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Della Casa 06: sonetti

Post n°1151 pubblicato il 28 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XXVI

Mentre fra valli paludose e ime
ritengon me larve turbate e mostri,
che tra le gemme, lasso, e l'auro e gli ostri
copron venen che 'l cor mi roda e lime;

ov'orma di virtù raro s'imprime,
per sentier novi, a nullo ancor dimostri,
qual chi seco d'onor contenda e giostri
ten vai tu sciolto a le spedite cime.

Onde m'assal vergogna e duol, qualora
membrando vo com'a non degna rete
col vulgo caddi, e converrà ch'io mora.

Felice te, che spento hai la tua sete!
Meco non Febo, ma dolor dimora,
cui sola pò lavar l'onda di Lete.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 26 (pag. 14)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 274

Note:
Anche questo al Cappello; ed è risposta per le rime, come usavano i poeti d' un tempo, e qualche volta anche quelli del nostro. Il sonetto del Cappello comincia: Casa gentil, che con si colte rime.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXVII

Gioia e mercede, e non ira e tormento,
principio son de le mie risse nove,
e con pietate Amor guerra mi move:
che com'è più tranquillo, i' più 'l pavento.

Ma sì speranza in me ragione ha spento
e sì tolte mi son l'armi ond'io prove
difesa far, ch'io bramo in me rinove
l'acerbo imperio suo, non pur consento.

Mansueto odio spero e pregion pia
da signor crudo e fero, a cui pur dianzi
con tal desio cercai ribello farmi.

O penser folle! e te, Venezia mia,
ne 'ncolpo, ch'a nemico aspro dinanzi
e d'ardire e di schermo mi disarmi.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 27 (pag. 14)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 275

Note:
Quando il Casa compose questo sonetto era nunzio in Venezia, mandatovi da Paolo III; ed innamorò di certa Cammilletta. Il seguente e l' altro hanno Io stesso soggetto. È questa la seconda fiamma accesa al cuore del poeta; però chiama la sua nuova galanteria prigione seconda.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXVIII

Certo ben son quei due begli occhi degni
onde non schifi il cor piaga profonda,
e quella treccia inanellata e bionda,
ove al laccio cader l'alma non sdegni.

Altri due lustri e più nel mio cor regni
e mi conduca a la prigion seconda
Amor, che i passi miei sempre circonda
co' i più pericolosi suoi ritegni;

poi che sì dolce è 'l colpo ond'i' languisco,
sì leggiadra la rete ond'i' son preso,
sì 'l novo carcer mio diporto e festa.

Benedetta colei che m'have offeso,
e 'l mare, e l'onda, in cui nacque il mio risco
securo, e la tranquilla mia tempesta.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 28 (pag. 15)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 276

Note:
V. 5. Altri due lustri e più, ec. Vedi il sonetto XX, ove canta di essere contento di vivere servo d' amore sette anni e sette; e se vogliamo trovare corrispondenza colla storia dell'Isacide, bisogna anche aggiugnere con differita mercede fino a quel lungo termine. Sembra che la sua prima passione, probabilmente per la Orsina, fosse durata oltre ai dieci anni. Di questa seconda parmi non dovesse superbire il poeta gran fatto, s'è quella di cui parla a Girolamo Quirino come d' un amorazzo (vedi la decima delle Lettere al Gualteruzzi). Gli anni concorderebbero, e questi sonetti sarebbero stati scritti nel 1544, o indi a poco. Dall'amorazzo ebbe un figlio, e il chiamò Quirino, in memoria di Lisabelta Quirini e di M. Girolamo, persone da lui amate e stimate, come spiega l'indulgentissimo annotatore delle prefate Lettere al Gualteruzzi. Di madonna Lisabetta Quirini vedi più innanzi.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXIX

Soccorri, Amor, al mio novo periglio,
ché 'n riposo e 'n piacer, travaglio e guai,
e 'n somma cortesia morte trovai,
né vagliono al mio scampo armi o consiglio.

D'un lieto sguardo e d'un sereno ciglio,
cui par nel regno tuo luce non hai,
a te mi doglio, ch'ivi entro ti stai,
e d'un bel viso candido e vermiglio.

E de' leggiadri membri anco mi lagno,
eguali a quei che contrastar ignudi
vider le selve fortunate d'Ida.

Da questi con pietate acerbi e crudi
nemici (poi ch'ancor non mi scompagno
da le tue schiere) tu, che pòi, m'affida.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 29 (pag. 15)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 277



XXX

Le chiome d'or, ch'Amor solea mostrarmi
per meraviglia fiammeggiar sovente
d'intorno al foco mio puro, cocente
(e ben avrà vigor cenere farmi),

son tronche, ahi lasso: o fera mano e armi
crude, e o levi mie catene e lente!
Deh come il signor mio soffre e consente
del suo lacciuol più forte altri il disarmi?

Qual chiuso in orto suol purpureo fiore,
cui l'aura dolce, e 'l sol tepido, e 'l rio
corrente nutre, aprir tra l'erba fresca;

tale, e più vago ancora, il crin vid'io,
che solo esser devea laccio al mio core:
non già ch'io, rotto lui, del carcer esca.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 30 (pag. 16)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 278

Note:
Non so se scritto per la Quirini, ma crederei che fosse piuttosto per la Cammilletta soprannotata. Si paragoni a quello dell'Ariosto sopra lo stesso soggetto a pag. 93 della nostra raccolta. La prima terzina è pasta catulliana. E si questo, che il seguente, ebbero lodi grandissime e meritamente, essendo bellissimi in ogni parte. Dai commentatori si citano parecchie poesie per chiome recise. Chi non sa dell' elegia di Callimaco e dell'ode di Anacreonte pei capelli fatti radere dal tiranno Policrate al giovine Smerdia? (Eliano, Storia Varia, lib. IX, cap. 3). Nel VII libro degli Epigrammi greci si ha d'una chioma che un geloso fece tagliare all' innamorato. Peggior fatto si narra dal Guicciardini, sul fine del lib. VI, d'Ippolito, cardinale, da Este, che fece cavar gli occhi a Giulio suo fratello carnale, perchè concorrenti nel suo amore. Nei versi 7-8 sono ricordati que' del Petrarca, p. I, s. 176: Ma tu come il consenti, o sommo Padre, Che del tuo caro dono altri ne spoglie?
E vedi anche il primo dell' Ariosto.
(Carrer, cit., pag. 305)

 
 
 
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