Quid novi?Letteratura, musica e quello che mi interessa |
CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
AREA PERSONALE
TAG
OPERE IN CORSO DI PUBBLICAZIONE
Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.
________
Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
________
Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)
De claris mulieribus (di Giovanni Boccaccio)
Il Novellino (di Anonimo)
Il Trecentonovelle (di Franco Sacchetti)
I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)
Miòdine (di Carlo Alberto Zanazzo)
Palloncini (di Francesco Possenti)
Poesie varie (di Cesare Pascarella, Nino Ilari, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio)
Romani antichi e Burattini moderni, sonetti romaneschi (di Giggi Pizzirani)
Storia nostra (di Cesare Pascarella)
MENU
OPERE COMPLETE: PROSA
Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.
I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici (di Salvatore Muzzi)
Il Galateo (di Giovanni Della Casa)
Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)
Picchiabbò (di Trilussa)
Storia della Colonna Infame (di Alessandro Manzoni)
Vita Nova (di Dante Alighieri)
OPERE COMPLETE: POEMI
Il Dittamondo (di Fazio degli Uberti)
Il Dittamondo, Libro Primo
Il Dittamondo, Libro Secondo
Il Dittamondo, Libro Terzo
Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
Il Dittamondo, Libro Sesto
Il Malmantile racquistato (di Lorenzo Lippi alias Perlone Zipoli)
Il Meo Patacca (di Giuseppe Berneri)
L'arca de Noè (di Antonio Muñoz)
La Scoperta de l'America (di Cesare Pascarella)
La secchia rapita (di Alessandro Tassoni)
Villa Gloria (di Cesare Pascarella)
XIV Leggende della Campagna romana (di Augusto Sindici)
OPERE COMPLETE: POESIA
Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.
Bacco in Toscana (di Francesco Redi)
Cinquanta madrigali inediti del Signor Torquato Tasso alla Granduchessa Bianca Cappello nei Medici (di Torquato Tasso)
La Bella Mano (di Giusto de' Conti)
Poetesse italiane, indici (varie autrici)
Rime di Celio Magno, indice 1 (di Celio Magno)
Rime di Celio Magno, indice 2 (di Celio Magno)
Rime di Cino Rinuccini (di Cino Rinuccini)
Rime di Francesco Berni (di Francesco Berni)
Rime di Giovanni della Casa (di Giovanni della Casa)
Rime di Mariotto Davanzati (di Mariotto Davanzati)
Rime filosofiche e sacre del Signor Giovambatista Ricchieri Patrizio Genovese, fra gli Arcadi Eubeno Buprastio, Genova, Bernardo Tarigo, 1753 (di Giovambattista Ricchieri)
Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
Rime inedite del Cinquecento Indice 2 (di vari autori)
POETI ROMANESCHI
C’era una vorta... er brigantaggio (di Vincenzo Galli)
Er Libbro de li sogni (di Giuseppe De Angelis)
Er ratto de le sabbine (di Raffaelle Merolli)
Er maestro de noto (di Cesare Pascarella)
Foji staccati dar vocabbolario di Guido Vieni (di Giuseppe Martellotti)
La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)
Li fanatichi p'er gioco der pallone (di Brega - alias Nino Ilari?)
