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Il Dittamondo, Libro Primo

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Il Dittamondo, Libro Terzo
Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)

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Paolo Canale

XX

Di M. Paolo Canale

1

Vago augellin, che lieto in ogni fronda
Cantando voli ove il disio ti gira,
Come t’invidia il cor quando si mira
La tua più de la mia vita gioconda;

A me, lasso, non puote o terra od onda
Levar l’alto dolor che mi martira,
Tal fu, donde il mio cor sempre sospira,
La piaga ch’Amor fece aspra e profonda.

Che se dal foco mio partir mi provo,
Come chi da sua vita si diparte,
In braccio a morte ogni passo mi trovo,

Ma se presso gli sto, lasso, con ch’arte
Mi sface, e con che modo strano e novo:
Così ho il mio mal vicino in ogni parte.


2

Quando avvien che ’l desio ch’aggio nel petto
Trappassi, donna, in me l’usata norma,
Allora il signor mio lieto m’informa
Ch’ammorzar può mia brama il vostro aspetto.

Io, che per ubbidir gli son suggetto,
Né incontra il suo voler mai mossi un’orma,
Seguo il suo impero, e vegno a quella forma
Che magistero in sé mostra perfetto.

Ma giunto al volto in che m’insegna Amore
Doversi far mie voglie in tutto chete,
Amara medicina di mie pene,

Come al vano amator, lasso, m’aviene,
Che mentre che sedar cercò una sete
La pigliò ne la fonte assai maggiore.


3

Fonte, ch’al mio gioir mostrasti il giorno
Il più lucente e liquido cristallo,
E voi, che ’l più leggiadro e caro ballo,
Vaghe ninfe, menaste al fonte intorno,

Verdi prati, ch’ognun si fece adorno
Per più invaghirmi il dì di perso o giallo,
Come il bene sperar mai fe’ gran fallo
Per quel cotanto in voi dolce soggiorno!

Lungo mal ritrovai dopo il ben corto,
E ’l mar ch’io solco torbido e inquieto,
Là proprio ove sperar deveva il porto.

Tal del mio ben oprar merto non mieto:
Ella cruda sel sa quanto a gran torto
Cagion mi dà di mai non esser lieto.


4

Duo soli, un più de l’altro almi e lucenti,
Mostransi insieme a la stagion acerba:
L’un perché rinvestisse il mondo d’erba,
L’altro il cor mio di bei pensier contenti.

Produsser poi co’ suoi raggi possenti
Quei frutti onde la state andò superba,
Questi nel cor, ch’omai più non le serba,
Speranze alte e desir dolci e cocenti.

E poi che incominciar lontano a farsi,
Quel da la terra e questo dal mio core,
Veggendo la sua luce in altra parte,

Fur dal freddo le frondi a terra sparte,
La spene del mio cor cacciata fore
Da le pene e i martir ch’ivi fermarsi.

Paolo Canale
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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