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Messaggi di Agosto 2016

Sindici, glossario 3

Amaseno
Amaseno, fiume che traversando le paludi ha la foce a Terracina.
(Sindici, Femmina morta 7: "Lui faceva er biforco a la giornata / pe fà lo spurgo a l'acque a l'Amaseno. / Dichi gnente! che vita tribbolata!").

Annà in guazzetto
Andare in sollucchero, bearsi
(Sindici, Femmina morta, 14: "Eh! Lui, quelo lassù, ce va in guazzetto / a ricordasse de li poveretti! ...")

Callarello
Piccolo caldaio [Chiappini].
Piccolo caldano, paiolo di piccole dimensioni, pentolino. ||Belli - Eccheve er callarello der padrone || Chiappini - Io fo alla bona, io metto er callarello || Zanazzo - A mollo drento un callarello d'acqua || Roberti - ... intinti ner callarello ... [Ravaro]
(Sindici, Femmina morta, 1: "- E daje ... - È robba vecchia. - E tira via, / mentre che bulle l'acqua ar callarello. -").
T1-0491, Er falegname: "la raspa, er piommo, er trapano, er trivello, / du’ vite, una strettora, er callarello / de la colla, lo stucco, e un par de fette."
T2-1653, Vatt’a ttené le mano: "che mme porti la colla». «Ebbè, aspettate. // Eccheve er callarello der padrone: / tanto noi mó sserramo la bbottega»."
T2-1988, L’operazzione da la parte der cortile: "E vvederete poi si sta ferita / in fonno ar perzichino o ar callarello / ve farà arivolà ccome un uscello,"

Cerrata
Cerrata è quel bastone, ferrato in punta, di grugnale, con il quale si incitano a camminare o si correggono le bufole.
(Sindici, Femmina morta, 8: "ma noi dovemo annà sino a la foce. - // Lui la cerrata abbassa e lì desotto / indove più je coce je la pianta.").

Cesa
Cesa, largo cintato nel mezzo di una macchia, popolato da qualche capanna di pastori nomadi.
(Sindici, Femmina morta, 11: "pe pagà ar fijo suo quarche succhiata, / se butta a fà mignatte in quele cesa. // Ma nun je sfama er fijo tenerello")

Ciriola
Ciriola, piccola anguilla che si pesca nel Tevere. Il dialetto ne ha derivato il verbo ciriolare, che vale tergiversare. Nun fà la ciriola, non tergiversare.
(Sindici, Femmina morta, 2: "A l'acqua, quann'è chiara, nun ce credi; / ma si è torbida e c'è la cirïola, // alora bevi grosso e tu stravedi;").
T1-0985, Er cane: "Ciaveressi da èsse quann’io torno: / me sarta addosso com’una sciriola, / e ppare che mme vojji dà er bon giorno."

Femmina morta
Femmina morta è il nome di un vasto latifondo della provincia romana nelle vicinanze di Conca, di Campomorto e del ducato di Nettuno.
È lo stesso Luigi Scagnetti, che già raccontò i casi della Intossicata, il quale, a fin di cacciata, pernottando al casale di Femmina morta, narra all'amico suo perché da tempo immemorabile questa terra sia così chiamata.
(Sindici, Femmina morta, 1: "III. Femmina morta /// Bè, dunque, preparatece sti letti, / datece, come dico, sto bicchiere,")

Fijo in testa
Cor fijo in testa. Quello è il modo di portare i figli, con un paniere di vimini entro il quale col figlio c'è un po' di tutto.    (Sindici, Femmina morta, 6: "quattro straccetti, e senza fà parole, / lui co le bestie e lei cor fijo in testa, / So lì a Piperno prima ch'esca er sole.").

Mesa
Mesa, nome di un latifondo nella Palude Pontina.
(Sindici, Femmina morta, 11: "e s'arimette in mano der Signore ... // Ma 'r pètto je se asciutta, e verzo Mesa, / pe pagà ar fijo suo quarche succhiata,").

Pantanello
Piccolo padule, quello cioè dell'Intossicata.
(Sindici, Femmina morta, 1: "ce fusse puro quarche bojeria / come quela là giù, der Pantanello? // - Si c'è? ... ma te la dico n'antra vorta.")