Li promessi sposi. Sestine romanesche (di Ugo Còppari)
Nove Poesie (di Trilussa)
Piazze de Roma indice 1 (di Natale Polci)
Piazze de Roma indice 2 (di Natale Polci)
Poesie romanesche (di Antonio Camilli)
Puncicature ... Sonetti romaneschi (di Mario Ferri)
Quaranta sonetti romaneschi (di Trilussa)
Quo Vadis (di Nino Ilari)
Sonetti Romaneschi (di Benedetto Micheli)
Messaggi del 11/01/2015
Post n°1038 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1037 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (Prima edizione 1804) |
Post n°1036 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo e però lascio, ché qui non tel dico; ma io ti conterò, ché nol sai forsi, 5 come Dio rende dattaro per fico. Giá n’eran sei de’ Caroli trascorsi, quando Ruberto venne maggiordomo con far tra quelli de’ giochi degli orsi. Morto Ruberto, il figliuol, ch’Ugo nomo, 10 tenne l’ufficio e a Lodovico Balbo fe’ di gran mali, ma non dico como; dopo questo Ugo, il figliuol crudo e scialbo, nomato Ugo Ciapetta, ch’al suo padre donato avrebbe a ciascun male il calbo. 15 Con le parole lusinghiere e ladre trasse a sé alcuno di quelli del regno e con promesse assai false e bugiadre; e tanto fece a ’nganno e con ingegno, che sopra Carlo, ch’era suo signore, 20 trattò la morte, onde non era degno. O potenza di Dio, o Sommo Amore, che fai, u’ miri, ov’è la tua giustizia? Ché la terra non s’apre a tal dolore? Costui di notte, ove sicuro ospizia, 25 prese lo suo signor con due suoi figli, li quai fe’ poi morire a gran tristizia. Cosí il tiranno, dopo piú consigli, si ridusse a le man la signoria e l’arme sua lassò e prese i gigli. 30 E, poi ch’ebbe del tutto la balia, non pur si tenne al primo mal, ma quanti trovò di quelli uccise e sperse via. Morto costui, che fece mal cotanti, rimase il regno al suo figliuol Ruberto, 35 pietoso a Dio e divoto a’ suoi santi. E, secondo ch’udio, dico per certo ch’ei fu sottile e di scienza pieno e ne’ fatti del mondo assai esperto. E poi che in tutto, al mondo, venne meno, 40 Arrigo seguí poi, che ’l regno tenne e ben guidar lo seppe col suo freno. Apresso di costui signor ne venne Filippo primo, di cui ancor si disse ch’assai il regno ben li si convenne. 45 Lodovico, il figliuol, dopo lui visse, lo qual, vivendo, il suo figliuol fe’ re, perché guidasse il regno, s’ei morisse. Oh quanto è folle qualunque pon fé ne le cose del mondo e che si crede che vadan come va il pensier fra sé! Il padre, che sperava e avea fede che rimanesse dopo lui il figliuolo, morto cader se ’l vide giú tra’ piede. E odi come e se questo fu duolo: 55 ché, cavalcando, un porco l’attraversa, onde cadde e morio in un punto solo. Dopo tanta sventura e sí diversa, morio il padre e Ludovico il sesto reda rimase e nel regno conversa. 60 E secondo ch’ancor m’è manifesto, Filippo terzo tenne dopo lui l’onor con vita cortese e onesto. Un altro Ludovico di costui nacque, che ’l regno governò apresso: 65 sí forte fu, che ne fe’ dire altrui. Ma nota quel ch’a dir ti vegno adesso: costui lasciò quel Ludovico reda, che ’n catalogo tra’ Santi fu messo. Costui ebbe un fratel, che si correda 70 del regno di Cicilia: io dico Carlo, che fe’ di Curradino ingiusta sceda. Ora, di questa schiatta, ch’io ti parlo, Filippo quarto apresso seguio, che ’l regno tenne e ben seppe guardarlo. 