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Solo per RAF il gigante non egoista

 

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CENA   PER   RAF   E   SIGNORA (INA E' GIOVANE ANCHE LEI

Post n°8 pubblicato il 22 Ottobre 2006 da frammentidistorie
Foto di frammentidistorie

Allora Raf, stai attento e stupiscila.

Prendi le cime di rapa, puliscile e lavale bene in acqua corrente.

Lasciale scolare mentre scqua salata bolle in pentola molto capace!

Appena bolle butta dentro tutte le cime di rapa, tagliate a piccoli pezzi.

Aggiungi a piacere altra verdura che piace a entrambi.

A parte in una larga padella fai aprire una bella dose di vongole veraci grandi.

Olio, cipolla o aglio prima di mettere le vongole.

Intanto, a cime di rapa proprio cotte del tutto, butta una pasta corta, preferibilmente orecchiette.

Attendi con ansia che sia cotta e scola tutto lasciando un solo cucchiaio d'acqua della bollitura.

Getta nella grande padella dove le vongole sono aperte (togliere l'aglio prima se lo hai usato - aglio vestito ovviamente) tutta la pasta e la verdura.

Falla saltare (non vuol dire che devi saltare dentro la padella tu, pirla, e neanche che devi lanciare la pasta sul soffitto!), aspetta che Lei entri in casa.

Pronuncia la fatidica frase:

"Cara, la cena è pronta!"

Goditi gli occhi persi di una donna che gode per quello che hai cucinato TUTTO DA SOLO, pensa a che dopo-cena...

Preparale ancora un ottimo caffè!

Voglio io il regalo di nozze quando Lei deciderà di sposarti...chiaro vero?

Un abbraccio dolcissimo a entrambi.

Patrizia.

 
 
 
 

Romea è tornata, Romea se ne va.

Post n°4 pubblicato il 03 Ottobre 2005 da frammentidistorie

LA   PRINCIPESSA   FELICE

 

 

C’è subito e non una volta una principessa felice.

Vive ad ovest di quella catasta di legna sulla strada stretta che porta a quel paese dove ci trovi ancora un arrotino. Non puoi sbagliare.

Segui il bosco a sinistra e prosegui per quattro litri di miscela o di benzina verde. Finiti i quali giri a destra dove vedi la ringhiera sul ruscello dei coregoni.

Per tre volte canta tutta alba chiara di Vasco e ci sei.

Non badare all’esterno del maniero, lo tiene così per non dar nell’orecchio ai giganti.

Il maniero è grande e la principessa, se non segui queste istruzioni, non la vedi neanche morto!

Ti ci perdi lì. Conosco uno che si è perso in uno scaffale fine secolo e una signora finita per due comodini vecchi.

Veniamo al percorso difficile.

La torre dove vive la principessa è diroccata da fuori e messa per sbieco.

C’è un solo balcone, manco grande, tante e tante finestre da lasciare aperte.

La scala è strettissima, ma c’è un motivo validissimo. La principessa è piccola e ogni cosa o persona entri non deve uscire da una metrica attentamente studiata a tavolino con un geometra delle ferrovie dello stato.

Oltre quella misura non si è ammessi, non ci provare!

E’ vietato l’ingresso alle persone in maschera, non a pulcinella e non ad arlecchino. Ma ai finti impellicciatori, ai falsi orafi e ai fiorai rompimeringhe, si.

Quindi evita di portar presenti tipo pellicce e gioielli perché ti buttan fuori a calci.

Niente fiori recisi e giornali di oroscopi.

Lei, se riesci ad entrare, è lì.

C’è anche quando non c’è perché c’è la sua presenza.

Quindi se arrivi e la torre è vuota, aspetta, arriverà!

La principessa è bella (si intenda son tutte belle le principesse e la nostra non poteva fare eccezioni, ma un brufolo lo troverai di certo), dolce e cara, piena di stupende virtù, ma ha un difetto.

Non sta a me dire se è grave o no, io sono il misero cronista di questa fiaba, ma devo precisarlo senza timori e senza pietà.

La principessa felice è l’immodestia fatta persona.

Ci han provato a moderarla, ma si gasa ancora un po’.

Si gasa e tanto perché sa d’esser felice.

