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Messaggi del 10/10/2016

Panfila, donna Greca

CAPITOLO XLII.
Panfila, donna Greca.


Truovo che Panfila fu una donna Greca; e avendole tolta la vecchiezza di che luogo ella nascesse, nondimeno fu benigna a lasciarle lo nome del padre, perchè si truova che ella fu figliuola d’uno chiamato Platra. E benchè la non si possa ornare d’amplissime dignitadi, perchè ella fece alcuno bene per la repubblica, non le dee essere taciuto la sua parte delle lodi, perchè niuna cosa è trovata di nuovo (quantunque ella paia lieve dopo il fatto, e dispregiata) che non sia grande argomento d’ingegno, e, secondo la quantità della cosa, che non sia degna di premio. Vogliono gli autori, a’ quali è dato alcuna fede, che questa prima colse lo bambagio degli arboscelli che lo producono; e con lo pettine lo pettinò delle superfluitadi, e poi che fu pettinato filò con la rocca, ed eziandio lo insegnò tessere, e così indusse l’uso di quello, non conosciuto per infino a suo tempo. Della qual cosa la pensata ragione lievemente mostrerà quanto nelle altre cose Panfila dovesse essere valuta.

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 

Gian Domenico Romagnosi

Post n°3212 pubblicato il 10 Ottobre 2016 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Gian Domenico Romagnosi (nato a Salsomaggiore nel 1761, morto a Corfù nel 1835) in filosofia seguì il razionalismo di F. Crist. Wolf, che, partendo dal Leibnitz, applicava in tutti i campi il principio della ragion sufficiente e riteneva che l'illuminazione intellettuale sia il più alto ufficio morale. Reagì pertanto al sensismo, in cui la conoscenza rimane passiva; e fu suo pensiero fondamentale che la conoscenza implichi il concorso (o, com'egli diceva, la corn potenza) dei sensi e dell'intelletto, il quale applica agli elementi forniti dai sensi le proprie suità psicologiche, che mettono ordine nei dati sensibili. Questa attività formativa dello spirito nella rifles­sione, o «senso logico », fa che le conoscenze siano fatture mentali; ma la mente nostra non può fingerle a suo piacimento, perchè è vincolata dai diversi modi in cui agiscono su di essa gl'impulsi che riceve dalle cose. Così le conoscenze sono segni a cui corrispondono in natura modi d'essere reali. Ammise pertanto l'oggettività del reale e si oppose fermamente all'idealismo trascendentale, nel tempo stesso che comprendeva il significato della soggettività kantiana.

Ritenne inoltre che la formazione dello spirito non si possa intendere se non attraverso la storia dell'« incivilimento e, in cui individuo e società sono strettamente collegati. Il progresso umano è connesso, a suo giudizio, con lo sviluppo delle idee: l'esperienza si sviluppa sotto la luce di una ragione di tipo universale; e lo spirito trova la sua libertà nell'equilibrio, nel perfezionamento delle proprie energie, nella scelta dei valori umani. Libertà nell'equilibrio, perfezione delle proprie energie, coscienza dei valori umani costituiscono, secondo il Romagnosi, la mente sana. In questo modo egli, ammettendo la soggettività nella vita dello spirito e ad un tempo ritenendo che la mente umana nel conoscere e nell'agire poggi sopra la realtà, pensava di poter evitare il kantismo e la dottrina « ultrametafisica di Hegel.

Il Romagnosi, filosoficamente, nella storia di quel periodo, ha dunque un duplice significato: da un lato impersona risolutamente una delle forme più meditate di reazione critica e romantica al sensismo francese, che, nella seconda metà del Settecento, si era organato nella dottrina superficiale del Condillac; dall'altro rappresenta la tendenza di salvare l'oggettività della conoscenza di contro al soggettivismo.

Sue opere principali: Genesi del diritto penale (1791), in cui combatte le dottrina di uno stato di natura anteriore allo stato sociale (è l'opera giovanile, che gli diede la fama e fu tradotta in varie lingue; Introduzione allo studio del diritto pubblico universale; Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa; Che cosa è la mente sana (1827); Suprema economia dell'umano sapere (1828); Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia (T832). In questa egli, ammiratore di G. B. Vico, si riconnette, come già in altre opere, alla Scienza nuova; per la concezione nazionale della civiltà si richiama al Machiavelli.

Sia filosoficamente sia politicamente è dunque logica la collaborazione del Romagnosi al Conciliatore. Nel 1821 fu imprigionato dall'Austria; lasciato libero, ebbe divieto di insegnare. Ma rimangono nella memoria di tutti i versi dell'ode La terra dei morti (1841) di Giuseppe Giusti:

Cos'era Romagnosi?
Un'ombra che pensava,
e i vivi sgomentava
dagli eterni riposi.

