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Messaggi del 20/03/2015

Le purce che ciànno la tosse

Post n°1391 pubblicato il 20 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Le purce che ciànno la tosse

Sora cosa, chi è quer bell'ordegno
che quann'annavio a spasso ve squadrava?..
Avete messi l'apparati? brava!
Che la signora forsi ha quarch'impegno?

Che un po' de fritto j'annerebb'a gegno?
Si? !... si nun sia mai Cristo me 'spirava
de venì giù, si Dio ne guardi scegno,
un carcio che te davo, te sfonnava!

Cazzica! appost'armavio tanti ciaffi?
lo nun so chi me tienga, brutta cicia
smerdosaccia, de davve quattro schiaffi.

Animo, lesta: annate a fà la cacca,
e attent'a nu' smerdavve la camicia,
sinnò, signora sposa, ve s'attacca.

Giggi Zanazzo
21 giugno 1880

Modo di dire romanesco: "Dicesi per schernire quei ragazzi che la pretendono da grandi" Si noti il continuo passaggio dal voi al tu, come sovente nel Belli: Nel momento culminante dell'ira e della concitazione è naturalissimo il passaggio dal voi al tu o viceversa. Qui parla prima col voi, poi col lei, poi nell'ira passa al tu, quindi ripigliando il sussiego materno torna al voi.

 
 
 

Li cavajjeri

Li cavajjeri

E a vvoi da bbravi! Cavajjeri jjeri, 
Cavajjer oggi, e ccavajjer domani!
E ssempre cavajjeri: e li sovrani 
Nun zanno antro che ffà cche ccavajjeri.

Preti, ladri, uffizziali, cammerieri 
Tutti co le croscette a li pastrani.
E oramai si le chiedeno li cani, 
Dico che jje le dànno volentieri.

S’incavajjèra mó cqualunque vizzio:...
Vojjo ride però, cco ttanto sguazzo 
De cavajjeri, ar giorno de giudizzio.

Quanno che Ggesucristo, arzanno er braccio,
Dirà: «Ssiggnori cavajjer der cazzo, 
Ricacàte ste crosce, e a l’infernaccio».

Giuseppe Gioachino Belli
21 aprile 1834

 
 
 

Li bbeati

Li bbeati

Nun è cche nnun ce ssiino Bbeati 
Deggni e stradeggni de fa un passo avanti: 
Er paradiso sbrullica de frati
Che mmoreno de vojja d’èsse Santi.

Nun è cch’er Papa se li sia scordati, 
Come se scorda de li nostri pianti: 
Ché anzi, doppo avelli proscessati, 
Voría cannonizzalli tutti quanti.

La raggione che ancora li tiè addietro 
Ne la grolia sceleste, è la gran spesa 
De la funzione che cce vò a Ssan Pietro.

Eccolo er gran motivo, poverini: 
La miseria. E li Santi de la Cchiesa 
Nun ze ponno creà ssenza quadrini.

Giuseppe Gioachino Belli
12 giugno 1834

 
 
 

Fischi pe' fiaschi

Post n°1388 pubblicato il 20 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Fischi pe' fiaschi

Ecco, feci accusi pe' poté stenne':
agnedi a Campìdojo ar Munipiscio,
me tiro su le maniche, m'alliscio,
busso a la porta e svorto er saliscenne.

Entro. - Chì è? - So' io: si nun s'offenne,
m'hanno detto che qui stava l'uffiscìo...
Siccome sto p'er vicolo der Miscio...
Vojo er premesso... - Dice: - Ah! già s'intenne.

Luì scrive, e poi me fa: - Ecco e' libretto.
Dico: - Ce posso stenne'? - Che? - Lì panni!
Nu' sbotta 'na rìsata quer pivetto?

Me prese... me capischi, che tarpano?
Feci fra me: - La fre... che te scanni,
a te e chi te ce tiè, brutto roffiano.

Giggi Zanazzo
27 febbraio 1880.