Questa è cosa seria. Lo sa, chi la smentisce?

E’ felice. Un giorno era sul balcone a pettinarsi con le dita i capelli (la principessa non usa mai pettini e spazzole), vede una farfalla blu e pensa: che bella, sono felice di averla vista.

Il giorno dopo era farfalla blu.

Magie fiabesche, che ci volete fare, a noi mortali non accade.

Quindi meglio non dirle niente a riguardo, tanto ci si perde in partenza.

Vive in modo molto strano.

Mangia se ha fame, beve solo se ha sete. Dorme quando ha sonno e, ovvio, fuma come un pensionato di San Donà di Piave (è notorio cosa si fumano i pensionati a San Donà).

Non beve e non ama guardar la tv.

Non compra giornali neanche con i gadget, non esce molto di giorno se non per andar per mercati e per bar.

Ma di notte si, esce, appena può.

Esce e prende il suo destriero blu, lo cavalca da amazzone vera e viaggia finchè è giorno.

L’hanno vista a New York e a Buenos Ayres, in Nepal e nella patagonia Argentina.

Vederla cavalcare è un sogno.

Infatti i vigili e i carabinieri, i benzinai e i casellanti vanno fuori dai meloni e anche dalle zucche quando passa lei.

Chiedo venia!

Ho detto destriero, ma non è chiaro.

Il suo destriero è (non mi pagano per la pubblicità ma attendo offerte, passate presto che avrei diverse cose  che mi mancano) un’alfa romeo.

Una 145 blu fiammante (che credevi che si infiammasse solo il rosso?) dell’Alfa Romeo!

Per questo adora viaggiare in Lombardia, per mantenere lucida la “l” di lombarda.

Dovresti vederla guidare.

Punta il muso del destriero in curva, giù in basso dove solo le alfa osano, e lì il destriero scarta, improvviso come solo un motore indomato.

Lo lascia scivolare su un rettilineo breve, libero e senza mani, come se sapesse che vuole anche liberà. Lui prosegue da se, ogni volta, con grande giudizio, mentre lei si mette il rossetto.

Poi, appena è libera, se non squilla il “parlofono chiamofono cellulofono” (e suona ogni tanto), schiaccia piano il piede destro.

Il destriero segue l’armonia del piede, ci si contorce sotto. Lo ascolta come la musica sola che conosce, lo sente come il padrone vero del suo cuore di pistoni e anche lo spinterogeno gode.

Le marmitte sbuffano bluastre esalazioni benefiche e fumo di ottani freschi. Il silenzio cade dentro l’abitacolo e senti il ruggire sommesso, il canto delicato e flebile del destriero.

Il suono vibra come uno uscito da strumento d’artista. Lo Stradivari dei motori canta, canta e incanta anche le formiche che stanno al suolo. Per un attimo si credono, anche loro, nel paradiso dei cilindri e degli oli non riciclati mai.

Il Guarneri del Gesù di ogni strada agita le sue corde al vento, come un amante dolce si lascia muovere dalle mani della sua sola donna.

Canta. Anche le cicale tacciono al suo passaggio per sentirlo. Anche il tempo ha dei vagiti di fermezza, l’aria si apre come se si fosse in galleria del vento.

E, mentre il vibrato sale, mentre ogni spazio si riempie d’amore fuso per la meccanica celeste, la principessa sa d’esser padrona vera di quel istintivo ruggire di leone domato.

Lo ascolta e lo modula con la gamba, lo eccita con teneri sussulti, lo placa con un affondo improvviso. Lo accarezza ancora e lo lascia rallentare, ma solo per ridefinirlo in uno scarto della punta della scarpa nera.

Geme il motore, geme come un agnello che pretende d’esser immolato.

Come un vergineo amore che vuole amplessi sconosciuti, ancora e ancora chiede strade, supplica per il tormento di quel corpo che gli si accascia addosso, fiero e dominatore.

La principessa sorride e muove il volante, piega la strada a suo piacimento e vola via.

Volano, volano oltre ogni spazio, ma senza uscire mai dai limiti concessi.

Mai oltre i canonici consentiti da polizia e legge.