75 Filippo pestifer nomare udio lo quinto apresso e, s’io non sono errato, superbo fu, malizioso e rio. Micidi fece assai lo scelerato e sua fattura fu che Bonifazio 80 papa fu preso e poi incarcerato. Trenta anni tenne il regno e questo spazio; né in tutto quel tempo di mal fare, secondo il dire altrui, si vide sazio. Al fine, essendo in un bosco a cacciare 85 e trovandosi a solo a sol col porco, morto il caval, li convenne smontare; e quella fiera, acerba piú d’un orco, li corse addosso e con la lunga sanna lo gittò morto a traverso del sorco. 90 Ludovico il figliuol, cui il tosco danna, tenne la signoria da diece mesi: e ciò fu degno, s’alcun non m’inganna. Filippo sesto, secondo ch’io intesi, dopo costui il paese governa; 95 ma poco funno i suoi fatti palesi. E perché il ver per te chiaro si cerna, morto Filippo, Carlo apresso fue, che da cinque anni nel reame verna. Costui si fu fratel degli altri due 100 e figliuol di Filippo acerbo e crudo: e qui finîr tutte le rede sue. Venuti meno quei di questo scudo, Filippo di Valos seguí da poi e Giovanni il figliuol, del qual conchiudo 105 che con gran guerra tiene il regno ancoi". |
Post n°1035 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1033 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1032 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo Cercato e visto ogni sua dignitade, dico per certo che quante ne sono 5 in Europia vince di bontade. Qui le scienze con lor dolce sono per tutto, le divine e le morali, la notte e ’l dí udir cantar si pono. Qui sono i bei costumi e naturali 10 quanto ad Atenes mai, quando fu donna di filosofi e d’arti liberali. Questa dir puossi sostegno e colonna di ciascun che va lá e vuol far bene e, ne’ bisogni suoi, verace alonna. 15 Cosí ricchezza e quanto si convene a la vita de l’uomo lá si trova e con viva giustizia si mantene. Veduto quivi ogni cosa nova, "Buono è d’altro pensar, mi disse, omai, 20 Solin, ché ’l dimorar piú qui non giova". E io a lui: "Ben di’; ma, se tu vai, non perder tempo, ma de’ re di Francia mi di’ il principio e la fine, se ’l sai". Ed ello, andando: "Volgi in qua la guancia 25 e ’l mio breve parlar, sí come il dico, dentro a la mente tua pensa e bilancia. Tu dèi sapere che in quel tempo antico ch’arsa fu Troia e che al mondo i Troiani per tutto germogliâr come ’l panico, 30 due si partiro d’alto cuor sovrani, nipoti del re Priamo, e con gran gente piú paesi cercâr diversi e strani. Turco fu l’uno, pel quale al presente Turchia è detta e sí com’io il confesso 35 per molti autori questo si consente. Francio, o vuo’ dir Priamo, l’altro apresso al fin d’Europa, sopra il quarto seno, Sicambria fece, poi che lá fu messo. Apresso in Germania, di sopra il Reno, 40 Franconia nominò un gran paese: ben lo vedesti di ricchezza pieno. E tanto l’ali sue aperse e stese, che ’n fino qui a Parigi, ove siam ora, Francia per lui nominar s’intese. 45 Bene è alcun che vuol dir che Franchi ancora fosson nomati da Valentiniano, pe’ gran servigi che li fenno allora. Di questo Francio o Priamo, che ti spiano, discese Marcomir, del qual poi nacque 50 Ferramonte, a cui il suo rimase in mano. Apresso, Meroveo a’ suoi sí piacque, che fun contenti di chiamarlo re: e cosí il nome del ducato tacque. Del nome suo Meroveo si fe’ 55 nova prosapia, ch’apresso seguio per aver lunga fama dopo sé. Childerico fu poi, del quale udio che fe’ Basino di Basina tristo, che Clodoveo apresso parturio. 