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Messaggi del 02/05/2015

Il Malmantile racquistato 02-2

Post n°1568 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

SECONDO CANTARE

21
Arrivati che furono ambeduoi
A conoscere omai il pan da' sassi,
E saper quante paia fan tre buoi (210);
Sebben dal padre avevan degli spassi,
Vedendosi già grandi impiccatoi (211),
Ed a soldi tenuti bassi bassi,
Ostico gli pareva e molto strano;
Ed in particolare a Florïano.

22
Dimodochè sdegnato, come ho detto,
Che il duca per la sua spilorceria
Ognor viepiù tenevalo a stecchetto,
Un dì si risolvette d'andar via;
Ma tacquelo, per fare il giuoco netto,
Fuor che al fratello, al qual 'n una osteria
Disse (veduto avendo a un fiasco il fondo)
Volersene ramingo andar pel mondo.

23
Amadigi a distorlo tutto un giorno
S'arrabbiò, s'aggirò come un paleo:
Ma perchè quanto più gli stava intorno,
Egli era più ostinato d'un Ebreo;
Tu vuoi ir, disse, è vero? o va' in un forno (212):
E dopo un grande e lungo piagnisteo,
Orsù, vanne, diss'egli, io me n'accordo;
Ma lasciami di te qualche ricordo.

24
Allor per soddisfarlo Florïano,
Acciocchè più tener non l'abbia in ponte,
Con un baston fatato, ch'avea in mano,
Toccò la terra e fece uscir un fonte.
E disse: quindi poi, benchè lontano,
Vedrai s'io vivo o s'io sono a Caronte;
Perchè quest'acqua ognor di punto in punto
In che grado io sarò diratti appunto.

25
Se al corso di quest'acqua porrai cura,
Tutto il corso vedrai di vita mia:
Mentr'ella è chiara, cristallina e pura,
Di' pur ch'io viva in festa ed allegria;
Ed all'incontro, se è torbida e scura,
Ch'ella mi va come dicea la Cia (213):
Ma quand'ella del tutto ferma il corso,
Di' ch'io sia ito a veder ballar l'orso (214).

26
Ciò detto, in capo il berrettin si serra,
Mette man(215), chiude gli occhi e stringe i denti:
E dà sì forte una imbroccata in terra,
Che 'l ferro entrovvi fino a' fornimenti (216).
In quel che (217) i grilli e i bachi di sotterra
Sgombrano tutti i loro alloggiamenti,
Pullula fuori un cesto di mortella,
E di nuovo Florian così favella:

27
Fratel mio caro, questa pianta ancora,
Com'io la passi, ti darà ragguaglio:
Cioè, mentr'ell'è verde, anch'io allora
Son vivo, fresco e verde come un aglio (218);
E quand'ella appassisce e si scolora,
Anch'io languisco od ho qualche travaglio:
In somma, s'ella è secca, leva (219) i moccoli,
Per farmi dire il requie scarpe (220) e zoccoli.

28
Poichè queste parole ebbe finito,
Dal suo caro Amadigi si licenza:
Il qual rimase tutto sbigottito,
Perocchè gli dolea la sua partenza;
Quando in sella Florian di già salito,
Senza gran doble o lettre di credenza,
Andonne a benefizio di natura (221),
Con due servi, cercando la ventura.

29
E il primo giorno fece tanta via,
Che i suoi lacchè, spedati e conci male,
Si rimasero, l'uno all'osteria,
E l'altro scarmanato allo spedale;
Ond'ei più non avendo compagnia,
Sebbene accanto avea spada e pugnale,
Per non aver paura in andar solo,
Cantava, ch'e' pareva un rusignolo.

30
Così nuove canzoni ognor cantando,
Con una voce tremolante in quilio (222)
E qualche trillettin di quando in quando,
Alle stelle n'andava e in visibilio (223):
Onde a' timori al fin dato di bando,
Tirava innanzi il volontario esilio;
E giunto a Campi, lì fermar si volle
A bere, e far la zolfa per B molle (224).

31
A Campi (225), ora spiantato alla radice,
Dominava in quei tempi Stordilano;
Sebben Turpino scrive, ed altri dice
Ch'ei regnasse in un luogo più lontano.
Ebbe una figlia, detta Doralice,
Che aveva un occhio che uccidea 'l cristiano (226):
Ma quel che più tirava la brigata,
È l'esser sola e ricca sfondolata.

32
Come io dissi, Florian nella cittade
Entrò per rinfrescarsi e toccar bomba (227):
Ma il gran frastuono che in quelle contrade
D'armi, di bestie e d'uomini rimbomba;
Il sentir su pe' canti delle strade
Tutti a cavallo risuonar la tromba;
Ed il voler saperne la cagione,
Lo fecero mutar d'opinïone.

33
Era già scavalcato ad una ostessa,
Per far, siccome ei fece, un conticino (228):
Nè altro ebbe che pane e capra lessa,
Che fitta (229) anche gli fu per mannerino.
Bevve al pozzo una nuova manomessa (230);
Perchè il vinaio avea finito il vino.
Fece conto, e pagò ben volentieri:
Poi chiese il fin di tanti strombettieri.

34
Ella rispose: e come? non lo sai?
Se per Campi non è altro discorso,
Che avendo il re una figlia, ch'oggimai
Abbraccerebbe un uom, prima che un orso (231):
E perchè reda ell'è, bella e d'assai,
Di pretendenti avendo un gran concorso,
Bandire ha fatto, acciò nessun si lagni,
Che in giostra, chi la vuol, se la guadagni.

35
Ma che occorre che in ciò più mi distenda,
Mentre la cosa è tanto divulgata?
Però lasciami andare, ch'io ho faccenda,
Avendo sopra un'altra tavolata.
Dice Florian che a' suoi negozi attenda,
Scusandosi d'averla scioperata:
E rimessa la briglia al suo giannetto,
Come un pardo saltovvi su di netto.

36
Tocca di sproni e vanne, e giunge in piazza,
Dov'egli ha inteso che s'ha a far la giostra,
Che per veder il popol vi s'ammazza;
E appunto i cavalier facean la mostra.
Sedeva il re, presente la ragazza,
Che quanto adorna e bella si dimostra,
Tanto è confusa, avendo a aver consorte,
Non a suo mo', ma qual vorrà la sorte.

37
Florian in contemplar faccia sì bella,
Dove quel crudo balestrier d'Amore
Tira frecciate come la rovella (232),
Sentissi anch'esso traforare il cuore:
E com'uomo di marmo in su la sella
Restò perplesso e pieno di stupore;
Scorgendo Amor, le Grazie, e in un raccolto
Le Trombe (233), e il non plus ultra di un bel volto.

38
Poffar, dicea, che bella creatura!
Quell'ostessa davvero avea ragione;
Perch'ella è bella fuor d'ogni misura:
Per me non saprei darle eccezïone.
Capperi! può ben dir d'aver ventura
Quello a cui tocca così buon boccone;
Ma s'ella s'ha da vincer colla lancia,
Oggi è quando ci arrischio anch'io la pancia.

39
O per tutt'oggi beccomi su moglie
Nobile, ricca e bella; o veramente
Vi lascio l'ossa. S'ella coglie, coglie;
Se no, a patire: o Cesare, o nïente.
Ciò detto, salta in campo, e un'asta toglie;
Intruppandosi là dov'ei già sente
Che appunto il re sollecita, e commette
Che pe' primi si tirin le bruschette (234).

