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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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Messaggi di Settembre 2015

La storia der monno

Post n°2068 pubblicato il 30 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

La storia der monno

I

Però nun j’amancò la fantasia
ar Padreterno quanno fece er monno
perché ce messe senz’economia
la fame, er gelo, er freddo, er callo, er sonno

e l’ha fatto er più bello che ce sia
cor bianco, er rosso, er giallo, er nero, er tonno.
Ci ha messo l’astri pe’ l’astronomia,
ci ha messo er lungo, er largo, er cubbo, er fonno,

ci ha messo er giorno e ci ha messo la notte;
ci ha messo tutto quello che se magna;
ci ha messo tutto quello che se fotte;

ci ha messo la ricchezza e la micragna,
le perzone ignorante e quelle dotte
e Kennedi e Krusciòf e Franco in Spagna.

II

E ci ha messo le mela, colorite
come le facce piene de salute,
che tra li frutti so’ le preferite
e perciò più d’ogni antro so’ vennute:

se fanno allesso, se fanno arrostite,
ma quelle più mature e più porpute
le magni crude o le magni condite
e la loro bontà nun se discute,

però ce stanno puro le bacate,
quelle belle de fori, acide ar centro.
Er fruttarolo, si v’avvicinate,

strilla e co’ tutta la voce je dà dentro:
- Capatori! A ’sto banco! Su, capate! -
come pe’ divve: - Io venno, ma nun c’entro.

III

Doppo le mela poi fece le pere
che so’ mela lo stesso ma allungate:
ce stanno quelle bianche e quelle nere,
allappeno o so’ troppo inzuccherate,

sicché p’assaporalle co’ piacere
(quer piacere che già v’immaginate)
nun c’è bisogno d'esse’ der mestiere
e abbasta che cor cacio le magnate.

Dunque fece le pere. Doppo quelle,
le banane, le fravole, le pesche,
nespole, mandarini, ceraselle

toste, rosate, piccoline e fresche;
però ci hanno l’amico le più belle,
specie si so’ barese o romanesche.

IV

Fece la frutta secca e la matura,
le patate, li broccoli, la rapa
e tutte l’antre specie de verdura
che se lava, se monna, spella o capa,

co’ la propria maniera de cottura.
a crudo, allesso; ce fa pranzo un papa
perché rinfresca, scioje er corpo, cura;
ma però senza sale resta sciapa.

Poi fece tutte sorta d’animali:
vacche, vitelli, quaje, merli, tordi;
fece er pollo, la papera, er maiale

e tutti quanti l’antri che aricordi;
però da aricordalli poco vale
e pe’ compralli, poi, fece li sòrdi.

V

Fece pesci, pescetti e pesci grossi:
vongole, cozze, ricci, ombrine, orate;
de mare e d’acqua dorce, bianchi e rossi,
merluzzi in bianco e sojole panate,

e poi, pe’ facce er brodo, fece l’ossi.
E fece le lumache già ingrassate,
le ranocchie che vanno pe’ li fossi
e che so’ bone assai fritte dorate.

Poi fece er buro, er cacio pecorino,
l’ova, la fava fresca, li piselli,
le vigne de Frascati e de Marino,

le più belle de tutti li Castelli
si l’oste scorda l’acqua e mette er vino
senza battesimacce li tinelli.

Gustavo Quadrini
Tratti da: La storia der monno
Cento sonetti spubbricati ner 1962

 
 
 

A l'ombria d'un costrao...

A l'ombria d'un costrao de la mia barca

A l'ombria d'un costrao de la mia barca 2)
stando apuzao tutto pien de pensieri,
me indormendì criando con Cupido,
onde i spiriti corse al terzo cielo,
carghi de doia, spenti dal martelo,
domandando soccorso a Marte e a Giove.

Subito me respose missier Giove:
- Torna presto, fio mio, in la to barca,
che si dovesse minar el cielo,
e te voio cavar de sti pensieri,
e comandar a Venere e Cupido
che pesta in altri corpi col martelo! -

In quel zonse Vulcan, col so martelo,
e sì disse: - Ve priego, caro Giove,
che castighe' sto puto de Cupido,
noi laga star nigun, in casa o in barca,
le brigae no n'ha sempre quei pensieri
d'andarghe drio a lu, in terra o in cielo.

Vedeu questui, che xe vegnuo qua in cielo,
mastruzzao tutto quanto dal martelo,
ne tende in altro, si no in sti pensieri,
fagando poco conto del so Giove,
talmente chel se invecchirà la barca,
e sarà stao cazon mistro Cupido! -

Ecco vegnir corando el bon Cupido,
con i altri pianeti ehe sta in cielo
comenzando a ruzar tutti con Giove
digando chel se tiol i gran pensieri,
e sì me disse: - Torna a la to barca,
e no te dubitar più de martelo. -

Onde lagando a lori i mi pensieri
e me arecomandì a missier Cupido,
riolando zo per le nìole del cielo,
toiando prima licenzia de Giove,
tornandone lezier senza martelo,
col remo in man, al trasto de la barca.

