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Messaggi del 16/03/2017

Morici, 2 sonetti

Li consiji der nonno

Mi' nonno, moribondo, poveretto,
prima de damme la benedizione,
me disse - Si voi fa' 'na bona azione,
falla la sera prima d'annà a letto.

E si pe' strada trovi un poveretto,
faje la carità, senza finzione,
èssi de core, ma nun fa er fregnone
quanno se tratta de sbafà 'n' pranzetto.

Tratta li conoscenti co' creanza,
nun giocà, nun rubà, nun fa la spia,
e paga, paga sempre chi t'avanza!

Nun esse de partito che so' guai,
nun t'intromette 'n' de li parapia,
intigna sempre e ... nun scommette mai!



Er sapé fa'

Viva la faccia de di' sempre sì,
quanno invece dovressi di' de no,
fa' er finto tonto fino a che se po'
piagne pe' 'n' disgraziato, e nun soffrì.

Risponne sempre franco, nun ce l'ho
a chi chiede quer po' pe nun morì,
promette aiuto, senza fa capì
che t'eri già deciso a dije no ...

Dimostrà d'esse ricco come un Re,
pe' fa' n'imbrojo che te tira su,
sarvà un cristiano e ... rovinanne tre.

Esse veleno e comparì bontà,
seminà pianto e nun pensacce più ...
Eccolo, ar giorno d'oggi, er sapé' fa.

Armando Morici
Strenna dei Romanisti, 1961, pag. 216

 
 
 

Artemisia

CAPITOLO LV.
Artemisia, Reina di Caria.


