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Il Dittamondo (1-06)

Post n°672 pubblicato il 24 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO PRIMO

CAPITOLO VI

"Compreso ho ben, figliuol, sí come tue 
se’ ito seguitando l’appetito, 
portando come bestia il capo in giue, 
e che novellamente se’ partito 
del bosco tenebroso e tratto a luce, 
come nuovo uccellin del nido uscito. 
Onde, pensando che in te si riduce 
disio creato da quella vertute 
che l’uom per dritta via guida e conduce, 
aprir ti vo’ de le cose vedute 
per me e per molti altri, che saranno 
in parte lume de la tua salute. 
Ché a l’uom val poco penter dopo il danno; 
e pregiato è il nocchier, che ’n suo’ peleggi 
conosce i tempi e sa fuggir l’affanno. 
E però quel ch’io dico nota e leggi, 
a ciò che sappi sí guidar lo remo, 
che la tua barca non rompa né scheggi. 
Partito è il ciel, ch’è tondo e senza scemo, 
in trecento sessanta gradi a punto 
e tondo è il centro suo, dove noi semo. 
E ciascun grado occupa e tien congiunto 
miglia cinquanta sei sopra la terra, 
con due terzi che d’uno ancor v’è giunto. 
Or se questa ragion, ch’io fo, non erra, 
veder ben puoi che ’n tutto gira e piglia, 
col mar che ’l veste e che d’intorno il serra, 
venti milia con quattrocento miglia: 
del quale il mezzo è manifesto a noi, 
e ’l dove e ’l come l’uom ci s’infamiglia. 
L’altra metá, che ci è di sotto, poi, 
nota non è, né qual v’abita gente; 
ma pure il ciel vi gira i raggi soi. 
E cosí dal levante a l’occidente 
diece milia dugento dir si puote 
di miglia: e ciò per lungo si consente. 
Poi, per traverso, perché il sol percuote 
in una parte piú e in altra meno, 
secondo che i cavai guidan le ruote, 
tanto gli è stretto a l’abitato il freno, 
che cinque milia cento miglia fassi; 
il piú bel tien settentrione in seno. 
Onde, se ben figuri e ’l ver compassi, 
tu truovi lungo e stretto l’abitato, 
ritratto quasi, qual mandorla fassi. 45 
E truovil piú giacere in su l’un lato, 
il qual secondo il ciel si può dir dritto, 
che n’è piú ricco e meglio storiato. 
Or fu partito il tutto, ch’io t’ho ditto, 
dai tre primi figliuoi ch’ebbe Noè, 50 
come per molti puoi trovare scritto. 
E questo fu quando Dio volse che 
fosse ’l diluvio, per strugger coloro 
che non aveano in Lui né amor né fè. 
Sem ebbe nome il primo e ’l suo dimoro 55 
in Asia fu e quella parte tenne 
ch’è grande per le due e ricca d’oro. 
Cam, il secondo, in Africa venne 
e s’ebbe terra men che gli altri due: 
a ricche pietre e buon terren s’avenne. 60 
Iafet, il terzo, in Europa fue, 
la qual per gran valor d’uomini è degna 
e degne e care fun l’opere sue. 
Similemente ancora si disegna 
lo mondo tutto e parte in cinque zona: 65 
le tre perdute e ne le due si regna. 
Per l’acceso calor, che il sol vi sprona, 
arde e combure sí quella di mezzo, 
ch’abitar suso non vi può persona. 
Le due da lato stan tra ’l sole e ’l rezzo. 70 
abitabili sono e temperate; 
l’altre, mortal dal ghiaccio e dal caprezzo. 
Or, quando vai, è buono che a ciò guate: 
perché v’è parte che ’l sole è sí poco, 
ch’un’ora dura a l’entrar de la state; 75 
e un’altra, come dico, che par foco: 
e cosí troverai pien di paura 
la terra e il mare, d’uno in altro loco. 
Poi si convien guardare e poner cura 
in qual tempo è men reo l’andar per mare, 80 
perché i venti vi son senza misura. 
La nave il buon nocchier de’ ispiare, 
la usanza de’ paesi e quella vita, 
che si convien tener secondo l’a’re. 
E ben che l’arte mia sia mal sentita 85 
per poco studio, in ogni tuo viaggio 
cerca prender buon punto a la partita: 
ché quelle cose, che non fanno oltraggio 
e che posson giovare, da usar sono, 
come l’altre fuggir, che fan dannaggio, 90 
sempre sperando in Quel ch’è sommo bono, 
perché da Lui, come luce dal sole, 
discende in noi ciascuna grazia e dono. 
La voglia stringi e lascia dir chi vole, 
se tu giungi a la stretta di Sibilia: 95 
ché qual giú passa spesso se ne dole. 
Anche il Faro da Calavra in Cicilia 
guarda come traversi, e come raspi 
dove annegan le Sirte ogni ratilia. 
Rado per l’India a le porte de’ Caspi 100 
o per l’Etiopia e tra gli Schiavi 
vi passa l’uom, che tristo non v’innaspi". 
Piú e piú luoghi alpestri, oscuri e cavi, 
poi mi mostrò, formando col suo sesto, 
ch’al mondo son pericolosi e gravi. 105 
Cosí quel padre e lume d’Almagesto 
"Tutto t’ho detto, mi disse, secondo 
la mia promessa e che tu m’hai richiesto". 
E io rispuosi: "E de’ cieli e del mondo 
m’avete sí contento il gran disio, 110 
ch’i’ veggio chiaro u’ m’era piú profondo". 
"Omai, diss’ello, qui ti lascio, addio".

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