60 Or questo Clodoveo, nato d’acquisto, fu ’l primo re, che prendesse battesimo, di Francia, per l’amor di Gesú Cristo. E secondo ch’i’ udio, e ’n fra me esimo, cinquanta volte diece o alcun piue 65 correano gli anni allor del cristianesimo. Per quattro suoi figliuoi partito fue il regno poi; ma questo lascio stare, ché troppo andrebbe il mio parlare in sue. Al tempo d’Eraclio imperador mi pare 70 che Clotario di Francia tenea il regno, dove il primo Pipin venne a montare. Da nove re apresso ti disegno che funno in fine a Ilderico, il quale l’ultimo fu: e questo parve degno. 75 Pipin Breve fu quel che prima sale, sí come udisti dir lá, dov’io era, a quell’antica che piangea il suo male. Venuto men lo stoppino e la cera e spento il lume de la prima schiatta, 80 i Caroli montâr dove quella era. O mondana speranza sciocca e matta, ch’ognor ne’ beni temporal ti fidi, guarda come si gira e si baratta! I Merovinghi, che fun di gran gridi, 85 qui venner meno e i Caroli montaro dov’eran questi e tennero i lor nidi. Vero è che con piú fama e con piú chiaro nome fu la seconda che la prima, imperò che lo ’mperio governaro. 90 E se di tal prosapia scrivi in rima, dir puoi com’essa uscí di Germania e che del troian sangue si dilima. Anchise, Arnolfo e Pipin fun che pria vennero in Francia e qui, per lor sapere, preson del maggiordomo la balia. E puoi ancora, se cerchi, vedere come Pipino Magno e Grimoaldo dirieto a’ primi fun di gran podere. Ansoigio, che fu sicuro e baldo, 100 e Pipin Grosso seguitâr costoro, tenendo ognor l’ufficio fermo e saldo. Grimoaldo secondo apresso loro tenne il governo e poi il fratello, che piú d’alcun de’ primi qui onoro. 105 Ben so che ’l sai: dico Carlo Martello, del quale Paide fu la genitrice, fortissimo del corpo, grande e bello. Di costui nacque, per quel che si dice, Pipin Breve, che ingenerò da poi 110 Carlo Magno, che fu tanto felice, che mai cristian miglior non fu tra noi". |
Post n°1031 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (Prima edizione 1804) |
Post n°1030 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1029 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo Tra l’oceano e ’l giogo d’Apennino, tra Rodan, Reno e Pireno si serra 5 la Francia tutta e cosí la confino. E poi che noi entrammo in quella terra, in vèr Parigi fu la nostra strada, che Nantes bagna e che la Senna afferra. Io vedea arsa e guasta la contrada, 10 le larghe strade venute sentieri, i campi senza frutto e senza biada. E mentre che di ciò stava in pensieri, noi vedemmo un da traverso venire in abito e con segno di corrieri. 15 "Dieus vous salf", fu il primo suo dire. "E tu soies, fiz ie, le bien venus", vago di dimandare e lui d’udire. Apresso disse: "En quel part alez vus"? "A Paris", respondi. "E ie encore". 20 E ici se taist, qu’il ne dist plus. Cosí andammo presso che due ore; ma poi che ’l tempo mi parve e fu a vis, presi a parlare senza piú dimore. "Di moi, biau frere, ie voi cest païs, 25 qui tant estre soloit biaus e noble, degasté tout, en feu e flame mis. Comant fu ce? où est l’argent e l. moble au roi de France, qui tant en solt avoir? Car nus savoit conter ne dir le noble". 30 "Amis – fist il – quant que tu dis est voir, car en toute crestiente n’estoit rois, qui tant eüst grant richece e pöoir. Com ales est d’ici iusque a un mois dir ne l· sauroie; mes de tant bien t’afi: 35 chaucuns s’en fet le signe de la crois. Degasté l’ont e maumenes ensi par son valor Adoart d’Engleterre, cil de Gales e li bon quens de Arbi". E ie: "Por quoi encomença la guerre?" 