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La storia der monno 7

Post n°2097 pubblicato il 11 Ottobre 2015 da valerio.sampieri
 

La storia der monno

XXXI

E scesero l'ebbrei co’ la pagnotta
come fanno da noi li pecorari
quanno che fa neve a Capracotta,
co’ le cioce, le pecore e somari,

e annaveno vennenno la ricotta.
Ereno scarcinati montanari
e quelli cittadini e gente dotta;
li giudii faceveno l’affari

perché quell’antri, invece che alla grana,
penzaveno a cercasse la fortuna
sopra le stelle e, co’ maniera strana,

senza avecce la pratica opportuna,
staveno sveji la nottata sana
a contemplasse er cèlo co’ la luna.

XXXII

Diceveno: - Se monta facirmente
sopra ’sto cèlo, co l’architettura:
basta ’na scala forte e resistente;
annnacce a piedi è cosa più sicura. -

Eppure era ’na razza intelligente!
Ma voleveno vince’ la natura
senza li razzi e senza er propellente,
sortanto a mezzo de ’n’imparcatura.

Fu decisa così la costruzzione
e ce messero a capo Minchiore;
e chi je dava torto e chi raggione,

perché alla gente piace de discore.
Er prete diede la benedizzione,
messe la prima pietra della tore.

XXXIII

E puro er Padreterno scese a vede’
che staveno facenno ’sti fregnoni.
Prese ’na pietra, ce se messe a sede'
e dimannò perché tanti matoni.

E quelli j’arisposero: - Che crede?
Che dice lei? Che noi nun semo boni
d’arivà in paradiso? - Ce vò fede -
rispose lui - e voi sete cojoni. -

E subbito je venne ’na penzata,
proprio da padreterno, accusì fina
che penzannoce fece ’na risata.

«Mo v’accommido io, pe’ la matina!»
E je confuse a tutti la parlata
che quella gente diventò cretina.

XXXIV

Raggionaveno tutti a ’na maniera,
ma però se capiveno ar contrario.
Si un diceva «pace, bona sera»
l’antro capiva «guera» ar suo frasario;

pareva da stà all’Onu, alla frontiera!
E fecero un linguaggio immagginario
pe potesse capì, però nun c’era
né l’arfabeto, né er vocabbolario.

Inzomma era ’na tale confusione
che Abramo disse a Sara: - Annamo via,
ché, si restamo qui, addio raggione! -

E fatta d’ogni cosa masseria,
guidanno co’ li cani e cor bastone
le pecore, escì fora de Turchia.

XXXV

Era Sara più bella della Lollo,
più de Bardò, più mejo de Sofia;
ci aveva ’na capoccia sopra er collo
ch’era davero ’na fottografia;

quanno faceva poi vede’ lo scollo
chi lo vedeva entrava in fantasia.
Co’ la posta moderna, ar francobollo
ce metteveno lei, parola mia!

Era Sara p’Abbramo ’na passione,
ci annava pazzo, se la spupazzava,
se la teneva sempre ar padijone.

Quante ricotte che j’arigalava!
Però bisogna dì che, in concrusione,
Sara, chissà perché, nun je fijava.

Gustavo Quadrini
Tratti da: La storia der monno
Cento sonetti spubbricati ner 1962

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