Partì pe l'osteria de Borriposo
Detto popolare che si applica a coloro che passano da questa all'altra vita.
(Sindici, Femmina morta, 13: "sia che la testa lì j'abbia girato, / parte pe l'osteria de Borriposo / cor fijo ar petto smunto abbraccicato;").

Purcino
Purcino, è anche usato come vezzeggiativo, nel senso di bambino.
(Sindici, Femmina morta 7: "Rosella stracca vo ripijà fiato / pe fallo succhià in pace er su purcino. // Menico che la notte ha ruminato").

Ribbotta
Ribbotta, mangiare e bere allegramente.    (Sindici, Femmina morta, 5: "e 'r curato e li preti indegnamente / vanno a la Coleggiata a fà ribbotta.").

Risarello (arisarello)
Sorridente, sempre pronto al sorriso. Come sost: sorriso, risatina accattivante, invitante [Ravaro]
(Sindici, Femmina morta, 13: "quela femmina morta fu trovata ... / c'aveva ancora arisarello er viso, / supina, da l'erbacce abbarbicata ... ")
T2-1463, La cratura in fassciòla: "Nun pare vojji dijje quarche ccosa / co cquella bbocchettuccia risarella? // Nun ho mmai visto un diavoletto uguale."
T2-2176, Er papa pascioccone: "Quanno te guarda llí cco cquel’occhietti, / co cquella su’ bboccuccia risarella, / nun te sentí arimove le bbudella?"

Sgaggià
Mettere in mostra, in evidenza, far pompa, ostentare; fare il gradasso, il prepotente. Dal franc. dégager (essere libero, disinvolto) || Zanazzo - Che serve un tantinello pe' sgaggialli || Pascarella - Bisogna vede lei come se sgaggia || Fefè - Stavorta sgagia e, rotto er compromesso || Nun sgaggià tanto = invito a stare tranquillo, a non alzare la voce, a non fare lo smargiasso, a non comportarsi da prepotente [Ravaro].
(Sindici, Femmina morta, 1: "Inzomma fate voi, stiamo a vedere; / e sgaggiannoce poi co sti spaghetti, / c'è er caso che ve famo cavajere! ...").

Sogno
Sogno o songo, forma ciociara della prima persona del pres. di essere.
(Sindici, Femmina morta, 8: "o a lei che, a piede, va piagnuccolanno: / - Menico, tu lo sai, sogno 'nnocente! - // Rugge, e le bestie furbe a quela voce").

Tovaja
Tovaja, si chiama così e non altrimenti la pezzuola di tela bianca che portano sul capo le donne della Campania.
(Sindici, Femmina morta 3: "cor fazzoletto bianco de bucata / sopra a le spalle e la tovaja 'n testa, // annava in chiesa a la messa cantata,").
T2-1885, Er Mercante pe Rroma 2°: "Arto sei parmi e un terzo ariquadrato. / Spiegatelo: nun pare una tovajja? / Bber fazzoletto! E ar telaggio nun sbajja."

Tritticà
Tremolare, traballare, barcollare.
(Sindici, Femmina morta, 3: "pe li scalini de la Coleggiata, / tritticanno li fianchi lesta lesta. // E su marito, un certo pezzo fino,")
T1-0070, La proferta: "Accapo ar letto mio tutta sta notte / v’ho intesa tritticà ssempre a la muta. // Eh, un’antra vorta che vve sii vienuta"

 
 
 

Piazza dell'Esedra

Foto di valerio.sampieri

Piazza dell'Esedra

E' 'n'angolo affatato, è seducente,
è propiamente un gran capolavoro,
e a chi è che nun à visto 'sto tesoro
dico che nun à visto ancora gnente.

Cià un porticato scicche veramente,
'na chiesa poi che vale a peso d'oro,
e lì riposa in pace tra l'alloro
l'eroe der Piave, er condottiero ardente.

Ce stanno du' giardini lunghi e belli,
poi 'na funtana maggica e prezziosa
co' le Najadi in bronzo de' Rutelli.

Quann'è la sera e'r sole è tramontato,
que'la funtana bella e luminosa
pare che butta l'oro macinato.