Ma non per mero rispetto delle suddette, piuttosto per evitare di finire una storia che è fantastica e va continuata e perché (e mi rivolgo a chi guida senza prudenza) deve dare un imprescindibile esempio a chi vuole guidare in sicurezza.

Fidati della principessa.

Vai piano che per morire come un topo contro un cancello c’è tempo per, invece, vivere da re in ogni bordello!

Fidati che la principessa Romea ne ha visti tanti.

Pianger sdraiati ai bordi della strada, cadere a terra perché sta morendo l’amico migliore nell’auto tua che tu guidavi.

Non c’è giorno dopo questi giorni.

Anche il padre che grida dietro l’ambulanza.

Quando guidi, sempre, pensa a chi ti vuole bene e immagina il suo viso mentre ti sa appena morto per l’ebbrezza dei 180. Guadalo per 3 minuti e poi sai cosa devi fare.

Se vedi quel viso, se riesci a scorgerlo con la mente, non perderai te stesso come un vero sciocco.

Se deve essere che sia colpa non tua almeno.

Una volta che ogni autista ragioni con questo metro non ci saranno cadaveri da raccogliere, cara Luisa (ex medico di servizio nelle ambulanze del 118), e non piangerai più scendendo la riva di un fiume per visitare due giovani senza speranze.

I medici che han lavorato al 118 non scrivono molto, ma hanno anime d’acciaio inox temprato, devono per mestiere.

La principessa mi ha presentato Luisa e io l’ho adorata.

Una flebile donna, ma coraggiosa e umana. Altra principessa di altra fiaba.

Piangono quando non li si vede, i dottori, lacrimano come bimbi e qualcuno piange anche per i propri cari, ma non vi diranno mai il loro dolore. Sono esseri forti!

Sii forte dottore, anche se lei sta male, cerca di farcela per quelli che ancora sanno chi sei.

Il dottore per cui ho scritto non ha bisogno che io dica il suo nome. Sa da se cosa voglio dire.

La principessa conosce tutto ciò e altre meraviglie e quando racconta, io, povero sensale, resto a bocca aperta e ascolto in silenzio.

Vai dove ti ho detto di andare, cercala dove la devi cercare.

La puoi conoscere, le puoi chiedere i racconti, i libri e le storie.

Non le chiedere mai amore, non può amare più.

Il suo cuore è impegnato, tutto.

L’ha preso per intero il primo che è entrato nella torre, non sta a me giudicare, non son nessuno io per dire, ma posso spiegare un poco.

Lui è il gigante dolce e altruista che viaggia per le fiabe, quello che i bimbi se li mangia solo con gli occhi.

Che vuoi?

Ha visto la principessa felice, si è accorto che era veramente vera, ha pensato: le offro un piatto di pesce.

I giganti non ne sbaglian una neanche a Ogni santi!

Mangiava lui e mangiava la principessa Romea, si guardavan occhi, si toccavano mani.

Le mani di lei volteggiavano parlando, si muovevano armoniose sul piatto. Raccontavano storie silenziose e segreti, in sottofondo e mentre loro parlavano di altre cose.

Precisamente di contabili stressati.

Lui entrando in quelle mani piccole e leggere, sentendosele addosso come farfalle. Aspettandole muoversi sulla sua pelle, immaginando quelle dita sottili sulle sue labbra non poteva fare a meno di avere problemi alla prostata.

Capita ai giganti, mica puoi aver tutto tu che leggi!

Pensò: oddio mica le posso dire questa cosa e tacque per ore e ore.

Pensate che tortura per un gigante con dei pantaloni umani!

L’ho sempre detto che Rambo è una mezza tacca sul cellulare della Stone Sharon!

Invece il gigante, stoico non parlò affatto.

Solo che quella resistenza da ultimo partigiano in trincea piacque tanto a Romea. Ma tanto e tanto che di questo, ma non solo, affatto solo per questo, se ne innamorò trovabilmente.

Quindi, se non sei luganega stesa al sole valtellinese, lascia stare l’amore con Romea che non è oggetto del desiderio per nessuno.

Piuttosto cerca una torre che somigli a quella che vedrai.

Ci saran pure altre principesse anche se hanno altri nomi.

Il nome non conta mai, conta il cognome e quante carte di credito hai. Se invece di una Barbie “ti prendo tutto ciò che hai” trovi una pricess, amen!

