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Messaggi del 22/11/2015

Reprìca ar sonetto ...

Reprìca ar sonetto de Cianca de li quattro d’agosto 1828

La quale, nun saprebbe, in concrusione
stavo a aspettà con du’ lenterne d’occhi:
dico er zonetto co ttutti li fiocchi
c’avevio da mannamme a ppecorone.

Oh vvarda si nnun è da can barbone!
Tu me spenni pe ggurde e ppe mmajocchi,
e cquanno hai da fà ttu... ma ssi mme tocchi
un’antra vorta a mē..., dimme cojjone!

Li disciassette duncue, sor grostino,
nun lo sapete ppiú che ffesta edè?
Pozzi morí, nun è San Giuacchino?

Ar fin de fine che mme preme a mme?
Dico pe ddí che ddrento a cquer boccino
o nun c’è un cazzo, o c’è un ciarvello che...

Giuseppe Gioachino Belli
1829 - De Peppe er tosto
(Sonetto 6)

 
 
 

Anonimi (Scuola Siciliana)

Anonimi della Scuola Siciliana.

Deh, com'egli è gran pietate

Deh, com'egli è gran pietate
delle donne di Messina,
veggendole scapigliate
portando pietre e calcina!
Dio gli dea briga e travaglio
chi Messina vuol guastare.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Donna, lo fino amore

Donna, lo fino amore
m'ha tutto sì compreso,
che tutto son donato a voi amare.
Non pò pensar lo core
altro che amore acieso,
e come meglio vi si possa dare.
E certo lo gioioso cominzare
isforza l'amorosa mia natura;
ond'io mi credo assai magnificato,
e 'nfra gli amanti in gran gioi coronato.

Eo porto alta corona,
poich'eo vi son servente,
a cui m’asembra alto regnar servire,
sì alta gioi mi dona
a voi stare ubidiente:
pregone voi che 'l degnate gradire.
E vero ciertamente credo dire,
ch'emfra le donne voi siete sovrana
di ogni grazia, e di virtù compita;
per cui morir d'amor mi sana vita.

Se lingua ciascun membro
del corpo si faciesse,
vostre belleze non porian contare.
Ad ogni gioi v'asembro,
che dicier si potesse:
ciò avete bel che si può divisare.
Molto ci ha belle donne e d'alto affare:
voi soprastate, come il ciel la terra:
ché meglio vale aver di voi speranza,
che d'altre donne aver ferma ciertanza.

Ancor che sia graveza
lo tormento d'amore,
ma ciò ch'abo d'amor m'asembra bene:
e nulla crudeleza
poté pensar lo core
che aveste, donna, 'n voi, che non s'avene.
Gioco e sollazo me sostene in pene,
sperando ch'avenir può la gran gioia.
Meglio mi sa per voi mal sostenere,
che compimento d'altra gioia avere.

Madonna, il mio penare
per fino amor gradisco,
pensando ch'è in voi grande conoscienza.
Troppo non de' durare
l'affanno che sofrisco:
ché bon segnor non dà torta sentenza.
Compiutamente è 'n voi tutta valenza;
merito voi siete, e morte e vita.
Più vertudiosa siete in meritare,
che io non posso in voi servendo amare.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



L'altrier fui 'n parlamento

L'altrier fui 'n parlamento
con quella cui agio amata:
feciemi grande lamento,
ch'a forza fue maritata.
E dissemi: "Drudo mio,
merzè ti chero, or m'aiuta;
ché tu se' in terra il mi' dio;
in tuo' mani so' arenduta:
per te colui non vogl'io.

Cierto ben degio morire,
ché 'l cor del corpo m'è tratto.
Vegio 'l mio padre amanire
per compier 'l mal che m'ha fatto.
Sir Idio, or mi consiglia,
donami lo tuo conforto
de l'om ch'ha forza mi piglia.
Uguanno lo vegia io morto:
di farmi dol s'asotiglia!

Drudo mio, da lui mi parte
e tràmi d'esta travaglia;
mandame in altra parte,
ché m'è in piacier san' faglia.
Perché non agio in balìa
lo padre mio che m'ha morta?
Non pare ch'altro mi dia
se non di gioi mi sconforta
e di ben far mi disvia".

"Donna, del tuo maritare
lo mio cor forte mi duole:
cosa non è da disfare,
rasgion so ben che non vuole.
Ché io t'amo sì lealmente,
non vo' che facie fallanza;
che ti biasmasse la giente
ed io ne stesse in dotanza:
dico il ver fermamente.

Assai donne mariti hanno
che da lor son forte odiati:
de' be' sembianti lor dànno,
però non son di più amati.
Così voglio che tu faccia,
ed averai molta gioia:
quando t'avrò nuda in braccia
tutt'andrà via la tua noia.
Di così far ti procaccia".

