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Ranieri Samaritani

Post n°924 pubblicato il 28 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Ranieri Samaritani

Nei giorni del Barbarossa, della Lega Lombarda e della Pace di Costanza, Matteo di Rodolfo insieme con Rolando Guarini fu ambasciatore per la città di Bologna al Congresso della Pace suddetta, l'anno 1183. Esso Matteo ebbe un' unica figliuola di nome Samaritana, la quale passata a nozze con Ser Uguccione da Montefiore, procreò un figlioletto di nome Matteo, che in memoria della madre assunse il cognome di Samaritani, e fu avolo di quel Ranieri, onde brevemente veniamo a dire. Questo Ranieri si segnalò sopra molti, tanto in istato laico quanto in condizione religiosa fra i Minori di s. Francesco; e fu lodato così per merito letterario come per offici luminosi. Nacque egli di Lambertino Samaritani; e nel 1267 era Podestà di Cento e della Pieve, siccome risulta da memoria nel pubblico archivio bolognese. E che reggesse con senno ed abilità quelle terre emule e finitime, lo prova l'onore che gli toccò l'anno appresso d'esser chiamato al reggimento di Ravenna, città antichissima e ragguardevole tra le primarie dell'Emilia.

Ranieri aveva sposata un'esimia donzella di nome Giovanna, figliuola d'un conte da Pànico, ricco e potente signorotto. É Pànico un castello, oggidì rovinoso, che siede in poggio alla destra del picciol Reno, in vista della strada che mena da Bologna a Purretla ed al toscano Apennino, e lungi da Bologna poco più di dodici miglia. Quel signorotto (pur esso di nome Ranieri) dimesso l'orgoglio di feudatario, e fatto più mite pei tempi che correvano, non isdegnò d'accasar la figliuola col nostro Ranieri, che non fu signore di castella, né vantò diritto di vita e di-morte sul gregge de' servi malcapitati, ma fu cittadino laborioso e magistrato equo ed integerrimo. Però se il nostro Samaritani condusse in moglie Giovanna da Pànico, è giuocoforza ritenere che l'assennato bolognese fosse di ricca ed eletta famiglia: le quali prerogative quando pur non apparissero da sì cospicuo legame di parentado, si arguirebbero per l'alto incarico sostenuto dal suo antenato Matteo di Rodolfo: imperocchè una città come Bologna non avrebbe mandato ambasciatore al prepotente enobarbo un popolano o un mercadante, in tanta dovizia d'egregi uomini ed eloquenti, quanti ne vantava nell'ordine de'nobili e in quello de'dotti professori. Abbiamo detto che il nostro Ranieri si segnalò sopra molti tanto in istato laico quanto in condizione religiosa: e ciò sappiamo dai cronisti bolognesi e dagli archivi de' Minori di san Francesco, dove rilevasi che amendue i consorti, di comune consentimento e con reciproca letizia, ripararono ai monasteri dell'estatico d' Assisi nel 1285 . Aveva allora il Samaritani poco meno di sessant' anni, se già da quattro lustri era in voce di dotto e savio, anzi di abile e cospicuo nel reggimento de' popoli. Nè altrimenti poteva essere, se l'abbiam visto Podestà di Cento e della Pieve nel 1267.

Appena intanto fu ricevuto nella famiglia francescana, come uomo d'esperto ingegno, e destro e pronto negli affari, venne adoprato da'suoi monaci in rilevanti negozi. Nè solo i Monaci ma la Città giovavasi del bell'ingegno, del pronto eloquio e della solerzia di lui. Infatti sappiamo che ai 6 di marzo del 1288, il Pretore di Bologna, il Capitano della milizia, col Magistrato degli Otto e coi quattro Anziani eletti sopra la guerra mandarono ambasciatori al Pontefice, tra i quali due sapienti di Credenza e il detto frate Ranieri, acciocchè di concordia coi Fiorentini conducessero alcuni negozi; perchè trattandosi allora la pace col Marchese Azzo da Este, erasi a tal fine fatto compromesso nel Pontefice Onorio IV, il quale poi mancava nell'anno stesso, e lasciava il seggio al quarto Niccolò.