40
Come volontaroso Florïano,
Senza chieder licenza o cosa alcuna,
Si fece innanzi: e postovi la mano,
Di trarne la più lunga ebbe fortuna.
Poco dopo il Marchese di Soffiano
Simile a quella anch'egli ne trasse una;
Ond'essi, come pria fu destinato,
Furono i primi a correr lo steccato.

41
Piglian del campo, e al cenno del trombetta
Si vanno incontro colla lancia in resta.
Il Marchese a Florian l'avea diretta
Per chiapparlo nel mezzo della testa;
Ma quei ch'è furbo, a un tempo fa civetta (235)
E aggiusta lui, dicendo: assaggia questa.
Perchè gli diede sì spietata botta,
Ch'egli andò giù come una pera cotta.

Note:

(210) BUOI ecc. Si noti che subito dopo aver nominato i buoi, con maligna allusione nomina il padre.
(211) IMPICCATOI. Che han passato i diciott'anni, cosicchè possono essere impiccati.
(212) VA' IN UN FORNO. Va' in malora, al diavolo, in galea.
(213) LA CIA, fruttaiuola, usava un certo suo detto laido per significare: Mi va male.
(214) BALLAR L'ORSO. Di' che son morto. Uno di quei tanti detti, usati dalla plebe buffona, per levarsi la trista idea della morte. (Salvini.)
(215) METTE MAN alla spada.
(216) FORNIMENTI. Qui l'elsa
(217) IN QUEL CHE. Mentre i grilli spaventati scappano.
(218) VERDE COME UN AGLIO. Qui vegeto ma la frase adoprasi anche a denotare uomo di poca sanità, alludendo allora non alla freschezza, ma al colore.
(219) LEVA. Compra.
(220) REQUIE SCARPE. Storpiamento buffonesco di requiescat. L'idea di scarpe ha poi attratta quella di zoccoli, anco perchè i frati sogliono accompagnare i morti.
(221) A BENEFIZIO DI NATURA. Ove fortuna lo guidasse.
(222) QUILIO. Falsetto.
(223) IN VISIBILIO. Si usa (dal Visibilium omnium et invisibilium) per andare in estasi; ma qui pare che significhi mandava note acutissime.
(224) PER B MOLLE. Bemolle o bimolle. Il doppio senso e l'idea di trincare che v' è dentro, son manifesti.
(225) CAMPI. Castello a sei miglia da Firenze, è detto spiantato alla radice non perchè sia diroccato affatto, ma per dire pieno di gente spiantata.
(226) 'L CRISTIANO. Gli uomini
(227) TOCCAR BOMBA. Partirsene presto. Chiamasi bomba nel giuoco dei birri e ladri quel luogo immune, cui toccando i fanciulli che fari da ladri, non possono esser presi da quelli che fan da birri: e perchè il trattenersi a lungo nella detta bomba non è permesso, toccar bomba ha il significato che s'è detto.
(228) FARE UN CONTICINO. Mangiare e pagare.
(229) FITTA. Ficcata la carota, fattogli credere che fosse castrato.
(230) NUOVA MANOMESSA. Il primo vino spillato, da manomettere, metter mano, mettere a mano un vaso nuovo. Nuovo, sta per insolito, perchè Floriano non s'era mai ritrovato a bever acqua.
(231) PRIMA CHE UN ORSO. È detto come per antifrasi, ad esprimere il jam matura viro, e il gran desiderio di sposarsi. Analoga a questa è la frase: a Farei il sacrificio di sposare quella ricca erede.
(232) COME LA ROVELLA. In frasi analoghe ora si sente dire: come un diavolo. Il tale corre come la rovella; corre come un diavolo.
(233) LE TROMBE. In una delle carte da giuoco delle Minchiate è effigiata la Fama con due trombe; e il nome di quella carta, stimata la più bella e detta Le trombe, passò a significare cosa perfetta nel suo genere.
(234) BUSCHETTE, o bruschette, sono fili di paglia di diversa lunghezza, con cui si tiran le sorti, così: Mettonsi perpendicolari fra le mani o fra due assi, in guisa che l'un de' capi sia nascosto. Chi tira il più lungo o il più corto (secondo il pattovito), ha la sorte; gli altri si succedono nella sorte, secondo che il filo tirato da ognuno è più o meno lungo.
(235) FA CIVETTA. Abbassa il capo. Vien dal giuoco di civetta che si fa in tre. Uno è nel mezzo con in capo un berretto che gli altri due, ai fianchi, s'ingegnano con botte di fargli saltar di capo. Ma botte non si puo dare finchè quel di mezzo, che ha le mani in terra, non le alza per dar mostaccioni a dritta e sinistra. Tutta l'arte per lui consiste nel far civetta mentre e' dà, e gli è dato lo scappellotto.

 
 
 

Sonetti di Agostino Gobbi 4-7

Sonetti di Agostino Gobbi

Tratti da "Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo" di Agostino Gobbi, aggiornato da Eustachio Manfredi, Volume 4, 1^ edizione, Bologna 1711, per Costantino Pisarri, sotto le Scuole. Il frontespizio del volume reca il seguente titolo: Rime d'alcuni illustri autori viventi aggiunte alla terza parte della Scelta d'Agostino Gobbi.

4. pag. 9

Costei, che dolcemente i cori ancide,
E tutto, ove che passi, ad arder move
Con quelle altere sue leggiadre, e nove
Forma, cui pari il Mondo altre non vide;

Qualora o dolce parla, o dolce ride,
Cotanta e tal dolcezza al cor mi piove,
Che l'alma da me parte, e và la dove
Altrui sua gloria il sommo Ben divide.

Ed ivi intorno gira, e cose vede
Veramente celesti; ivi d'appresso
Nel bel si specchia, onde ogni bel procede.

S'indi poi parta, ed a me torni, io spesso
Nol sò; sò ben che mira, o mirar crede
Nel costei volto di quel lume istesso.


5. pag. 9

Chi è costui, che col possente, e forte
Suo braccio impugna sanguinosa face,
Tal che, mentre la scuote, il Mondo sface,
Ne di fuggir sue mani alcuno ha in sorte?

Chi è costui, che fra le sue ritorte
tien la bella pietà, la cara pace,
E carco di Trofei, con piede audace
Va pel suo regno in compagnia di morte?

Chi è costui, che dispietato, e fiero
Dietro al carro si tira Uomini, e Dei,
E il Mondo empie di stragi, e di terrore?

Questi è colui, che il vulgo chiama amore,
Colui, che sì temuto, e grande fero,
Donna, la tua fierezza, e i pianti miei.


6. pag. 10

Ninfe, che per fiorite, ombrose valli
Scherzando gite, e a passi or presti, e or lenti
Menate intorno a l'acque lor correnti
Cari, leggiadri, ed amorosi balli.

Solinghi augei, che ne' più verdi calli
Udir vi fate in sì dolci concenti,
Ora frenando il volo a i freschi venti,
Ed orail corso a i liquidi cristalli.