Natale Polci
Piazze de Roma - Sonetti romaneschi - Roma, Editrice: Tipografia "Saturnia", 1929, pag. 24

 
 
 

Er congresso de li cavalli

Post n°3088 pubblicato il 31 Agosto 2016 da valerio.sampieri
 

Er congresso de li cavalli

Un giorno li Cavalli,
stufi de fa' er servizzio,
tennero un gran comizzio de protesta.
Prima parlò er Cavallo d'un caretto:
- Compagni! Si ve séte messi in testa
de mijorà la classe,
bisogna arivortasse a li padroni.
Finora semo stati troppo boni
sotto le stanghe de la borghesia!
Famo un complotto! Questo qui è er momento
d'arubbaje (1) la mano e fasse sotto!
Morte ar cocchiere! Evviva l'anarchia!
- Colleghi, annate piano,
- strillò un Polledro giovene
d'un principe romano -
ché si scoppiasse la rivoluzzione
io resterebbe in mezzo a un vicoletto
perché m'ammazzerebbero er padrone.
Io direbbe piuttosto
de presenta un proggetto ne la quale...
- Odia micchi, gras tibbi (2), è naturale!
- disse un Morello che da ventun'anno
stracinava er landò (3) d'un cardinale -
Ma si ce fusse un po' de religgione
e Sant'Antonio nostro (4) c'esaudisse... -
Antonio abate, protettore delle bestie.
L'Omo, che intese, disse: - Va benone!
Fintanto che 'sti poveri Cavalli
vanno così d'accordo
io faccio er sordo e seguito a frustalli!

Note:
1 Di prenderle.
2 Hodie mihi, cras tibi.
3 Carrozza chiusa a due cavalli, da «landau».
4 S. Antonio abate, protettore delle bestie.

Trilussa

 
 
 

La fava romanesca

Post n°3087 pubblicato il 31 Agosto 2016 da valerio.sampieri
 

La fava romanesca

La fava romanesca, ar primo maggio,
è 'n rito che risale a Checch'e Nnina;
tu ttrovi post'in cquarche ppinetina,
poi magni e bbevi, e passa 'gni ddisaggio.

Se pônno puro fà 'e fave de' morti,
quann'è la festa de l'ambientazzione,
ma ormai nun se fà ppiù la priscissione,
pare che più a gnisuno je ne 'mporti.

E ppe' ffinì, la fava lo sa bbene,
-e te lo dice puro la Treccani-
'gni donna o ffrocio che vvôr dì cch'è'r pene.

La fava bbrusca, Checco, nun sia mai!
De cacio aggiugni du' bbei piatti sani
e ddu' piccioni è ccerto prennerai.

Note:
Tit.: Fava. Dal lat. faba. Nome collettivo e quindi anche quando indica più di un baccello si usa in ogni caso il singolare "la fava". Zanazzo: Senti 'sta fava cotta in der tigame. [Ravaro]
V.1: Ar primo maggio. Per tradizione a Roma, il primo maggio, si mangiano fave e pecorino.
V.2: Checch'e Nnina. A li tempi de Checco e Nina, indica un tempo talmente lontano, del quale si è persino persa la memoria.
V.5: Fave de' morti. Dolci tradizionali del mese di novembre. Nell'antica Roma si commemoravano i defunti maniando fave
V.6 (7): La festa de l'ambientazzione. Ovviamente, non esiste alcuna festa con tale nome. L'espressione costituisce una parodia del seguente passo, reperito su internet, del quale si propone una interpretazione volutamente errata: "Nel Settecento e nell’Ottocento la più importante commemorazione dei defunti, che colpiva particolarmente il popolo per la solennità dell’ambientazione, si svolgeva nella Chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte in via Giulia. Al termine della cerimonia la statua della Madonna del Rosario veniva portata in processione fino al cimitero di Santo Spirito.". Al di là della discutibile costruzione sintattica, le notizie riportate sono interessanti
V.9-11: Fava, come riporta il Vocabolario Treccani, assume anche il significato di: "3. fig., volg. Glande; estens., pene, membro virile."
V.11: Frocio. Originariamente il termine indicava lo straniero in generale e, successivamente, il tedesco in modo particolare. Pare che siano stati i lanzichenecchi all'origine della parola, per via dello smodato appetito sessuale, che li portava ad avere rapporti, per lo più con non consenzienti, senza distinzione di sesso. A Roma le narici vengono denominate "froce" e la loro dilatazione per via dell'eccitazione individua, nella semplificazione del linguaggio popolare, le persone sulle quali si constata tale fenomeno. Col tempo il vocabolo ha mutato il proprio significato, ma nel 1800 -ai tempi del Belli- esso ancora indicava i tedeschi e gli stranieri.
V.12: Fava bbrusca. Magnà la fava brusca = essere in miseria; essere messo a tacere, essere richiamato.
V.13: il cacio è il pecorino di cui si è parlato all'inizio.
V.14: Ddu' piccioni. Pijà du' piccioni co 'na fava = conseguire un duplice risultato con una sola azione; Belli (S-923): "E de notte ce sò l'antri foconi / Ch'addoprava er re Davide in ner letto / pe pijà co'na fava du' piccioni".

