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Guido Guinicelli

Guido Guinicelli

Quest'insigne Bolognese, che l'autorevole Nannucci non si peritò di chiamar padre dell'italica letteratura, fu il massimo fra i poeti che prima di Dante scrissero in lingua volgare. Oscure e vaghe son le notizie della sua vita: però sappiamo ch'ei fu nipote d'un tal Magnano che apparteneva al Consiglio di Credenza l'anno 1234, ed era figliuolo di Guinicello, che aveva parte negli affari della città, come recano gli atti pubblici del 1246 e del 1257. Esso Guinicello fu dell'ordine dei nobili, giudice e giurisperito, ma non dottore di leggi. Andò Podestà a Narni per tutto l'anno 1266, e viveva ancora nel 1275, ma vecchio e mentecatto: per la qual cosa il nostro Guido co' fratelli Giacomo ed Uberto, attesa l'incapacità del padre, eseguivano a questo tempo ogni pubblico contratto dove il chiedesse la condizione de' loro negozi di famiglia.

Benvenuto da Imola, nel suo Commento alla Divina Commedia, asserisce che la famiglia dei Guinicelli era uscita da quella de' Principi, devota alla parte imperiale: e in lui, antico e diligente, hassi a porre credenza. Il medesimo Benvenuto appella Guido del titolo di Miles, che sonava allora cavaliere; e lo dice ancora Judex, cioè giurisperito. Non fu però dottor di leggi, quantunque Dante dica di lui e degli altri insigni Bolognesi di que' tempi, essere stati dottori illustri e di piena intelligenza di cose volgari: e ciò ne mostra come la parola dottore s'abbia a intendere maestro o professore che dir vogliamo.

Fu Guido di Guinicello legato in matrimonio a Beatrice dell'illustre gente della Fratta, che in principio di quel secolo avea dato un Vescovo alla città. - L'anno 1274 riuscì assai travaglioso alla famiglia del nostro poeta, per la cacciata della parte de' Lambertazzi, ch'era quella ch'essi seguivano. Del decrepito Guinicello, che ancor vivea, non fu tenuto conto, perchè già, come s'è detto, era privo di senno. Uberto, il minore de' figli, come fellone e ribelle (secondo il linguaggio di quei giorni) ebbe il bando in solenne forma, con la confiscazione de' beni. Guido e Giacomo vennero soltanto mandati a confine fuori del contado bolognese; ma non è cognito in quale stato e in quale luogo riparassero.

Guido non visse troppo lungo tempo nel suo esilio, e morì di fresca età nel 1276. In questo anno addì 13 novembre, la vedova Beatrice assumeva la tutela dell'unico figlio che di lui restava, nominato esso pure Guido, fanciullo allora di poca età, trovandosi ch'era ancor pupillo nell'anno 1287.

Ma per tacere de' congiunti di Guido e far ritorno a lui solo, diremo con Benvenuto da Imola (che insegnava umane lettere in Bologna l'anno 1370), essere stato il bolognese poeta uomo saggio e facondo, d'ingegno ardente e di focosa lussuria; il perchè Dante finge trovarlo nel Purgatorio fra coloro che vi lavavano le loro sozzure. Il paziente , parlandogli da prima senza scoprirsi, gli dice per quali peccati egli ed altri si stessero ivi penando; quindi se gli dà a conoscere, e l'Alighieri si rallegra al sommo d'averlo incontrato, e lo saluta per padre suo e degli altri migliori che mai avessero usato dolci e leggiadre rime d'amore: di che il Bolognese fu meravigliato e confortato, poichè l'illustre pellegrino e colla parola e collo sguardo mostrava d'averlo sì caro.