Chiari fonti, erti colli, e piagge apriche,
Che fate il loco così bello, e adorno,
Mille spargendo odor per l'aure amiche;

Or che lunge da voi faccio soggiorno,
Trovo le stelle a' miei desir nemiche,
Men bello il Sole, e men sereno il giorno.


7. pag. 10

Angel dal Cielo in terren manto avvolto
Scese a Maria l'aer fendendo, e i venti,
E d'un Dio le svelò le brame ardenti,
D'esser di lei nel puro grembo accolto.

Al vago aspetto, cui ritrarre è tolto
Con mortal lingua, a i santi rai lucenti,
E al nuovo suon di que' divini accenti
Tinse Maria d'un bel rossore il volto.

E nel pensier sospesa accolse al core
le sue virtudi, e al suol chinò le ciglia,
Macchiar temendo il Virginal candore.

Oh gran Virtù, cui nulla altra somiglia!
Oh eccelsa, inclita Donna! Oh bel timore,
Come m'avete pien di maraviglia!

 
 
 

Il Malmantile racquistato 02-1

Post n°1566 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

SECONDO CANTARE

Argomento

De' due gran figli del signor d'Ugnano
Prodigioso il natal narra Baldone:
Come s'acquista moglie Florïano,
E vien dall'Orco poi fatto prigione:
Come Amadigi libera il germano,
E il mostro spaventoso a terra pone:
E dice al fin, che l'un di questi dui
Fu padre a Celidora, e l'altro a lui.


1
Era in Ugnano (182) il duca Perïone
Che sempre all'altarin fidecommisso (183)
Faceva notte e dì tanta orazione
E tante carità, ch'era un subisso:
Nè per altro era tutto bacchettone
Che per un suo pensiero eterno e fisso
D'aver prole; perchè della sua schiatta
Non v'era, morto lui, nè can nè gatta.

2
Così durò gran tempo: ma da zezzo,
Vedendo ch'ei non era esaudito,
Essendo omai con gli anni in là un pezzo,
A mangiar cominciò del pan pentito:
E quant'ei far solea posto in disprezzo,
Senza voler più dar del profferito (184)
Gettatosi all'avaro ed al furfante,
Cambiò la dïadema (185) in un turbante.

3
Di poi tutto diverso e mal disposto
In modo degli Dei faceasi beffe,
Che s'egli udia trattarne, avria piuttosto
Voluto sul mostaccio uno sberleffe (186).
La moglie un miglio si tenea discosto:
E dov'ei dava ai poveri a bizzeffe (187),
Quando picchiavan poi, dalla finestra
Facea lor dare il pan colla balestra (188).

4
La plebe, i grandi ed ogni lor ministro,
Che il duca così buono avean provato,
Mentre fu scudo ad ogni lor sinistro,
Ed in lor pro sarebbesi sparato;
Vedutolo così mutar registro,
E diventare un Turco rinnegato,
Eran talmente d'animo cattivo,
Che l'avrebbon voluto ingoiar vivo.

5
Avvenne, che già inteso un negromante,
Che un uom, com'era quei, sì giusto e magno,
Faceva novità sì stravagante,
Un atto volle far da buon compagno:
E per ridurlo all'opre buone e sante,
Non per speranza di verun guadagno,
Fintosi un baro, a dargli andò l'assalto,
Un po' di ben chiedendo per Sant'Alto (189).

6
Rispose Perïone: Fratel mio,
Se tu te lo credessi, tu t'inganni:
Tu vuoi ch'io doni per l'amor di Dio,
Nè sai ch'io piglierei per San Giovanni (190).
Se t'hai bisogno, che posso far io?
Che son Fra Fazio (191), che rifaccia i danni?
E che pensi, che qua ci sia la cava?
Non è più tempo che Berta filava.

7
Signor, soggiunse il mago, mi sa male
Di veder che un sì gran limosiniere,
Ed uom tanto benigno e liberale,
Caduto sia nel mal del miserere (192).
Or basta; chi del mio fa capitale,
Diss'egli, fa la zuppa nel paniere:
Però va' in pace, tu co' tuoi bisogni,
Perchè per me tu mangerai dei sogni.

8
Come, replicò quei, se e' si cicala
Che tu daresti via fin la gonnella;
Vedendomi spedato e per la mala (193),
Potrai avere il granchio alla scarsella?
Poichè tu gratti (194) il corpo alla cicala,
Disse il duca, io levai questa cannella (195),
Per quel ch'io ti dirò; perchè se già
Donai, non era tutta carità.

9
E' non batteva la mia fine altrove,
Che ad aver, prima ch'io serrassi gli occhi,
In ricompensa un dì, piacendo a Giove,
Della mia donna quattro o sei marmocchi;
Ma finalmente, dopo mille prove
Di dar il lustro a' marmi co' ginocchi,
Tenendo gli occhi in molle e il collo a vite,
E le nocca (196) col petto sempre in lite,

10
Io l'ebbi bianca (197) a femmine ed a maschi;
Ond'io, sbraciar(198) volendo a bel diletto,
Mi risolvei levar quel vin da' fiaschi (199),
E non dar più quanto un puntal d'aghetto (200);
Perchè po' poi, diss'io, gli è me' ch'io caschi
Dalle finestre prima che dal tetto:
E il cavarmi di mano adesso un pelo,
Sarebbe un voler dare un pugno in cielo.

11
Che pagheresti, disse lo stregone,
Se la tua moglie avesse il ventre pregno?
Se ciò fosse, rispose Perïone,
Ancorch'io non ne faccia alcun disegno
E tal voglia appiccata abbia all'arpione,
Io ti vorrei donar mezzo il mio regno.
Soggiunse quei: Non vo' pur una crazia (201),
Ma solamente la tua buona grazia.

12
Altro da te non aspettar ch'io chieda,
Nè che alcuno interesse mi predomini;
Perchè, quantunque abietto altri mi veda,
Io ho in cul la roba e schiavo son degli uomini.
Or basta: se tu brami d'aver reda
Che il regno dopo te governi e domini,
Commetti al Mosca, al Biondo e a Romolino,
Che un cuor ti portin d'asino marino.

13
Et ordina di poi, che se ne cuoca
La terza parte in circa arrosto o lessa;
Ch'in tutti i modi è buona; e danne un poca
In quel modo a mangiare alla duchessa.
Presa che l'ha, gli è fatto il becco all'oca (202);
Chè subito ch'in corpo se l'è messa,
Senzachè tu più altro le apparecchi,
Dottela pregna infin sopr'agli orecchi.

14
Oh questa, disse il duca, è veramente
Da pigliar colle molle! che un somaro
Possa col cuore ingravidar la gente!
Vedi, non ti son finto; io non la paro (203).
Orsù il provar non ha a costar nïente:
E quando mi costasse anco ben caro,
Vo' farlo per veder se ciò riesce;
Però si mandi al mar per questo pesce.

15
Benchè fusse costui come una pina (204)
Tanto largo, ignorante e discortese;
Per non balzare un tratto alla berlina,
I pescatori vennero in paese (205):
Così pescando lungo la marina,
Questo benedett'asino si prese:
E il cuor 'n un bel bacino inargentato,
A suon di pive al duca fu portato.