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Lévati dalla porta

"Lévati dalla porta:
lassa, ch'or foss'io morta
lo giorno ch'i' t'amai!

Lévati dalla porta,
vatten alla tua via;
ché per te seria morta,
e non te ne encresceria.
Parti, valletto, partiti
per la tua cortesia:
deh, vattene oramai".

"Madonna, ste paraule
per dio non me le dire.
Sai che non venni a càsata
per volermene gire.
Lévati, bella, ed aprimi,
e lasciami trasire:
poi me comanderai".

"Se me donassi Trapano,
Palermo con Messina,
la mia porta non t'àpriro,
se me fessi regina.
Se lo sente marìtamo
o questa ria vicina,
morta distrutta m'hai".

"Marìtato non sentelo,
ch'el este addormentato,
e le vicine dormeno:
primo sonno è passato.
Se la scurta passàssenci,
serìa stretto e ligato".
"E tu perché ci stai?"

"Che la scurta passàssenci,
o vergine Maria,
tutti a pezzi tagliàssenci
en mezzo della via!"
"Ma non dinanzi a càsama,
ch'io biasmata serìa.
E perché non te n'vai?"

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Part'io mi cavalcava

Part'io mi cavalcava
audivi una donzella,
forte si lamentava,
dicea: "Oi madre bella,
lungo tempo è passato
ch'io degio aver marito,
e tu non lo m'hai dato;
quest'è malvagio invito,
ch'io sofro, tapinella.

La vita de sto mondo
nulla cosa mi pare,
quand'altri è giucondo,
me ne membra penare:
non agio quel ch'io voglio,
ma perdo lo sollazo;
spesso languisco e doglio,
fra me me ne disfazo,
membrando quello affare".

La madre le risponde:
"Figlia mia benedetta,
se l'amor ti confonde
de la dolce saetta,
ben ti puoi soferire:
tempo non è passato,
ché tu porrai avire
ciò c'hai disiderato,
ca tèntene in distretta".

"Per parole mi mini,
tuttor così dicendo;
questo patto non fini,
ed io tutta ardo e 'ncendo.
La voglia mi domanda
cosa che nomar suole
una luce miranda
ch'è più chiara che 'l sole;
per ella vo languendo".

"Oi figlia, non pensai
sì fosse mala tosa,
ché ben conosco ormai
di che se' goliosa;
ché tanto n’hai parlato,
non s'avene a pulcella,
credo che l'hai provato
sì ne sai la novella.
Lascioti dolorosa".

"Oi vecchia trenta cuoia,
non mi stare in tenzone,
se non vuoli ch'io muoia
o perda la persone;
ché lo cor mi sollaza
membrando quella cosa
che le donne sollaza,
per ch'amor ne riposa,
ed io ne sto 'n arsione!"

Canzonetta novella,
moveti a lo palese
e vanne a la donzella,
che sta ne le difese:
a Saragosa n'anda,
e va fedelemente,
canta là ad ogni banda
per la rosa più gente
chi sia ne lo paese.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: A. Giuliani, Antologia della poesia italiana. Dalle origini al Trecento, vol. I, Feltrinelli, Milano, 1975.

 
 
 

Questione di razza

Post n°2276 pubblicato il 22 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Questione di razza

-Che cane buffo! E dove l' hai trovato? -
Er vecchio me rispose: -è brutto assai,
ma nun me lascia mai: s' è affezzionato.
L' unica compagnia che m' è rimasta,
fra tanti amichi, è ' sto lupetto nero:
nun è de razza, è vero,
ma m'è fedele e basta.
Io nun faccio questioni de colore:
l'azzioni bone e belle
vengheno su dar core
sotto qualunque pelle.

Trilussa

 
 
 

Er ratto de le sabbine 5-2

Er ratto de le sabbine
Povemetto de cinque canti in sesta rima tutto da ride scritturato in der chiacchierane romanesco dar padron Raffaelle Merolli co l'aggiunta de cert'antre su povesie e coll'innice arfabbetico de la spiegazione de le parole romanesche più indifficile a capesse da quelli che parlano er tajano più scerto e ciovile. Roma, nella Stamperia delle Incisioni Bibliografiche, 1865.
Tratto da Rugantino n. 12924 del 17 gennaio 2012 e successivi numeri.

CANTO QUINTO

25

Ditto accusì er gueriero malappena
A un antenato che je sta davante
A dritta e a manca du schiaffoni mena
Che le ganasse j’ebbe mezze sfrante;
Tre vorte, intontonito, lui girone
E tunfe ’nterra capitommolone.

26

Pe vennicane allora er su compagno
Un crustumino sotto se fa lesto.
Er gueriere appoggiannoje un papagno
Je dice: - Pija e porta a casa questo! -
Er crustumino balla un varzeretto
Lui puro e a terracina va de netto.

