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Il Meo Patacca 01-1

Post n°1178 pubblicato il 01 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

CANTO PRIMO

ARGOMENTO

Nell'arrivà, ch'a Roma fa' un Curriero
Con la nova, ch'i Turchi hanno assediata
VIENNA con un Essercito assai fiero
Resta la Città tutta spaventata.
A Meo Patacca allor venì in penziero
Di soccorre la Piazza, e radunata
Una truppa di Sgherri arditi, e scaltri
L'essorta al viaggio, ma a le spese d'altri.

Del più bravo tra i Sgherri Romaneschi,
Che più d'ogn'altro mentovà se fava,
De sentì raccontà non vi rincreschi
Quel gran valor, per cui scialante annava
Solo, perchè in natali birbanteschi
Mostrava un genio nobile mostrava,
E gran machine havè in tel cocuzzólo,
Le sue grolie cantà me va a fasciolo.

Dirò quel ch'hebbe in tel penziero, e in core
Quanno la nova orribile s'intese,
Che sotto VIENNA el Turco traditore
Con quel tamanto Essercito se mese;
Vi dirò ancor con quanto scialacore
Le feste d'intimà cura se prese,
Che si fecero in Roma, e con gran boria,
Quanno se pubricò calche vittoria.

Di più li gustosissimi strapazzi,
Che lui puro ordinò fussero fatti
Con ridicole forme de pupazzi
Alli Bassà, e Vissirri scontrafatti;
Che fece fa' gran scialo alli regazzi
Con zaganelle in mano, e razzi matti,
E che volse, che l'homini i più lochi,
Sparassero, ma a vento, i cacafochi.

Muse! Voi, ch'alle coste ve sedete
Del Dio canoro, c'ha sbarbato el mento,
Non ve credete no non ve credete,
Che v'invochi, perchè non me la sento;
Io sono guitto, e voi gran fumo havete,
Però ve lascio stàne, e me contento
D'una sguattara vostra e sia di quelle,
Che lava i piatti, e lecca le scudelle.

Una de 'ste sciacquette è giusto al caso
D'esserme Protettora, e non ve spiaccia,
Perchè 'sto fusto già s'è persuaso
Di gente birba seguità la traccia.
Darà costei a chi me da de naso
Un de i su' stracci unti e bisunti in faccia,
Allor, ch'io col magnifico taccone
Le corde batto del mi' calascione.

Ma già, che non ho Musa, che m'assista,
E che ben mi difenda all'occorrenza
Da gente, che ci fa la dottorista,
Che si grolia d'usa maledicenza,
Io, che 'sta mi' disgrazia ho già prevista,
Di CLEMENTE ricorro alla Clemenza,
E s'un tal Personaggio m'assicura,
De 'sti critichi allor non ho paura.

Negli anni giovanili un senno havete,
Et un saper, ch'a vecchia età non cede;
Unir al vostro merito sapete
Quello de i genitor, ch'in voi si vede.
Dell'eccelse virtù, sì, che Voi sete
Di due gran Porporati un degno Erede,
E sete, per dir tutto in poche note,
Del già NONO CLEMENTE Pronipote.

Se un germe tal de i Rospigliosi Eroi
Si degna di proteggeme, io mi rido
De 'sti sbeffieri satrapetti, e poi
Io stesso a censuramme li disfido;
S'il difenderne allor sol tocca a Voi,
Io per me farò 'l sordo a ogni lor grido.
Signor! Voi dunque invoco, e scioglio intanto
Animato da Voi la voce al canto.

Stava Roma paciosa, allor, che l'anno
Mille seicento ottanta tre curreva,
E tutto quel, ch'i spensierati fanno,
Grattannose la panza, ogn'un faceva;
D'havè vicino un perfido malanno
Nisciun propio nisciun se lo credeva;
Però senza abbadàne ad altre quelle
Al solito se dava in ciampanelle.

Chi annava a scarpinar per la Città,
Facendo un po' de vernia in due o trè,
Chi stava in chalche camera a giocà,
Chi all'osteria del Sole, o de i Tre Re;
Altri, com'oggidì spesso si fa,
Drento delle botteghe del cafè
Con un viso pacifico e sereno,
Stavano a raggionà del più e del meno.

Era quel mese, che le ventarole
Perchè bigna addroparle, hanno gran spaccio,
Se già incominza a sbruffà razzi el Sole,
Che scottano la pelle in sul mostaccio.
In 'sto tempo alza el gomito se sole,
Piace lo sciurio freddo come un giaccio,
Il mese è Luglio, e nome sì sforgiato
Gli fu da Giulio Cesare imprestato.

Quann'ecco, all'improviso tra la gente
Suscitato se vede un parapiglia;
Chi brontolà, chi schiamazzà se sente,
Si slargan l'occi, e inarcano le ciglia.
Tra le femmine ancora immantinente
Sgraffia una el viso, e l'altra se scapiglia:
Causa fu de 'sto chiasso un brutto caso,
Ch'a tutti poi fece affilàne el naso.

Un di coloro a Roma era arrivato,
Ch'a rompicollo pe' le poste vanno,
E l'avviso tremenno havea portato,
Ch'il gran Vissir del popolo Ottomanno
S'era con grosso Essercito piantato
Là dove d'Austria i Maiorenghi stanno;
Voglio dir sotto Vienna, e in foggie strane,
D'azzampalla credeva il Turco Cane.

Vienna è Città, che, bigna havè pacenza,
Poche con lei ce ponno arrogantàne:
I Cesari ce fanno residenza,
Perchè proprio ha bellezze maiorane.
Scialante è il sito, e iofa è l'apparenza,
Non lo pozzo a bastanza raccontàne:
Se chalchuno a nostròdine non crede.
Che così bella sia, la vada a vede.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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