In banca ci puoi tener farfalle di vetro ed è la stessa cosa che ci avessi 3.000.000 di euro sani di pacca.

Ricordati bene: niente donne di legno, niente uomini di plastica!

Così sarai felice come Romea. E guarda volar farfalle che se ci voli, domani, lo sai da te, senza legger mani, qual è il tuo destino!

Patrizia P. (Favole modernissime).

 
 
 

Lo sapevooooooooooo che diventava una fiaba.S'è scritta da sola, non ho meriti.

Post n°2 pubblicato il 28 Settembre 2005 da frammentidistorie

IL   GIGANTE   ALTRUISTA

(Come rispondere ad Oscar Wilde degnamente per il personaggio, indegnamente per il paragone tra scrittori)

 

 

Viveva, e vive ancora, in una città del nord un gigante, molto particolare per il suo altruismo.

Ma, si sa, gli esseri umani spesso non vedono proprio ciò che è davanti ai loro occhi e il gigante spesso passava inosservato.

Non a tutti, certo.

Lo notavano subito i bambini nei passeggini, di cui era ghiotto. Ma cosa avete capito?

Non li mangiava, era però costretto per contratto (come da articolo pubblicato sulla G. U. no. 2.675) a guardarli tutti, anche se doveva affacciarsi ai passeggini con le cappottine abbassate.

Loro si accorgevano del gigante e, se svegli, ridevano. Se addormentati, dormivano. E se stavano piangendo smettevano perché il gigante se ne aveva subito a male e i bambini non lo volevano dispiacere.

Anche qualche vecchietta, le signore di una certa sensibilità e i transessuali lo notavano, ma quelli hanno sempre anima e questa è un’altra storia.

Ma per il più della gente il gigante passava inosservato. Eppure tutti i giorni usciva per andare in ufficio e pranzava fuori. Girava per la città la sera e di notte, ma pochi erano quelli che si rendevano veramente conto che era un gigante.

A volte davvero non vediamo oltre il nostro naso.

Quest’ultima frase me l’ha suggerita il Cirano di Bergerac (grazie).

Comunque il gigante stava benissimo, anche se qualche volta aveva problemi con il passaporto (non lo lasciavano partire), con il satellitare che si ostinava a volere svoltare nei sensi unici e con il cellulare che, per via delle grosse dita di gigante, aveva i tasti troppo consumati.

Per il resto, tutto, era felicissimo.

Lavorava, si divertiva, a volte andava alle feste degli zombie (che non ho ancora visto). Altre volte finiva in un bar meraviglioso o in un ristorante dove si mangiava benissimo.

La sua auto zigzagava per la città facendo da sola inversioni a U e salendo sui marciapiedi.

Fumava sigarette sempre diverse e, a volte, le condiva con aglio fresco per tenere alla larga gli zombie famelici.

Aveva diversi poteri magici, ma li usava rara mente per il suo piacere. Trasformava la sua auto in appartamento (provate voi), oppure una panchina in un salotto. Non parliamo di quello che faceva alle vie e a corsi della città. Una volta ne cambiò completamente uno, per vedere sorridere una bambina, con un altro simile, ma di una città lontanissima.

Insomma, a farla breve, aveva tutto e gli avanzava sempre qualcosa che, appena trovava adeguato destinatario, provvedeva a regalare.

Aveva un odio sviscerato per le lune gonfiabili, rosa, piene di cuoricini. Ma ne teneva una chiusa in una scatola perché era un regalo. E quelli si tengono anche se ti rompono i maroni!

Un giorno però, inaspettatamente, conobbe una persona in un mondo solo virtuale. Praticamente il gigante non sapeva con chi aveva a che fare. Ma gli era simpatica, scriveva anche piuttosto discretamente (senza esagerare) e aveva un blog.

Per il gigante fu un colpo al cuore.

Lui non aveva blog e chiese alla sconosciuta se lo poteva avere anche lui.

Lei disse che certo si poteva fare, ma non lo aiutò, anzi, lo ostacolò anche, velatamente.

Non per invidia, certo, ma perché temeva il principio dei vasi comunicanti. E un filo di ragione ce l’aveva, diremmo noi.