Artemisia fu reina di Caria, e fu una donna di gentilissimo animo, e di santissimo e molto rado amore, e fu intiero sempiterno esempio di vedovità. E benchè non sia pervenuto alli nostri dì di che parenti o di che patria questa sia nata, basti averla conosciuta per lode di sua nobiltà, che ella fusse moglie di Mausuleo, in quel tempo re di Caria, lo quale amò tanto sua vita, che vivendo ella dopo di lui, non potè dimenticarlo morto. Della qual cosa per lungo spazio stettero le vestigia maravigliose. Perchè, se fè si dovesse poi dare ai famosi scrittori, come l’amato marito morì, fece la sua sepoltura con meravigliosi onori; e non comportò dopo la combustione del corpo, che fusse riposto il cenere per conservarlo in un’urna d’oro; stimando ogni altro vaso insufficiente a sì amato marito, salvo che il petto, nel quale lo fuoco dell’antico amore ardeva molto più che non era usato, dopo la sua morte. Per la qual cosa quello che era avanzato dalla parte terrena, acciocchè stesse dove stava la perpetuale memoria della passata vita, ricolse, e mischiandolo nella bevanda, appoco appoco bevvelo tutto. E il resto di sua vita fu consacrato a perpetue lagrime; e consumando sua vita, credendo andare al marito, morì allegra. Ma per ispazio di sua veduità fece gran fatti. Fu antica usanza, a’ nobili uomini. edificare maravigliose sepolture: acciocchè lo edificio convenisse con l’amore in apparenzia, Artemisia pensò fare maravigliosa sepoltura di somma spesa, mettendo giuso ogni avarizia; e, non contenta dello ingegno d’uno maestro, chiamò a sè quattro maestri, li quali in quel tempo Grecia riputava più eccellenti di tutto il mondo, Scofa, Briasse, Timoteo, e Leotare; e secondo lo consiglio di quegli fece disegnare a Mausulo, suo marito, magnifica sepoltura. E apparecchiati i marmi, fecelo edificare; acciocchè per quello maraviglioso edifizio la fama del suo diletto marito diventasse eterna, se per altro modo non fosse. Del quale certamente, perchè quegli passò quasi tutti gli edifizj del mondo, sì per lo edifizio, e sì per la spesa, e sia stato chiamato per lungo tempo uno de’ sette miracoli dello mondo, non sarà da biasimare se io farò di quello speziale menzione, perchè durerà la fama di quegli ingegnieri, e diventerà più chiara la magnificenza di quella femmina. Formarono di comandamento della Reina quella sepoltura in forma quadra presso Alicarnaso, città di Caria; e quelle due facce che guardavano ad austro e a tramontana erano lunghe di misura di LXIII piedi, le altre due facce non erano sì lunghe, elevate CXL piedi; e vollero che egli fosse circondato intorno di XXXVI colonne di marmo. Poi quella parte che guardava a levante, dicono che Scofa la intagliò, e quella ch’era volta a tramontana intagliò Briasse, e quella che è volta a ponente intagliò Leotare, la quarta fu lasciata a Timoteo. I quali dello intagliare delle statue, delle storie, e l’altre cose che appartenevano all’opera, con tanta sollecitudine desideravano esprimere la forza del suo ingegno per ciascuno di maraviglioso magistero, che era creduto da quegli che guardavano alcuna volta i volti di marmo essere vivi, e non solamente parve allora, ma dappoi per lunghi tempi parevano, che in quello edificio le mani degli artigiani avessero combattuto per la gloria. E non avvenne che Artemisia vedesse compiuta la maravigliosa opera, perchè morì innanzi: e nondimeno i maestri non abbandonarono l’opera per la morte della Reina; anzi pensando, quella esser certissima testimonianza a quegli che seguissero degli loro ingegni, condussero a fine quello che eglino aveano cominciato. E aggiunsesi di nuovo quinto maestro, lo quale uguagliò l’altezza del colmo di sopra per XXIV scaglioni; e a questo fu aggiunto il sesto intagliatore, lo quale fece un carro di marmo intagliato sopra l’altezza di tutto questo eccellente edificio, chiamato per nome del re, Mausuleo, per lo quale fu fatto: dal quale, come da più degno, sono chiamate Mausolei le sepolture dei re. Fu famoso l’amore del matrimonio di Artemisia; e ancora fu più famosa la perseveranza della veduità e delle lagrime; e non meno la sepoltura maravigliosa, o che tu voglia dire quella che fu intagliata, o il petto di Artemisia, nel quale riposò la posta cenere del marito. Ancora non fu da chiudere la virtù d’Artemisia solamente con queste lodi; perchè quella donna per virile vigore e ardire, e per disciplina di milizia, e con trionfi adornò la maestà del suo nome. E benchè spesso altre volte pigliasse arme, abbiamo letto, che dopo la morte del marito ella, messo giù il pianto al tempo, prese l’arme, almeno due volte; primieramente per difendere la salute della patria, la seconda per servare fè di compagnia, essendo ella richiesta. Perchè dopo la morte di Mausolo, essendo indegnati quegli di Rodi, i quali non sono molto di lungi d’Alicarnaso, che una donna signoreggiasse lo regno di Caria; con una armata quasi con certa speranza d’occupare quello andavano con gran moltitudine. È Alicarnaso una città posta sopra il mare Icario in luogo forte per natura; la quale ha due porti, de’ quali quello che è chiamato minore è dentro della terra, con istretto introito, e quasi nascosto, sì che in quello dalla casa reale si può portare ogni cosa che bisogna, non vedendo alcuno della città, non che quegli di fuori; l’altro, che è maggiore, e congiunto alle mura della città con aperto mare. Nel quale sapendo Artemisia, che quegli di Rodi dovevano entrare, comandò che i suoi fossero armati, e tolti con seco alcuni amici di Nautico e d’Epipate nocchieri per compagni, e apparecchiati quelli, i quali erano di bisogno compiere il fatto già pensato, comandò ai cittadini, che facessero carezze a quegli da Rodi, infino che ella facesse segno, e che dessero loro speranza, e, se potessero, che gli conducessero infino alla piazza.