Il vicolo del Micio era un luogo malfamato. Il libretto si dava alle prostitute.

 
 
 

La margherita

Post n°1387 pubblicato il 20 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La margherita

— Vojo sapé se Nino mio me spósa — 
diceva Bianca. E tutta impensierita 
incominciò a sfojà la Margherita 
perché je risponnesse quarche cosa.

Invece er Fiore disse: — E che ne so? 
Farai più presto se lo chiedi a lui... 
— Già je l'ho chiesto, stupida che fui! 
— sospirò Bianca — e m'ha risposto no.

— E allora — dice — questo basta e avanza
senza scoccià li fiori der giardino.
Quello ch'è stato scritto dar Destino
mica se pô scassà co' la speranza.

Trilussa

 
 
 

Il Trecentonovelle 84-86

Post n°1386 pubblicato il 20 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Il Trecentonovelle
di Franco Sacchetti

NOVELLA LXXXIV

Uno dipintore sanese, sentendo che la moglie ha messo in casa un suo amante, entra in casa e cerca dell'amico, il quale trovando in forma di crocifisso, volendo con un'ascia tagliarli quel lavorío, il detto si fugge, dicendo: "Non scherzare con l'ascia".

Fu già in Siena uno dipintore, che avea nome Mino, il quale avea una sua donna assai vana, ed era assai bella, la quale un Sanese buon pezzo avea vagheggiata, e anco avea aúto a fare con lei, e alcuno suo parente piú volte gliel'avea, detto, e quel nol credea. Avvenne un giorno che, essendo Mino uscito di casa, ed essendo per alcuno caso andato di fuori per vedere certo lavorío, soprastette la notte di fuori. L'amico della donna, di ciò avvisato, la sera andò a stare con la moglie del detto dipintore a suo piacere. Come il parente sentí questo, che avea messo le spie per farnelo una volta certo, subito andò di fuori dove Mino era, e tanto fece che, dicendo per certa cagione dovere andare e tornare dentro, fu mandato uno con le chiavi dello sportello: e questo parente, uscendo fuori, lasciò quello delle chiavi dello sportello che l'aspettasse, e andò a Mino, el quale era a una chiesa presso a Siena; e giunto là disse:
- Mino, io t'ho detto piú volte della vergogna che mogliera fa a te e a noi, e tu non l'hai mai voluto credere; e però, se tu ne vuogli esser certo, vienne testeso e troverra'loti in casa.
Costui subito fu mosso e intrò in Siena per isportello; e 'l parente disse:
- Vattene a casa, e cerca molto bene, però che, come ti sentirà, l'amico si nasconderà, come tu déi credere.
Mino cosí fece, e disse al parente:
- Deh, vienne meco; e se non vuogli entrare dentro, statti di fuori.
E quel cosí fece.
Era questo Mino dipintore di crocifissi piú che d'altro, e spezialmente di quelli che erano intagliati con rilevamento; e aveane sempre in casa, tra compiuti e tra mani, quando quattro e quando sei; e teneagli, com'è d'usanza de' dipintori, in su una tavola, o desco lunghissimo, in una sua bottega appoggiati al muro l'uno allato all'altro, coperti ciascuno con uno sciugatoio grande; e al presente n'avea sei, li quattro intagliati e scolpiti, e li due erano piani dipinti, e tutti erano in su uno desco alto due braccia, appoggiati l'uno allato all'altro al muro, e ciascuno era coperto con gran sciugatoi o con altro panno lino. Giugne Mino all'uscio della sua casa, e picchia. La donna e 'l giovane, che non dormiano, udendo bussare l'uscio, subito sospettano che non fosse quello che era; e la donna, senza aprire finestra o rispondere, cheta cheta va a uno piccolo finestrino, o buco che non si serrava, per vedere chi fosse; e scorto che ebbe essere il marito, torna allo amante, e dice:
- Io son morta: come faremo? il meglio ci sia è che tu ti nasconda.
E non veggendo ben dove, ed essendo costui in camicia, capitorono nella bottega dov'erano li detti crocifissi.
Disse la donna:
- Vuo' tu far bene? sali su questo desco e pònti su uno di quelli crocifissi piani con le braccia in croce, come stanno gli altri, e io ti coprirrò con quel panno lino medesimo, con che è coperto quello; vegna cercando poi quanto vuole che io non credo che in questa notte e' ti truovi, e io ti farò un fardellino de' panni tuoi e metterògli in qualche cassa, tanto che vegna il dí; poi qualche santo ci aiuterà.
Costui, come quello che non sapea dove s'era, sale sul desco e leva lo sciugatoio, e in sul crocifisso piano si concia proprio, come uno de' crocifissi scolpiti, e la donna piglia el panno lino e cuoprelo, né piú né meno, com'erano coperti gli altri, e torna a dirizzare un poco il letto che non paresse vi fusse dormito se non ella; e tolto le calze, e scarpette, e farsetto, e gonnella e l'altre cose dello amante, subito n'ebbe fatto un assettato fardellino e mettelo tra altri panni. E ciò fatto, ne va alla finestra, e dice:
- Chi è?
E que' risponde:
- Apri, io son Mino.
Dice quella:
- O che otta è questa? - e corre ad aprirli.
Aperto l'uscio, e Mino dice:
- Assai m'ha' fatto stare, come colei che se' stata molto lieta che io ci sia tornato.
Disse quella:
- Se tu se' troppo stato, è defetto del sonno, però che io dormiva e non t'udía.
Dice il marito:
- Ben la faremo bene.
E toglie uno lume e va cercando ciò che v'era insino a sotto il letto.
Dice la moglie:
- O che va' tu cercando?
Dice Mino:
- Tu ti mostri nuova; tu 'l saprai bene.
Dice quella:
- Io non so che tu ti di': sapera'tel pur tu.
Andando costui cercando tutta la casa, pervenne nella bottega, dov'erano li crocifissi. Quando il crocifisso incarnato lo sente ivi, pensi ciascuno come gli parea stare; e gli convenía stare come gli altri che erano di legno; ed egli avea il battito della morte. Aiutollo la fortuna, ché né Mino né altri mai averebbe creduto essere in quella forma colui che era nascoso. Stato che Mino fu nella bottega un poco, e non trovandolo, s'uscí fuori. Era questa bottega con una porta dinanzi, la quale si serrava a chiave di fuori, però che uno giovene che stava col detto Mino, ogni mattina l'apriva come s'aprono l'altre, e dalla parte della casa era uno uscetto là, donde il detto Mino entrava nella bottega; e quando ne uscía della bottega e andavane in casa, serrava il detto uscetto a chiave, sí che il vivo crocifisso non se ne poteva uscire, se avesse voluto.
Essendosi combattuto Mino il terzo della notte, e non trovando alcuna cosa, la donna s'andò al letto, e disse al marito:
- Va' tralunando quantunche tu vuogli; se tu ti vuogli andare al letto, sí ti va'; e se no, va' per casa come le gatte, quanto ti piace.
Dice Mino:
- Quand'io arò assai sofferto, io ti darò a divedere che io non sono gatta, sozza troia, che maladetto sia il dí che tu ci venisti.
Dice la moglie:
- Cotesto potre' dir'io: è bianco, o vermiglio quello che favella?
- Io tel farò bene assapere innanzi che sia molto.
Dice quella:
- Va' dormi, va', e farai il tuo migliore, o tu lascia dormir me.
Le cose per istracca si rimasono per quella notte; la donna s'addormentò, e ancora egli andò a dormire. Lo parente, che di fuori aspettava come la cosa dovesse riuscire, standovi insino passata la squilla, se n'andò a casa, dicendo: "Per certo, in tanto che io andai di fuori per Mino, l'amante se ne sarà andato a casa sua".
Levatosi la mattina Mino molto per tempo, e ancora ragguardando per ogni buco, nella fine, avendo assai cercato, aprí l'uscetto e venne nella bottega: e 'l suo garzone aperse la porta di fuori da via della detta bottega.
E in questo, guardando Mino questi suoi crocifissi, ebbe veduto due dita d'uno piede di colui che coperto stava.
Dice Mino fra sé stesso: "Per certo che quest'è l'amico". E guardando fra certi ferramenti, con che digrossava e intagliava quelli crocifissi, non vidde ferro esser a lui piú adatto che un'ascia che era tra essi. Presa quest'ascia, e accostatosi per salire verso il crocifisso vivo, per tagliargli la principal cosa che quivi l'avea condotto, colui, avvedutosi, schizza con un salto, dicendo:
- Non ischerzar con l'asce.
E levala fuori dell'aperta porta; Mino drietoli parecchi passi, gridava: "Al ladro, al ladro"; colui s'andò per li fatti suoi.
Alla donna, che tutto avea sentito, capitò un converso de' frati predicatori che andava con la sporta per la limosina per lo convento. Andato su per le scale, come talora fanno, disse:
- Frate Puccio, mostrate la sporta, e io vi metterò del pane.
Quegli la diede. La donna, cavato il pane, vi misse il fardellino che l'amante avea lasciato, e sopra esso gittò suso il pane del frate e quattro pani de' suoi, e disse:
- Frate Puccio, per amor d'una donna che recò qui questo fardellino dalla Stufa, dove pare che il tale ier sera andasse, io l'ho messo sotto il pane nella vostra sporta acciò che nessuno male si potesse pensare; io v'ho dato quattro pani; io vi priego (ché egli sta presso alla vostra chiesa) quando n'andate, che voi glielo diate a lui, che 'l troverrete a casa; e ditegli che la donna della Stufa gli manda i suoi panni.
Dice Fra Puccio:
- Non piú! lasciate far me.
E vassi con Dio; e giugnendo all'uscio dell'amante, mostrando chieder del pane, domandava:
- Ècci il tale?
Colui era nella camera terrena; udendosi domandare, si fece all'uscio, e dice:
- Chi è là?
Il frate va a lui, e dàgli i panni, dicendo:
- La donna della Stufa ve li manda.
E colui gli dié duo pani, e 'l frate partissi. E l'amante considera bene ogni cosa, e subito ne va al campo di Siena, e fu quasi de' primi vi fusse quella mattina, e là facea de' suoi fatti, come se mai tal caso non fusse avvenuto. Mino quando ebbe assai soffiato, essendo rimaso scornato del crocifisso, che s'era fuggito, ne va verso la moglie dicendo:
- Sozza puttana, che di' che io sono gatta, e che io ho beúto bianco e vermiglio, e nascondi i bagascioni tuoi in su' crocifissi; e' convienne che tua madre il sappia.
Dice la donna:
- Di' tu a me?
Dice Mino:
- Anche dico alla merda dell'asino.
- E tu con cotesta ti favella, - disse la donna.
Dice Mino:
- E anche non hai faccia, e non ti vergogni? che non so ch'io mi tegno che io non ti ficchi un tizzon di fuoco nel tal luogo.
Dice la donna:
- Non saresti ardito, s'io non ho fatto l'uomperché; ché alla croce di Dio! stu mi mettessi mano addosso non facesti mai cosa sí caro ti costasse.
Costui dice:
- Deh, troia fastidiosa, che facesti del bagascione uno crocifisso, che cosí gli avess'io tagliato quello che io volea com'egli s'è fuggito.
Dice la donna:
- Io non so che tu ti beli: qual crocifisso si poté mai fuggire? non sono egli chiavati con aguti spannali? e se non fusse stato chiavato, e tu te ne abbi il danno, se s'è fuggito però che egli è tua colpa, e non mia.
Mino corre addosso alla donna e cominciala a 'ngoffare:
- Dunque m'hai tu vituperato e anco m'uccelli?
Come la donna si sente dare, che era molto piú prosperevole che Mino, comincia a dare a lui; da' di qua, da' di là, eccoti Mino in terra e la donna addossoli, e abburattalo per lo modo. Dice la donna:
- Che vuoi tu dire? Pigliala comunche tu vuoi, che vai inebbriando di qua e di là, e poi ne vieni in casa e chiamimi puttana; io ti concerò peggio che la Tessa non acconciò Calandrino: che maladetto sia chi mai maritò nessuna femina ad alcuno dipintore, ché siete tutti fantastichi e lunatichi, e sempre andate inebbriando e non vi vergognate.
Mino, veggendosi mal parato, priega la donna che lui lasci levare, e ch'ella non gridi, acciò che i vicini non sentino, che, traendo al romore, non trovassino la donna a cavallo. Quando la donna udí questo, dice:
- Io vorrei volentieri che tutta la vicinanza ci fosse.
E levossi suso, e cosí si levò Mino col viso tutto pesto; e per lo migliore disse alla donna che gli perdonasse, ché le male lingue gli avevano dato a creder quello che non era, e che veramente quello crocifisso s'era fuggito per non essere stato confitto. E andando il detto Mino per Siena, era domandato da quel suo parente che l'avea indotto a questo:
- Come fu? come andò?
E Mino gli disse che tutta la casa avea cerco e che mai non avea trovato alcuno; e che, guatando tra' crocifissi, l'uno gli era caduto sul viso, e avealo concio come vedea. E cosí a tutti e' Sanesi che domandavano: "Che è quello?" dicea che uno crocifisso gli era caduto sul viso.
Ora cosí avvenne, che per lo migliore si stette in pace dicendo fra sé medesimo: "Che bestia son io? io avea sei crocifissi e sei me n'ho: io avea una moglie e una me n'ho; cosí non l'avess'io! a darmi briga, potrò arrogere al danno, come al presente m'è incontrato; e s'ella vorrà esser trista tutti gli uomini del mondo non la potrebbono far esser buona"; se non intervenisse già come intervenne a uno nella seguente novella.


