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Della Casa 05: sonetti

Post n°1147 pubblicato il 27 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XXI

Già nel mio duol non pote Amor quetarmi,
perché dolcezza altronde in me destille
che da' begli occhi, ond'escon le faville
che sole hanno vigor cenere farmi.

Da lor fui pria trafitto; e con queste armi
chiuda le piaghe mie colei ch'aprille,
o l'inaspri e m'uccida, e pia tranquille
mio corso o 'l turbi, e pur d'orgoglio s'armi.

Però che da lei sola ogni mio fato,
quasi da chiaro del ciel lume, pende:
per altra have ei quadrella ottuse e tarde.

Anzi, quanto m'è 'l raggio suo negato,
tanto 'l mio stame lei che 'l torce e stende
prego raccorci, o fermi il fuso e tarde.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 21 (pag. 11)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 269

Note:
v. 4. Questo verso è ripetuto nel sonetto XXX. Fo ricordo di ciò, perchè s'intenda come possa accadere anche a valenti poeti di ripetere senz' avvedersene interi versi d'altri, se ripetono talvolta anche i proprj.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXII

Né quale ingegno è 'n voi colto e ferace,
Cosmo, né scorto in nobil arte il vero,
né retto con virtù tranquillo impero,
né loda, né valor sommo e verace;

né altro mai, cheunque più ne piace,
empieo sì di dolcezza uman pensero,
com'al regno d'Amor turbato e fero
di bella donna amata or pieta or pace.

Ciò con tutto 'l mio cor vo cercand'io
da lei, ch'è sovr'ogni altra amata e bella,
ma fin qui, lasso me, guerrera e cruda.

Null'altro è di ch'io pensi: ella m'aprìo
con dolci piaghe acerbe il fianco, ed ella
vien che m'uccida, o pur le sani e chiuda.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 22 (pag. 12)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 270

Note:
A Cosimo Gerio, Vescovo di Fano. Il Bembo gl'indirizzò alcune lettere.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXIII

Sotto 'l gran fascio de' miei primi danni,
Amor, di cui piangendo ancor son roco,
è per sé 'l cor oppresso, e non v'han loco
lacrime e sospir novi, o freschi affanni.

E tu pur mi richiami, e ricondanni
a l'aspre lutte del tuo crudo gioco,
là 'v'io ricaggia, e par ch'a poco a poco
di mio stesso voler mi sforzi e 'nganni.

Ma s'io sommetto a novo incarco l'alma
debile e vinta, e poi l'affligga il pondo,
che fia mia scusa? o chi n'avrà pietade?

Pur così stanco, e sotto doppia salma,
di seguir te per le tue dure strade
m'invoglia il desir mio, ned io l'ascondo.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 23 (pag. 12)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 271



XXIV

Nessun lieto giamai, né 'n sua ventura
pago, né pien, com'io, di speme visse
i pochi dì ch'a la mia vita oscura
puri e sereni il ciel parco prescrisse.

Ma tosto in chiara fronte oltra misura
lungo e acerbo strazio Amore scrisse,
e poscia, «in questa selce bella e dura
le leggi del tuo corso avrai», mi disse.

«E questa man d'avorio tersa e bianca,
e queste braccia, e queste bionde chiome,
fian per inanzi a te ferza e tormento».

Ond'io parte di duol strugger mi sento,
e parte leggo in due begli occhi come
non dee mai riposar quest'alma stanca.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 24 (pag. 13)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 272

Note:
Diretto a Bernardo Cappello, di cui vedi a pag. 252 di questa raccolta, e le note a quel luogo. Si lagna di aver anteposto le brighe della corte agli studj.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXV

Solea per boschi il dì fontana o speco
cercar cantando, e le mie dolci pene
tessendo in rime, e le notti serene
vegghiar, quand'eran Febo e Amor meco.

Né temea di poggiar, Bernardo, teco
nel sacro monte ov'oggi uom rado vène:
ma quasi onda di mar, cui nulla affrene,
l'uso del vulgo trasse anco me seco,

e 'n pianto mi ripose e 'n vita acerba,
ove non fonti, ove non lauro od ombra,
ma falso d'onor segno in pregio è posto.

Or con la mente non d'invidia sgombra
te giunto miro a giogo erto e riposto,
ove non segnò pria vestigio l'erba.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 25 (pag. 13)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 273

 
 
 
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