Quid novi?

Letteratura, musica e quello che mi interessa

 

AREA PERSONALE

 

OPERE IN CORSO DI PUBBLICAZIONE

Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.
________

I miei box

Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
________

Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)

Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)

De claris mulieribus (di Giovanni Boccaccio)

Il Novellino (di Anonimo)

Il Trecentonovelle (di Franco Sacchetti)

I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)

Miòdine (di Carlo Alberto Zanazzo)

Palloncini (di Francesco Possenti)

Poesie varie (di Cesare Pascarella, Nino Ilari, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio)

Romani antichi e Burattini moderni, sonetti romaneschi (di Giggi Pizzirani)

Storia nostra (di Cesare Pascarella)

 

OPERE COMPLETE: PROSA

Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.

I primi bolognesi che scrissero versi italiani: memorie storico-letterarie e saggi poetici (di Salvatore Muzzi)

Il Galateo (di Giovanni Della Casa)

Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

Picchiabbò (di Trilussa)

Storia della Colonna Infame (di Alessandro Manzoni)

Vita Nova (di Dante Alighieri)

 

OPERE COMPLETE: POEMI

Il Dittamondo (di Fazio degli Uberti)
Il Dittamondo, Libro Primo

Il Dittamondo, Libro Secondo
Il Dittamondo, Libro Terzo
Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
Il Dittamondo, Libro Sesto

Il Malmantile racquistato (di Lorenzo Lippi alias Perlone Zipoli)

Il Meo Patacca (di Giuseppe Berneri)

L'arca de Noè (di Antonio Muñoz)

La Scoperta de l'America (di Cesare Pascarella)

La secchia rapita (di Alessandro Tassoni)

Villa Gloria (di Cesare Pascarella)

XIV Leggende della Campagna romana (di Augusto Sindici)

 

OPERE COMPLETE: POESIA

Cliccando sui titoli, si aprirà una finestra contenente il link ai post nei quali l'opera è stata riportata.

Bacco in Toscana (di Francesco Redi)

Cinquanta madrigali inediti del Signor Torquato Tasso alla Granduchessa Bianca Cappello nei Medici (di Torquato Tasso)

La Bella Mano (di Giusto de' Conti)

Poetesse italiane, indici (varie autrici)

Rime di Celio Magno, indice 1 (di Celio Magno)
Rime di Celio Magno, indice 2 (di Celio Magno)

Rime di Cino Rinuccini (di Cino Rinuccini)

Rime di Francesco Berni (di Francesco Berni)

Rime di Giovanni della Casa (di Giovanni della Casa)

Rime di Mariotto Davanzati (di Mariotto Davanzati)

Rime filosofiche e sacre del Signor Giovambatista Ricchieri Patrizio Genovese, fra gli Arcadi Eubeno Buprastio, Genova, Bernardo Tarigo, 1753 (di Giovambattista Ricchieri)

Rime inedite del Cinquecento (di vari autori)
Rime inedite del Cinquecento Indice 2 (di vari autori)

 

POETI ROMANESCHI

C’era una vorta... er brigantaggio (di Vincenzo Galli)

Er Libbro de li sogni (di Giuseppe De Angelis)

Er ratto de le sabbine (di Raffaelle Merolli)

Er maestro de noto (di Cesare Pascarella)

Foji staccati dar vocabbolario di Guido Vieni (di Giuseppe Martellotti)

La duttrinella. Cento sonetti in vernacolo romanesco. Roma, Tipografia Barbèra, 1877 (di Luigi Ferretti)

Li fanatichi p'er gioco der pallone (di Brega - alias Nino Ilari?)

Li promessi sposi. Sestine romanesche (di Ugo Còppari)

Nove Poesie (di Trilussa)

Piazze de Roma indice 1 (di Natale Polci)
Piazze de Roma indice 2 (di Natale Polci)

Poesie romanesche (di Antonio Camilli)

Puncicature ... Sonetti romaneschi (di Mario Ferri)

Quaranta sonetti romaneschi (di Trilussa)

Quo Vadis (di Nino Ilari)

Sonetti Romaneschi (di Benedetto Micheli)

 

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Messaggi del 27/01/2015

Il Dittamondo (5-24)

Post n°1150 pubblicato il 27 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO QUINTO

CAPITOLO XXIV

"L’aspido sordo lo balsamo guarda
sí, che sua vita a la morte dispone:
veglia e quanto può lo sonno tarda. 