16
Ed egli, preso il prelibato cuore,
Lo diede al cuoco: al qual, mentre lo cosse,
Si fece una trippaccia, la maggiore
Che a' dì de' nati mai veduta fosse.
Le robe e masserizie a quell'odore
Anch'elle diventaron tutte grosse;
E in poco tempo a un'otta tutte quante
Fecer d'accordo il pargoletto infante.

17
Allor vedesti partorire il letto
Un tenero e vezzoso lettuccino;
Di qua l'armadio fece uno stipetto;
La seggiola di là un seggiolino;
La tavola figliò un bel buffetto (206);
La cassa un vago e piccol cassettino;
E il destro (207) un canteretto mandò fuore,
Che una bocchina avea tutta sapore.

18
Il cuoco anch'egli poi non fu minchione;
Perchè, bucar sentitosi in un fianco,
Si vedde prima uscirne uno stidione;
Di poi un guatterin in grembiul bianco,
Che in far vivande saporite e buone
Fu subito squisito e molto franco:
E in quel che 'l padre stette sopr'a parto,
Cucinò in corte a lui, al terzo e al quarto.

19
La duchessa, che 'l cuore avea inghiottito,
Cotto ch'ei fu con ogni circostanza,
Anch'ella con gran gusto del marito
Stampò due bamboccioni d'importanza:
Grazie e bellezze aveano in infinito,
E così grande e tanta somiglianza,
Tanto eran fatti uguali ed a capello,
Che non si distinguea questo da quello.

20
Crebbero insieme, ed all'adolescenza
Pervenuti, mangiaro il pane affatto (208).
Nel far santà (209), nel far la riverenza,
Ebbero il corpo a maraviglia adatto.
Tra lor non fu mai lite o differenza;
Ma d'accordo volevansi un ben matto.
L'Infante Florïano uno ebbe nome:
E quell'altro Amadigi di Belpome.

Note:

(182) UGNANO è piccol luogo tra Firenze e la Lastra presso ad Arno.
(183) FIDECOMMISSO. Assiduo, che sta sempre in un luogo.
(184) DEL PROFERITO. Nemmen quello che aveva promesso o profferto.
(185) CAMBIÒ LA DIADEMA. Di santo si fece turco. Qui la diadema è il nimbo.
(186) SUL MOSTACCIO UNO SBERLEFFE.Uno sfregio in viso per ignominia.
(187) BIZZEFFE. Sull'origine di questa voce I'ingegnosa opinione del Minuccí, quantunque non appoggiata da documenti, merita di esser conosciuta. Quando il magistrato romano concedeva grazia intera, scriveva sotto il memoriale del supplicante, F. F., cioè Fiat, Fíat, e la grazia dicevasi data a bis effe, a bizzeffe
(188) COLLA BALESTRA. Li saettava col pane stesso, o con pietre, se accostavansì a prendere il pane.
(189) SANT'ALTO. L'Altissimo. È modo di lingua furbesca.
(190) PIGLIEREI PER SAN GIOVANNI. Questo è il Santo protettore di Firenze. In quel giorno tanto solenne, i birri non potevan nommeno pigliare, cioè catturare, i banditi. Ora, di uomo avidissimo, si dice ch'ei piglierebbe il dì di san Giovanni, o per san Giovanni, usando pigliare nel suo natural senso di accettare e prendere.
(191) FRA FAZIO. Accorciato di Boni-fazio, facitore di bene.
(192) CADUTO SIA NEL MAL DEL MISERERE Sia divenuto misero, cioè avaro; ovvero: abbia preso a fare il contrario di ciò che era il consueto suo naturale, come è nel detto morbo che le fecce escono dalla bocca. La denominazione italìana di questa malattía, che è, il Volvulus dei Latini, pare che sia stata originata da una falsa interpretazione del nome greco eileòs, volvulus scambiato con eleòs, misericordia, ed eleéo misereri.
(193) PER LA MALA vita. Ridotto a mal partito.
(194) TU GRATTI ecc. Tu. m'inciti a discorrere, vuoi farmi cantare.
(195) LEVAR LA CANNELLA. Desistere dal fare una cosa: ed è preso dal levar la cannella alla botte.
(196) LA NOCCA o nocche delle dita.
(197) IO L' EBBI BIANCA ecc. Nell'estrazione di un premio al lotto, le sole polizze premiate sono scritte, le altre bianche. Onde averla bianca a una cosa vale non ottenerla.
(198) SBRACIAR. Scialacquarsi la mia roba.
(199) LEVARE IL VIN DA FIASCHI, vale finir che che sia, finirla.
(200) AGHETTO. cordoncino con puntale di metallo.
(201) CRAZIA, Moneta toscana che valeva sette centesimi di lira italiana.
(202) GLI È FATTO IL BECCO ALL'OCA. La cosa è fatta. Chi vuol conoscere l'origine di questo detto, la troverà nel Mambriano, c. II e nelle novelle del Pecorone.
(203) NON LA  PARO. Non la credo. È tratto da un certo giuoco di dadi, nel quale chi tien la posta dice párola; e non la tenendo, dice Non la paro.
(204) LARGO COME UNA PINA  Verde è detto ironico che vale strettissimo, avarissimo, perchè la pina finchè è verde non apre le scaglie, o involucri de' semi.
(205) VENNERO IN PAESE. Vennero in scena, si lasciaron trovare, comparvero.
(206) BUFFETTO. Tavolinuccio.
(207) DESTRO. Il comodo, il cesso.
(208) MANGIARO IL PANE AFFATTO, senza lasciar rosumi, il che si fa dai fanciulli. Divennero giovani fatti.
(209) FAR SANTÀ (sanitá), Salutare.

 
 
 

Ragionamento

Post n°1565 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

Ragionamento

D'un aspirante all'impiego negli stati del Papa

Nsinenta (1) da pivetto (2) Sor Nicola,
Nun ho avuto mai voja de fa gnente:
Mai la lezione m'imparavo a mente,
Via... ero er più somaro della scola.

Che pe magnane c' è la scienza sola?...
Nun magna benché brava tanta gente!
E io che nun ho fatto n'accidente
Mejo dell'antri magnerò a parola.

Si vado a Roma e senza trovà inciampo
Incomincio der ladro la carriera.
Ce scummetto m'impiegheno n' dun lampo.

So p' un dipotis (3) poi nun me la scampo
D'annà (caso impossibile) in galera.
Armeno ciavrò er pane finché campo.

Note:

1. Perfino.
2. Ragazzo
3. Se per ana ipotesi.

Augusto Marini
(1860)
Da: Cento sonetti in vernacolo romanesco, Perino 1877

 
 
 

Il Malmantile racquistato 01-4

Post n°1564 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

PRIMO CANTARE

66
Gobba e zoppa è costei, orba e mancina,
Ha il gozzo, e da due sfregi il viso guasto:
Scorse in Firenze ognor la cavallina (147)
Ne' lupanari, con gran pompa e fasto:
E perchè ossequi avea sera e mattina,
E il titol di Signora a tutto pasto,
Fatta arrogante, alfine alzò il pensiero
A voler questi onori da dovero.

67
Così la mira ad alto avendo messa,
A' suoi frustamattoni (148) un dì ricorsa,
Bramar dice una grazia, e che in essa
Non si tratta di scorporo di borsa,
Ma perchè aspira a farsi Principessa,
Desidera da loro esser soccorsa,
Col loro aiuto, volendo, e consiglio
Provar, se a Malmantil può dar di piglio.