NOVELLA LXXXV

Uno Fiorentino toglie per moglie una vedova stata disonestissima di sua persona, e con poca fatica la gastiga sí ch'ella diviene onesta.

Nella città di Firenze fu già uno, secondo che io udi', che ebbe nome Gherardo Elisei, il quale tolse per moglie una donna vedova; la quale essendo disonesta e vana con l'altro marito, era stata tenuta assai cattiva di sua persona; e avea nome monna Ermellina. Ora, come questo Gherardo tolse questa donna per moglie, molti suoi parenti e amici, anzi che consumasse il matrimonio, dicono:
- Gherardo, che hai tu fatto? tu sei savio, e hai tolto cui tu hai: che fama ti fie questa? - e molte altre cose.
Dice Gherardo:
- Io vi fo certi che io so chi costei, che io ho tolto, è stata: e so che, s'ella non mutasse modo, io averei mal fatto; ma con la grazia di Dio io credo far sí che con meco ella non fia com'ella è stata, ma fia tutto il contrario; e però di questo non ne prendete piú pensiero che me ne prenda io.
La brigata si strignea nelle spalle, e tra loro se ne facean beffe, dicendo:
- Dio ti dia bene a fare.
E cosí dopo alquanti dí monna Ermellina ne venne una sera a marito, e avendo cenato, ed essendo l'ora d'andarsene al letto, n'andò alla camera, là dove Gherardo ancora si rappresentò, com'è d'usanza; e serrato, monna Ermellina, accostandosi al leccone, comincia a ragionare amorosamente col detto Gherardo; e Gherardo si comincia a spogliare in farsettino, e monna Ermellina in giubba. Ed essendo le cose tutte ben disposte a tal vicenda dalla parte di monna Ermellina detta, e Gherardo esce dall'uno de' canti della camera con un bastone in mano, e dà, e dà, e dà alla sposa novella. Costei comincia a gridare, e quanto piú gridava e Gherardo piú bastonava. Quando ebbe un pezzo cosí bastonato, e la donna dicendo:
- Oimè, fortuna, dove m'hai tu condotto? ché, senza saper perché, la prima sera io sono cosí acconcia da colui con cui io credea aver sommo piacere; volesse Dio che io mi fosse ancora vedova, ché io era donna di me, e ora sono sottoposta in forma e a cui io non sarò mai piú lieta.
E Gherardo rifà il giuoco; e bussato insino dove volle, e la donna dicendo pur: "Perché mi fa' tu questo?"; e Gherardo gli dice:
- Io non voglio che tu creda, Ermellina, che io t'abbia tolta per moglie che io non abbia molto ben saputo che femina tu se' stata; e bene so, e ho udito che costumi sono stati e' tuoi e quanta onestà è stata nella tua persona; e credo che, se 'l marito che avesti t'avessi gastigata di quello che ora t'ho gastigat'io, queste battiture non bisognavono. E però considerando, ora che se' mia moglie, gli tuoi passati costumi le tue disonestà e' tuoi vituperi non essere stati gastigati, io, innanzi ch'io abbia voluto teco consumare il matrimonio, ho voluto purgare ciò che tu hai fatto da quinci addietro con le presenti battiture; acciò che, considerando tu se per li passati falli da te commessi quando non eri mia moglie io t'ho data disciplina, pensa quella che io farò e che battiture serebbono quelle che da me averai, se da quinci innanzi, essendo mia moglie, di quelli non ti rimarrai, e piú non ti dico: tu se' savia e 'l mondo e grande.
Brievemente, questa buona donna si lagnò assai, e avea di che, facendo scuse di quello che Gherardo dicea. Alla fine s'andò al letto, e non che quella notte, ma durante un mese o piú non gli giovò trovarsi col marito, come quella che era tutta pesta. Di tempo in tempo, rabbonacciandosi con Gherardo, queste battiture ebbono tanta virtú che, com'ella era stata per li passati tempi dissoluta e vana, cosí da indi innanzi fu delle care, delle compiute e delle oneste donne della nostra città.
Oh quanti sono li dolorosi mariti che fanno cattive mogli! piú ne sono cattive per difetto de' mariti che per lo loro. Da' una fanciulla a uno fanciullo e lascia far loro. Che dottrina imprenderà ella dall'ignorante giovane? e quella via ch'ella piglia, per quella corre.
E non si truova sempre il bastone di Gherardo né quello che si conterà nella seguente novella.


NOVELLA LXXXVI

Fra Michele Porcelli truova una spiacevole ostessa in uno albergo, e fra sé dice: "Se costei fusse mia moglie, io la gastigherei sí, che ella muterebbe modo". Il marito di quella muore; Fra Michele la toglie per moglie e gastigala com'ella merita.