Canzon, torniti in barca, e chi ha martelo;
vaga da Giove, che è padron del Cielo,
no stimando Cupido e altri pensieri.

Andrea Calmo
Veneziano sec. XVI.
Canzone

2) pag. 2. A l'ombria dhin costrao de la mia barca.
Nel "Quadriregio " di Federico Frezzi, stampato per la prima volta a Perugia nel 1481, al cap. XIV, "dove si descrive la battaglia intra Vulcano et Cupido, et ad prieghi di Venere descende Giove et compone la pace tra loro " (v. 94 e segg.) si legge :

In men ch'alcun non apre gli occhi et serra
vidi Giove descender giù quel loco
ove Cupido ad Vulcan facea guerra.

Cessa, dixe, O fanciullo el sacro foco,
ancor se pensi quanto l' hai feruto,
tu dirai che glie troppo et non è poco.

Et s'egli havesse ad te ferir voluto
come potea nella tua persona,
nullo al suo colpo potei haver adiuto.

Ad quella voce del signor che tona
Cupido cessò el fuoco et riverente
dixe al patrigno: O padre hor mi perdona.

Nulla cosa a sdegnarsi è più fervente
chcl buono amore et nulla cosa anchora
si placa et torna più leggiadramente....

Costrao = assicella, apuzao = appoggiato, indormendì = addormentai, laga star nigun = lascia star nessuno, drio = dietro, vedeu = vedete, mastruzzao = ammaccato, fatando = facendo, stao cazon = stato cagione, riolando zo per le niole = rivolando giù per le nuvole, toiando = togliendo.

Tratto da: Eugenia Levi, "Lirica italiana nel Cinquecento e nel Seicento fino all' Arcadia". Novissima scelta di Rime illustrate con più di cento riproduzioni di pitture, sculture, miniature incisioni e melodie del tempo e con note dichiarative di Eugenia Levi. In Firenze, Presso Leo Olschki, 1909. Pagina 2 (nota a pag. 399)

 
 
 

'O 'nvitato a pranzo

'O 'nvitato a pranzo

Magna, magna, Moscè, 'un fa' complimenti!
Beve! Sente sto vino d' 'ii Castelli.
...Assaja sta pasticcia, è bona... E senti
sti ngozzamòdde ... te', pigliet' 'ii scèlli

...Magna co 'i mani, stamo fra parenti!...
...Vardeme sta carciofela, chi belli
fogli 'nnorati assaja. ...E sti torzelli?
...Ché grèvi! Manco toccheno li denti.

...Te piace più caciotta o marzolina?
...'N altra récchia-d'Alànne! ...un'altra frutta...
Bè, u' mmicchierin de grappa: è sopraffina!

...Sgrùulla...! 'Un te piglià cosa, rutta, rutta!
...E mo 'a gioncata... Eh!? una cucchiarina!
Ma mette tutto jò, tanto se butta!

...Ché troppa! tutta, tutta.
Tanto mo, un bòn cafè... e un bòn chalòmme...
e domana va tutto pe macòmme

Crescenzo Dal Monte

 
 
 

De claris mulieribus 31

CAPITOLO XXXI.
Polissena, figliuola del re Priamo.

Polissena, vergine figliuola di Priamo, re di Troja e di Ecuba: giovanetta fu di sì fiorita bellezza, che potè infiammare l’aspro petto d’Achille, figliuolo di Peleo, e per fraude d’Ecuba sua madre potè ridurre quello a morte, venendo egli solo di notte nel tempio d’Apollo Timbreo. Per la qual cosa non indebitamente fu morta, essendo perita la forza de’ Trojani, e guasto Ilion: ella fu menata da Neottolemo alla sepoltura di suo padre per purgazione dell’anima di quello; e in quel luogo, se noi dovemo dare fede alle scritture de’ passati, veduto l’altero giovane tenere il coltello ignudo, piangendo quegli che stavano d’intorno ella innocente, con costante animo e con sicuro volto porse la gola; sicchè ella non mosse meno gli animi per ammirazione di fortezza, che per pietà di lei che pativa. E certamente fu grande cosa, e degna di ricordanza, che ella di tenera età, di bellezza d’una femmina, di dilicatezza reale, mutazione di fortuna non abbia potuto soperchiare lo grande animo di una fanciulla; e che ella sia stata forta sotto la spada del nimico, sotto la quale alcuna volta dubitano, e spesse volte mancano gli animosi petti di nobili uomini. E crederò lievemente, questa essere stata opera di nobile fortuna, che con questo disprezzare di morire mostrasse, che femmina la fortuna avrebbe prodotta se il nimico non l’avesse sì tosto ispacciata.