Sotto Rifeo, in quella regione 
lá dove gli Arimaspi fan dimoro, 5 
son li smeraldi a guardia del grifone. 
E cosí per li stremi di costoro, 
dove noi siamo, per la rena molta 
truovi formiche assai, che guardan l’oro. 
O doloroso avaro, anima stolta, 10 
che guardi l’or come bruto animale, 
lo qual non ha ragion né mai l’ascolta, 
dimmi: ecco la morte; che ti vale? 
E dimmi, se pur vivi e non ne hai prode, 
s’altro ne puoi aver che danno e male. 15 
L’oro è buono a colui il qual lo gode 
e fanne bene a’ suoi e dá per Dio 
e che n’aspetta il cielo e, qua giú, lode. 
Ma qui taccio di te, aspido rio, 
per tornar dove lassai, in su la rena, 20 
le tue soror col cupido disio. 
Grandi son come can che s’incatena; 
dente han qual porco e leonine zampi: 
di nascondere l’oro è la lor pena. 
Se ’l dí per torne vai, da lor non scampi; 25 
la notte, quando stan sotto la terra, 
sicur ne puoi portar, ché non v’inciampi". 
Cosí quel savio accorto, che non erra, 
seguio lo suo parlare, andando sempre, 
come tenea il cammin, di serra in serra. 30 
"Ancora vo’ che ne la mente tempre 
la forma del parandro, a ciò che tue, 
se gli altri noti, questo metti in tempre. 
La sua grandezza è simile d’un bue 
e tal qual cervo mostra la sua testa, 35 
salvo ch’ello ha maggior le corna sue. 
Nel Nilo vive piú ch’a la foresta; 
e tal qual vedi il pel de l’orso fatto, 
di quel propio color par che si vesta". 
Indi mi disse la natura e l’atto 40 
de la sua vita, sí come la conta, 
ch’assai mi piacque e parvemi gran fatto. 
Poi del polipo e del cameleonta 
m’aperse, come l’uno nasce in mare, 
in terra l’altro: e la vita m’impronta. 45 
"Lo lupo Licaon dipinto pare 
di tanti color nuovi e sí diversi, 
che l’uom, che ’l vede, il pel non sa contare. 
L’istrice truovi in questi luoghi spersi 
sí grande e duro, che, ove lo spin getta, 50 
verretta par che dal balestro versi. 
Però, quando è cacciato e messo a stretta, 
sí forte scocca i colpi e li spesseggia, 
che mal ne sta qualunque can l’aspetta. 
L’uccello pegaseo par che si veggia 
di qua e questo a riguardare è tale 
per novitá, quanto altro che si leggia. 
Ardito, forte e fiero sta su l’ale; 
niuna cosa tien piú di cavallo 
che sol l’orecchia, ché propio l’ha tale. 60 
Io dico struzzi molti, senza fallo, 
e piú altri animal, ciascuno strano, 
puote veder qual va per questo stallo". 
Alfin mi nominò lo tragipano, 
dicendo: "Questo piú d’aguglia cresce 65 
ed è quanto altro uccel crudo e villano. 
Fuor de la fronte due gran corna gli esce 
simili a quelle ch’a un montone vedi, 
con le quai s’arma e ferir non gl’incresce". 
Cosí movendo per l’Africa i piedi, 70 
parlando d’una cosa e altra strana, 
giungemmo dove ancor mi disse: "Vedi". 
E mostrommi in un piano una fontana, 
dicendo: "Al mondo non la so migliore 
a la voce de l’uomo né piú sana". 75 
E io a lui: "Se quella di Litore 
e questa avesse un musico per uso 
piú li farebbe assai, che ’l vino, onore". 
La nostra via era come un fuso 
diritta in vèr levante, dove il Nille 80 
percuote Egitto e bagnalo col muso. 
Io vidi fiammeggiar foco e faville 
in tanta quantitá, che ’l monte d’Enna 
non par maggior, quando arde mare e ville. 
Qui mi volsi a colui, lo qual m’impenna 85 
di ciò ch’è il vero, quando sono in dubio, 
e dissi: "O sol, del vero qui m’insenna. 
Quel che foco è? Arde bosco o carrubio 
sopra quel monte, o fallo natura 
sí come vidi giá sopra Vesubio?" 90 
Ed ello a me: "Figliuol, se porrai cura, 
quando piú presso del monte saremo, 
vedrai che fuor ne svampa la calura". 
E poi che ’n quella parte giunti semo, 
non è si alto il Torraccio a Cremona, 95 
come quel foco andare in suso spremo. 
E, nel forte spirar, tai mugghi sona 
con voci spaventevoli per entro, 
che smarrir vi farebbe ogni persona. 
Allor diss’io: "Ben credo che dal centro 100 
de lo ’nferno questa fiamma procede, 
a gli urli e gridi ch’io vi sento dentro. 
E certo, se la porta qui si vede 
d’andare in esso, non m’è maraviglia,
ché questa gente non ha legge e fede 105
e poi dimonio ciascun ci somiglia".
 