Finalmente, come la cosa fosse non accorgendosi i nemici, uscì fuori per lo minore porto al largo mare; e vedendo già fatto segno, quegli da Rodi chiamati in terra, lasciata l’armata, come vincitori correndo in piazza n’andarono, con altre sei navi pigliate per forza le navi di quegli da Rodi che erano abbandonate, e levato il romore, comandò, che da ogni parte i suoi cittadini corressero contro a quegli da Rodi. Per la qual cosa avvenne, che pon potendo quegli fuggire d’alcuna parte, furono tutti morti da quegli di Alicarnaso. Fatto questo, Artemisia con l’armata de’ nemici, ornando quella con segno di vittoria, drizzò le prode verso Rodi: onde vedendo i Rodani da lontano le loro navi laureate, pensando, che gli loro cittadini tornassero vincitori; aperte le porte della città, non accorgendosi che quegli che venivano erano nimici, ricevettero quegli in luogo di cittadini, e così subito la loro città fu presa da Artemisia. E fu comandato da quella che fossero morti i principi della città; e poi comandò che in segno della vittoria fossero rizzate due statue di bronzo, delle quali l’una presentava la figura d’Artemisia vincitrice, l’altra la figura della città di quegli da Rodi; e in quelle eran versi che significarono le cose fatte da lei: fatta quell’isola sua tributaria, lasciolla e tornò a casa. Ancora venendo Serse, re di Persia potentissimo, contro ai Lacedemoni con grandissimo oste per terra e per mare, coprendo tutti i lidi con le navi, credendo, per suo giudicio, non pigliare solamente, ma divorare tutta la Grecia, richiese Artemisia la quale andò con lui alla guerra con navi armate. E già essendo sconfitto l’oste di Serse per terra, e l’armate di Serse venendo a navale battaglia con quegli d’Atene sotto Temistocle capitano, stando Serse a vedere in luogo sicuro, Artemisia tra i suoi primi principi, confortandogli, combatteva arditamente, quasi come ella avesse mutato natura, intanto che, se Serse avesse avuto sì ardito e sì robusto animo, non facilmente la sua armata si sarebbe voltata a fuggire. Sono nondimeno alcuni che dicono, che questa Artemisia non fu questa, anzi fu Artemedora, similmente reina di Alicarnaso: e affermano, per testimonianza di sua credenza, che la battaglia navale di Serse fu appresso a Salamina la settuagesima Olimpiade. Ma io mi accosto a quegli che pensano, Artemisia e Artemedora fussero una medesima cosa. Ed è manifesto, che Artemisia fe’ edificare lo Mausoleo la centesima Olimpiade: conciossiacosachè quelle cose che si contano di Artemisia siano molto credute, e diano molta fede di sè, e tolgano fede all’altrui. E nondimeno qualunque leggerà creda quello che vuole: o due o una che fossero, fu opera di femmina ciascuna. Ma noi, considerati i fatti di Artemisia, che possiamo pensare, se non essere fatto per errore della natura, che sia dato a un corpo sesso di femmina, nel quale sia infonduto da Dio un’anima virile e magnifica?

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 

La visita der medico

La visita der medico

S'accomodi, se metta a sedé,
se levi la majetta pe' favore,
respiri forte, dica trentatré,
se vorti un po', me facci sentì er córe.
Seconno me lei ha fatto troppo sporte;
che ha corzo in bicicretta?
ha corzo a piedi, ha fatto maratone?
Je trovo er córe stracco, un po' sfiancato ...
- Ma io, dottore, faccio l'impiegato,
sto a sede tutt'er giorno e certe vorte
me fanno stà' perfino a pecorone.
- Va bene, se rinfili la majetta
che adesso guarderemo l'intestino
e tutto l'apparato diggerente.
Lei cià 'na punta d'ernia e quì vicino
si spigno, l'appendice se risente.
Me dica un po', è scapolo o ammojato?
- So' ammojato dottore ...
- E defatti cià er fegheto ingrossato.



La diggestione, dica, è regolare?
- Me ce vonno, a di' poco, sei o sett'ore
e quasi sempre ciò er dolor de panza.
- È 'na dispeppesia ma nun me pare
che sia da daje tutta 'st'importanza.
Lei beve vino, abbusa de liquori?
o je da sotto ... 'mbé ce vada piano
sinnò, lei me capisce, so' dolori.
Adesso je preparo la ricetta
co' le cure che fanno propio ar caso
però me senta bene: o me dà retta
o fra sei mesi lei sta senza naso.
- Dottore mio, farò quarsiasi cosa,
ma che scherzamo? E. dica ... l'onorario?
- 'Mbè, qui c'è un'ernia, un'appendice, er córe,
'na diggestione lenta e labboriosa
che provoca dolore,
un fegheto chè fôr de l'ordinario ...
faremo diecimila e poi ritorni
che j'ho da dì? Fra venti o trenta giorni
si vô' che lo sorveji ne la cura.
Ah dottò'! Lei se facci persuaso:
prima de damme un'antra fregatura
preferisco arimane senza naso.

Nino Buzzi
Strenna dei Romanisti, 1961, pag. 194

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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