68
Pronto è ciascuno, e vuol tra mille stocchi
Esporre il ventre, come un paladino;
Chè, per servire a dame, tali allocchi
Cercan l'occasïon col fuscellino;
Ma non si parli o tratti di baiocchi,
Perchè non hanno un becco d'un quattrino,
E credon, promettendo Roma e Toma (149),
Di spacciar l'oro della bionda chioma (150).

69
Era tra' molti suoi più fidi amanti
Un ciarlon, che però detto è il Cornacchia (151):
Ed è di quei pittor che i viandanti
Collo stioppo dipingono alla macchia (152):
E perchè nella lingua ha il suo in contanti,
Molto si vanta, assai presume e gracchia:
E finalmente colorisce e tratta
Questo negozio come cosa fatta.

70
Scrive un viglietto poi segretamente
Ad un compagno suo capobandito;
Dicendo, che veduta la presente,
Il suo bagaglio subito ammannito,
Di notte tempo meni la sua gente
A Rimaggio (153), alla Svolta del Romito;
Ma vada alla spezzata e pe' tragetti:
E senza pensar altro ivi l'aspetti.

71
Andò la carta: e quei ch'ebbe l'intesa,
Come quel che invitato era al suo giuoco,
Andonne e guidò seco a quell'impresa
Cent'uomin, colle lor bocche di fuoco.
Quivi il Cornacchia e quella buona spesa (154)
Di Bertinella giunsero fra poco,
Anch'eglino con grossa e folta schiera
D'una gente da bosco e da riviera.

72
Dopochè insieme tutti fur costoro,
Si fece de' più degni una semblea,
Del come, discorrendo fra di loro,
Sorprendere il castello si dovea;
Onde il Cornacchia, in mezzo al concistoro
Rizzato in piè, con gran prosopopea,
Ed una toccatina di cappello,
In tal modo cavò fuora il limbello (155):

73
Io so che a un ignorante, a un idiota
L'esser il primo a favellar non tocca;
Ma perdonate a questa zucca vota,
Signori, s'io vi rompo l'uova in bocca.
Scricchiola sempre la più trista ruota;
Così la lingua mia più rozza e sciocca
V'infastidisce, è ver, ma v'assicura
Che Malmantile è nostro a dirittura.

74
Credete a me: ciascun si stia nascosto
In queste macchie, in questi boschi intorno:
Ed io da voi frattanto mi discosto,
Nè questa notte farò più ritorno.
Rivedrenci colà doman sul posto;
Perchè, vicino al tramontar del giorno,
Vi farò cenno; or voi ponete mente,
E poi venite via allegramente.

75
Parte il Cornacchia, e corre presto presto
Da certi suoi amici contadini,
Da' quali le lor bestie piglia in presto,
E carica più some di buon vini:
E di soppiatto, come fante lesto,
Cavò di tasca certi cartoccini
Pieni d'alloppio: e dentro al vin gli pone,
Quello impepando (156) senza discrizione.

76
Così carreggia: e giunto a Malmantile,
All'aprir della porta la mattina,
Scarica in piazza il vino: ed un barile
A regalar ne manda alla regina.
Poi vende il resto a prezzo tanto vile,
Che ognun ne compra: e infin chi n'ha in cantina,
Per rivenderlo altrui il fiasco attacca (157):
Si cala al buon mercato, a quella macca (158).

77
Due o tre fiaschi davane a quattrino,
Ed a' poveri davalo a isonne (159);
Talchè tutti tuffandosi a quel vino
S'imbriacaron come tante monne (160):
E subito dal grande al piccolino,
Tanto degli uomin, quanto delle donne,
Cascaro in sonnolenza sì gagliarda,
Che desti non gli avrebbe una bombarda.

78
Quando il Cornacchia vedde il suo disegno
Già riuscito, andò sopr'alle mura,
Ed a' compagni fece il detto segno;
Che bene avendo al tutto posto cura,
Saliro al poggio senz'alcun ritegno,
Senza sospetto aver, senza paura:
Dietro al Cornacchia, lor guidone (161) e scorta,
Dentro al castello entraron per la porta.

79
E perchè ognun dormiva come un tasso (162),
La donna fece farne una funata,
E condursegli a' piedi a baciar basso (163),
E renderle il tributo ognun pro rata.
A Celidora poi restata in Nasso (164),
Cioè da' suoi vassalli rinnegata,
Giacchè tutti voltato avean mantello,
Comandò che baciasse il chiavistello (165).

80
Ella ubbidì, temendo ancor di peggio:
E benchè fosse un pezzo in là di notte,
Il pigliarsene subito il puleggio (166)
Un zucchero le parve di tre cotte (167).
Così finito il solito corteggio,
Con due strambelli (168) e un par di scarpe rotte,
Trista e strascina poi, per la boccolica
Un tozzo mendicava all'accattolica.

81
Intanto Bertinella del Reame
Garbatamente fecesi padrona:
E de' villaggi e d'ogni suo bestiame
Prese il possesso in petto ed in persona (169);
Poi per letizia cavalieri e dame
Regalò di confetti (170) e di pattona (171):
E segue ogn'anno di mandarne attorno,
«per la dolce memoria di quel giorno»(172).

82
Tostochè v'ebbe fitto il capo (173), volle
Che ognun serrasse il traffico e il negozio,
Donando a ciascheduno entrate e zolle,
Acciò se la passasse da buon sozio,
Ed allegro, a piè pari, ed in panciolle (174),
Senza briga vivesse in pace e in ozio.
Ognun vi s'arrecò di buona gana (175);
Chè la poca fatica a tutti è sana.

83
Così mai sempre in feste ed in convito
Tirano innanzi questi spensierati:
Nè moverebbon, per far nulla, un dito,
Bench'ei credesson d'essere impiccati.
Non teme della corte (176) chi è fallito;
Chè tutti i giorni a lor son ferïati (177):
Non v'è giustizia nè il bargel va fuora,
Se non per gastigar chiunque lavora.

84
Ma, s'io non erro, il tempo è già vicino
Che n'ha a venir la piena de' disturbi;
Mentre doman, per fare un buon bottino,
Andremo a dar addosso a questi furbi.
Così panno sarà di Casentino (178):
Nè si lamenti alcuno, o si sconturbi;
Chè chi nuoce al compagno in fatti o in detti,
Deve saper che chi la fa, l'aspetti.

85
Qui tacque il duca: e subito rattacca,
Col dire alla cugina in voce bassa,
Che, perch'egli ha la bocca asciutta e stracca
Il soggiungere a lei qualcosa lassa.
Non ho che dir, gli rispond'ella, un'acca;
Oltrechè la sarebbe carne grassa (179).
Di' piuttosto in che mo' noi siam parenti,
Ch'io non paia a costor degl'Innocenti.

86
Ed io, che non ne ho gran cognizione,
E sempre me ne sono stata a detta,
(Chè tutta la mia gente andò al cassone (180),
Come tu sai, ch'io ero fanciulletta)
T'udirò volentieri. Allor Baldone
Soggiunse: Or or ti servo: e a tanta fretta (181),
Perchè non gli moría la lingua in bocca,
Ricominciò quest'altra filastrocca.