40 "Por quoi?", fist il; "car por son eritage demandoit Paris e toute la terre. Dont nostre rois le tint a grant outrage e por tel chose fu començé l’estrif, qui France a gasté e trestout son barnage. 45 Asez en sont por le mont de chetif, homes e femes, jovenciaus enfans, e plusors mors, qui encor seroient vif. Bien a la guerre duré vint e sis ans tant fiere e fort entre ces rois ensemble, quant iames fu entre Cartage e Romans. De sous Cales chascuns sa gens asemble, iluec morust Jeans li rois ardis, cil d’Alençon e plus barons ensemble. Le nostre rois s’en fuï desconfis; 55 apres s’en vint Adoart e Bretons trestout ardant iusque pres a Paris. Une autre fois semont ses barons li rois de France e fist son garnimens; por soi vengier trestout mist a bandons. 60 Que vous diroie? moult amasse grant gens fort e ardie; mes tel fu son pechie, car vencus fu e il pris ensemens. Por voir te di que cil de Gales mie n’avoit gens a mon roi desconfire, 65 si prope dieus ne li fust en aïe. Or t’ai conté en brief nostre martire: encor te di que ie ai pëor de pis, si dieus par temps ne tramest son mire". "Bien ai oï trestout ce que tu dis; 70 mes fai moi sage si li rois Adoart en ses victoires a grant terre conquis". "Oïl, fist il; partout sont li liepart; en Gascogne flors de lis ni est remes, en Normandie, neïs entre Picart. 75 Por grans assiege li fu rendus Cales. Que te diroie sus la mer de Bretagne, quant qui tenoit mon roi s’en est ales?" "Amis, fiz ie, a la roial ensagne messager sembles; di moi lau tu vais, 80 si dir se puet e s’ici non remagne". "Voir est, fist il, que messager me fais a la postoile de part le roi de France, por quoi en brief ce croi oïr porais". A la parole qui tant outre s’avance, 85 pensai en moi e dis entre mes dens: cestui a dou roi e de pes esperance. "Or me di, frere: i morust grant gens en ces batailles?". "Quatre vint milier, respondi cil, e plus si com ie pens". 90 "Di moi: a fils qui le puisse vengier li rois?" "Oïl, Charles le daufin, respont apres, uns ieune bachelier". Ensi parlant, nous guië nostre chemin droit a Paris, lau mon cuer avoie; 95 e 'l messager, a tout le chief enclin, prist congié e se mist a la voie. |
Post n°1028 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (Prima edizione 1804) |
Post n°1027 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo "O piú che padre, o buon consiglio mio, l’andare è buon, diss’io; ma, se tu il sai, fa che contenti, andando, il mio disio. Questa gente normanna, onde tu vai, dimmi chi fu e come venne quici 5 ed in qual tempo, secondo che l’hai". Ed ello a me: "La gente, che tu dici, come volan li storni a schiera a schiera, mosson di Sizia e di quelle pendici. Per l’oceano e per la sua rivera, 10 come tu sai che i pirati fanno, quanto potean trovar tutto lor era. Poi, dopo lungo tempo e grave affanno, passarono in Norvegia e ancora quivi similemente fecero gran danno. 15 Pur cosí discendendo per que’ rivi, rubando la Bretagna e Germania, tutti si fenno, per l’acquisto, divi e, giunti ove or si dice Normandia, e presa la cittá di Rotomagno, 20 quivi fermaron la lor signoria. Rollo era il signor tra loro piú magno, pieno di gran vertute e di valore, largo e cortese a ogni suo compagno. Carlo, in quel tempo, era imperadore, 25 il Semplice, che udita la novella, credo per fuggir briga e farsi onore, la figliuola, che nome avea Ghisella, fatta amistá e compagnia con lui, li diede a sposa, ch’era onesta e bella. 