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Messaggi del 05/09/2017

Il Tevere

Post n°4142 pubblicato il 05 Settembre 2017 da valerio.sampieri
 

Il Tevere

Giallo fiume di Roma
dalle grige chiatte
sull' ultime tue
sponde incolte,
fraterno ti sento,
legatO al mio
lento fluire
nel tempo ...
E a sera,
quando la nebbia d'inverno
scende a velare
le piante d'argento
e i primi lumi
sui tuoi lungotevere
s'accendono,
quasi conforto
d'ingenui sorrisi,
l'unico amico
sei,
rimasto a cantare
i lunghi crepuscoli estivi,
la calma solenne
dell'autunno romano
e le fredde notti
lontane,
specchio del nostro
paesaggio ideale ...

Silvana L. Simonetti
Strenna dei Romanisti, 1966, pag. 419

 
 
 

Amilcare Pettinelli, 2 sonetti

Ponte Quattro Capi

Er Ponte Quattro Capi sta a mancina,
doppo che er fiume quasi a ippisilonne,
opre le braccia e strucia su le sponne,
de fianco a l'isoletta Tiberina.

Sotto a quell'archi l'acqua s'inturcina,
schiumeggia, mulinella e sbatte l'onne,
intona un canto e l'eco je risponne,
e va a smorzasse addosso a la banchina.

Io che guardo e che sento de sfuggita,
quanno scavarco e sto a li Bonfratelli
accosto a San Giovanni Calibita,

passo e, ricordo sempre quela porta
de Frà Orsenìgo de li poverelli,
er cacciadenti auffa, de 'na vÒrta.


Er castagnacciaro

E chi lo vede più er castagnacciaro,
de fòra de le scole o a li giardini,
a fa' la conta co' li regazzini?
È un pezzo che cià dato er piantinaro!

La pizza de castagna, frater caro,
spece co' li pignoli croccantini,
li vaghi d'uva passa, zuccherini,
era pe' noi regazzi una magna' raro.

Ce s'ammattimio! E sempre ciaspettava
tra via der Lavatore e San Vincenzo,
Matteo co' la tièlla che fumava.

Lì, propio indove c'era er salumaro,
quanno ce passo, ancora ciaripenzo:
« Matté! Pé me o pé te? Disparo o paro?»

Amilcare Pettinelli
Strenna dei Romanisti, 1966, pag. 290

 
 
 

Du' amichi cari

Du' amichi cari

Un antico romano


Er Tevere de Roma la matina
è un vecchiarello stracco de memoria;
a st'ora se ne frega de la Storia
e se gode l'arietta frizzantina.

Doppo va in Prati a fa na capatina,
guarda er Castello, l'Angelo, se gloria
de specchià 'r Cuppolone e pien de boria
se smiccia la città tresteverina.

Ar tramonto j'aggusta a dà la guazza
a l' ombre de l'antichi Giovenali,
ce spettegola assieme e se spupazza.

La notte poi, da vecchio barbottone,
se lagna co li Numi e le Vestali
de sti tempacci pieni d' affrizzione.


Un vecchio piemontese

Quell'arpino che cala dar Monviso
diventa poi quer fiume gajardone
che saluta Torino cor soriso
d'un vecchio piemontese furbacchione.

Lo chiameno l'eterno chiacchierone,
ma co Roma parlò poco e deciso,
fregò barberi e duchi e da scarpone
sparò carci a la Spagna e ar Fiordaliso.

All'inverno lo vedi striminzito,
da li ghiacciari su de la montagna
beve più poco e se fa scolorito.

Ma quanno ariva er sol de primavera
è festa grossa: zompa, beve, magna,
e a panza piena va de gran cariera.

Filippo Tartùfari
Da: Strenna dei Romanisti, 1952, pag. 171

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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