 
 

Mariotto Davanzati 09

Post n°1149 pubblicato il 27 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

IX

Capitolo di Mariotto d'Arrico Davanzati, cittadino fiorentino, pure sopra l'amicizia, recitato nel predetto luogo e tempo per Messer Antonio di Matteo di Meglio, Cavaliere Araldo della Magnifica Signoria di Firenze.

Quel divo ingegno, qual per voi s'infuse,
onde 'l greco e latin poema uscìo,
o sacre o sante e venerande Muse,
s'infonda or sì nello 'ntelletto mio
ch'al degno e bel prencipio, mezzo e fine
ne satisfaccia tal qual io desio!
O chiome illustre mirte e pellegrine,
sovenite ora al servo bisognoso
coll'arme fuor delle mortal vagine!
O di mie vita sostegno e riposo,
compatrïoti miei Dante e Petrarca,
sanza i qua' di parlar non sare' oso,
ponete mano alla mie fragil barca
sicché, per mezzo di duo sacri lumi,
di palma e lauro in porto arrivi carca,
trattar volendo elezioni e costumi
e legami ed effetti d'amistate,
come s'apprenda mantenga e consumi!
Notar dovriesi pria la degnitate
immensa in tanto sublime inventore,
quanto la lingua nostra ha di bontate;
ma, sol per non uscir del certar fore,
in me disposi tacerlo al presente
per cerner tra gli amici el frutto e 'l fiore.
Né in invenzion fabulose e assente
dal termin dimandato vo' mie versi
indarno ispender sì disutilmente,
quale in opre comporre, o in diversi
titoli degni a parlar per figura,
sotto fizion già molti intender fêrsi.
Ma perché con poetica mistura
filosofia è qui ferma e 'ndivisa,
tutte fizion fien fuor d'esta misura.
Né per ambizïon vo' far recisa
amicizia da sé, soffisticando
per vari modi e sentenzia intercisa.
Alcun dice amicizia regnar quando
l'uno amico dall'altro utile aspetta
e, quel mancato, lei venir mancando;
e ch'un'altra amicizia è che diletta
la vita dell'amico, e qual si volta
el disiderio, tal la fa imperfetta.
Così, sott'ombra d'amistà, raccolta
fanno di molte e varie adulazioni,
qual tedian chi le dice e chi l'ascolta.
Ma a vera amicizia i miei sermoni
drizzo, la qual sol per virtù s'elegge,
unica, intègra a paragon de' buoni.
Tant'alta gloria in sé reserva e regge
questo immortale, invitto e divin titolo,
che comprender nol può l'umana gregge.
E se in prosa, in dialogo o 'n capitolo
alcun trattonne o tratta, il caso innizia
e scompigliato poi lascia il gomitolo,
ché questo eccelso effetto d'amicizia,
qual dee, regnando per sua conseguenza,
il rigor danna e ministra giustizia;
onde i mortali invan viverien senza,
né necessaria cosa più ci appare
pel conservar dell'umana semenza.
Con costante e matur diliberare
Socrate vuol ch'elegger cerchi amici
con possa e voglia a fedeltà servare,
e ch'amico è chi non pur ne' filici
avenimenti ti vicita e proffera,
ma fermo a' medïocri e a' mendici,
e per l'amico amico in pace soffera
qualunque cosa più greve e molesta
e di nuovo sé pronto dona e offera.
La vita dell'amico allegra o mesta
qual la tuo propria debbi reputare,
e d'un pari volere esser contesta,
e volere anzi vita abbandonare
pel vero amico che coll'inimico
viver, credendo per lui triünfare.
Aristotile afferma che l'amico
nel prosper tempo a conoscere è duro,
ma presto il cerna lo stato mendico;