30 Apresso ancora confermò costui signor di questo gran comprendimento ed el si fe’ cristian con tutti i sui e ne gli anni di Cristo novecento e dodici piú prese il battesmo, 35 di che ciascun, di qua, ne fu contento. Ruberto conte il tenne a cristianesmo e del suo nome lo nomò Ruberto, secondo che ciò piacque a lui medesmo. Due figliuoli ebbe sí fatti, per certo, 40 che, se ’l mondo n’avesse ora di quelli, non sarebbe de’ buon, com’è, diserto. Larghi, pro’ funno, fortissimi e belli: Guglielmo Lunga-spada, il primo, reda, come sai che di qua fanno i fratelli; 45 Riccardo, l’altro, il suo figliuol correda Tancredi e ’n Puglia andaro e lá fen guerra, acquistando cittá, castella e preda. In Francia poi passâr, s’alcun non erra; a posta del re fen guerra in Borgogna, 50 dove molta acquistâr ricchezza e terra. A ciò che senza chiosa si dispogna, se deggio sodisfare a quel che chiedi, qui lungo un poco parlar mi bisogna. Morto Riccardo, rimase Tancredi 55 con dodici figliuoi, che ciascun fue forte e fiero quanto un leon vedi. E senza dubbio ben credo che tue ti segneresti per gran maraviglia, se udissi di ciascun l’opere sue. 60 Anfredo fu di quelli e costui piglia guerra con Leon papa e ’l mal che fe’ de la sua gente ancor se ne pispiglia. Ben so che per altrui chiaro ne se’ di Ruberto Guiscardo, come prese 65 Puglia e Cicilia e tennela per sé. De’ dodici fu l’uno e di lui scese Baiamondo e Rugger, che senza fallo assai ben poi governaro il paese. Morti costoro in poco d’intervallo, due Baiamondi fun, che l’un seguio apresso l’altro a guardar questo stallo. Rugger fu poi, che con gran disio incoronar si fe’ re di Cicilia, ch’assai si vide a’ suoi libero e pio. 75 Similmente ciascun fe’ gran familia de’ dodici e per lor prodezza e senno qual conte fu e qual gran terra pilia. Ma nota qui che niente t’impenno de’ successor del buon Guglielmo primo, 80 perché altrove udirai di quel che fenno". "Quanto m’hai detto, rispuosi io, istimo e veggio ben, ché a punto hai risposto a la dimanda mia in fino a imo. Ma dimmi questo nome onde fu posto 85 a questi che chiamati son Normanni, ch’io non l’intendo, se non m’è disposto". |
Post n°1026 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1025 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (Prima edizione 1804) |
Post n°1024 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo però che ’l mar la gira e inghirlanda dico da le due parti e cosí il Reno 5 la chiude e serra ancor da l’altra banda. Molto è il paese ubertoso e pieno di belli armenti, di stagni e di laghi e da lavoro, in parte, buon terreno. Gli abitator son pacifici e vaghi 10 viver del loro e non rubare altrui; ma, a qual li sforza o ’nganna, mostran draghi. In fra l’altre cittá, a le qua’ fui, Utrech mi piacque, ma stettivi poco, come piacque a Solin, ch’era con lui. 15 "Vienne, mi disse, e troviamo altro loco". Indi mi trasse in un altro paese sopra il mar lungo e per larghezza poco. E, poi che l’occhio mio chiaro comprese la gente grande e l’abitato loro, 20 nuovo pensier ne la mente s’accese. E dissi a la mia guida: "Son costoro i Frisoni, ai quai Cesare, bis vinti, l’abito diede col qual fan dimoro?" Rispuose: "Sí e pognam che sian cinti e tonduti e vestiti a questo modo, fieri ne l’armi sono e poco infinti. L’abito c’hanno se ’l tengono a lodo, quando contro a colui che vinse il tutto provâr due volte d’uscir del suo nodo. 30 Gente non so, che dentro al lor ridutto piú amin libertá, che costor fanno, che per lei son disposti ad ogni lutto". "Ben lo mostrâr, diss’io, e fu gran