Note:

(147) SCORRER LA CAVALLINA vale pigliarsi tutti i suoi gusti sfrenatamente; ma qui l'aggiunto  ne' lupanari gli dà un senso più particolare.
(148) FRUSTAMATTONI. Consumatori di mattoni, cioè tali che bezzican sempre ad una casa o bottega, senza spendervi mai un soldo.
(149) ROMA E TOMA. L'origine di questo detto, di cui a tutti è noto il valore, è molto incerta. V'è chi pensa che la parola Toma non abbia senso alcuno, e sia messa lì per fare rima con Roma; altri la vuol derivata dallo spagnolo tomar, pigliare, quasi dicesse: Ti si promette Roma? e tu toma, cioè piglia. Altri la crede una corruzione di timé onore; altri, plurale di tomo (volume o caduta da alto, precipizio); altri finalmente, e questa è la più probabile, crede che venga dal latino, Promittere Roman et omnia.
(150) L'ORO DELLA BIONDA CHIOMA. Credono rendersi accetti con niente altro che le loro lisciature.
(151) IL CORNACCHIA visse realmente e fu ladro e spia; e però dice il Poeta, che ebbe tutti i suoi capitali in contanti nella lingua.
(152) DIPINGERE ALLA MACCHIA un ritratto è farlo senza avere l'originale davanti, ma qui intende che il Cornacchia assaltava, o almeno era tale da assaltare, i viandanti per derubarli.
(153) RIMAGGIO (Rio Maggio, cioè rivo maggiore, come Via Maggio, cioè via maggiore) è presso a Malmantile dalla parte di Firenze meno d'un miglio: quivi presso è pure la Svolta del romito.
(154) QUELLA BUONA SPESA. Quella buona lana.
(155) LIMBELLO e limbelluccio. Pezzo o ritaglio di pelle. Qui lingua. Cavare il limbello per lo più significa parlare o scriver contro qualcuno
(156) IMPEPANDO. Per catacresi, spargendo di quella polvere d'oppio.
(157) IL FIASCO ATTACCA sopra la porta di casa per indicare che quivi si vende il vino a fiaschi. Questo si fa tuttora in Firenze.
(158) MACCA. Abbondanza.
(159) A ISONNE. Per niente, senza spesa. È detto plebeo.
(160) MONNA propriamente vale bertuccia, scimia. Vedi sopra, st. 10.
(161) GUIDONE. Guidatore, guida; ma con doppio senso Vedi sopra, st. 63.
(162) COME  UN SASSO. Più comunemente: come un ghiro.
(163) BASSO. Baciare il piede.
(164) IN NASSO. nota la favola d'Arianna abbandonata da Teseo nell'Isola di Nasso. Di questo modo pare che sia corruzione l'altro più comune: Restare in asso, cioè abbandonato, senza aiuto nè consiglio, che dicesi anche Rimanere nelle secche di Barberia, restare in isola.
(165) BACIARE IL CHIAVISTELLO. Andarsene senza speranza di ritornare.
(166) PIGLIARE IL PULEGGIO. Andarsene.
(167) DI TRE COTTE. Raffinatissimo. Le parve d'averla a buon mercato assai.
(168) STRAMBELLI. Vesti vecchie e lacere.
(169) IN PETTO ED IN PERSONA: Latinamente:animo et corpore.
(170) CONFETTI di montagna, cioè castagne secche sbucciate.
(171) PATTONA. Polenda o polenta che in Toscana si fa con farina di castagne.
(172) PER LA DOLCE ecc. PETRARCA, Trionfo d'Am.
(173) V'EBBE FITTO IL CAPO. Ebbe preso possesso di Malmantile.
(174) A PIÈ PARI ED IN PANCIOLLE. Poltroneggiando: ma questo detto valeva anche, ritto e col corpo in avanti.
(175) DI BUONA GANA. Di buona voglia. La voce gana di origine spagnola ora è antiquata.
(176) CORTE di giustizia.
(177) FERIATI sono i giorni, ne quali, ancorchè non festivi, non si tien ragione dai magistrati.
(178) PANNO SARÀ DI CASENTINO. Casentino è una regione di Toscana ove si fabbricava certo panno che, bagnato, rientrava molto. Un tale ne comprò, e credè di avere ingannato il mercante nella misura. Ma dopo che fu bagnato, il panno rientrò tanto che fu anche meno della misura giusta, e così il mercante fu vendicato. Di qui il detto che viene a valere: Ci vendicheremo.
(179) LA SAREBBE CARNE GRASSA. Farei al popolo come la carne grassa a chi la mangia che gli cagiona nausea.
(180) CASSONE. Qui, Sepolcro, e il detto vale Morire.
(181) A TANTA FRETTA. In tutta fretta, subito..

 
 
 

Il Congresso

Post n°1563 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Congresso

- Mbè se fa mastro Pietro sta riunione?
Se dice ch' è deciso addirittura
Pe li quinnici. - E sete de pinione (1)
Che je daranno poi st' impiommatura? (2)

- Senti, paranza (3) mio, Napolione
De dajela sarebbe si figura,
Ma sai che er Papa è Papa, e no scaccione
De daje apertamente ha un po' paura.

Quarche scusa però l'Imperatore
Saprà trovalla, pe caccialio via....
San Pietro ch'era arfine?... un pescatore.

Dunque ar congresso mo co pulizia
Procurerà che pure er Successore
Ritorni in quarche modo in pescaria.

Note:
1. Opinione.
2. Impiombare in dialetto romaneico vale danneggiare seriamante qualcuno.
3. Paranza, amico con cui si è sempre accompagnati.

Augusto Marini
Da: Cento sonetti in vernacolo romanesco, Perino 1877

 
 
 

Il Malmantile racquistato 01-3

Post n°1562 pubblicato il 02 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

PRIMO CANTARE

44
Or comparisce Dorïan da Grilli (97),
Che nella guerra è così buon soggetto,
Che metterebbe gli Ettori e gli Achilli,
E quanti son di loro, in un calcetto (98).
Scrive sonetti, canta ognor di Filli;
E, buon compagno, piacegli il vin pretto;
Rubato, per insegna, ha nel Casino
Il quattro delle coppe (99), che ha il Monnino (100).

45
Fra Ciro (101) Serbatondi, il sir di Gello,
Che in Pindo a Mona Clio sostiene il braccio (102);
Egeno de' Brodetti, e Sardonello
Vasari ch'è padron di Botinaccio,
Conducon tanta gente, ch'è un flagello,
Da far che le pagnotte abbiano spaccio:
Di cui (103) (perchè il mestar diletta a ognuno)
Si pigliano il comando a un dì per uno.

46
Di foglio (104) per impresa, un bel cartone
Insieme colla pasta egli hanno messo,
Dei lor fantocci, i quali da Perlone
Soglion copiare, o disegnar dal gesso.
Nel mezzo v'han dipinto d'invenzione
L'impresa lor, nella quale hanno espresso
Sulle tre ore il venticel rovaio,
Che ha spento il lanternone a un bruciataio (105).

47
Nanni Russa del Braccio, ed Alticardo
Conducon quei di Brozzi e di Quaracchi (106),
Che, perchè bevon quel lor vin gagliardo (107),
Le strade allagan tutte co' sornacchi.
Hanno a comune un lor vecchio stendardo,
Da farne a' corvi tanti spauracchi:
E dentro per impresa v'hanno posto
Gli spiragli del dì di Ferragosto (108).