27

Livia t’agguanta un antro e lei: - A tata!...
Ajuto, tata mia! - piagnenno strilla;
- Ajutame, sinnone la frittata
Avemo fatta! - dice. E come anguilla
Ne le braccia de lui tutta se storce.
- Si bona - je fa lui, - còre mio dorce! -

28

A li strilli che fane la rigazza
Je reprica er gueriero: - E statte zitta! -
Quann’ecco curre er patre e co na mazza
J’ammolla un sfrizzolone a mano dritta;
Er gueriero se vorta e je dà un pugno
Accusì forte che je sfascia er grugno.

29

Co la mano er sabbino se l’attasta
E vedde escine er sangue da li denti;
Po’ dice: - De rubbacce nu j’abbasta
Tutte le donne nostre a st’accimenti:
Che ce menano pure?... E mo?... È sparito
’Nsieme co la mi fija?.... Si ammaito! -

30

’N antro romano smiccia Creria intanto
E p’agguantalla pare che lui vola;
Ma quella rivortannose tamanto
De mozzico je dà che lo consola.
- Lasseme - po’ je dice - o t’arizzollo!... -
Lui nun dà retta e se la mette in collo.

31

Dà de piccio un gueriero a Sirviuccia
Che co la vesta stretta tra le gamme
Pe nun fasse pijà ’nterra s’accuccia
E le ganasse parono du fiamme;
Quann’èccote er fratello cor tortore
E dà na tortorata ar rapitore.

32

A quela tortorata ne la schina
Una t’agguanta de le du ciavatte
Er gueriero che cadde a la sabbina
E sur muso ar fratello je la sbatte;
Cor tacco sopra er naso a lui je corse
Forte accusì che mezzo je lo storse.

33

- Rottaccio de collaccio!... E che te fai?...
Fijo d’un cane!... Mo m’hai rotto er naso!...
Ma che te penzi?... Me la pagherai...
E te ne vojo fane persuaso
Quanno qua se vedemo n’antra vorta... -
E intanto quello via la donna porta.

34

Un giovenotto Furvia in der vedene
Correje addosso piena de spavento
Fugge strillanno e p’ajutalla viene
Un sabbinese lesto com’er vento,
Ma er gueriero de Furvia er braccio agguanta
E pe difesa avante a lei se pianta.

35

Er sabbinese allora un papagnone
Tira ar gueriero e lui la testa inchina
E de sotto je sona un sucuzzone
All’antro, che in sentisse sta pappina
Casca pe terra come pera cotta;
’Ntanto er gueriero pija Furvia e trotta!

36

A un cinninese, pe levaje er vizio
De difenne le donne, ecco j’ammolla
Un romano un gran carcio in quer servizio
E la donna je leva e se l’incolla,
Ma pe riavella curre er cinninese
E ’n antro carcio in petto dà s’intese.

37

A bocca sotto ’nterra tommolata
Era na vecchiarella d’anni ottanta;
La testa ne li panni era ’mpicciata
E nun se vede, ma un romano agguanta
Ne la confusione quer fagotto,
In collo se lo mette e via de trotto.

38

Zitta la vecchia sta che nu’ je pare
Manco vero d’avé mo sta fortuna
E ’ntra sé dice: «Ma com’è st’affare?...
De donne nun ce n’era più nisciuna
D’agguantasse?... Varda che fa er bisogno!...
Me pare propio a me ’n insogno!

39

Ma fanno bene sto rubbà che fanno
De donne, stammatina, poveretti!
Se sa! Si drento Roma nun ce n’hanno
D’attaccasse a noantre so’ custretti
E bigna un còre avé propio da cane
Pe voleje le donne ricusane!»

40

Accusì dice, mentre quello corre
Co la vecchietta in collo verso casa
Indove la vò subito ariporre
E a sposasselo falla persuasa;
Arriva ’nfine e te la mette a sede,
La smiccia bene e de ’nsognasse crede.

41

Aritornato in sé, a la su conquista
Dice: - A nonna!... E mo come s’arimedia?...
Varda che me so’ fatto, va’!... Pe trista!...
Arzateve un po’ sune da la sedia!...
Je la famo?... Ched’è: nun v’areggete
Nemmanco in piede?... Ma quant’anni avete?

42

- N’averò, cocco mio, na quarantina!
- Sine?... Propio quaranta? - j’arispose
Er giovenotto. A me na settantina
Me pare de contanne, ché ste cose
Che se chiameno grinze ve connanna... -
E lei: - Eh, fijo, l’apparenza inganna!

43

- Che m’annate dicenno! Più arifritto
È sto provebbio qua che ’un so che dine!
Mo dunqua de sto sbajo a stamme zitto
Me tocca e bisgona che ve tienga quine,
Sinnò Romolo!... Embè, già che ce state
Scopate, fate er letto e cucinate.

(segue)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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