che fuor d'amistà sia acro e scuro
el vivere, e che nullo eleggerebbe
di viver senza nel tempo futuro;
che, tolto a' fortunati in chi vorrebbe
per amistà lor ben comunicare,
la lor prosperità nulla sarebbe,
né potrieno atto virtuoso usare;
el miser, non avendo alcun refugio
d'amico, si porria morto chiamare
e che 'l bruto animal, che dal pertugio
sol di natura il lume attende e piglia,
privo d'ogni elezion, col cervel bugio,
amar si vede, effetto e maraviglia;
onde amicizia nasce e si nutrica
e virtù senza lei non si consiglia.
Onde vuol ch'amistà virtù si dica
essere in sé o tal qual virtù puote,
senza la quale indarno s'affatica.
Ma Teofrasto par ch'affermi e note
dover l'amico anzi amar che provare
s'estrema nicistà non si percuote.
E Pittagora vuol che tal trovare
si debba uom senz'amico, qual senz'alma
corpo, possendo vivo al mondo stare.
Né vuol che tu ti carchi della salma
dell'adular l'amico, ch'amistate
da dritto e ben parlar prencipia e calma;
e che sia amico di tal degnitate
ch'altri d'averlo per nimico tema,
e, quando regge in gran prosperitate,
l'amico tuo il vicitare iscema
e va' vi raro se non se' chiamato;
ma s'egli avien che 'l male stato il prema,
senza chiamar debb'esser vicitato
e soccorso da te col dire e 'l fare,
mostrando lui, non sua fortuna, a grato;
e che l'amico, quando ingiurïare
si vede, tal più ch'altri si corruccia,
qual freddo o caldo non può insieme stare.
E se per caso amico da te muccia,
nemico fatto, non speri che t'ami
in etterno, ché tutti èn d'una buccia.
E ben ch'amico a te si mostri e chiami,
tornar cercando in tua pristina grazia,
quale a' pesci t'aopra e l'esca e gli ami;
né cerca per amor di contumazia
volere uscir, ma per util ch'aspetta,
o per me' far di te suo voglia sazia;
sicché, se ben non colse la saetta,
la quale a te come nemico trasse,
sotto inganno me' colga e vada netta.
Ed amico richiedi quel gustasse
di voler tu da lui esser richiesto
perch'amistà d'un sol lato non fasse,
degno, giusto legame alto ed onesto
esser dell'amistà la vera fede,
senza 'l qual sarie 'l mondo acro e funesto.
E Augustin, d'Ambrogio degno erede,
in Civitate Dei vuol che l'amico
ami qual l'alma che dentro a te sède.
Ma 'n fra più degne cose ch'io v'isprico
per distinguere il titol glorioso,
qual mai non giunse moderno od antico,
non vo' che 'ndietro, derelitto e ascoso,
il nostro moral Seneca rimagna,
d'ogni virtù, ma più di questa, sposo,
qual vuol più dolce, più nobile e magna
cosa non possa al mondo uom possedere
ch'un amico provato in suo compagna,
col quale ogni accidente, ogni pensiere
possa cumunicar qual con se stesso,
e di par voglia allegrare e dolere.
Né vo' tacere insomma il noto espresso
volume, il quale il nostro almo oratore
per ciò compose; ma pur brieve il tesso,
perché, ordinato a narrar tal tinore,
sarie il framesso più che la vivanda:
ma diànne quel ch'è di miglior sapore.
Onde afferma che ciò ch'uomo addimanda
siccome cose buone e singulari
una disia, perché in altra si spanda.
Qual per ispender si disia danari
e per seguito aver, brama potenza,
onor, per esser tra gl'illustri e chiari
diletto dona d'allegrezza intensa,
amistate per esser amicato;
e così l'altre van per conseguenza.