danno, contra il conte d’Analdo lor signore: 35 poco è passato piú del decimo anno". Cosí parlando noi, dentro e di fore cercammo quel paese, e, poi che noto mi fu a l’occhio e dipinto nel core, vidi che di bituminoso loto 40 e di sterco di buoi si facean foco, perché di legna per tutto v’è vôto. Vidi gli abitator di questo loco come aman castitade e i loro figli guardano in fin che ’l tempo par loro poco. 45 E dicon, quando con lor ne pispigli, ch’aver dèn l’uno e l’altro etá matura, se denno ingenerar chi li somigli". "Qui non è cosa piú da poner cura; passiamo altrove, dissi a la mia scorta; 50 fuggiam costor, ché ’l veder m’è paura". Ed ello a me: "Qui due strade ci porta: l’una, per mare, passa in Inghilterra; l’altra, a sinistra, in vèr la Francia è torta. Qual farem noi?" "Qual piú ti piace afferra", 55 rispuosi; ond’el si volse verso Fiandra, che l’oceano in vèr ponente serra. Donne gentil, con voce di calandra, lá vidi e gran pasture e ricchi armenti e pecore infinite andare a mandra. 60 E nobili cittadi e ricche genti vi sono, quant’io sappia in altra parte; onesti, belli, accorti e intendenti. Poi sopra tutti gli altri sanno l’arte che Pallas prima portò in Egitto; 65 aspri ne l’armi e molto dati a Marte. Di boschi è forte quel paese afflitto: e però la piú parte foco fanno come di sopra de’ Frisoni ho ditto. L’Escalt e Lis, due gran fiumi, v’hanno 70 e piú terre ch’adornan la contrada: Bruggia, Guanto e Doagio, ov’è ’l buon panno. Di qui ci mena in Picardia la strada, che giá Gallia Belgica fu detta; da Piten castro par che ’l nome scada. 75 Dolce è il paese quanto a l’uom diletta e l’aire temperata, chiara e sana, la terra buona a ciò che vi si getta. Morico, Belva, Normaco e Ambiana vidi cittá e, tra i fiumi, piú degno 80 l’Ana trovai, che per Fiandra si spiana. Passati per Bologna, dietro tegno a la mia guida ed entro in Normandia, lo qual paese ricco e buon disegno. Qui son bei porti, armenti e prateria, 85 la terra di gran frutto e l’aire sana e per tutto abitata par che sia. Un fiume v’è, che lo chiaman Sequana, che bagna la cittá di Rotomagno, dove si truova d’ogni cosa strana. 90 Qui non mi pare da darne piú lagno. "Troviam la Francia, mi disse Solino, ché quanto piú, dovendo andar, rimagno, e piú m’è grave e noioso il cammino". |
Post n°1023 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Storia della Colonna Infame (seguito) Capitolo 4 |
Post n°1022 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime di Celio Magno |
Post n°1021 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo di Fazio degli Uberti LIBRO QUARTO CAPITOLO XIV Due son le Germanie, l’alta e la bassa: l’alta di sopra al Frioli si stende per Chiarentana e ’l Tirallo oltrapassa; la bassa lungo il Ren tutta s’intende. Molto sono i paesi grandi e ricchi; 5 molto in tornei e in giostre vi si spende. Passati di Buemmia in Ostericchi, dissi a Solino: "Io ti prego, per Dio, che quanto puoi piú tosto te ne spicchi". "Perché?", rispuose. "È il paese sí rio?" 10 "No, anzi è buon: ma Ridolfo e Alberto me ’l fan cosí spiacer dentro al cuor mio: ché l’uno e l’altro ti dico per certo ebbe lo ’mperio in mano e ciascun fue tal, ch’ogni suo ne rimase diserto". 