E caro l'aveva senza dubbio, se col nome di nobile l'appellò nel Convito, con quello di massimo nel libro della volgare favella. Né Guido era indegno di queste lodi, poichè egli si sollevò sopra tutti gli altri poeti del tempo suo; e di filosofia ornatissimo, grave e sentenzioso, lucido, soave ed ornato lo appella Lorenzo de' Medici. Ed avvegnachè Guido cantasse solo d'amore, secondo il costume più generale di que' tempi, non cantava però secondo la maniera degli idioti, ma con alte e morali sentenze al modo de' Platonici: laonde Bonaggiunta Urbiciani da Lucca con essolui rallegravasi perchè avesse mutata la maniera dei piacevoli detti d'amore, e la forma e l'essere, sì che aveva con quell'arte avanzato ogni altro poeta.

Ma poichè a metter fede delle cose e ad indurre persuasione valgono gli esempi assai più che le parole, qui porgeremo un breve saggio del poetare di Guido, preferendo alle altre Canzoni questa, che il Monti ebbe a chiamare sublime.

Al cor gentil ripara sempre Amore,
Siccome augello in selva alla verdura;
Nè fece Amore anzi che gentil core,
Nè gentil core, anzi che Amor, Natura;
Che, appena spunta il Sole
Sì tosto appare lo splendor lucente,
Nè fu davanti al Sole:
E prende Amore in gentilezza loco
Così propriamente
Come il calore in chiarità di foco.

Foco d'Amore in gentil cor s'apprende
Come virtute in pietra preziosa;
Chè dalla stella valor non discende
Anzi che il Sol la faccia gentil cosa.
Poi che n'ha tratto fuore
Per sua forza lo Sol ciò ch'è a lei vile,
E la stella ha valore;
Così lo cor, ch'è fatto da natura
Schietto, puro e gentile,
Donna, a guisa di stella, lo innamora.

Amor per tal ragion sta in cor gentile,
Per qual lo foco in cima del doppiero:
Splende allo suo diletto chiar, sottile,
Nègli starla altrimenti; tant'è fiero!
Così prava natura
Rincontra Amor, come fa l'acqua il foco
Caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende riviera [Nota: Stanza, magione]
Per suo consimil loco,
Corri' diamante del ferro in la miniera.

Fere Io Sole il fango tutto'l giorno;
Vile riman, né il Sol perde calore.
Dice uom altier: gentil per schiatta torno;
Ei sembra il fango, e 'l Sol gentil valore.
Chè non dee dar uom fé
Che gentilezza sia fuor di coraggio [Nota: Fuor del cuore, o dell'anima]
In dignità di re,
Se da virtute non ha gentil core;
Com'acqua ei porta raggio,
E il Ciel ritien la stella e lo splendore.

Splende in la intelligenza dello cielo
Dio creator più che a' nostr'occhi il Sole.
Ella intende 'l fattor suo oltra'l velo,
E il cielo, a lui volendo obbedir, cole
E consegue al primiero
Del giusto Dio beato compimento.
Così dar dovria 'l vero
La bella donna, che negli occhi splende,
Del suo gentil talento
A chi amar da lei non disapprende.

Donna (Dio mi dirà) che presumisti?
(Sendo l'anima mia a lui davanle):
Lo ciel passasti e fino a me venisti,
E desti in vano amor me per sembiante.
A me convien la laude,
E alla reina del reame degno,
Per cui cessa ogni fraude.
Dir gli potrò: tenea d'angiol sembianza
Che fosse del tuo regno:
Non mi sia fallo s'io le posi amanza. [Nota: Amore]

E tanto basti per far fede del casto ed elegante poetare di Guido, dal quale l'Alighieri derivò concetti affettuosi, e frasi leggiadre, e talora interi versi. Il perchè non è meraviglia se più volte nelle opere sue lo adornò di lodi non comuni, siccome quegli che preso alle bellezze di sì gran maestro, non isdegnò di farsegli discepolo, e d'esaltarne il valor letterario, degno dell'altrui imitazione.

"I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici", Salvatore Muzzi, Speirani, 1863 - 51 pagine.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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