Valerio Sampieri
30 agosto 2016

 
 
 

L’upertura der concrave

L’upertura der concrave

Senti, senti castello come spara!
Senti montescitorio come sona!
è sseggno ch’è ffinita sta caggnara,
e ’r Papa novo ggià sbenedizziona.

Bbe’? cche Ppapa averemo? è ccosa chiara:
o ppiù o mmeno la solita-canzona.
Chi vvôi che ssia? quarc’antra faccia amara.
Compare mio, Dio sce la manni (1) bbona.

Comincerà ccor fà aridà li peggni,
cor rivôtà le carcere de ladri,
cor manovrà li soliti congeggni.

Eppoi, doppo tre o cquattro sittimane,
sur fà (2) de tutti l’antri (3) Santi-Padri,
diventerà, Ddio me perdoni, un cane.

Note:
1 Ce la mandi.
2 Sul fare.
3 Altri.

Giuseppe Gioachino Belli
2 febbraio 1831
(Sonetto 93)

Note [Morandi] (Vol. 1, pag. 93):
Tit.: Upertura = L'apertura, che è quanto dire la fine, del Conclave , da cui la mattina del 2 febbraio 1831 usci eletto Gregorio XVI.
V.1: Castello = Detto cosi assolutamente, s'intende sempre, come qui, Castel Sant'Angolo, ovvero Castel Gandolfo villeggiatura dei Papi.
V.3: Sta caggnara = Il conclave era durato cinquanta giorni, e con molti intrighi, e anche con qualche scandaluccio, come quello della sera dell' 11 gennaio, che nella votazione per l'accessit, essendosi trovati trentun nemini, "Signori," gridò con enfasi il sordissimo Cardinale Arcivescovo di Napoli, "abbiamo il Papa, il Papa Nemini.» Cfr. il Diario del Bardano, pubblicato dal Silvagni; Firenze, 1879.
V.9,10: Pegni, ladri = Per festeggiare la propria esaltazione, soleva ogni novo Papa concedere una più o meno larga amnistia, e far restituire dal Monte di Pietà i pegni non superiori a una data somma.

 
 
 

Piazza de la Minerva

Foto di valerio.sampieri

Piazza de la Minerva

'Sto nido de bellezza, fabbricato
ner tempo, ch'ò da d'', de Checch' -e- Nina,
cià 'n'elefante tutto infiocchettato
che porta n'obbelisco su la schina.

E' st'elefante messo a berlina
è assai prezzioso è vero, è ben formato,
ma io vorebbe dì' per cristallina
a quelli che ce l'hanno imbaggiolato:

Sarà un lavoro bello, interessante,
però a vedello (no pe' minchionavve)
fa propio pena pover'elefante.

Pare che dice a tutte le persone:
venite qui ve possin'acciaccavve,
levateme 'sto fregno sur groppone!