La comunicazione infatti ci fu. Durò mesi e, intensamente, divenne anche sempre più intensa. Nonostante litigassero anche, talvolta per colpa delle foche che passavano da mail in mail.

Il fatto è che anche le foche fotografate al gigante non piacevan troppo.

A lei, invece, quei due occhi che promettevano paradisi di dolcezza scioglievano lentamente l’anima, tutta, e si sentiva svenire ogni volta che la guardava.

Comunque sia, dopo il litigio della foca, passarono un periodo di mesto silenzio. Anche se nessuno dei due aveva nulla contro l’altro.

Un giorno però, lei, gli scrisse una mail breve in cui gli chiedeva se poteva vedere la città lontana del gigante.

E, come accade in tutte le fiabe, lui non se lo fece dire due volte, ma tre (perché mica era tanto convinto che lei sarebbe andata davvero, non era convinta lei, figuriamoci lui).

Alla fine, come fu, come non fu, si incontrarono.

Nelle fiabe mica ci si incontra come nella vita. Lei era su un auto, lui a piedi (l’aveva parcheggiata, stolti, mica volevate che andasse a piedi!), si guardarono.

Proprio in quel momento il grande orologiaio intergalattico decise di fare una pausa per merenda. Solo che lasciò fermi gli orologi di tutti i sistemi solari.

E siccome, spesso, anche il diavolo ci mette le orecchie anche il meccanico dei motori celesti fece un break per uno spuntino.

Così, a tempo e spazio fermi, si incontrarono il gigante e la piccina. Ma noi dobbiamo dare un nome ai due protagonisti e useremo proprio i loro veri nomi. Lui si chiamava Giulio e lei Romea.

Che protestate?

Nelle fiabe nessuno ha nomi semplici, rassegnatevi.

Solo che Romea era piccolissima davvero e Giulio grande grande come solo i giganti.

Romea lo vedeva benissimo che era un gigante, ma non disse nulla per non esser inopportuna. E poi, si sa, a volte si vede male. Questo vale assolutamente di più se porti gli occhiali, e Romea li portava. Anche se eran leggerissimi e viola. Con gli occhiali viola si vede, notoriamente, meglio.

A farla brevissima, Giulio sorrise e lei anche.

La fece salire sulla sua auto (che in quel momento era davvero un auto e non un superattico a Beverly Hills) e la portò in giro per la città.

Non vi posso elencare quello che lei vide.

Perché nessuno, ancor meno io, so narrare ore e ore di meraviglie e tesori.

Solo lei si rifiutò di andare a vedere gli zombie ( e mo’ si rode). Lui la fece cenare a base di pesce in un posto molto intimo, candela di rito compresa.

Lei mangiava e, mentalmente, ringraziava la proprietaria del ristorante, pareva quasi una preghiera. Per il pesce alla griglia, per la luce della candela, per la tovaglia color albicocche infinite, per il silenzio serenissimo, per la discreta gentilezza di lei, per il risotto non parliamo. Ne declamò le bellezze per un giorno intero e ancora le pareva poco.

Non mi sfuggisse il nome di quel luogo, ve lo direi, ma mi sa che è riservato ai giganti accompagnati dalle bambine.

Comunque chiederò e vi farò sapere meglio fiabe facendo.

E ora andiamo al sodo (non furono servite uova).

Girovagando per la città il gigante Giulio decise di portare Romea in una panchina con vista (era illuminatissima da un lampione) in un parco.

Lo so che state imprecando, ma i nomi proprio non li ricordo.

Se pazientate sette o otto fiabe, forse, qualche via me la ricordo.

Solo che lì, già che c’era (era presente nonostante il vagheggiare pallido e assorto) trasformò la panchina in un salotto di pelle blu oltremare con tavolino di marmo e mobile bar.

Non mancava niente, osservò Romea, anche il soffitto di foglie si intonava benissimo. Per non parlare del quadro raffigurante altalene e scivoli per bambini.

Insomma come passar dall’aperto al chiuso e senza cielo, scusandosi con gli autori della canzone che vede bene il meccanismo inverso.

C’eran anche le canne di bambù, mi pare, che ondeggiavano in un angolo della stanza.