Il sito Classici italiani di Giuseppe Bonghi riporta un articolo apparso nel N. 3 del Conciliatore (10 settembre 1818). Le notizie trascritte sopra e quelle che seguono sono tratte dalle note a detto articolo.

Il Romagnosi, tra i collaboratori del Conciliatore, tentò di eliminare la contrapposizione di classico e romantico come impropria nel senso e nei termini e credette di dare soluzione alla « gran controversia entro una concezione ilichiastica della letteratura, per cui storicamente riguar­dava nel passato le opere vitali di ogni scrittore come adatte all'età e al genio di ogni popolo, e pel nuovo secolo raccomandava agli italiani la composizione di opere rispondenti al pensiero moderno e al genio nazionale. (La parola ilichiastico deriva dal greco elikìa, età).

Come è evidente, l'ilichiasticismo del Romagnosi è connesso con la concezione che egli aveva della formazione dello spirito e dell'indole e dei fattori della civiltà.

Ma la parola ilichiastico non riuscì a sostituire l'aggettivo romantico, perchè il Romagnosi finiva col dare alla questione una soluzione generica, che non eliminava le ragioni dell'antitesi particolare, che agitava allora le menti.

Perciò il Berchet dissentì apertamente dal Romagnosi, protestò « di essere irremovibilmente romantico » e insistette nel distinguere la poesia in romantica e classica perchè essa gli parve « utilissima alla teorica e alla pratica ». Egli rispose al Romagnosi nello scritto el criterio dei discorsi, pubblicato come articolo di fondo nel N. 4 del Conciliatore (13 settebre 1818). Il Romagnosi ribadì le sue idee nell'articolo Delle fonti della coltura italiana, pubblicato nei N. 12 (11 ottobre 1818).

Giuseppe Bonghi

 
 
 

Nicaula, Reina d’Etiopia

CAPITOLO XLI.
Nicaula, Reina d’Etiopia.


Nicaula, secondo che si può comprendere, nacque nell’estremo d’Etiopia, la quale per certo fu degna di ricordanza, quanto ella, nata tra gente non costumata, fu più famosa di costumi. E manifesto, che mancando i Faraoni, ovvero la schiatta di quegli, se noi dovemo dare fede agli antichi, ella fu famosissima reina d’Etiopia e d’Egitto. Secondo che dicono alcuni, fu reina d’Arcadia, e che ella ebbe grandissima casa reale in Meroe, isola del Nilo, e in quel luogo abbondò di tante ricchezze, che fu creduto quasi, questa avanzare tutti gli uomini. Fra le quali ricchezze e delicatezze avemo letto, che ella non si diede a riposo, e morbidezza di femmina, anzi, benchè noi non conosciamo lo maestro, sappiamo che ella fu ornata di tanta scienza delle cose del mondo, che parve cosa miracolosa. La qual cosa ancora pare confermare la Sacra Scrittura, per la cui autorità si dimostra, che costei, la qual chiama Saba, udita fa scienza del savio Salomone, lo quale era famoso al suo tempo, e la cui gloria e fama avea pieno già tutto il mondo, si maravigliò, benchè i matti ignoranti non sogliono ammirare, ma dispregiare sì fatte cose. Ma, che è molto più, non solamente si maravigliò, ma venne in Jerusalem per udire quello, partendosi da Meroe; la quale, poco meno in capo dell’ altra parte del mondo lasciando il suo maraviglioso regno, passando l’Etiopia per lo lido del Mare Rosso, e gli deserti d’Arabia con sì splendida compagnia, e con sì magnifica spesa, e grandissima moltitudine di famiglia, che Salomone medesimo, ricco sopra tutti i re, si maravigliò di quella donna. La quale fu ricevuta da lui con sommo onore; e sponendogli alcune oscure parole, e avendo udito la risoluzione di quelle con diligenzia, confessò volontariamente che la sapienza di Salomone avanzava la nominanza e la capacità dell’umano ingegno, dicendo, che non era dubbio, quella essere acquistata per dono di Dio, non per istudio. Poi fece a quello maravigliosi doni, tra i quali si crede, fussero quegli arboscegli, i quali poi Salomone fece piantare e coltivare non lungi dal lago Asaltide. E finalmente ricevuti i doni da lui con somme lodi, ritornò a casa. E sono alcuni che credono, che questa medesima fusse Candace, reina di Meroe, dalla quale furon poi chiamati Candacj i re d’Egitto per lungo tempo, come innanzi erano stati chiamati Faraoni.

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 
 
 

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