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 

Barignano: incipit poesie

Ho pubblicato 21 poesie di Pietro Barignano in tre post:

(1) Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)
(2) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)
(3) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)

Gli incipit sono i seguenti:

Breve riposo aver di lunghi affanni (sonetto) (2)
Com’avrò dunque il frutto (madrigale) (3)
Crederete a la speme (madrigale) (3)
D'un bianco marmo in due parti diviso (sonetto) (1)
Fia mai quel dì che graziosa stella (sonetto) (2)
Gli occhi, ch’ad Amor già tanti e tanti anni (sonetto) (2)
Il sol che solo a gli occhi miei fa giorno, (sonetto) (2)
Imposto hai fine all'aspettate rime (sonetto) (1)
L’oro, il cristallo, l’ebano e i zaffiri, (sonetto) (2)
Né volger gli occhi in sì piatoso giro, (madrigale) (1)
Nuovi pensier, che del mio vecchio foco (sonetto) (3)
Ove fra bei pensier, forse d’amore, (sonetto) (2)
Perch'io cerchi non trovo (madrigale) (1) (3)
Quante lagrime il dì, quanti sospiri (sonetto) (3)
Se (ho) mai di vostra grazia acqua non bagni (madrigale) (1)
S’omai di vostra grazia acqua non bagna (madrigale) (3)
Se ’l cor ne l’amorose reti avolto, (sonetto) (2)
Se mi concede Amor sì lunga vita (sonetto) (3)
Spento era già l’ardore e rotto il laccio (sonetto) (2)
Vaneggio, od è pur vero (madrigale) (1)
Vorrei scioglier dal collo il duro laccio, (sonetto) (3)

 
 
 

A la bruma al giatio al vento...

A la bruma, al giatio, al vento,

A la bruma, al giatio, al vento,
per seguire Amor tiranno
patir pene fui contento
per uscire un dì d'affanno.
Ma ben veggio che hor m'inganno
et cantar ben posso ognora:
- D'un bel matin che fu' sera de fora,
che fu' sera de fora a la rosata. -
Deh! chi avrebbe mai creduto
mia mercè venire a tale,
al gran ben ch'i' ho già voluto
a chi brama ora el mio male,
e mi dona cagion tale
cantar ben possi ad ogni ora :
- D'un bel matin....

Ignoto della prima metà del Sec. XVI.
Madrigale

Tratto da: Eugenia Levi, "Lirica italiana nel Cinquecento e nel Seicento fino all' Arcadia". Novissima scelta di Rime illustrate con più di cento riproduzioni di pitture, sculture, miniature incisioni e melodie del tempo e con note dichiarative di Eugenia Levi. In Firenze, Presso Leo Olschki, 1909. Pagina 2 (nota a pag. 399)

 
 
 

‘A reghela n’ii pasti

Post n°2062 pubblicato il 28 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 

'A reghela n'ii pasti

Cià' un chiodo 'n corpo! e sfido! e 'o trovi strano?!
e te ce lagni?! e statte zitto, almeno!
Te 'nfurzi tròo-ppo! 'o corpo è troppo pièe-no!
Fa' come faccio io, caro Grazziano.

Io magno un dì più forte e un dì un po’ meno :
perchìne, «un pasto bono e uno mezzano
mantiè'» dice 'l proverbio «l'omo sano»
e 'un rischi d’èsse mmai troppo repièno.

Iere ebbe rizzo, concia e cacciunelli:
òe, baccalà e ciccorria, un filo appena:
domana, se Dio vo', pollo e torzelli.

Quant'a vino, 'un c’è caso che me sposti :
un fiasco a pranzo e do' foglietti a cena
e un po' più, se ce so' li callarosti.

Crescenzo Del Monte (Roma, 1868-1935)

 
 
 

Amore alma è del mondo...

Amore alma è del mondo, Amore è mente

Amore alma è del mondo, Amore è mente, (1)
e 'n del per corso obliquo il sole ei gira,
e d'altri erranti a la celeste lira
fa le danze lassù veloci o lente.

L'aria, l'acqua, la terra e 'l foco ardente
regge, misto al gran corpo, e nutre e spira
e quinci l'uom desia, teme e s'adira,
e speranza e diletto e doglia ei sente.

Ma, ben che tutto crei, tutto governi
e per tutto risplenda e 'l tutto allumi,
più spiega in noi di sua possanza Amore;

e come sian de' cerchi in ciel superni,
posta ha la reggia sua ne' dolci lumi
de' bei vostri occhi e 'l tempio in questo core.