Un po’ di fumo (lo usano i giganti per ricreare orientali atmosfere), un po’ di parole di persone non presenti (senza occhiali la protagonista non vedeva un cappero neanche se lo mettevi dentro l’occhio destro) e l’aria da salotto tra le foglie.

Era tutto talmente bello che Romea pensava, assorta: le canne no, ma il resto fa effetto.

Non era molto amante delle canne di bambù, preferiva le lampade psichedeliche da giardino.

Per magia e per incanto (siamo in una fiaba, ricordate?) il gigante si rimpicciolì e la bambina crebbe fino alla sua stessa altezza.

Poi però, per gli strani scherzi del destino fiabesco, Romea tornò piccina e si perse nei baffi del gigante.

Le pareva di essere in una foresta, camminava e camminava ma non riusciva a capire dov’era. Poi, improvvisamente, gli cadde dentro la bocca e lì, per forza, si fermò.

Pensate se il gigante in quel preciso momento avesse chiuso forte i denti oppure avesse serrato le labbra.

Sarebbe stata la fine per la povera Romea, ma il gigante sentì un piccolo essere nelle sue labbra e nella bocca. Pensò d’esser dal dentista, ma era impossibile in quel posto.

Capì che era la minuscola bambina che era finita lì, non per sbaglio, questo no.

Mai.

La face dondolare sulla lingua come se fosse in barca, la sollevò in alto come se fosse una gru e la fece scendere dentro l’ascensore.

Romea rideva e rideva. Sobbalzava qua e là e rideva, poi sorrideva.

Non era mai finita nella bocca di un gigante, e poi così gentile dal lasciarla giocare quanto voleva.

In cambio gli regalò i suoi jeans, affatto firmati, per almeno due ore.

A lui i jeans piacevano perché i suoi erano sempre troppo stretti. Quando li prendeva andavano benissimo, poi però lui cresceva e i jeans sembravano una prigione.

Quelli di lei invece erano così comodi e larghi che lui li ammirò tutti. Ne soppesò la stoffa, li rigirò tra le dita, ansiose, li osservò.

Siccome Romea era reduce da un viaggio su un lingua gigante, erano un po’ umidi, ma a Giulio questo non importava.

Sperò che lei glieli lasciasse, ma sapeva che doveva restituirli.  Romea però pensava che presto lo avrebbe portato nella fiaba dei jeans, e lì, lui li avrebbe potuti provare tutti fino allo sfinimento.

Ma era tardi e le bambine delle fiabe devono rincasare. Lui la portò in un viale che davvero cambia posto ogni dieci minuti (lo spostano piccoli operai invisibili e lo trascinano qua e là per la città, così non vi dico il nome perché mai lo trovereste), c’era il silenzio delle favole cinesi.

Notoriamente le favole cinesi sono molto silenziose.

Lì, nella notte orientaleggiante, cineseggiante, filosofeggiante, il gigante tenne la bambina tra le sue grandi braccia. Lei diventò piccolissima, tanto che lui temeva di perderla sul cambio.

La ritrovò dentro il portaoggetti della portiera, intatta o quasi.

Allora il gigante altruista cadde sul sedile con un tonfo e Romea si chiese se era ancora vivo.

Si spaventò, ma poco. Poi lo sfiorò con un dito e, come per magia, il gigante aprì gli occhi.

Romea sorrise.

Il grande orologiaio e il meccanico, finita la pausa, ripresero il lavoro e Giulio e Romea si salutarono, sognando.

Ma Romea partendo dalla città pensò che era strano.

In un posto dove tanti vanno c’è un gigante e nessuno se n’è mai accorto sul serio.

Vale la pena d’esser piccini, se così si vedono le grandi cose e le grandi persone.

Ma dove ora si trovi il gigante altruista non ve lo possiamo dire. Perché è finito nel lillipuziano regno di Romea, chiuso tra lettere e libri piccini.

Lì soltanto lei può tenerlo e non vuole esser rinchiuso in altro modo.

Ma lei, buona, lo libera spesso per lasciarlo compier magie per gli umani che non sempre lo sanno.

E, ad ogni magia, diventa più grande.

Se guardate bene dalle finestre dei passeggini, bimbi, lo potete vedere.

Immenso vi guarda e sorride.

di Patrizia P.

 
 
 
 
 

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