Ma solo ad amicizia è riservato
da tempo né da luogo esser rimossa,
ma ti bisogna da qualunque lato;
e che sempre ti segue e sempre ha possa
dove acqua o foco non ti fa mestieri,
e d'ogni tuo sinestro alla riscossa;
tal che l'amico morto, e non pure ieri,
qual prima vive nella mente al vivo
amico, e 'n fama ritorni qual t'eri.
E tal cosa uom per sé di fare è schivo
che per l'amico fa, perch'onestate
d'onor l'addorna in altri, e 'n sé il fa privo.
E tutte cose, a fermezza ordinate
di cielo in terra, dice Agrigentina,
discordia fugge e contrage amistate,
la qual tra' buon com'oro in foco affina:
in par consentimento e voluntà
suo forza regge e in averso ruina.
Nel vecchio amico è tal più degnità
che nel nuovo, qual è dal fiore al frutto,
ché l'un dà speme e l'altro utilità.
E vita brevitale in parte o in tutto,
secondo ch'Ennio vuole, esser non puote
senza benivolenza o suo costrutto.
Or tutte este sentenzie sopra note
per molti e varî autor, qual sai, racconto,
non tutte in me son ferme né remote;
ma quanto i' ne conosco e sento pronto
esplicherò, non più come auctorista,
ma qual per dare e per aver tien conto.
Amico ver l'amico non resista
per mezzo alcun, se non qual se medesmo,
e 'n duo corpi un'anima consista.
E quale in ciel volar senza battesmo
può l'alma tal qui può regnare schiatta
senz'amistà, mancandone un millesmo.
Né per offesa dall'amico fatta
ti debbi mai dall'amicar partire,
anzi di ridur lui col ben far tratta,
ché, proponendo in te, se a te fallire
vedrai l'amico, che più amar nol vogli,
nemico occulto ti vieni a chiarire.
Perché sospetti infra due sono scogli
maggior contro amistate ch'all'acquisto
del paradiso rapine ed orgogli.
E nell'incerto caso, lieto o tristo,
qualunque amico si conosce e scorge
s'egli è fin oro o rame insieme misto.
Il savio sempre al prencipio s'accorge
non si dover co' rei innamicare,
perché tale amistà de' due l'un porge:
o 'n infamia gravissima cascare
pe' portamenti lor brutti e inonesti,
o con odio da lor partenza fare.
Prova l'amico tuo, se 'n fatti e 'n gesti
amicizia, qual dee, dentro a sé sente
non per profitto d'util che 'n te resti,
ma sol per carità farlo gaudente
di tal dolcezza, nulla possedendo,
e se in lui regna in addoppiar fervente.
E perché molti, non ben discernendo,
carità dicono essere amicizia,
qual differenza v'è chiarire intendo:
sorelle son, perché ciascuna innizia
da dritto amore, onde amicizia attende
ad amicare e general letizia;
carità quella conserva e difende
contro agli assalti d'odio e di discordia,
e di più sempre amar fiamma raccende.
L'amico aiuta e non pur con esordia,
ma col portar del suo fallo la pena,
se loco in ciò non ha misericordia;
però ch'Amor, la Magestà serena,
e gli angeli creare e l'uom dispose
e a far Maria poi di grazia piena
pel peccar nostro e, tutt'altre vie ascose
sendo a poter purgar tanto delitto,
in croce il Figlio per l'amico pose.
Onde da amicizia ogni profitto
di tutte altre virtù nasce e mantiensi,
senza quale ogni bene è derelitto.
Però fa' che coll'alma, il core e' sensi
ami l'amico e serva colla fede,
la quale a te per te propio appartiensi,
sempre, in qualunque caso gli succede.