Torquato Tasso
Bergamasco, seconda metà del sec. XVI.
Sonetto

1) pag. 1. Amore alma è del mondo, Amore è mente,
A istanza di Vincenzo Gonzaga, Marchese di Mantova. Nell'esposizione dell'Autore stesso si legge : "Anassagora volle che la mente fosse Iddio, ma Iddio per opinione d'Aristotile muove come amato e desiderato, la qual opinione tocca il Poeta nel secondo verso. Nel terzo imita Dante, anzi Platone, e, prima di Platone, Orfeo nell' Inno ad Apolline cantò: "Tu sphaeram totam cythara resonante contemperas". Nel quarto segue l'opinione di Platone nel Timeo. Nel quinto imita Virgilio nel VI dell' Eneide".

Tratto da: Eugenia Levi, "Lirica italiana nel Cinquecento e nel Seicento fino all' Arcadia". Novissima scelta di Rime illustrate con più di cento riproduzioni di pitture, sculture, miniature incisioni e melodie del tempo e con note dichiarative di Eugenia Levi. In Firenze, Presso Leo Olschki, 1909. Pagina 1 (nota a pag. 399)

 
 
 

Bembo: incipit poesie

Ho pubblicato finora sul blog 25 poesie di Pietro Bembo, nei sei post elencati qui sotto.

(1) Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)
(2) Sonetti in lode del Casa
(3) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)
(4) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)
(5) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)
(6) Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi, Giolito 1545)

Gli incipit delle poesie sono i seguenti:

Alto Re, se la mia più verde e calda (sonetto) (6)
Ben è quel caldo voler voi ch’io prenda, (sonetto) (5)
Casa; in cui le virtuti han chiaro albergo; (sonetto) (2)
Donna, cui nulla è par bella né saggia (sonetto) (3)
Donna, de’ cui begli occhi alto diletto (canzone) (4)
Il lampeggiar de' begli occhi sereni, (sonetto) (1)
In persona mortal divino aspetto (sonetto) (1)
Ite, versi, a colei che senza me (sonetto) (1)
L'alte bellezze e le virtù perfette (sonetto) (1)
La ben nata, per cui chiaramente arsi (sonetto) (6)
Lasso! quando fia mai che per mia pace (sonetto) (1)
Né securo ricetto ad uom che pave (sonetto) (1)
O Sol, di cui questo bel sole è raggio, (sonetto) (6)
Quando ripenso meco al sommo bene (sonetto) (1)
Quella, che co’ begli occhi par ch’invoglie (sonetto) (3)
S’al vostro amor ben fermo non s’appoggia (sonetto) (6)
S’Amor m’avesse detto: "Ohimè da morte (sonetto) (5)
Se ’n me, Quirina, da ritrar in carte (sonetto) (5)
Se mai ti piacque, Apollo, non indegno (sonetto) (3)
Se qual è dentro in me chi lodar brama, (sonetto) (5)
Se stata foste voi nel colle Ideo (sonetto) (3)
Sì divina beltà madonna onora, (sonetto) (3)
Signor, poi che Fortuna in adornarvi (sonetto) (6)
Un anno intorno s’è girato a punto, (sonetto) (6)
Varchi, le vostre carte pure e belle, (sonetto) (5)

 
 
 

La staggione de Challasciudde

La staggione de "Challasciudde" (1)
(Sonetto in giudaico-romanesco)

O, menomale, ecco 'na fontanella:
famme fa' 'na bevuta: ... àah! Chi reffiato!
'st' acqua de Trevi (2) t'aremette 'o fiato,
ch'io mmai me staccherio da la cannella.

Stàe (3), che da 'n Prati a qua 'sta solarella (4)
m' ha abbarbagliato 'a vista e m'ha 'mbriacato
e sudo, che me sento appiccicato,
ch' è tutt'un attaccume, e panni e pella!

A passà ponte, 'i carni te s'aggricceno (5):
ché 'a selciata è 'na brascia, che mommòne
li prosperi (6), se caschino, s'appicceno (7).

E, fra sacco, e fagotti, e fagottèlli (8),
c'è da i' 'n squagliori (9), co' sto sol-leone
che spacca 'i pietri e spappa li ciorvélli!

Note dell'Autore:
1 Caldura cocente ("Callaccia", si direbbe dai romani. E forse la voce potrebbe derivare da questa sua corrispondente romanesca, con applicata la terminazione ebraica in "ùd") .
2 La più fresca e leggera di Roma, che si trova solo nei quartieri bassi della città.
3 (staio) sto.
4 Dal quartiere dei Prati (di Castello) al di là del Tevere.
5 Accapricciano.
6 Fosfori, zolfanelli.
7 Accendono.
8 Il fardello dei rigattieri girovaghi (robbivecchi).
9 In dissolvimento per sudori abbondanti.

Crescenzo Del Monte
21 Luglio 1927

(Crescenzo Del Monte, Nuovi sonetti giudaico-romaneschi, Cremonese Editore, Roma, 1933)

 
 
 
 
 

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