Natale Polci
Piazze de Roma - Sonetti romaneschi - Roma, Editrice: Tipografia "Saturnia", 1929, pag. 23

 
 
 

Er gatto e er cane

Post n°3084 pubblicato il 29 Agosto 2016 da valerio.sampieri
 

Er gatto e er cane

Un Gatto soriano
diceva a un Barbone:
- Nun porto rispetto
nemmanco ar padrone,
perché a l'occasione
je sgraffio la mano;
ma tu che lo lecchi
te becchi le bòtte:
te mena, te sfotte,
te mette in catena
cór muso rinchiuso
e un cerchio cór bollo
sull'osso der collo.
Seconno la moda
te taja li ricci,
te spunta la coda...
Che belli capricci!
Io, guarda: so' un Gatto,
so' un ladro, lo dico:
ma a me nun s'azzarda
de famme 'ste cose... -
Er Cane rispose:
- Ma io... je so' amico!

Trilussa

 
 
 

Er Cicerone spiega ... 8

Er Cicerone spiega ...

VIII.

Co' 'sta maniera quì, tu je dimostri
Tutte quante le cose a perfezione
E je le metti dentr'ar capoccione
Come l'avemmarie e li paternostri.

Dopo er Lapise porto 'sto frescone
A fa' vede', indovinece?, Li Rostri
De Giulio (1), indove l'antenati nostri
Se sciupaveno un'ala de pormone.

Già, lì sopra Tribuni e deputati
Saliveno a parlà contro li ricchi
Pe' riggirasse un po' de disgraziati,

Che diceveno: Si questi so' amichi!
E 'sta cosa te prova che li micchi
C'ereno puro ar tempo de l'antichi!

Nota:
1. I Rostri i Giulio: composti di otto arcate sul cui piano l'oratore parlava al popolo.

Giggi Pizzirani
Da: Romani antichi e Burattini moderni, sonetti romaneschi, Roma, Casa Editrice M. Carra & C. di Luigi Bellini, 1928, pag. 14

 
 
 

L'agnello

Post n°3082 pubblicato il 28 Agosto 2016 da valerio.sampieri
 

L'agnello

Belando appena cor un fil de fiato,
E trabballando, s'avanzò l'agnello.
Tremava forte, tutto spaventato,
Come si lo portassero ar macello.

Come ciai core, omaccio snaturato,
De sbramà' quele carni cor cortello?
Manco er lupo fu tanto scellerato
Quanno bevve ar medesimo ruscello.

Girò er musetto rosa intorno intorno,
Ma pe' pregà' nu' je bastò la voce,
E chiese grazzia co' quell'occhi chiari.

Lo fecero passà'. Verrà poi er giorno
Che accucciato a li piedi de la Croce,
Figurerà Gesù sopra l'artari.

Antonio Muñoz
L'Arca de Noè - Poemetto romanesco
Staderini Editore - Roma 1940
Sonetto X

Note
[VS]:
Ciai. Hai
Cor. Con, Col. La preposizione "con" diventa cor quando è seguita dall'articolo indeterminativo. Cor u' libbro i' mmano; Cor una faccia de schiaffi. [Chiappini].
Sbramà'. Sbranare
T1-0512, L’ammazzato: "che ppe mmanco d’un pelo de cojjone / ciavemo da sbramà ccome li cani!"
Muñoz, L'Arca de Noè, L'agnello: "Come ciai core, omaccio snaturato, / De sbramà' quele carni cor cortello? / Manco er lupo fu tanto scellerato"

 
 
 

Core de tigre

Post n°3081 pubblicato il 28 Agosto 2016 da valerio.sampieri
 

Core de tigre

'Na Tigre der serajo de Nummava (1),
come vidde tra er pubbrico 'na donna
che la guardava tanto, la guardava,
disse ar Leone: - S'io incontrassi quella
in mezzo d'un deserto, e avessi fame,
mica la magnerebbe: è troppo bella!
Io, invece, bona bona,
j'annerebbe vicino
come fa er cagnolino
quanno va a spasseggià co' la padrona. -
La bella donna, intanto,
pensanno che cór manto
ce sarebbe venuto un ber tappeto,
disse ar marito che ciaveva accanto:
- Io me la magno a furia de guardalla:
che pelo! che colori! com'è bella!
Quanto me piacerebbe a scorticalla!

Nota:
1 L'ex domatrice Nouma-Hawa la quale, tra il 1884-1895, piantava le sue tende nelle aree ancora non fabbricate dei lungotevere.

Trilussa

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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