 
 
 

Il Dittamondo (5-23)

Post n°1148 pubblicato il 27 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO QUINTO

CAPITOLO XXIII

Cercato l’Etiopia di ponente,
che ’l Nilo serra e il grande oceano,
e giá passati in quella d’oriente, 

vidi che quella è men di questa in piano, 
e questa piú che quella par diserta 5 
e mostruosa da ciascuna mano. 
Io mi rivolsi a la mia guida sperta: 
"Di quel, diss’io, che è scuro a vedere, 
andando noi, quanto piú puoi m’accerta". 
Ed ello a me: "Figliuol, tu dèi sapere 
che di qua son molti luoghi rimoti 
pieni di genti, di mostri e di fiere. 
Da la parte di Libia vo’ che noti 
uomini lunghi di dodici piedi, 
che nominati son di qua Serboti. 15 
De’ cinocefali i Nomadi credi, 
una gran gente, che vivon di latte: 
poco ne dèi curar, se non li vedi. 
Cosí, per quelle prode ascose e quatte, 
popol bestiali e salvatichi stanno 20 
e, ’n fra gli altri, i Sambari, genti matte. 
Tra lor ti dico che bestia non hanno 
con quattro piedi, ch’abbia orecchia in testa; 
per uso, a chi va ’l can lor signor fanno. 
Li Azachei sono gente da tempesta; 25 
cacciando vanno leofanti e leoni; 
la vita loro è stare a la foresta. 
Ne’ gran diserti di queste regioni 
son fiere molte e velenose assai 
e propriamente infiniti dragoni. 30 
Qui non bisogna dir, ché so che ’l sai, 
la poca forza ch’egli hanno ne’ denti 
e che sol con la coda altrui dán guai. 
Ma quel che non ne sai voglio che senti, 
de la pietra draconica, com’io, 35 
a ciò che ’l sappi dire a l’altre genti. 
Nel celabro del drago acerbo e rio, 
subito morto, la pietra si trova; 
ma se stai punto, non l’andar ratio. 
Bianca la truovi, rilucente e nova; 40 
d’essa giá molti re si gloriaro, 
provate le vertú a ch’ella giova. 
Sotaco, autor discretissimo e caro, 
ti scrive e dice la natura propia: 
però lui truova, se ’l vuoi saper chiaro. 45 
E io ancora assai te ne fo copia; 
ma qui nol conto, ché mi par mill’anni 
ch’io t’abbia tratto fuor de l’Etiopia. 
Per queste selve ancor, piene d’affanni, 
cameleopardi sono e fanno stallo: 50 
nabun lo noman Cirenensi e Fanni. 
Questo ha propio collo di cavallo 
e la sua testa simile al camello 
e qual bufalo ha i piedi, senza fallo. 
Del pelo, a riguardare, è molto bello: 55 
risprende di colori ed è rotato 
d’un bianco tutto, che riluce in ello. 
Questo ti dico che fu pubblicato 
essendo Cesar dittatore, in prima 
per lui, che per altrui, dal nostro lato. 60 
Ancora dentro a queste selve stima 
un animal molto diverso e strano: 
cefos lo noma, se mai ne fai rima. 
Del busto mostra quasi come umano, 
perch’ello ha gambe e pie’ tratti a quel modo 65 
e similmente ciascheduna mano. 
Gneo di Pompeo quivi pregio e lodo, 
però che sol dinanzi dal suo ludo 
questo palesa, ché di piú non odo. 
Un altro animal v’ha fiero e crudo: 70 
quei del paese il chiaman noceronte 
e io il nome suo cosí conchiudo. 
Suso le nara, sotto da la fronte, 
un aspro corno porta per sembiante, 
miracoloso a dir, ben ch’io nol conte. 75 
Odio si porta tal col leofante, 
che spesso si combatton fino a morte: 
non tien l’un l’altro, quando può, in bistante. 
Ancor non è men grande né men forte; 
ne l’acqua si riposa, per costume; 
colore ha busseo e le gambe corte". 
Dissemi apresso quel mio caro lume: 
"Un animal, ch’è detto catoplepa, 
picciol del corpo, lungo il Negro fiume 
si truova, al quale fuor degli occhi crepa 85 
tanto velen, ch’a colui ch’ello offende 
di subito senz’alma riman l’epa". 
Allor diss’io fra me: Ben fa chi spende 
e non è scarso a trovar buona guida, 
se va dove ir non sappia e non l’intende. 90 
Che farei io di qua, tra tante nida 
di serpenti e di fiere, se non fosse 
costui che mi consiglia e che mi fida? 
Certo io ci rimarrei in carne e in osse.
 
 
 

Della Casa 05: sonetti

Post n°1147 pubblicato il 27 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XXI

Già nel mio duol non pote Amor quetarmi,
perché dolcezza altronde in me destille
che da' begli occhi, ond'escon le faville
che sole hanno vigor cenere farmi.

Da lor fui pria trafitto; e con queste armi
chiuda le piaghe mie colei ch'aprille,
o l'inaspri e m'uccida, e pia tranquille
mio corso o 'l turbi, e pur d'orgoglio s'armi.

Però che da lei sola ogni mio fato,
quasi da chiaro del ciel lume, pende:
per altra have ei quadrella ottuse e tarde.