Passati sono circa a trent'anni, che fu uno Imolese, chiamato Fra Michele Porcello, il quale era chiamato Fra Michele, non perché fosse frate, ma era di quelli che hanno il terzo ordine di Santo Francesco, e avea moglie, ed era un uomo malizioso e reo, e di diversa maniera; e andava facendo sua mercanzia di merce per Romagna e per Toscana; poi si tornava ad Imola, come vedea che per lui si facesse. Tornando costui una volta tra l'altre verso Imola, giunse una sera a Tosignano, e smontò a un albergo d'uno che avea nome Ugolino Castrone, il quale Ugolino avea per moglie una donna assai spiacevole e smancerosa, chiamata monna Zoanna: sceso che fu Fra Michel da cavallo, e venendosi rassettando, disse all'oste:
- Fa' che noi abbiàn ben da cena; hai tu buon vino?
- Sí bene, voi starete bene.
Disse Fra Michele:
- Deh, fa' che noi abbiamo una insalata.
Disse Ugolino:
- Zoanna, - chiamando la moglie, - va', cògli una insalata.
La Zoanna torce il grifo, e dice:
- Va', co' tela tu.
Il marito dice:
- Deh va' vi.
Ella risponde:
- Io non vi voglio andare.
Fra Michele, veggendo i modi di costei, si rodea tutto di stizza. Ancora, avendo Fra Michele voglia di bere, dice l'albergatore alla moglie:
- Deh va' per lo tal vino.
E porgeli l'orciuolo.
Dice madonna Zoanna:
- Va' tu, che tornerai piú tosto, e hai l'orciuolo in mano, e sai meglio la botte di me.
Fra Michele, veggendo la spiacevolezza in moltissime cose di costei, dice all'oste:
- Ugolino Castrone, tu se' ben castrone, anco pecora; per certo, s'io fosse come te, io farei che questa tua moglie farebbe quello ch'io gli dicesse.
Disse Ugolino:
- Fra Michele, se voi fuste com'io, fareste quel che fo io.
Fra Michele si consumava di nequizia, veggendo i modi fecciosi della moglie d'Ugolino, e fra sé stesso dicea: "Signore Iddio, stu mi facessi tanta grazia che morisse la donna mia e morisse Ugolino, per certo e' converrebbe che io togliessi costei per moglie, per gastigarla della sua follia". Passossi Fra Michele la sera come poteo, e la mattina se n'andò ad Imola.
Avvenne che l'anno seguente in Romagna fu una mortalità, per la quale morí Ugolino Castrone e la donna di Fra Michele. Da ivi a parecchi mesi, cessata la pestilenza, e Fra Michele adoprò tutti gl'ingegni ad avere per moglie madonna Zoanna; e in fine fu adempiuto il suo intendimento. Venuta questa buona donna a marito, e andandosi la sera a letto, dov'ella si credea esser vicitata con quello che sono le novelle spose, e Fra Michele che non avea sgozzato ancor la 'nsalata da Tosignano, la vicita con un bastone, e cominciagli a dare, e sanza restare tanto gli diede che tutta la ruppe; e la donna gridando, egli era nulla, ché costui gliene diede per un pasto, e poi s'andò a dormire.
Da ivi a due sere, e Fra Michele disse ch'ella ponesse dell'acqua a fuoco, che si volea lavare i piedi; e la moglie, che non dicea: "Va', ponla tu", cosí fece; e poi levandola dal fuoco, e messala nel bacino, Fra Michele si cosse tutti e' piedi, sí era calda. Com'egli sente questo, non dice: che ci è dato? ; rimette l'acqua nell'orciuolo, e riposela al fuoco, tanto ch'ella levò il bollore.
Come questo fu fatto, toglie il bacino, e mettevi l'acqua, e dice alla moglie:
- Va', siedi, che io voglio lavare i piedi a te.
Costei non volea; alla fine per paura di peggio le convenne volere. Costui lavala con l'acqua bollente, la donna squittisce: "oimè"; e tira i piedi a sé. Fra Michele gli tira nell'acqua, e dàgli un pugno e dice:
- Tieni i piè fermi.
La donna dice:
- Trista, io mi cuoco tutta.
Dice Fra Michele:
- E' si dice: "Togli moglie che ti cuoca"; e io t'ho tolta per cuocer te, innanzi ch'io voglia che tu cuoca me.
E brievemente, e' la cosse sí, che piú di quindici dí stette che quasi non potea andare, sí era disolata. E un altro dí gli disse Fra Michele:
- Va' per lo vino.
La donna che non potea appena metter li piedi in terra, tolse la 'nghestara, e andava a stento come potea. Com'ella è in capo della scala, e Fra Michele di dietro gli dà un pugno, dicendoli:
- Va' tosto -; e gettala giú per la scala; e poi aggiunge: - Credi tu che io sia Ugolino Castrone, che quando ti disse: "Va' per lo vino"; e tu rispondesti: "Va'vi tu"?
E cosí questa donna Zoanna, cotta, livida e percossa, convenía che facesse quello che quando ell'era sana non volea fare.
Avvenne che un dí Fra Michele Porcello serrò gli usci della casa per fare l'ottava con lei; questa, avvedendosi, fuggí di sopra, e per una finestra d'in sul tetto se n'andò fuggendo di tetto in tetto, tanto che giunse a una vicina di Fra Michele, alla quale venendognene pietà, se la ritenne in casa; e poi alcuno e vicino e vicina, venendo a pregar Fra Michele che ritogliesse la sua donna, e che stesse con lei come dovesse, egli rispose che com'ella se n'era ita cosí ritornasse; s'ella se n'era andata su per le tettora, per quella medesima via ritornasse, e non per altra; e se ciò non facesse, non aspettasse mai di ritornare in casa sua. La vicinanza sappiendo chi era Fra Michele, feciono che su per le tetta, come le gatte, la donna ritornò al macello. Com'ella fu in casa, e Fra Michele comincia a sonare le nacchere. La donna macera e tormentata, dice al marito:
- Io ti priego che innanzi che tu mi tormenti ogni dí a questo modo, senza saper perché, che tu mi dia morte.
Dice Fra Michele:
- Poiché tu non sai ancora perché io fo questo, e io tel voglio dire. Tu ti ricordi bene quando io venni una sera allo albergo a Tosignano, che tu eri moglie d'Ugolino Castrone; e ricorditi tu quando egli ti disse che tu andassi a cogliere la insalata per mi, e tu dicesti: "Va' vi tu"? - E su questa, gli diede un grandissimo pugno; e poi dice:
- E quando disse: "Va' per lo tal vino"; e tu dicesti: "Io non vi voglio andare"? - E dàgliene un altro.
- Allora me ne venne tanto sdegno che io pregai Iddio che desse la morte a Ugolino Castrone e alla moglie che io avea, acciò che io ti togliesse per moglie. Egli, come pietoso esauditore de' miei prieghi, gli mandò ad esecuzione; e ha fatto sí che tu se' mia moglie, acciò che quello gastigamento che 'l tuo Castrone non ti dava, io te lo dea io; sí che ciò che t'ho fatto infino a qui è stato per punirti de' falli e de' fastidiosi tuoi modi, quando eri sua moglie. Or pensa che, essendo tu da quinci innanzi mia moglie, se tu vorrai tener quelli modi, quello che io farò; per certo, ciò che io ho fatto fino a qui ti parrà latte e mele; sí che a te stia oggimai, se tu con le prove e io co' bastoni e con li spuntoni, se bisognerà.
La donna disse:
- Marito mio, se io ho fatto per li tempi passati cosa che non si convegna, tu m'hai ben data la pena. Dio mi dia grazia che da quinci innanzi io faccia sí che tu ti possa contentare; io me ne 'ngegnerò e Dio me ne dia la grazia.
Fra Michele disse:
- Messer Batacchio te n'ha fatta chiara; a te stia.
Questa buona donna si mutò tutta di costumi, come s'ella rinascesse; e non bisognò che Fra Michele adoperasse, non che le battiture, ma la lingua, ch'ella s'immaginava quello che egli dovesse volere, e non andando, ma volando per la casa, e fu bonissima donna.
Io per me, come detto è, credo ch'e' mariti siano quasi il tutto di fare e buone e cattive mogli. E qui si vede che quello che 'l Castrone non avea saputo fare, fece il Porcello. E come che uno proverbio dica: buona femmina e mala femmina vuol bastone; io sono colui che credo che la mala femmina vuole bastone, ma alla buona non è di bisogno; però che se le battiture si danno per far mutare i cattivi costumi in buoni, alla mala femmina si vogliono dare perch'ella muti li rei costumi; ma non alla buona, perché s'ella mutasse li buoni, potrebbe pigliare li rei, come spesso interviene, quando li buoni cavalli sono battuti ed aspreggiati, diventano restii.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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