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Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

Picchiabbò (di Trilussa)

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Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
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OPERE COMPLETE: POESIA

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Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
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La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)

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Messaggi del 20/06/2017

Quanto più mi distrugge...

Guittone d'Arezzo

Fioriva intorno al MCCXX.

Quanto più mi distrugge il mio pensiero
Che la durezza altrui produsse al mondo,
Tanto ognor, lasso! in lui più mi profondo,
E col fuggir della speranza, spero.

Io parlo meco, e riconosco il vero,
Chè mancherò sotto sì grave pondo;
Ma il mio fermo desìo tanto è giocondo
Ch'io bramo e seguo la cagion ch'io pero.

Ben forse alcun verrà dopo qualche anno,
Il qual leggendo i miei sospiri in rima,
Si dolerà della mia dura sorte:

E chi sa, che colei che or non mi estima,
Visto con il mio mal giunto il suo danno,
Non deggia lagrimar della mia morte.



Guittone d'Arezzo

GUITTONE. Benchè, da cento e più anni innanzi, fosse stato preceduto da molti rimatori, fu il primo forse che abbia dato migliore forma alle rime. In questo suo sonetto non trovo parola che oggi non s'usi. La lingua italiana, con unico esempio nella storia degl'idiomi, conserva freschi per seicent'anni quasi tutti i suoi vocaboli e modi di dire. Le voci moderne l'hanno poco o molto rafardellata; ma la sua schietta e nativa ricchezza sta tuttavia nelle antiche. - giunto, come leggesi nel penultimo verso, si dice anche oggi ed elegantemente in poesia, invece di aggiunto.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

Altri boschi altri prati...

Veronica Gambara - Morta nel MDI.

Altri boschi, altri prati ed altri monti,
Felice e lieto Bardo, or godi e 'miri;
Ed altre ninfe vedi in vaghi giri
Danzar cantando intorno a fresche fonti:

E ad altri che a mortali ora racconti
I moderati tuoi santi desiri;
Nè più fuor del tuo petto escon sospiri,
Di dolor segni manifesti e conti:

Ma beato dal ciel nascer l'aurora,
E sotto i piedi tuoi vedi le stelle
Produr girando i vari effetti suoi;

E vedi che i pastor d'erbe novelle
Sacrificio ti fanno; e dicon poi:
Sii propizio a chi t'ama e a chi t'onora.



VERONICA GAMBARA. Bresciana, accasatasi a Correggio col signore di quel paese; ma, come la Colonna, serbò anch'essa il nome della casa dov'era nata. - Questo sonetto è pur dissimile dal precedente. Ha un tenore spiritoso e soave, un entusiasmo graziosamente femminile; e arieggia l'arte e la fantasia de' Latini: infatti imita alcuni tratti dell'egloga di Virgilio su l'Apoteosi di Dafni. - Nell'undecimo verso il suoi sta in luogo di loro, da che questo pronome in italiano grammaticalmente non s'accorda se non se con la terza persona del singolare; in latino è promiscuo anche al plurale, e i poeti alle volte non fanno male a giovarsi dell'esempio e dell'autorità della lingua latina. - Il sonetto, se non isbaglio, fu scritto in morte del Bembo di cui questa poetessa professavasi spiritualmente innamorata; e n'è fede un sonetto ch'ella gli aveva inviato:

All'ardente desio che il cor m'accende;

al quale il Bembo rispose non molto ardentemente, bench'ella avesse nome di bella; ma assai letterati, in amore, seguono la natura, e in poesia l'arte: però sentono caldamente, e scrivono freddi.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

Ahi quanto fu al mio Sol

Vittoria Colonna - Morta nel MDXLVI.

Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato
Che con l'alta virtù de' raggi suoi
Pria non v'accese; ché mill'anni e poi,
Voi sareste più chiaro, ei più lodato!

Il nome suo, col vostro stile ornato,
Che fa scorno agli antichi, invidia a noi,
A mal grado del tempo, avreste voi
Dal secondo morir sempre guardato.

Potess'io almen mandar nel vostro petto
L'ardor ch'io sento, o voi nel mio l'ingegno
Per far la rima a quel gran merto eguale!

Chè così temo il ciel non prenda a sdegno
Voi, perchè preso avete altro soggetto;
Me, che ardisco parlar di un lume tale.



VITTORIA COLONNA. Romana; moglie innamoratissima d'Alfonso d'Avalos, morto illustre e giovine in guerra. Indirizzò questo sonetto al Bembo, dolendosi ch'ei pure non piangesse in versi la morte del marito di lei, e non ne celebrasse la gloria. Ed è componimento lodatissimo nelle scuole, poichè espone con frasi eleganti una serie di argomenti concatenati; eccoli: - i pregi di mio marito vi furono ignoti, però non li avete celebrati; quindi voi avete perduto occasione di mostrare la vostra eloquenza, ed egli ha perduto la fama che gliene sarebbe ridondata; ma s'io avessi l'ingegno vostro, o voi sentiste la mia passione, non saremmo forse rei tutti e due; voi, per aver taciuto le imprese d'un uomo grande; io, per essermi indegnamente accinta a esaltarle. - Sì fatta guisa di sillogismi rimati erano e sono in gran voga; ma domandano piuttosto arte che genio; e dove non sono immagini, non è poesia; bensì questo sonetto regge alla lettura per il dolore che vi traspira. - Nel primo verso il dir Sole, per significare un individuo soprannaturalmente perfetto, è metafora enfatica della quale il Petrarca abusò; e peggio i suoi miseri imitatori, tanto che il pittore Salvator Rosa disse arguto in una delle sue satire:

Le metafore il sole han consumato.

Del resto non fu illustre personaggio a que' tempi che non siasi innamorato della nostra poetessa. Pare ch'essa abbia serbato il cuore sempre vicino alle ceneri di suo marito; ma fra' suoi adoratori Michelangelo fu, se non riamato, almen prediletto: ei stavale accanto mentr'essa moriva; e dopo molti anni, e già vecchio, dolevasi perchè non s'era attentato di darle un bacio santo in quel frangente dell'eterno congedo.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

Cervello e core

Cervello e core

Cor cervello poi fa' er raggionamento
che er venti raddoppiato fa quaranta,
ma si lo fai conta' dar sentimento
po' pure capita' che fa cinquanta.

Er cervello lavora a convenienza
mentre er core se move per amore;
e questo punto fa la differenza
fra mercante de perle e donatore.

Er cervello te fa scopri' er sentiero,
pero' pe' cammina' ce vole er core,
ondepercui ne le scerte tue

ce stanno molto bene tutt'e due.
Ma s'hai da fa' 'na scerta de valore
carcola poco e daje ggiu' cor core.

Zambo (Giulio Zannoni)
Da: Zambo 'na storia - Poesie in romanesco di Padre Giulio Zannoni S.J.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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