48
Gustavo Falbi, cavalier di petto,(109)
Con Doge Paol Corbi or n'incammina
Gl'incurabili tutti, e 'l lazzeretto,
Gente che uscía di far la quarantina.
Van molti a grucce, in seggiola, e nel letto;
Perchè non son ancor netta farina,
Fan per impresa in un lenzuol che sventola,
Un pappino rampante ad una pentola.

49
Bel Masotto Ammirato anch'egli passa,
Lindo garzon, d'ogni virtù dotato:
Che può, de' soldi avendo nella cassa,
Pisciare a letto, e dire: Io son sudato;
Ma per l'ipocondria che lo tartassa,
Ei si dà a creder d'essere ammalato;
Ma e' mangia, beve, e dorme il suo bisogno,
(Ch'è sino a vespro) e poi si leva in sogno (110).

50
Collo scenario in mano e il mandafuora (111),
Va innanzi a' nobil suoi commilitoni;
Pancrazio, Pedolino e Leonora
Lo seguon con un nugol d'istrioni,
C'hanno un'insegna non finita ancora;
Perchè Anton Dei con tutti i suoi garzoni,
In cambio di sbrigar quella faccenda,
È ito al Ponte a Greve (112) a una merenda.

51
Don Panfilo Piloti move il passo,
Chè, tracchè per usanza mai sta cheto,
Or ch'ei fa moto, fa sì gran fracasso,
Ch'io ne disgrado il diavol 'n un canneto.
Assorda il mondo più d'ogn'altro il grasso
Papirio Gola, ch'appunto gli è dreto:
Il qual vestì di lungo (113), e fu guerriero;
Perocchè poco gli fruttava il clero.

52
E n'ha fatto con esso de' rammanzi (114),
Che un po' di campanile (115) non gli alloga:
E questa è la cagion, che là tra' lanzi (116)
Da soldato n'andò 'n Oga Magoga (117):
Nè quivi essendo men(118) tirato innanzi,
Posò la spada, e ripigliò la toga:
E per lo meglio si risolse alfine
Tornare a casa a queste stiacciatine (119).

53
Al che tra molti commodi s'arroge
Quel ber del vin, ch'è troppo cosa ghiotta.
Qua (120) birre, qua salcraut(121), qua cervoge;
A casa mia dicea, del vin s'imbotta;
Però finianla: Cedant arma togæ:
Io non la voglio, in quanto a me, più cotta (122):
Guerreggi pur chi vuol, s'ammazzi ognuno,
Ch'io per me non ho stizza con nessuno.

54
Così rinunzia l'armi a Giove, e stima
D'essere il più liet'uom che calchi terra:
Pensa stato mutar cangiando clima;
Ma trovata l'Italia tutta in guerra,
È forzato ferrarsi più che prima:
«Ecco il giudizio uman come spess'erra!»(123)
Crede tornar tra genti quiete e gaie,
E fugge l'acqua sotto le grondaie.

55
Tra Don Panfilo e lui uno squadrone
Dal Pontadera (124) aspettano e da Vico,
Che parte per la via vanno a Vignone (125),
E parte fanno un sonno a piè d'un fico.
Costoro empion di rena un lor soffione;
E quando sono a fronte all'inimico,
Gliela schizzan nel viso; ed in quel mentre
Gli piglian gli altri la misura (126) al ventre.

56
L'insegna di costoro è un montambanco,
Che ha di già dato alli suoi vasi il prezzo;
E detto che son buoni al mal del fianco;
E strolagato, e chiacchierato un pezzo:
Ma trovandosi al fin sudato e stanco,
E non avendo ancor toccato un bezzo,
Si scandolezza (127) ed entra in grande smania;
Poi dice ch'e' si parte per Germania.

57
Uomini bravi quanto sia la Morte,
Scandicci n'ha mandati e Marignolle (128);
Gente che si può dir ch'abbia del forte,
Poich'ella ammazza (129) gli agli e le cipolle.
Sue lance i pali son, targhe le sporte,
Archibusi le man, le palle zolle:
Va ben di mira, e colpo colpo imbreccia,
Massime quand'altrui vuol dar la freccia (130).

58
Vien comandata da Strazzildo Nori,
Ch'è chimico, poeta e cavaliere:
Ed è quei che in un quadro co' colori
Fece quei fichi che divenner pere.
E perchè questo è il re de' bell'umori,
Per dimostrar quanto gli piaccia il bere,
Ha per impresa un Lanzo (131) a due brachette,
Che il molle insegna trar dalle mezzette.

59
Morbido Gatti, Enrigo Vincifredi
A far venire innanzi ecco son pronti
I fanti che ne dà il Ponte a Rifredi (132),
Che mille sono annoverati e conti.
Han certi santambarchi (133) fino a' piedi,
Che chiaman(134) il zimbel(135) di là da' monti,
E paion con la spada in sulle polpe
Un che faccia lo strascico (136) alla volpe.

60
Nell'insegna han ritratto un uom canuto (137),
Che troppo avendo il crin (per esser vecchio)
Fioccoso e lungo, un fanciullino astuto
Dietro gli grida: Gli abbrucia il pennecchio.
Da questa schiera qui s'è provveduto
Gran ceste, piene d'uova e di capecchio,
Con fasce, pezze e taste, accomodate
Per farsi alle ferite le chiarate.

61
È General di tutta questa mandra
Amostante Laton(138), poeta insigne;
Canta improvviso come una calandra (139):
Stampa gli enigmi, strolaga e dipigne.
Lasciò, gran tempo fa, le polpe in Fiandra (140),
Mentre si dava il sacco a certe vigne.
Fortuna, che l'avea matto provato,
Volle ch'ei diventasse anche spolpato (141).

62
Passati tutti con baule e spada,
Serransi in barca come le sardelle.
Gli affretta il duca, e chi lo tiene a bada
O ferma un passo, guai alla sua pelle;
Ch'ei lo bistratta, comechè (142) ne vada
Giù la vinaccia e il sangue a catinelle:
E benchè lesto ciaschedun rimiri,
Non gli dà tanto tempo ch'ei respiri.

63
Perciò imbarcati tutti in un momento,
Poichè Baldon facea così gran serra,
Si spiegaron l'insegne e vele al vento.
Quando le navi si spiccâr da terra,
Ed egli allora entrò in ragionamento
Di quel che lo spingeva a far tal guerra;
Ma per contarla più distesa e piana,
Incominciò così dalla lontana.

64
Risiede Malmantil sovra un poggetto:
E chiunque verso lui volta le ciglia,
Dice che i fondatori ebber concetto
Di fabbricar l'ottava maraviglia.
L'ampio paese (143) poi, che egli ha soggetto,
Non si sa (vo' giuocare) a mille miglia:
V'è l'aria buona, azzurra oltramarina:
E non vi manca latte di gallina (144).

65
Il re di questo regno, giunto a morte,
La mia cugina qui, che fu sua Donna
(Non avendo figliuoli, o altri in Corte
Propinqui più), lasciò donna e madonna;
Ma come volle la sua trista sorte,
Un certo diavol d'una Mona Cionna (145),
Figliuola d'un guidone (146) ignudo e scalzo,
Ne venne presto a farle dar lo sbalzo.

