia dell'offesa.

Così mi acquietavo e il tuo sguardo verso altri sguardi e i complimenti e le passioni rievocate si polverizzavano in una implorazione ad abbracciarti, con gli occhi quasi atterriti, le mani con le dita aperte come quelle di un bambino che ti mostra orgoglioso il numero dieci.

Potevi parlare di tutto, allora, anche delle tue leggende interiori, gli eroi tramontati e anche dei tuoi rancori.

Se odia ama, mi ripetevo con scolastica presunzione, se ama ama naturalmente me.

Lei non poneva domande né affermava nulla; si limitava alla presa d'atto, come se in fondo anche questo teatrino non la riguardasse e non vi fossero guerre da combattere e vincere.

La sua vittoria invece maturava nel corpo morbido e nelle mani quasi trascurate e bellissime, esalava dalle parole senza senso, dalle lacrime inaspettate, dal coraggio di non capire.

 

 
 
 

Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 05 Settembre 2008 da parolaxparola

La prima estate insieme non fu che una breve sosta lungo la discesa.

Ti piaceva il rumore della risacca; scendevamo con gli amici la sera, alla piccola spiaggia, ad ascoltare le onde continue, l'incessante processione di schiuma e sciacquio.

Avevi sempre freddo, e ne approfittavi per stringerti a me, per farmi sentire che non eri solo il professorino fragile e sfuggente, che avevi braccia forti, quasi violente, a volte, per la repentinità dell'abbraccio.

Mi mancava il fiato in quei momenti, brevemente, mai così a lungo da superare la tua inevitabile lezione.

Sapevi di essere sgradevole, per me e per tutti noi intorno. Solo di lei, peraltro, osservavi le reazioni, come se solo lei avesse avuto il potere di fermarti, di zittirti.

Ricordi? Chi ha costruito il mondo, ragazzi? Dico a te, amica mia, che guardi il molo laggiù e le imbarcazioni all'attracco... e chi ha pensato e realizzato la strada che porta al centro del villaggio? Chi le case, le chiese? Chi le città, le piazze, le opere ed ogni organizzazione sociale di cui resti traccia? Dal ciotolo lavorato alla relatività... un uomo, sesso maschile, migliaia di uomini, di muscoli, di pensieri, di impulsi, vittorie e sconfitte.

Misuravi la nostra rabbia, la mia (che ben presto sarebbe diventata quasi un obbligo noioso) e le obiezioni che non scardinavano la tua sicurezza condensata nel gesto di accenderti la sigaretta sottile con gli occhi socchiusi e il solito brevissimo sorriso.

Anche lei sorrideva: il rumore del mare è amniotico, replicava, qui tu hai la prova tangibile della maternità e del suo significato universale.

Ma ti piaceva come le diceva le cazzate sulla Grande Madre Castrante, così come io ti detestavo per non sapermi svincolare da te e dalla tua impeccabile banalità

 
 
 

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