15 Usciti di Vienna sol noi due, prese la strada per veder Soapia, per lo molto valor che giá vi fue. Poi dimandai se di quella prosapia alcun possente e vertudioso v’era: 20 ma non trovai chi bene il ver ne sapia. Di lá partiti, passammo in Bavera, onde fu il buon Namo e questa schiatta la piú gentil, che sia di lá, s’avera. Molto mi parve quella gente tratta 25 d’amare e portar fede al suo signore, ne l’arme accorta e tutta bene adatta. Cosí cercando noi dentro e di fore, per Norimberg e Monaco sentia gittar sospiri e menar gran dolore: 30 per ch’io mi volsi a la mia compagnia e dissi: "Ciò non è senza cagione". Ed ello: "Tu, che l’intendi, ne spia". Ond’io, udita la sua intenzione, cosí mi trassi accortamente presso, 35 dov’era gente con poco sermone. * * * Isa passati, prendemmo la strada in vèr Messena, ch’è un buon paese e propio ch’assai v’han metalli e biada. Da Messena cittá il nome prese; 40 l’Albia la bagna, che l’adorna assai: la gente v’è buona, bella e cortese. Veduti quelli, in Sansogna passai e tanto questa contrada mi piacque, che niuna di lá miglior trovai. 45 De’ Greci questa gente udio che nacque; Atrodan, l’Albia, Solan e Visera con Linia vi passai e piú altre acque. Lá vidi pietre di questa maniera: c’hanno l’odore sí soave e buono, 50 quanto fan le viole in primavera. Genti fortissime e fiere vi sono: e ciò provaro al tempo de’ buon Otti, i quai tra gli altri imperador ragiono. Le cittá, le castella e i lor ridotti 55 cercato, mossi in vèr Franconia i passi, per que’ piú dritti e sicuri condotti. Bello è il paese e pien di gente fassi; Maganza è quivi, dove par che ’l Reno e ’l fiume Meno da lato le passi. Noi trovammo Toringia per quel seno, che vuol dir gente come torre dura: duri sono ai nemici e senza freno. Forte è la terra e l’aire sana e pura, chiusa da monti e di metalli piena, 65 con ricchi armenti e con bella pianura. A Vestfalia ora la via ci mena: questa provincia è forte per li monti e ’l Reno e la Visera la ’ncatena. Piú altri fiumi vi sono con be’ ponti, 70 sí come Lipia, Rura, e sonvi ancora per li lor boschi dilettevol fonti. Molto è la gente, che quivi dimora, accorta in arme e i cavalier si destri, ch’assai per loro il paese s’onora. 75 Gran copia v’hanno d’animai campestri, forti cittadi e nobili castelli e frutti assai dimestichi e silvestri. Cosí cercando lungo il Ren per quelli paesi, a Trieves fui e fui in Cologna, 80 dove sono i tre magi in ricchi avelli. Orsola v’è, che con quanto bisogna di fede a Cristo, con le vergin sue sostenne morte e non temeo rampogna. La terra è ricca e sí ben posta fue, 85 che de l’altre, che sono a essa intorno, donna mi parve, e qui non dico piue. Pur tra’ German, come il Ren drizza il corno in verso il mar, trovammo piú contadi, li quai trapasso, ché a essi non torno. 90 Io vidi molti fiumi senza guadi e’n fra gli altri piú nobile è la Mosa, che bagna di Brabanza le contradi. Questa è gente fiera e bellicosa contro a’ nemici e in fra lor si vede 95 benigna assai, pacifica e pietosa. Per quel cammin, che piú dritto procede, passammo in Lottoringia e questa gente l’ultima de’ German quasi si crede. Da Lottario re, che anticamente 100 ne fu signore, il paese si noma: di lá si dice e ’l nome me ’l consente. Li maggior fiumi, che ’l paese doma, è Mosa con Mosella e que’ passai; 105 poi fui a Mes, ch’è di lá una Roma. E quivi alquanto con Solin posai. |
Post n°1020 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Nun te dimenticà |
Inviato da: Vince198
il 25/12/2023 alle 09:06
Inviato da: amistad.siempre
il 20/06/2023 alle 10:50
Inviato da: patriziaorlacchio
il 26/04/2023 alle 15:50
Inviato da: NORMAGIUMELLI
il 17/04/2023 alle 16:00
Inviato da: ragdoll953
il 15/04/2023 alle 00:02