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Giovanni Guidiccioni 1

XXI
Di M. Giovanni Guidiccione

1

Viva fiamma di Marte, onor de’ tuoi,
Ch’Urbino un tempo e più l’Italia ornaro,
Mira che giogo vil, che duolo amaro
Preme or l’altrice de’ famosi eroi.

Abita morte ne’ begli occhi suoi,
Che fur del mondo il sol più ardente e chiaro,
Duolsene il Tebro, e grida: "O duce raro,
Muovi le schiere onde tant’osi e puoi,

E qui ne vien dove lo stuol de gl’empi
Fura le sacre e gloriose spoglie,
E tinge il ferro d’innocente sangue.

Le tue vittorie e le mie giuste voglie,
E i diffetti del fato ond’ella langue,
Tu che sol dèi con le lor morti adempi".


2

Dal pigro e grave sonno, ove sepolta
Sei già tanti anni, omai sorgi e respira,
E disdegnosa le tue piaghe mira,
Italia mia, non men serva che stolta.

La bella libertà, ch’altri t’ha tolta
Per tuo non sano oprar, cerca e sospira,
E i passi erranti al camin dritto gira
Da quel torto sentier dove sei volta.

Che se risguardi le memorie antiche,
Vedrai che quei che i tuoi trionfi ornaro
T’han posto il giogo e di catene avvinta.

L’empie tue voglie a te stessa nemiche,
Con gloria d’altri e con tuo duolo amaro,
Misera, t’hanno a sì vil fine spinta.


3

Da questi acuti e dispietati strali,
Che Fortuna non sazia ognora aventa
Nel bel corpo d’Italia, onde paventa
E piange le sue piaghe alte e mortali,

Bram’io levarmi omai su le destre ali
Che ’l desio impenna e dispiegar già tenta,
E volar là dove io non veggia e senta
Quest’egra schiera d’infiniti mali.

Che non poss’io soffrir chi fu già lume
Di beltà, di valor, pallida e ’ncolta
Mutar a voglia altrui legge e costume,

E dir versando il glorioso sangue:
"A che t’armi Fortuna? A che sei volta
Contra chi vinta cotanti anni langue?".


4

Questa, che tanti secoli già stese
Sì lungi il braccio del felice impero,
Donna de le provincie e di quel vero
Valor che ’n cima d’alta gloria ascese,

Giace vil serva, e di cotante offese
Che sostien dal Tedesco e da l’Ibero
Non spera il fin, che indarno Marco e Piero
Chiama al suo scampo ed a le sue difese.

Così caduta la sua gloria in fondo,
E domo e spento il gran valor antico,
A i colpi de l’ingiurie è fatta segno.

Puoi tu, non colmo di dolor profondo,
BUONVISO, udir quel ch’io piangendo dico,
E non meco avampar d’un fero sdegno?


5

Prega tu meco il ciel de la su’ aita,
Se pur (quanto devria) ti punge cura
Di quest’afflitta Italia, a cui non dura
In tanti affanni omai la debil vita.

Non può la forte vincitrice ardita
Regger (chi ’l crederia?) sua pena dura,
Né rimedio o speranza l’assecura,
Sì l’odio interno ha la pietà sbandita.

Ch’a tal (vostre rie colpe e di Fortuna)
È giunta, che non è chi pur le dia
Conforto nel morir, non che soccorso.

Già tremar fece l’universo ad una
Rivolta d’occhi, ed or cade tra via,
Battuta e vinta nel suo estremo corso.


6

Fia mai quel dì che ’l giogo indegno e grave
Scotendo con l’esilio de gli affanni
Possiam dire: "o graditi e felici anni,
O fortunata libertà soave!

Cosa non fia che più n’affliga e grave,
Or che ’l ciel largo ne ristora i danni,
Or che la gente de’ futuri inganni,
O d’altra acerba indegnità non pave"?

Fia mai quel dì che bianca il seno e ’l volto
E la man carca di mature spiche
Ritorni a noi la bella amata Pace?

E ’l mio BUONVISO con onor raccolto
Fra i degni Toschi c’han le Muse amiche
Senta cantar d’Amor l’arco e la face?


7

Il Tebro, l’Arno, il Po queste parole
Formate da dolor saldo e pungente
Odo io, che sol ho qui l’orecchie intente,
Accompagnar col pianto estreme e sole:

"Chiuso e sparito è in queste rive il sole,
E l’accese virtù d’amore spente;
Ha l’oscura tempesta d’occidente
Scossi i be’ fior de’ prati e le viole;

E Borea ha svelto il mirto e ’l sacro alloro,
Pregio e corona vostra, anime rare,
Crollando i sacri a Dio devoti tetti.
Non avrà ’l mar più le nostr’acque chiare,

Né per gl’omeri sparse i bei crin d’oro
Fuor le Ninfe trarran de l’onde i petti".


8

Il non più udito e gran publico danno,
Le morti, l’onte, e le querele sparte
D’Italia, ch’io pur piango in queste carte,
Empieran di pietà quei che verranno.

Quanti (s’io dritto stimo) ancor diranno:
"O nati a peggior anni in miglior parte!",
Quanti movransi a vendicarne in parte
Del barbarico oltraggio e de l’inganno!

Non avrà l’ozio pigro e ’l viver molle
Loco in quei saggi ch’anderan col sano
Pensiero al corso de gl’onori eterno;

Ch’assai col nostro sangue avemo il folle
Error purgato di color ch’in mano
Di sì belle contrade hanno il governo.


9

Mentre in più largo e più superbo volo
L’ali sue spande e le gran forze muove
Per l’italico ciel l’augel di Giove,
Come re altero di tutti altri e solo,

Non vede accolto un rio perfido stuolo
Entro al suo proprio e vero nido altrove,
Ch’ancide quei di mille morti nuove
E questi ingombra di spavento e duolo;

Non vede i danni suoi, né a qual periglio
Stia la verace santa fé di Cristo,
Che (colpa, e so di cui) negletta more;

Ma tra noi vòlto a insaguinar l’artiglio,
Per fare un breve e vergognoso acquisto
Lascia cieco il camin vero d’onore.


10

Ecco che muove orribilmente il piede
E scende quasi un rapido torrente
Da gli alti monti nuova ingorda gente,
Per far di noi più dolorose prede,

Per acquistar col sangue nostro fede
A lo sfrenato lor furore ardente;
Ecco ch’Italia, misera dolente,
L’ultime notti a mezzo giorno vede.

Che debbe or Mario dir, che fe’ di queste
Fere rabbiose già sì duro scempio,
E gli altri vincitor di genti strane,

Se quest’alta reina in voci meste
Odon rinovellare il dolor empio,
E ’n van pregar chi le sue piaghe sane?

Giovanni Guidiccioni
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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