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Messaggi del 22/08/2017

Le fatiche der ragno

Post n°4095 pubblicato il 22 Agosto 2017 da valerio.sampieri
 

Le fatiche der ragno

La Mosca disse ar Ragno:
- Fatichi notte e giorno
senza concrude un corno,
senza nessun guadagno:
lavori inutirmente
perché la tela tua nun serve a gnente ...
- Invece ciò un fottìo d'ordinazzione!
- rispose er Ragno - Devo fa’ una rete
pe' ripescà l'idee d'un frammassone
ch'è diventato prete;
ho da rimette a novo la camicia
per una vecchia cicia (1): la Morale,
che, poveraccia, paga la piggione
e dorme pe' le scale (2);
e, pe' de più, bisogna che ricucia
un buggerìo (3) de sacchi rivortati
per imballà la stima e la fiducia...
- E queli fili ch'hai finiti jeri?
- je domannò la Mosca - a chi l'hai dati?
- Eh! quelli - dice - so' lavori seri,
so' affari delicati ...
Con uno ciò legato la bilancia
in mano a la Giustizzia,
e coll'antro ciò stretto l'amicizzia
fra l'Italia e la Francia ...

Note:
1 Smorfiosa.
2 Detto popolare.
3 Un buscherio, un'infinità

Trilussa
14 dicembre 1913

Trilussa tutte le poesie, a cura di Pietro Pancrazi Note di Luigi Huetter, con 32 illustrazioni dell'Autore e 3 facsimili, Arnoldo Mondadori Editore, V Edizione: settembre 1954, pag. 409

 
 
 

Via del Tritone

Via del Tritone

Roma è bella in ogni luogo; ma in ispecie alla Vostra finestra;
lunga finestra a veranda con un'antica balaustrata
da dove la marmorea corona si ammira
in cima al campanile del lunatico Borromino.
È, la sua enorme stella, a otto punte;
appesa a volute che riecheggiano
le onde del non lontano mare di Ostia.
Un delta di strade illustri è intorno a Sant'Andrea delle Fratte,
un mare di case celebri si distende sotto la vostra balconata.
Lontana appare la Cupola di Michelangelo a San Pietro,
simile a conchiglia cerchiata di rosa nell' ultima ora del crepuscolo.
È una bellezza di scenario, che si reputa unica al mondo
(e che non può fare a meno di non estasiare i nostri sguardi).
Anche se noi si fosse stranieri pellegrini stanchi,
vogliosi di riposo soltanto, e di poco cibo.
Invece da Voi, gentile ospite, si mangia bene, si beve sin troppo;
ma in un modo che non direi sia da trimalcionico banchetto.
Profumatissimo il caffè (la nuvoletta viola della tazzina).
Degno delle Nozze di Cana era il vostro Convito.
Ma alcuni cornicioni screpolati e reti, sudicie, di fili di telefoni e di telegrafi
solcavano, ancora a notte, l' aria antica di Roma, nei rovesci di Via del Tritone.

Luigi Bartolini
1954
Da: Strenna dei Romanisti, 1954, pag. 116

 
 
 

L'ottobbrata de 'na vorta

L'ottobbrata de 'na vorta

I

L'ottobbre è bello, a Roma speciarmente;
c'è un non so che ne l'aria arinfrescata
che stuzzica lo stommico a la gente
e fa nasce l'idea de l' ottobbrata.

Semo all'autunno!? Nun c'importa gnente!
C'è la malinconia!? Mora ammazzata!
Bisogna magnà e beve alegramente
Viva la faccia de la scampagnata!

Tutti fri de porta, amichi belli!
Già spunteno laggiù su l'orizzonte
le fettuccine e er vin de li Castelli.

E quanno er sole scennerà lontano
noi canteremo come Orazio ar ponte:
«Sarve dea Roma!». Con un litro in mano!

II

Sotto un bersò de pampani e de fronne
mica pensamo d'èssece, ce semo,
pronti sempre a strillà: «Chi se confonne,
chi nun gode 'sta festa è proprio scemo!».

Minenti in fiore e regazzette tonne
fanno onore a li piatti e noi godemo
ner vedelle ingrassà, ché si le donne
so' cicie e magre nun ce le volemo.

La donna secca senza carne addosso
è come er buco senza la ciambella,
devi da dije: «E che me dai!? Tutt'osso?

Mica me vojo rovinà li denti,
si vôi fa la saraca o la sardella
vatte a fa frigge' senza comprimenti!».

III

L'ottobbrata è sur serio 'na gran cosa,
bisognerebbe faje un monumento!
Se magna solo robba appetitosa
e drento ar vino nun c'è tradimento.

Che vôi de più? Tutt' è color de rosa,
te senti er core libbero e contento,
tra le frasche l'arietta malizziosa
passa e te dice: «Bon divertimento!»

Quarcuno beve più der naturale!?
Viva Noè! Lassatelo che beva!
Ar tempo der diluvio universale

la colomba pe' di' che la disdetta
dell'acqua era finita che ciaveva? ...
Che ciaveva ner becco? Una «fojetta».

Luciano Folgore
Strenna dei Romanisti, 1962, pag. 180, 181

 
 
 

La commedia

La commedia

«Tata, ch'edè cqui ssù?» «La Piccionara». (1)
«Tata, e nun c'è gnisuno?» «È abbonora».
«Chi è quella a la finestra?» (2) «Una signora».
«E cquest'accant'a noi?» «La lavannara».

«Uh quanta ggente! E indove stava?» «Fora».
«E mmó?» «Ssona la tromma». (3) «... Cuant'è ccara!
E sto lampione (4) immezzo c'arippara?»
«Poi lo tireno sù». «Nun vedo l'ora!

Chi cc'è llà ddrento in cuella buscia scura?»
«C'è er soffione». (5) «E sti moccoli de scera?»
«Sò ppe la zinfonìa». «Sì? E cquanto dura?»

«Zitta, va ssù er telone». (6) «... Ih! è ggente vera?»
«Ggià». «E cquelli tre chi ssò?» «Rre da frittura, (7)
che cce viengheno a un pavolo pe ssera».

Note:
1 Ultimo ordine di palchi.
2 Palchetto.
3 Il tuono dell'accordo.
4 Il lampadario.
5 Il suggeritore.
6 Il sipario.
7 La frittura è «il pesce minuto e dozzinale».

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 23 ottobre 1831 - D'er medemo
(Sonetto 225)

 
 
 
 
 

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