Note:

(97) DORIAN DA GRILLI. Lionardo Giraldi, gentìluomo di bell'umore e poeta.
(98) CALCETTO è un calzamento a foggia di scarpa. Mettere altrui in un calcetto vale superarlo e avvilirlo.
(99) IL QUATTRO DELLE COPPE è una delle carte da giuoco, v. VIII, 61.
(100) IL MONNINO è una bertuccia, effigiata in mezzo a quel quattro. Il Giraldi ha per insegna il Monnino perchè egli era solito dare monnini. Quel che ciò sia, s'intenderà dal seguente esempio: Doriano disse ad un chierico: Non fu mai gelatina senza.... e qui si fermò come smemorato; il chierico finì subito il verso, dicendo alloro. E il Giraldi soggiunse: Voi siete il maggior bue che vada in coro.
(101) FRA CIRO ecc. Vedi l'indice dei nomi anagrammatici. Questi personaggi erano scolarì dì pittura dell' autore.
(102) SOSTIENE IL BRACCIO ecc. Fa il letterato.
(103) PAGNOTTE, per pani, è voce viva in molte parti d'Italia. Di cui. Della qual gente.
(104) DI FOGLIO ecc. Eglino per loro impresa han messo insieme colla pasta un bel cartone di fogli con disegni dei lor fantocci ecc.
(105) BRUCIATAIO chiamasi in Firenze il venditore di bruciate, cioè castagne o calde arrosto.
(106) BROZZI E QUARACCHI, luoghi vicini a Firenze.
(107) GAGLIARDO è detto quel vino ironicamente.
(108) FERRAGOSTO. Ferie d'Agosto. Celebravano gli antichi le ferie augustali con grandi allegrie, e i Fiorentini festeggiavano pure solennemente i primi due giorni di agosto, per memoria delle due rotte di Monte Murlo (1° agosto 1537 e di Manciano (2 agosto 1554), Ma poichè le dette feste erano quasì dismesse al tempo dell'autore, per questo nomina gli spiragli (spirare, morire), cioè gli avanzi.
(109) GUSTAVO ecc. Ugo Stufa, Balì della Religione di san Stefano. detto per giuoco cavalier di petto dalla croce dell'ordine che portava in petto. L'altro è Iacopo del Borgo. Essendo essi infermicci non son netta farina quando l'autore scriveva, si dà loro per insegna un PAPPINO, cioè portator di pappe al malati dello Spedale.
(110) SI LEVA IN SOGNO. Si leva, sognando che sia ora di levarsi, mentre non è. Ma è detto per iperbole ironica. Vuol dire: si leva a mezzodì, e afferma che s'è trovato in piedi prestissimo perchè sognava di levarsi, e si è levato di fatto.
(111) LO SCENARIO ecc. Bel Masotto Ammirato (Marchese Mattias Bartolomei) dilettavasi di fare e recitar commedie co' suoi amici Pancrazio ecc.; onde qui gli si danno in mano lo scenario e il mandafuora, che sono fogli in cui si descrivono i nomi dei recitanti, le scene ecc., perchè la rappresentazione proceda con ordine. - Il fatto narrato negli ultimi quattro versi par che sia vero: ma invece di stendardo, trattavasi di abiti da commedia.
(112) PONTE A GREVE è poco lontano da Firenze sulla strada di Pisa.
(113) VESTÌ DI LUNGO. Vestì tonaca o abiti talari.
(114) RAMMANZO, Ramanzina, rabbuffo, diceria, lagnanza.
(115) UN PO' DI CAMPANILE. Una chiesa, una cappellania.
(116) LANZI Guardie Tedesche.
(117) OGA MAGOGA. Lontan lontano.
(118) NÈ... MEN. Nemmeno.
(119) STIACCIATINE. Tornare al pentolino, ai comodi di casa.
(120) QUA. In Germania.
(121) SALCRAUT. Cavol salato.
(122) NON LA VOGLIO PIÙ COTTA. Mi basta così. Chi va all'osteria ed ha, fame, dice all'oste, per isbrigarsi: portala cotta com'è.
(123) «ECCO» ecc. Ariosto, I, 7
(124) PONTADERA, Vico, terre vicino a Pisa.
(125) VIGNONE o Vingone è un fiumicello tra Firenze e la Lastra: ma la frase qui usata signitica anche: Andare nelle VIGNE altrui a côrre l'uva.
(126) LA MISURA. La mira.
(127) SI SCANDOLEZZA. S'adira.
(128) SCANDICCI E MARIGNOLLE, Ville vicine a Firenze.
(129) AMMAZZA. Fa mazzi.
(130) DAR LA FRECCIA, Frecciare, chieder danari in presto, e si dice di chi ha poco modo e meno voglia di renderli.
(131) UN LANZO. Un Tedesco delle guardie, gran bevitore, Capace di scompisciare le due paia di brache che portava.
(132) PONTE A RIFREDI, luogo a vicino a Firenze.
(133) SANTAMBARCHI o saltambarchi specie di sopravveste o mantello rustico fatto di due lunghe strisce di panno cucito in croce con una buca in mezzo, per la quale passare il capo
(134) CHE CHIAMAN ecc. Che invitano a porcuotere di zimbello chi porta quei saltambarchi.
(135) ZIMBELLO qui è un sacchetto pieno di crusca o simile, coi quale i ragazzi, di carnevale percotevano i contadini: e mentre questi si voltavano per vedere, altri ragazzi li percotevano dall'altra parte.
(136) LO STRASCICO ecc. Per fare una certa caccia alla volpe si va strascinando per terra un pezzo di carnaccia legata a una fune.
(137) UN UOM CANUTO. Questi è un certo dottor Cupers, con cui ragionavano spesso i due nominati nella St. precedente. Questo dottore da vecchio andava molto lindo, e credevasi d'invaghire di sè tutte le donne: onde i monelli gli davan la baia.
(138) AMOSTANTE LATON. Antonio Malatesti scrittore di sonetti enimmatici.
(139) CALANDRA è una specie di lodola.
(140) LASCIÒ LE POLPE IN FIANDRA si dice di chi ha gambe molto sottili; ma qui per doppio senso il poeta vuol far credere di aver detto che Amostante riportò gravi ferite nelle guerre di Fiandra.
(141) MATTO SPOLPATO vuol dire matto del tutto; ma qui pure il poeta pretenderebbe che s'intendesse matto senza polpe alle gambe.
(142) COMECCHÈ ecc. Quasichè si trattasse di grave danno, come è quando, cessato il bollire del mosto, la vinaccia cala a fondo e lo guasta, se la non si toglie in tempo.
(143) L'AMPIO PAESE ecc.Io giuoco che non si trova chi sappia o possa giudicare a migliaia di miglia quanto paese gli è soggetto: e vi è equivoco in questa parola fra i due significati che essa ha, di situato sotto e sottoposto al dominio.
(144) LATTE DI GALLINA. Curioso è vedere come anche i Greci usassero questa stessa espressione, galà òrnithon
(145) MONA CIONNA. Titolo che si dava a donna dappoco, ma impacciosa e mestatrice, Questa è Bertinella.
(146) GUIDONE. Uomo vile e tristo.

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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