Anzi, quanto m'è 'l raggio suo negato,
tanto 'l mio stame lei che 'l torce e stende
prego raccorci, o fermi il fuso e tarde.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 21 (pag. 11)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 269

Note:
v. 4. Questo verso è ripetuto nel sonetto XXX. Fo ricordo di ciò, perchè s'intenda come possa accadere anche a valenti poeti di ripetere senz' avvedersene interi versi d'altri, se ripetono talvolta anche i proprj.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXII

Né quale ingegno è 'n voi colto e ferace,
Cosmo, né scorto in nobil arte il vero,
né retto con virtù tranquillo impero,
né loda, né valor sommo e verace;

né altro mai, cheunque più ne piace,
empieo sì di dolcezza uman pensero,
com'al regno d'Amor turbato e fero
di bella donna amata or pieta or pace.

Ciò con tutto 'l mio cor vo cercand'io
da lei, ch'è sovr'ogni altra amata e bella,
ma fin qui, lasso me, guerrera e cruda.

Null'altro è di ch'io pensi: ella m'aprìo
con dolci piaghe acerbe il fianco, ed ella
vien che m'uccida, o pur le sani e chiuda.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 22 (pag. 12)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 270

Note:
A Cosimo Gerio, Vescovo di Fano. Il Bembo gl'indirizzò alcune lettere.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXIII

Sotto 'l gran fascio de' miei primi danni,
Amor, di cui piangendo ancor son roco,
è per sé 'l cor oppresso, e non v'han loco
lacrime e sospir novi, o freschi affanni.

E tu pur mi richiami, e ricondanni
a l'aspre lutte del tuo crudo gioco,
là 'v'io ricaggia, e par ch'a poco a poco
di mio stesso voler mi sforzi e 'nganni.

Ma s'io sommetto a novo incarco l'alma
debile e vinta, e poi l'affligga il pondo,
che fia mia scusa? o chi n'avrà pietade?

Pur così stanco, e sotto doppia salma,
di seguir te per le tue dure strade
m'invoglia il desir mio, ned io l'ascondo.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 23 (pag. 12)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 271



XXIV

Nessun lieto giamai, né 'n sua ventura
pago, né pien, com'io, di speme visse
i pochi dì ch'a la mia vita oscura
puri e sereni il ciel parco prescrisse.

Ma tosto in chiara fronte oltra misura
lungo e acerbo strazio Amore scrisse,
e poscia, «in questa selce bella e dura
le leggi del tuo corso avrai», mi disse.

«E questa man d'avorio tersa e bianca,
e queste braccia, e queste bionde chiome,
fian per inanzi a te ferza e tormento».

Ond'io parte di duol strugger mi sento,
e parte leggo in due begli occhi come
non dee mai riposar quest'alma stanca.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 24 (pag. 13)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 272

Note:
Diretto a Bernardo Cappello, di cui vedi a pag. 252 di questa raccolta, e le note a quel luogo. Si lagna di aver anteposto le brighe della corte agli studj.
(Carrer, cit., pag. 304)



XXV

Solea per boschi il dì fontana o speco
cercar cantando, e le mie dolci pene
tessendo in rime, e le notti serene
vegghiar, quand'eran Febo e Amor meco.

Né temea di poggiar, Bernardo, teco
nel sacro monte ov'oggi uom rado vène:
ma quasi onda di mar, cui nulla affrene,
l'uso del vulgo trasse anco me seco,

e 'n pianto mi ripose e 'n vita acerba,
ove non fonti, ove non lauro od ombra,
ma falso d'onor segno in pregio è posto.

Or con la mente non d'invidia sgombra
te giunto miro a giogo erto e riposto,
ove non segnò pria vestigio l'erba.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 25 (pag. 13)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 273

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

frank67lemiefoto0giorgio.ragazzinilele.lele2008sergintprefazione09Epimenide2bettygamgruntpgmteatrodis_occupati3petula1960mi.da2dony686giovanni.ricciottis.danieles
 
 

ULTIMI POST DEL BLOG NUMQUAM DEFICERE ANIMO

Caricamento...
 

ULTIMI POST DEL BLOG HEART IN A CAGE

Caricamento...
 

ULTIMI POST DEL BLOG IGNORANTE CONSAPEVOLE

Caricamento...
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963