Essendo quindi ritornato da Roma il rispettabile Conventuale, presentò le lettere e gli apostolici Decreti, pei quali era disposto: che i Bolognesi consegnassero la custodia del Castello di Piumazzo ad esso Frate Ranieri in nome del Papa, il qual Frate così lo tenesse finchè il Pontefice mandasse un altro che a nome suo ne fosse guardiano, pur sempre a carico dei Bolognesi: che Azzo e Francesco da Este consegnassero dal canto loro alla custodia di Fra Gerardo da Barbiano dell'ordine dei Predicatori, in nome del Papa, il Castello di Spilamberto, a carico degli Estensi medesimi.

Dopo questo fatto, non è memoria di Ranieri se non del 1302, nel quale anno il famoso Bonifazio VIII, gli scriveva una lettera, della quale si conserva copia nella Biblioteca dell'Ateneo bolognese, mercè la munificenza del gran Pontefice Benedetto XIV. che fece raccogliere dall'Archivio Vaticano quanto di Lettere, Brevi e Bolle riferisse a Bologna, cui ne mandava lieto dono come amoroso figliuolo a tenera madre.

Di qual anno, e dove morisse il Samaritani sarà forse indarno la ricerca, poichè i cronisti di quell'età non ne fanno parola: soltanto sappiamo che del 1 316 non era più, poiché in quest'anno furono venduti i suoi libri a benefizio del Monastero. - Ecco quel tanto che si conosce della vita domestica e pubblica del nostro Ranieri, il quale se fu lodato di abilità e di prudenza nella pratica degli affari, fu puranche in estimazione come cultore delle buone lettere e dell' italiana poesia. Soltanto ne duole che quello che di lui asseriscono il Crescimbeui ed il Bargiacchi, cioè che Fra Ranieri non tenne un ultimo posto tra i rimatori del secolo decimoterzo, non possa provarsi col suggello de'fatti; perocchè se v'ha poesie di quei tempi sformate dall'ignoranza o dall'incuria de'copisti, e'sono quelle certamente del bolognese Samaritani, che, per tal pecca degli amanuensi, fu detto dal Redi, rimatore de' rozzi e remoli tempi: ed esso Redi pubblicò anzi una Frottola di Fra Ranieri, tanto deforme e misteriosa, che alcuni critici non dubitarono asserire che quella era un bizzarro accozzamento di parole senza verun significato; ed altri (fra' quali il Perticar!) la tennero in conto di laida e pazza scrittura, simile al famoso Pataffio di Brunetto Latini. Ma siffatte congetture e sentenze sono a ritenersi false ed ingiuste: imperocchè uu balzano cervello che partorisse sconce frottole e matte scritture, non avrebbe potuto levarsi in onore nè fra i laici nè fra i monaci, siccome avvenne di lui; nè un letterato ridicolo poteva salire a dignità d'ambasciadore della patria presso il Pontefice, nè venir eletto alla custodia d'un paese in nome del Papa e per la patria.

Pare dunque più probabile che le poesie di Ranieri fossero mal copiate ne' Codici e malissimo lette. Infatti chi può capire che cosa significhi la seguente Frottola a messer Paolo di Castello, la quale fu pubblicata, come s'è detto, dal Redi (nelle annotazioni al suo Bacco in Toscana) traendola da un antico testo a penna da essolui posseduto?

Ed eccola:

Come in Samaria nato fuor di fé,
Ferme lo nome sovra quello cagio;
Così, come ver voi son dritto in fé,
Messer Polo però del senno cagio.
Suono vi mando, e in vero Iddio fé',
E chi rincontra lui vàntine cagio.
Lùdite volte mante ad anime camante
Probate son parole: dicio che fo parole.

E certamente non se ne cava costrutto: il perchè rifuggendo da tali imbratti, che inducon noia e sazietà, passeremo piuttosto a dire d'un altro bolognese, le cui rime volgari corsero miglior ventura, venendo a mano di sufficienti copisti e di pazienti e perspicaci editori.

"I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici", Salvatore Muzzi, Speirani, 1863 - 51 pagine

 
 
 
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